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Contribuzione datoriale alla previdenza integrativa e incidenza sul T.f.r.

1. Con due sentenze emesse nel corso di quest’anno – rispettivamente Cass. 12/1/2011, n. 545 e Cass. 30/9/2011, n. 20105 – la sezione lavoro della Cassazione ha, per così dire, “fatto pace” con l’orientamento difforme della Corte costituzionale che, tramite le sentenze n. 421 del 1995, nn. 178 e 393 del 2000, aveva affermato (a differenza della Cassazione sostenitrice della natura di “retribuzione differita con funzione previdenziale” delle contribuzioni datoriali ai fondi di previdenza) il carattere di “contribuzione previdenziale” dei versamenti datoriali ai fondi di previdenza integrativa, nel quadro legislativo posteriore al d.lgs. n. 124/1993, istitutivo della previdenza complementare.

Con la sentenza n. 421 del 1995, la Consulta – modificando il proprio precedente orientamento di cui alla sentenza n. 427 del 1990, antecedente all’istituzione della previdenza complementare con d.lgs. n. 123/1993 – affermò che «le contribuzioni degli imprenditori al finanziamento dei fondi non possono più definirsi “emolumenti retributivi con funzione previdenziale” ma sono strutturalmente contributi di natura previdenziale». Tramite poi la sentenza n. 393 del 2000 - una volta asserita l’esistenza di «un collegamento funzionale tra previdenza obbligatoria e previdenza complementare», idonea a collocare «quest’ultima nel sistema dell’art. 38, secondo comma, Cost.» - la Corte costituzionale è giunta ad attribuire alla contribuzione dei datori di lavoro alle forme di previdenza complementare natura di vera e propria contribuzione previdenziale. Con la conseguenza – implicita o induttiva, più che esplicita – che alle prestazioni pensionistiche complementari si dovesse riconoscere strutturalmente analoga natura previdenziale (e non già, od anche, retributiva). Natura previdenziale discendente anche (se non addirittura, soprattutto) dalla riscontrata funzionalizzazione legislativa della previdenza complementare alla soddisfazione dei bisogni della previdenza pubblica.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione (anche a sezioni unite) ha, invece, insistito nell’affermare - in stridente contrasto con il giudice delle leggi - che le prestazioni pensionistiche integrative o complementari sono, anch’esse come il TFR, «retribuzione differita con funzione previdenziale».

Nella sentenza a sezioni unite n. 974/1997, la Cassazione ha, infatti, asserito che «i trattamenti pensionistici integrativi, erogati a seguito della costituzione di fondi speciali previsti dalla contrattazione collettiva, privi di autonoma soggettività, hanno natura di debiti di lavoro, anche se sono esigibili dopo la cessazione del rapporto di lavoro, essendo in nesso di corrispettività con la prestazione lavorativa a causa dell’interdipendenza con la durata del servizio e la misura della retribuzione ricevuta». Aggiungendo che, pur possedendo natura retributiva, «in relazione alla loro funzione previdenziale (che spiega la sottrazione alla contribuzione previdenziale dei relativi accantonamenti, disposta - in via di interpretazione autentica dell’art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153 - dall’art. 9 bis del d.l. 29 marzo 1991 n. 103, aggiunto dalla legge di conversione 1 giugno 1991, n. 166), sono ascrivibili alla categoria delle erogazioni solo in senso lato in relazione di corrispettività con la prestazione lavorativa». Cosicché «l’esclusione delle contribuzioni – destinate ai fondi istituiti per la erogazione di prestazioni previdenziali integrative – dalla base imponibile dei contributi obbligatori di cui all’art. 12, l. n.153/1969 non può che accentuare la “funzione previdenziale” di tali prestazioni, pur lasciando inalterato l’elemento strutturale della retribuzione come prestazione alla quale il datore di lavoro è tenuto in forza del rapporto di lavoro e non alla stregua di un distinto rapporto previdenziale o assistenziale».

L’affermato principio di diritto è stato ripreso e sviluppato dalla successiva giurisprudenza di legittimità che ha affermato che, avendo i trattamenti pensionistici integrativi aziendali natura di retribuzione differita, analoga natura retributiva - ai fini del computo nelle indennità di fine rapporto - deve essere riconosciuta anche ai versamenti effettuati dal datore di lavoro, in osservanza di obbligo derivante da contratto collettivo, mediante accreditamenti sul conto previdenziale individuale del lavoratore ai fini della costituzione e dell’erogazione di un trattamento pensionistico integrativo (Cass. n. 13558/2001, concernente la previdenza integrativa prevista dalla contrattazione collettiva per i dipendenti RAI).

Ed anche più recentemente la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 783 del 2006, ha ribadito la "natura di retribuzione differita" delle prestazioni pensionistiche complementari quando, confermando un suo precedente orientamento (sentenza n. 13558 del 2001), ha ricompreso nella retribuzione utile per il computo del trattamento di fine rapporto anche la contribuzione versata dal datore di lavoro per il finanziamento, mediante accreditamenti sul conto previdenziale individuale dei lavoratori, del fondo di previdenza integrativa della RAI.

Non diversamente, anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha avuto, più volte, modo di affermare che le prestazioni erogate dai regimi di previdenza complementare privata rientrano nella nozione di retribuzione dettata dall’art. 141 (ex articolo 119) del Trattato UE, trattandosi, anch’esse, di «vantaggi pagati direttamente o indirettamente [...] dal datore di lavoro al lavoratore» in ragione del rapporto di lavoro[1].

2. Al riguardo – è stato osservato[2], sia in dottrina che nella giurisprudenza di merito[3] - che in tal modo la Corte di Cassazione avrebbe escluso ogni rilevanza della funzione previdenziale assolta dai finanziamenti del datore di lavoro alle forme di previdenza complementare ed avrebbe finito per determinare una vera e propria antinomia rispetto alla disciplina legislativa, che pure prevede la destinazione del trattamento di fine rapporto al finanziamento della previdenza complementare. E’ stato, infatti, sottolineato che, se gli importi degli accantonamenti per il Tfr e quelli della contribuzione versati dal datore di lavoro alle forme di previdenza complementare dovessero essere ambedue utili ai fini del calcolo del Tfr, si determinerebbe un irrazionale duplicazione di benefici con moltiplicazione del costo di lavoro per le imprese, in quanto i lavoratori, oltre ad aver diritto alla pensione integrativa, avrebbero diritto anche ad un Tfr arricchito degli importi degli accantonamenti eseguiti dal datore di lavoro per finanziare quella pensione.

Inoltre – come già anticipato - Cass. SU n. 974/1997, si premurò di affermare che anche la specifica previsione di legge di un contributo di solidarietà [(di cui all’art. 9-bis della legge n. 166 del 1991 (ora, art. 16 del d.lgs. n. 252 del 2005), che introduce e regola il contributo di solidarietà del 10%][4], sulle somme versate dal datore di lavoro per il finanziamento delle prestazioni erogate dalle forme di previdenza complementare (il cd. contributo sul contributo), portava alla conferma che dette prestazioni hanno natura di “retribuzione differita in funzione previdenziale”, e non già previdenziale.

Da parte delle aziende investite da ricorsi dei dipendenti tesi a rivendicare l’inclusione delle contribuzioni datoriali ai fondi di previdenza integrativa nella retribuzione utile ai fini dei trattamenti di fine rapporto (vecchia indennità di anzianità e nuovo Tfr), è stata posta in essere, conseguentemente, una strenua opposizione.

L’opposizione – che è stata condivisa e validata anche dalla giurisprudenza, eminentemente di merito, citata in nt.3 - è stata articolata sulla base delle seguenti argomentazioni:

a) l’asserita incompatibilità delle contribuzioni ai fondi con la nozione di retribuzione differita, stante la natura previdenziale dei medesimi apporti, adducendo a supporto le statuizioni della Corte costituzionale la quale ha ricondotto le forme di previdenza complementare nell’ambito dell’art. 38 Cost. (e non già dell’art. 36 Cost.), in quanto destinate a soddisfare gli stessi bisogni cui sono preordinati i trattamenti previdenziali obbligatori;

b) l’asserita irrazionalità della pretesa dei lavoratori in quanto idonea ad ingenerare una moltiplicazione dei costi del lavoro e una duplicazione di benefici omologhi, conseguenti ad una indebita dilatazione della misura e della nozione del Tfr, nel quale il legislatore ha previsto il solo computo degli emolumenti retributivi a percezione continuativa e diretta da parte del lavoratore in corso d’anno, con esclusione della riconducibilità al Tfr – ex art.4, quinto comma, della l. n. 297/1982 – delle indennità corrisposte alla cessazione del rapporto, aventi natura e funzioni diverse; con la conseguenza che nel Tfr sarebbero riconducibili le sole erogazioni corrispettive in senso stretto e non già quelle di presunta natura “retributiva con funzione previdenziale” e, tantomeno, quelle di chiara natura previdenziale o assistenziale;

c) l’asserita estraneità alla nozione di retribuzione utile per il calcolo del Tfr dei versamenti datoriali, sia che i medesimi (di asserita natura previdenziale) avvengano su un unico ed indistinto conto (fattispecie dei fondi a “prestazioni definite” o a “capitalizzazione collettiva”) sia che i versamenti siano effettuati su fondi a cd. “contribuzione definita” che danno vita ad appositi conti individuali per ciascun lavoratore;

d) la presenza nel testo dei rinnovi contrattuali – eminentemente nel settore credito e assicurativo - di intese[5] tra gli agenti contrattuali atte a sottrarre le contribuzioni previdenziali (a Fondi sanitari o a Fondi di previdenza integrativa) dalla riconduzione nella retribuzione utile per il Tfr. Espressione di tali intese, per il settore credito, sarebbe l’art. 74, quarto comma, del c.c.n.l. ABI 11 luglio 1999 che ha dichiarato che «data la loro natura, le somme destinate ad interventi di carattere previdenziale ed assistenziale non sono ovviamente computabili ai fini del trattamento di fine rapporto». Tale dichiarazione - si dice in alcune sentenze di merito che hanno valorizzato le “dichiarazioni delle parti” - è stata asseverata, anche rispetto al passato, dall’Accordo sindacale settoriale del 12 febbraio 2005, laddove le parti contraenti, specificamente incontratesi allo scopo, hanno ribadito che «tenuto anche conto dei complessivi livelli retributivi definiti in sede di contrattazione collettiva», esse hanno inteso «tempo per tempo, escludere dalla base di calcolo del t.f.r. i contributi versati dalle imprese per il finanziamento dei trattamenti previdenziali riconosciuti al personale delle aziende di credito». Si è tentato quindi, da parte di questa giurisprudenza di merito, di conferire alle suddette intese non solo efficacia retroattiva in epoca antecedente alle pattuizioni, ma anche funzione di interpretazione autentica.

Invero, come è stato pertinentemente osservato - con riferimento al settore assicurativo caratterizzato da analoghe pattuizioni tramite “note a verbale” in seno al c.c.n.l. - da Trib. Roma 25/5/2005 (inedita a quanto consta, est. Di Sario): «E’ estranea al nostro ordinamento positivo la facoltà di interpretazione autentica dei contratti collettivi di lavoro ad opera delle parti sociali, essendo tale facoltà riservata, con effetti retroattivi, soltanto al legislatore in riferimento a leggi o ad atti ad essa equiparati. Le parti sociali con i contatti collettivi non possono, al pari del legislatore, interpretare e, quindi, modificare fatti costitutivi di diritti e obblighi contrattualmente previsti già esauriti o in via di esaurimento in data anteriore alla stipulazione del relativo contratto (Cass. n. 4222/2002). Deve pertanto escludersi che alla previsione in esame possa essere riconosciuto un valore interpretativo ad efficacia retroattiva, mentre la stessa ben può concorrere ad interpretare la pattuizione contrattuale del c.c.n.l. (…) che sebbene mantenuta nella sua formulazione identica alle precedenti non può non essere letta anche alla luce della chiarificazione fornita dalle parti nella nota in esame. Ed invero per costante giurisprudenza le “dichiarazioni a verbale”, pur non avendo contenuto normativo, possono rappresentare un utile strumento interpretativo».

3. In questo quadro caratterizzato da posizioni contrastanti e inconciliabili – sia in giurisprudenza (ordinaria e costituzionale, sia in dottrina) e ove le parti datoriali si sono (da sempre) riproposte di negare l’incidenza sul Tfr non solo per i versamenti datoriali ai fondi a prestazioni definite (cioè a “capitalizzazione collettiva”) ma anche per i fondi a “contribuzione definita” (caratterizzati da sottoconto A per l’apporto in capo al lavoratore e sottoconto B per l’apporto del datore, quindi a “capitalizzazione individuale”) - sono intervenute nel corso del 2011 le due sentenze indicate all’inizio di questo articolo: Cass. 12/1/2011 n. 545, est. Curzio (concernente il Fondo integrativo pensionistico della Cassa di risparmio di Rieti) e Cass. 30/9/2011 n. 20105, est. Balestrieri (concernente il Fondo integrativo pensionistico della Cassa di risparmio di Firenze), entrambi a “prestazioni definite”, ovverosia a “capitalizzazione collettiva” (e non individuale), alimentati da finanziamento datoriale calcolato in percentuale sul monte salari/stipendi annuale.

Premesso e riscontrato che la cd. “contribuzione” del lavoratore ai Fondi integrativi pensionistici è sempre entrata a far parte del Tfr (in quanto facente parte della retribuzione annuale utile per il Tfr, dalla cui busta paga era stata trattenuta in capo ai singoli), il problema - per la Cassazione adita - si poneva in ordine all’accertamento della natura retributiva ovvero contributivo-previdenziale dell’indistinto finanziamento o apporto datoriale ai Fondi integrativi delle due Casse di risparmio.

Stante il riscontro – per il Fondo integrativo della Cassa di risparmio di Rieti – che le censure della Cassa attenevano alla statuizione della Corte d’appello in ordine alla riconosciuta natura retributiva del contributo datoriale da considerarsi utile per l’indennità di anzianità e poi del Tfr, tuttavia limitatamente al periodo antecedente all’emanazione del d.lgs. n. 124/1993 istitutivo della previdenza complementare, Cass. n. 545/2011 ha riconfermato le statuizioni dei cd. “precedenti”, individuati nei principi di diritto asseriti da Cass. SU n. 974/1997 e da Cass. 2/11/2001 n. 13558. Stabilendo che per il periodo anteriore all’istituzione legislativa della previdenza complementare - cioè nel periodo e nel quadro normativo previgente - i criteri da seguire per il calcolo dell’indennità di anzianità e del Tfr dovevano essere ricercati nelle statuizioni della giurisprudenza di legittimità sopra riferita, secondo la quale «i trattamenti pensionistici integrativi, erogati a seguito della costituzione di fondi speciali previsti dalla contrattazione collettiva, privi di autonoma soggettività, hanno natura di debiti di lavoro, anche se sono esigibili dopo la cessazione del rapporto di lavoro, essendo in nesso di corrispettività con la prestazione lavorativa a causa dell’interdipendenza con la durata del servizio e la misura della retribuzione ricevuta». Aggiungendo, quale precisazione, che: «La natura del trattamento pensionistico (…) si riflette sulla natura dei versamenti al fondo, che hanno quindi natura retributiva e, di conseguenza, devono essere computati nell’indennità di anzianità e nel TFR».

Conseguentemente – precisa nuovamente la Cassazione - «… i problemi, riproposti dalla (Banca, ndr) ricorrente, relativi alla riconducibilità dei versamenti alla nozione di retribuzione desumibile dall’articolo 2120 cod. civ., hanno quindi trovato puntuale soluzione in questi precedenti, mentre il fatto che la decisione (n. 13558, ndr) del 2001 consideri un fondo a capitalizzazione individuale, laddove nel caso in esame la capitalizzazione è collettiva, non modifica i termini della questione, perché non incide sulla natura del trattamento finale e sulla omogenea natura del versamento. Né la ricostruzione su richiamata viene intaccata dai rilievi sulla comune struttura dei trattamenti di fine rapporto e della pensione integrativa, che non spostano i fondamenti del ragionamento delle Sezioni unite sulla natura del versamento e sulla sua conseguente rilevanza ai fini del TFR e della indennità di anzianità. Quei fondamenti verranno invece meno con la riforma della previdenza integrativa, nel cui nuovo ambiente normativo, la Corte costituzionale, con le sentenze n. 421 del 1995 e n. 178 del 2000, affermerà la natura contributiva dei versamenti ».

Cass. n. 20105/2011 (relativa alle contribuzioni datoriali al Fondo pensionistico integrativo della Cassa di risparmio di Firenze, anch’esso a “prestazioni definite”, cioè a “capitalizzazione collettiva”), recependo e ritrascrivendo pedissequamente le argomentazioni di Cass. n. 545/2011, esterna implicitamente ai lavoratori (ricorrenti contro le negative statuizioni della Corte d’appello territoriale che aveva negato loro, in ragione di un’asserita natura previdenziale del finanziamento datoriale anche per il periodo antecedente al d.lgs. 124/1993), il loro diritto al ricalcolo dell’indennità di anzianità e del Tfr già percepito limitatamente a tale periodo previgente (antecedente al nuovo quadro normativo, strutturato dall’istituzione della previdenza complementare, ex d.lgs. n. 123/1993). Osservandosi, da parte nostra, che nel caso di fondi a capitalizzazione collettiva – come in fattispecie - l’individuazione dell’entità o misura individuale della retribuzione differita utile per l’inclusione nei trattamenti di fine rapporto vecchi e nuovi, dovrà essere affidata ad una ricognizione attuariale.

4. Concludendo l’orientamento palesato dalle due decisioni va interpretato all’insegna di una pacificata adesione della Cassazione alla natura “contributivo-previdenziale” degli apporti datoriali ai Fondi di previdenza integrativa, asserita dalla Corte costituzionale per il periodo posteriore alla nuova introduzione della previdenza complementare.

Conseguentemente, in via salomonica, per il periodo posteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 123/1993 risulta caducata la pretesa dei lavoratori di considerare utile al Tfr la contribuzione datoriale ai fondi di previdenza integrativa.

Qualora, come non dubitiamo, il riferito percorso argomentativo delle due sentenze di Cassazione – introduttive del bilanciato spartiacque innanzi riferito - sia destinato al consolidamento, il beneficio del ricalcolo del Tfr per effetto dell’incidenza (positiva e accrescitiva) della contribuzione datoriale ai fondi integrativi pensionistici sarà da considerarsi escluso, nel nuovo quadro normativo posteriore al d.lgs. n. 124/1993, sia relativamente ai fondi a “prestazione definita” sia per quelli a “contribuzione definita” rifluente in conti individuali.

Ne consegue la conclusione che i benefici del ricalcolo dei trattamenti di fine rapporto per l’incidenza su di essi delle contribuzioni datoriali ante d.lgs. n. 124/1993, sono destinati all’esaurimento col decorso del tempo, riguardando solo coloro che, ad oggi, hanno maturato in azienda un’anzianità lavorativa quasi ultraventennale, restandone esclusi, invece, i più giovani assunti posteriormente al 1993.



[1] Corte di Giustizia comunità europee, 17 aprile 1997, n. 147/95; Corte di Giustizia comunità europee, 28 settembre 1994, n. 128/93.

[2] Cfr. Gambacciani M., I fondi pensione e il tfr nella giurisprudenza, relazione al Seminario sul tema “Il trattamento di fine rapporto e i fondi pensione” – Macerata 16 maggio 2008. Si veda, in tema, altresì: Fraioli A.L., Natura delle contribuzioni versate dai datori di lavoro ai fondi di previdenza complementare, nota a Cass. 7/11/2005 n. 21473, in Prev. ass. pubbl. priv. 2006, 115; Santini F., I contributi del datore di lavoro ai fondi pensionistici complementari tra natura e funzione, in Arg. dir. lav. 2007, 415; Picciariello P., I contributi per la previdenza complementare sono computabili nel trattamento di fine rapporto, nota a Trib. Milano 12/6/2007, in Arg. dir. lav. 2008, 251.

[3] Tra le molte decisioni di merito negatrici del computo nel Tfr delle contribuzioni datoriali ai fondi di previdenza integrativa, si citano: Trib. Milano 30/1/2009, in Not. giurisp. lav. 2009, 773 (concernente Deutsche Bank); Trib. Milano 24/12/2008, ivi 2009, 252 (concernente Banca Intesa); Trib. Milano 25/11/2008 (est. Casella), inedita a quanto consta (concernente Banca Intesa); Trib. Roma 6/2/2008, ivi 223 (concernente Banca Antoniana Popolare Veneta); Trib. Roma 7/9/2007, ivi 2007, 731 (concernente Banca Antoniana Popolare Veneta); Trib. Roma 20/8/2007, ivi 2007, 590 (concernente Banca Antoniana Popolare Veneta); Trib. Roma 2/8/2006, ivi 2006, 530 (concernente BNL); Trib. Roma 28/7/2006, ibidem, 530 (concernente BNL); Trib. Napoli 28/6/2006, ibidem 530 (concernente Sanpaolo Imi); Trib. Torino 9/5/2006, ivi 2006, 224 (concernente Sanpaolo Imi); Trib. Napoli 31/1/2006, ibidem 224 (concernente Sanpaolo Imi); Trib. Roma, 17/3/2005, ivi 2005, 246 (concernente BNL); Trib. Ancona 22/4/2004, ivi 2004, 538 (concernente Banca delle Marche).

[4] Va sottolineato come la previsione di una contribuzione di solidarietà sulle somme versate dai datori di lavoro per il finanziamento delle forme pensionistiche complementari ha successivamente trovato conferma, in un ottica più organica e non settoriale, con la previsione di cui all’art. 6, comma 4, lett. f), d.lgs. n. 314 del 1997, sostitutivo dell’originaria formulazione dell’art. 12 della l. n. 153/1969.

[5] Tramite l’art. 74, 4 comma, del ccnl ABI 11 luglio 1999 e l’Accordo sindacale settoriale 12 febbraio 2005.

1. Con due sentenze emesse nel corso di quest’anno – rispettivamente Cass. 12/1/2011, n. 545 e Cass. 30/9/2011, n. 20105 – la sezione lavoro della Cassazione ha, per così dire, “fatto pace” con l’orientamento difforme della Corte costituzionale che, tramite le sentenze n. 421 del 1995, nn. 178 e 393 del 2000, aveva affermato (a differenza della Cassazione sostenitrice della natura di “retribuzione differita con funzione previdenziale” delle contribuzioni datoriali ai fondi di previdenza) il carattere di “contribuzione previdenziale” dei versamenti datoriali ai fondi di previdenza integrativa, nel quadro legislativo posteriore al d.lgs. n. 124/1993, istitutivo della previdenza complementare.

Con la sentenza n. 421 del 1995, la Consulta – modificando il proprio precedente orientamento di cui alla sentenza n. 427 del 1990, antecedente all’istituzione della previdenza complementare con d.lgs. n. 123/1993 – affermò che «le contribuzioni degli imprenditori al finanziamento dei fondi non possono più definirsi “emolumenti retributivi con funzione previdenziale” ma sono strutturalmente contributi di natura previdenziale». Tramite poi la sentenza n. 393 del 2000 - una volta asserita l’esistenza di «un collegamento funzionale tra previdenza obbligatoria e previdenza complementare», idonea a collocare «quest’ultima nel sistema dell’art. 38, secondo comma, Cost.» - la Corte costituzionale è giunta ad attribuire alla contribuzione dei datori di lavoro alle forme di previdenza complementare natura di vera e propria contribuzione previdenziale. Con la conseguenza – implicita o induttiva, più che esplicita – che alle prestazioni pensionistiche complementari si dovesse riconoscere strutturalmente analoga natura previdenziale (e non già, od anche, retributiva). Natura previdenziale discendente anche (se non addirittura, soprattutto) dalla riscontrata funzionalizzazione legislativa della previdenza complementare alla soddisfazione dei bisogni della previdenza pubblica.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione (anche a sezioni unite) ha, invece, insistito nell’affermare - in stridente contrasto con il giudice delle leggi - che le prestazioni pensionistiche integrative o complementari sono, anch’esse come il TFR, «retribuzione differita con funzione previdenziale».

Nella sentenza a sezioni unite n. 974/1997, la Cassazione ha, infatti, asserito che «i trattamenti pensionistici integrativi, erogati a seguito della costituzione di fondi speciali previsti dalla contrattazione collettiva, privi di autonoma soggettività, hanno natura di debiti di lavoro, anche se sono esigibili dopo la cessazione del rapporto di lavoro, essendo in nesso di corrispettività con la prestazione lavorativa a causa dell’interdipendenza con la durata del servizio e la misura della retribuzione ricevuta». Aggiungendo che, pur possedendo natura retributiva, «in relazione alla loro funzione previdenziale (che spiega la sottrazione alla contribuzione previdenziale dei relativi accantonamenti, disposta - in via di interpretazione autentica dell’art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153 - dall’art. 9 bis del d.l. 29 marzo 1991 n. 103, aggiunto dalla legge di conversione 1 giugno 1991, n. 166), sono ascrivibili alla categoria delle erogazioni solo in senso lato in relazione di corrispettività con la prestazione lavorativa». Cosicché «l’esclusione delle contribuzioni – destinate ai fondi istituiti per la erogazione di prestazioni previdenziali integrative – dalla base imponibile dei contributi obbligatori di cui all’art. 12, l. n.153/1969 non può che accentuare la “funzione previdenziale” di tali prestazioni, pur lasciando inalterato l’elemento strutturale della retribuzione come prestazione alla quale il datore di lavoro è tenuto in forza del rapporto di lavoro e non alla stregua di un distinto rapporto previdenziale o assistenziale».

L’affermato principio di diritto è stato ripreso e sviluppato dalla successiva giurisprudenza di legittimità che ha affermato che, avendo i trattamenti pensionistici integrativi aziendali natura di retribuzione differita, analoga natura retributiva - ai fini del computo nelle indennità di fine rapporto - deve essere riconosciuta anche ai versamenti effettuati dal datore di lavoro, in osservanza di obbligo derivante da contratto collettivo, mediante accreditamenti sul conto previdenziale individuale del lavoratore ai fini della costituzione e dell’erogazione di un trattamento pensionistico integrativo (Cass. n. 13558/2001, concernente la previdenza integrativa prevista dalla contrattazione collettiva per i dipendenti RAI).

Ed anche più recentemente la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 783 del 2006, ha ribadito la "natura di retribuzione differita" delle prestazioni pensionistiche complementari quando, confermando un suo precedente orientamento (sentenza n. 13558 del 2001), ha ricompreso nella retribuzione utile per il computo del trattamento di fine rapporto anche la contribuzione versata dal datore di lavoro per il finanziamento, mediante accreditamenti sul conto previdenziale individuale dei lavoratori, del fondo di previdenza integrativa della RAI.

Non diversamente, anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha avuto, più volte, modo di affermare che le prestazioni erogate dai regimi di previdenza complementare privata rientrano nella nozione di retribuzione dettata dall’art. 141 (ex articolo 119) del Trattato UE, trattandosi, anch’esse, di «vantaggi pagati direttamente o indirettamente [...] dal datore di lavoro al lavoratore» in ragione del rapporto di lavoro[1].

2. Al riguardo – è stato osservato[2], sia in dottrina che nella giurisprudenza di merito[3] - che in tal modo la Corte di Cassazione avrebbe escluso ogni rilevanza della funzione previdenziale assolta dai finanziamenti del datore di lavoro alle forme di previdenza complementare ed avrebbe finito per determinare una vera e propria antinomia rispetto alla disciplina legislativa, che pure prevede la destinazione del trattamento di fine rapporto al finanziamento della previdenza complementare. E’ stato, infatti, sottolineato che, se gli importi degli accantonamenti per il Tfr e quelli della contribuzione versati dal datore di lavoro alle forme di previdenza complementare dovessero essere ambedue utili ai fini del calcolo del Tfr, si determinerebbe un irrazionale duplicazione di benefici con moltiplicazione del costo di lavoro per le imprese, in quanto i lavoratori, oltre ad aver diritto alla pensione integrativa, avrebbero diritto anche ad un Tfr arricchito degli importi degli accantonamenti eseguiti dal datore di lavoro per finanziare quella pensione.

Inoltre – come già anticipato - Cass. SU n. 974/1997, si premurò di affermare che anche la specifica previsione di legge di un contributo di solidarietà [(di cui all’art. 9-bis della legge n. 166 del 1991 (ora, art. 16 del d.lgs. n. 252 del 2005), che introduce e regola il contributo di solidarietà del 10%][4], sulle somme versate dal datore di lavoro per il finanziamento delle prestazioni erogate dalle forme di previdenza complementare (il cd. contributo sul contributo), portava alla conferma che dette prestazioni hanno natura di “retribuzione differita in funzione previdenziale”, e non già previdenziale.

Da parte delle aziende investite da ricorsi dei dipendenti tesi a rivendicare l’inclusione delle contribuzioni datoriali ai fondi di previdenza integrativa nella retribuzione utile ai fini dei trattamenti di fine rapporto (vecchia indennità di anzianità e nuovo Tfr), è stata posta in essere, conseguentemente, una strenua opposizione.

L’opposizione – che è stata condivisa e validata anche dalla giurisprudenza, eminentemente di merito, citata in nt.3 - è stata articolata sulla base delle seguenti argomentazioni:

a) l’asserita incompatibilità delle contribuzioni ai fondi con la nozione di retribuzione differita, stante la natura previdenziale dei medesimi apporti, adducendo a supporto le statuizioni della Corte costituzionale la quale ha ricondotto le forme di previdenza complementare nell’ambito dell’art. 38 Cost. (e non già dell’art. 36 Cost.), in quanto destinate a soddisfare gli stessi bisogni cui sono preordinati i trattamenti previdenziali obbligatori;

b) l’asserita irrazionalità della pretesa dei lavoratori in quanto idonea ad ingenerare una moltiplicazione dei costi del lavoro e una duplicazione di benefici omologhi, conseguenti ad una indebita dilatazione della misura e della nozione del Tfr, nel quale il legislatore ha previsto il solo computo degli emolumenti retributivi a percezione continuativa e diretta da parte del lavoratore in corso d’anno, con esclusione della riconducibilità al Tfr – ex art.4, quinto comma, della l. n. 297/1982 – delle indennità corrisposte alla cessazione del rapporto, aventi natura e funzioni diverse; con la conseguenza che nel Tfr sarebbero riconducibili le sole erogazioni corrispettive in senso stretto e non già quelle di presunta natura “retributiva con funzione previdenziale” e, tantomeno, quelle di chiara natura previdenziale o assistenziale;

c) l’asserita estraneità alla nozione di retribuzione utile per il calcolo del Tfr dei versamenti datoriali, sia che i medesimi (di asserita natura previdenziale) avvengano su un unico ed indistinto conto (fattispecie dei fondi a “prestazioni definite” o a “capitalizzazione collettiva”) sia che i versamenti siano effettuati su fondi a cd. “contribuzione definita” che danno vita ad appositi conti individuali per ciascun lavoratore;

d) la presenza nel testo dei rinnovi contrattuali – eminentemente nel settore credito e assicurativo - di intese[5] tra gli agenti contrattuali atte a sottrarre le contribuzioni previdenziali (a Fondi sanitari o a Fondi di previdenza integrativa) dalla riconduzione nella retribuzione utile per il Tfr. Espressione di tali intese, per il settore credito, sarebbe l’art. 74, quarto comma, del c.c.n.l. ABI 11 luglio 1999 che ha dichiarato che «data la loro natura, le somme destinate ad interventi di carattere previdenziale ed assistenziale non sono ovviamente computabili ai fini del trattamento di fine rapporto». Tale dichiarazione - si dice in alcune sentenze di merito che hanno valorizzato le “dichiarazioni delle parti” - è stata asseverata, anche rispetto al passato, dall’Accordo sindacale settoriale del 12 febbraio 2005, laddove le parti contraenti, specificamente incontratesi allo scopo, hanno ribadito che «tenuto anche conto dei complessivi livelli retributivi definiti in sede di contrattazione collettiva», esse hanno inteso «tempo per tempo, escludere dalla base di calcolo del t.f.r. i contributi versati dalle imprese per il finanziamento dei trattamenti previdenziali riconosciuti al personale delle aziende di credito». Si è tentato quindi, da parte di questa giurisprudenza di merito, di conferire alle suddette intese non solo efficacia retroattiva in epoca antecedente alle pattuizioni, ma anche funzione di interpretazione autentica.

Invero, come è stato pertinentemente osservato - con riferimento al settore assicurativo caratterizzato da analoghe pattuizioni tramite “note a verbale” in seno al c.c.n.l. - da Trib. Roma 25/5/2005 (inedita a quanto consta, est. Di Sario): «E’ estranea al nostro ordinamento positivo la facoltà di interpretazione autentica dei contratti collettivi di lavoro ad opera delle parti sociali, essendo tale facoltà riservata, con effetti retroattivi, soltanto al legislatore in riferimento a leggi o ad atti ad essa equiparati. Le parti sociali con i contatti collettivi non possono, al pari del legislatore, interpretare e, quindi, modificare fatti costitutivi di diritti e obblighi contrattualmente previsti già esauriti o in via di esaurimento in data anteriore alla stipulazione del relativo contratto (Cass. n. 4222/2002). Deve pertanto escludersi che alla previsione in esame possa essere riconosciuto un valore interpretativo ad efficacia retroattiva, mentre la stessa ben può concorrere ad interpretare la pattuizione contrattuale del c.c.n.l. (…) che sebbene mantenuta nella sua formulazione identica alle precedenti non può non essere letta anche alla luce della chiarificazione fornita dalle parti nella nota in esame. Ed invero per costante giurisprudenza le “dichiarazioni a verbale”, pur non avendo contenuto normativo, possono rappresentare un utile strumento interpretativo».

3. In questo quadro caratterizzato da posizioni contrastanti e inconciliabili – sia in giurisprudenza (ordinaria e costituzionale, sia in dottrina) e ove le parti datoriali si sono (da sempre) riproposte di negare l’incidenza sul Tfr non solo per i versamenti datoriali ai fondi a prestazioni definite (cioè a “capitalizzazione collettiva”) ma anche per i fondi a “contribuzione definita” (caratterizzati da sottoconto A per l’apporto in capo al lavoratore e sottoconto B per l’apporto del datore, quindi a “capitalizzazione individuale”) - sono intervenute nel corso del 2011 le due sentenze indicate all’inizio di questo articolo: Cass. 12/1/2011 n. 545, est. Curzio (concernente il Fondo integrativo pensionistico della Cassa di risparmio di Rieti) e Cass. 30/9/2011 n. 20105, est. Balestrieri (concernente il Fondo integrativo pensionistico della Cassa di risparmio di Firenze), entrambi a “prestazioni definite”, ovverosia a “capitalizzazione collettiva” (e non individuale), alimentati da finanziamento datoriale calcolato in percentuale sul monte salari/stipendi annuale.

Premesso e riscontrato che la cd. “contribuzione” del lavoratore ai Fondi integrativi pensionistici è sempre entrata a far parte del Tfr (in quanto facente parte della retribuzione annuale utile per il Tfr, dalla cui busta paga era stata trattenuta in capo ai singoli), il problema - per la Cassazione adita - si poneva in ordine all’accertamento della natura retributiva ovvero contributivo-previdenziale dell’indistinto finanziamento o apporto datoriale ai Fondi integrativi delle due Casse di risparmio.

Stante il riscontro – per il Fondo integrativo della Cassa di risparmio di Rieti – che le censure della Cassa attenevano alla statuizione della Corte d’appello in ordine alla riconosciuta natura retributiva del contributo datoriale da considerarsi utile per l’indennità di anzianità e poi del Tfr, tuttavia limitatamente al periodo antecedente all’emanazione del d.lgs. n. 124/1993 istitutivo della previdenza complementare, Cass. n. 545/2011 ha riconfermato le statuizioni dei cd. “precedenti”, individuati nei principi di diritto asseriti da Cass. SU n. 974/1997 e da Cass. 2/11/2001 n. 13558. Stabilendo che per il periodo anteriore all’istituzione legislativa della previdenza complementare - cioè nel periodo e nel quadro normativo previgente - i criteri da seguire per il calcolo dell’indennità di anzianità e del Tfr dovevano essere ricercati nelle statuizioni della giurisprudenza di legittimità sopra riferita, secondo la quale «i trattamenti pensionistici integrativi, erogati a seguito della costituzione di fondi speciali previsti dalla contrattazione collettiva, privi di autonoma soggettività, hanno natura di debiti di lavoro, anche se sono esigibili dopo la cessazione del rapporto di lavoro, essendo in nesso di corrispettività con la prestazione lavorativa a causa dell’interdipendenza con la durata del servizio e la misura della retribuzione ricevuta». Aggiungendo, quale precisazione, che: «La natura del trattamento pensionistico (…) si riflette sulla natura dei versamenti al fondo, che hanno quindi natura retributiva e, di conseguenza, devono essere computati nell’indennità di anzianità e nel TFR».

Conseguentemente – precisa nuovamente la Cassazione - «… i problemi, riproposti dalla (Banca, ndr) ricorrente, relativi alla riconducibilità dei versamenti alla nozione di retribuzione desumibile dall’articolo 2120 cod. civ., hanno quindi trovato puntuale soluzione in questi precedenti, mentre il fatto che la decisione (n. 13558, ndr) del 2001 consideri un fondo a capitalizzazione individuale, laddove nel caso in esame la capitalizzazione è collettiva, non modifica i termini della questione, perché non incide sulla natura del trattamento finale e sulla omogenea natura del versamento. Né la ricostruzione su richiamata viene intaccata dai rilievi sulla comune struttura dei trattamenti di fine rapporto e della pensione integrativa, che non spostano i fondamenti del ragionamento delle Sezioni unite sulla natura del versamento e sulla sua conseguente rilevanza ai fini del TFR e della indennità di anzianità. Quei fondamenti verranno invece meno con la riforma della previdenza integrativa, nel cui nuovo ambiente normativo, la Corte costituzionale, con le sentenze n. 421 del 1995 e n. 178 del 2000, affermerà la natura contributiva dei versamenti ».

Cass. n. 20105/2011 (relativa alle contribuzioni datoriali al Fondo pensionistico integrativo della Cassa di risparmio di Firenze, anch’esso a “prestazioni definite”, cioè a “capitalizzazione collettiva”), recependo e ritrascrivendo pedissequamente le argomentazioni di Cass. n. 545/2011, esterna implicitamente ai lavoratori (ricorrenti contro le negative statuizioni della Corte d’appello territoriale che aveva negato loro, in ragione di un’asserita natura previdenziale del finanziamento datoriale anche per il periodo antecedente al d.lgs. 124/1993), il loro diritto al ricalcolo dell’indennità di anzianità e del Tfr già percepito limitatamente a tale periodo previgente (antecedente al nuovo quadro normativo, strutturato dall’istituzione della previdenza complementare, ex d.lgs. n. 123/1993). Osservandosi, da parte nostra, che nel caso di fondi a capitalizzazione collettiva – come in fattispecie - l’individuazione dell’entità o misura individuale della retribuzione differita utile per l’inclusione nei trattamenti di fine rapporto vecchi e nuovi, dovrà essere affidata ad una ricognizione attuariale.

4. Concludendo l’orientamento palesato dalle due decisioni va interpretato all’insegna di una pacificata adesione della Cassazione alla natura “contributivo-previdenziale” degli apporti datoriali ai Fondi di previdenza integrativa, asserita dalla Corte costituzionale per il periodo posteriore alla nuova introduzione della previdenza complementare.

Conseguentemente, in via salomonica, per il periodo posteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 123/1993 risulta caducata la pretesa dei lavoratori di considerare utile al Tfr la contribuzione datoriale ai fondi di previdenza integrativa.

Qualora, come non dubitiamo, il riferito percorso argomentativo delle due sentenze di Cassazione – introduttive del bilanciato spartiacque innanzi riferito - sia destinato al consolidamento, il beneficio del ricalcolo del Tfr per effetto dell’incidenza (positiva e accrescitiva) della contribuzione datoriale ai fondi integrativi pensionistici sarà da considerarsi escluso, nel nuovo quadro normativo posteriore al d.lgs. n. 124/1993, sia relativamente ai fondi a “prestazione definita” sia per quelli a “contribuzione definita” rifluente in conti individuali.

Ne consegue la conclusione che i benefici del ricalcolo dei trattamenti di fine rapporto per l’incidenza su di essi delle contribuzioni datoriali ante d.lgs. n. 124/1993, sono destinati all’esaurimento col decorso del tempo, riguardando solo coloro che, ad oggi, hanno maturato in azienda un’anzianità lavorativa quasi ultraventennale, restandone esclusi, invece, i più giovani assunti posteriormente al 1993.



[1] Corte di Giustizia comunità europee, 17 aprile 1997, n. 147/95; Corte di Giustizia comunità europee, 28 settembre 1994, n. 128/93.

[2] Cfr. Gambacciani M., I fondi pensione e il tfr nella giurisprudenza, relazione al Seminario sul tema “Il trattamento di fine rapporto e i fondi pensione” – Macerata 16 maggio 2008. Si veda, in tema, altresì: Fraioli A.L., Natura delle contribuzioni versate dai datori di lavoro ai fondi di previdenza complementare, nota a Cass. 7/11/2005 n. 21473, in Prev. ass. pubbl. priv. 2006, 115; Santini F., I contributi del datore di lavoro ai fondi pensionistici complementari tra natura e funzione, in Arg. dir. lav. 2007, 415; Picciariello P., I contributi per la previdenza complementare sono computabili nel trattamento di fine rapporto, nota a Trib. Milano 12/6/2007, in Arg. dir. lav. 2008, 251.

[3] Tra le molte decisioni di merito negatrici del computo nel Tfr delle contribuzioni datoriali ai fondi di previdenza integrativa, si citano: Trib. Milano 30/1/2009, in Not. giurisp. lav. 2009, 773 (concernente Deutsche Bank); Trib. Milano 24/12/2008, ivi 2009, 252 (concernente Banca Intesa); Trib. Milano 25/11/2008 (est. Casella), inedita a quanto consta (concernente Banca Intesa); Trib. Roma 6/2/2008, ivi 223 (concernente Banca Antoniana Popolare Veneta); Trib. Roma 7/9/2007, ivi 2007, 731 (concernente Banca Antoniana Popolare Veneta); Trib. Roma 20/8/2007, ivi 2007, 590 (concernente Banca Antoniana Popolare Veneta); Trib. Roma 2/8/2006, ivi 2006, 530 (concernente BNL); Trib. Roma 28/7/2006, ibidem, 530 (concernente BNL); Trib. Napoli 28/6/2006, ibidem 530 (concernente Sanpaolo Imi); Trib. Torino 9/5/2006, ivi 2006, 224 (concernente Sanpaolo Imi); Trib. Napoli 31/1/2006, ibidem 224 (concernente Sanpaolo Imi); Trib. Roma, 17/3/2005, ivi 2005, 246 (concernente BNL); Trib. Ancona 22/4/2004, ivi 2004, 538 (concernente Banca delle Marche).

[4] Va sottolineato come la previsione di una contribuzione di solidarietà sulle somme versate dai datori di lavoro per il finanziamento delle forme pensionistiche complementari ha successivamente trovato conferma, in un ottica più organica e non settoriale, con la previsione di cui all’art. 6, comma 4, lett. f), d.lgs. n. 314 del 1997, sostitutivo dell’originaria formulazione dell’art. 12 della l. n. 153/1969.

[5] Tramite l’art. 74, 4 comma, del ccnl ABI 11 luglio 1999 e l’Accordo sindacale settoriale 12 febbraio 2005.