Il contratto di lavoro e il reato di falsità ideologica ex articolo 483 Codice Penale
Il contratto di lavoro e il reato di falsità ideologica ex articolo 483 Codice Penale
I datori di lavoro ( compresi quelli del settore agricolo, gli Enti Pubblici Economici e le Pubbliche Amministrazioni) all’atto della costituzione di un rapporto di lavoro, devono assolvere gli obblighi di seguito sintetizzati.
Effettuata l’assunzione devono inviare preventivamente (ovvero entro le ore 24 del giorno precedente, ovviamente fatte salve le deroghe in caso di urgenze) al Centro per l’impiego del luogo ove si svolge l’attività lavorativa una comunicazione contenente i dati anagrafici del lavoratore, la data di assunzione, la data di cessazione se si tratta di contratto a termine, la tipologia di contratto, la qualifica professionale e il trattamento economico e normativo riconosciuto al prestatore e laddove trattasi di lavoro autonomo anche il corrispettivo lordo convenuto.
Questi adempimenti concernono tutti i rapporti subordinati ivi compresi quelli a domicilio, con orario di lavoro ridotto (part-time), per i cittadini non comunitari, nonché per quelle figure di lavoro autonomo in forma coordinata a continuativa; altresì per i lavoratori dello spettacolo secondo quanto disciplina il D.lgs CPS 708/1947, i soci di cooperativa, i tirocinanti e gli associati in partecipazione con rapporto lavorativo per i quali non occorre l’obbligo di iscrizione in appositi albi professionali.
Le su indicate comunicazioni possono essere effettuate direttamente dal datore di lavoro o per mezzo di propri delegati, consulenti del lavoro, dottori commercialisti, associazioni di categoria, avvocati mediante invio telematico.
Questa modalità è ammessa qualora il soggetto deputato abbia preventivamente ottenuto l’accreditamento e la registrazione presso i servizi informatici dove è ubicata la sede di lavoro e secondo quanto disposto da ciascuna Regione e Provincia Autonoma.
Il citato iter procedimentale è lo strumento idoneo mediante il quale il datore di lavoro attraverso la produzione e la presentazione di quegli atti attesta alla Pubblica Amministrazione che quelle scritture corrispondono alla verità del fatto, ovvero che l’assunzione è lecita, che il rapporto di lavoro è genuino non solo nella forma, ma anche nell’agire e nella sua sussistenza.
Ma innanzi a fatti e circostanze diverse cosa accade?
In particolare un datore di lavoro privato nel caso in cui comunichi false assunzioni al Centro per l’Impiego per consentire ad un lavoratore non comunitario di ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno in scadenza per motivi di lavoro, incorre in violazioni penalmente rilevanti?
Ecco il fatto in breve.
Da un controllo della banca dati dei lavoratori istituita presso un Centro per l’Impiego, il titolare di una ditta individuale risultava aver effettuato in un determinato periodo numerose assunzioni di cittadini non comunitari in possesso di regolare permesso di soggiorno prossimo alla scadenza.
La ditta, esercente manutenzione e riparazioni su impianti industriali, risultava avere una sede legale in un posto, ma, di fatto, esercitare l’attività in diverse località in Italia e aveva provveduto all’assunzione di operai con contratto a tempo indeterminato, indicandone cronologicamente la loro assunzione sul libro matricola (ora libro unico).
Tuttavia, da ulteriori accertamenti anche presso gli enti impositori (INPS e INAIL) quel datore di lavoro di fatto non aveva mai versato contributi previdenziali e premi per quei rapporti di lavoro.
Le indagini di conseguenza erano indirizzate anche verso il consulente del lavoro e qui si poteva acclarare che quell’impresa non si avvaleva più dei servizi di consulenza, ma che aveva addirittura comunicato alla Camera di Commercio competente la cessazione dell’attività, che la stessa non presentava più dichiarazioni fiscali, né emetteva fatture di vendita o piuttosto di acquisto quando contrariamente e nello stesso periodo aveva assunto quegli operai.
Questi, opportunamente individuati, non avevano saputo indicare alcun posto ove avevano svolto il proprio lavoro, né quel datore di lavoro era stato in grado di presentare documentazione idonea a contrastare quanto oggettivamente accertato, con la conseguenza che il prevenuto veniva deferito all’autorità giudiziaria per l’ipotizzata violazione di cui all’art. 483 del codice penale rubricato come “falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico”.
L’oggetto giuridico della norma indicata è quello cui fanno riferimento tutti i reati di falso, vale a dire la tutela della fede pubblica, intesa come fiducia che si riconosce ai cittadini nelle relazioni giuridiche e specificatamente nei confronti della Pubblica Amministrazione.
Nonostante osservazioni diverse in tema di falso ideologico, nello specifico formulate da Antolisei e Mancini, occorre evidenziare che secondo dottrina e giurisprudenza il reato di falso in atti deve essere o può essere suddiviso in “falso materiale” ove è lesa la bontà del documento e in “falso ideologico” dove il documento che non risulta né alterato né contraffatto rechi invece una dichiarazione mendace.
In effetti, il conflitto dei citati autorevoli autori si riferiva alla norma nella parte in cui recita “fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità”, e lo stesso può essere riassunto in due teorie:
- una di carattere esclusivamente formale che impone al privato di dichiarare il vero al Pubblico Ufficiale e quindi alla Pubblica Amministrazione nel caso che interessa;
- una di carattere sostanziale, laddove si ritiene non rilevante che l’atto sia destinato ad attestare peraltro secondo una disposizione di legge la rispondenza al vero dei fatti dichiarati, in quanto la semplice dichiarazione è di per sé idonea a produrre conseguenze giuridiche e in caso contrario sufficiente a ledere la fede pubblica dove la stessa si accerti non corrispondente al vero.
Ad avviso dello scrivente, le comunicazioni al Centro per l’Impiego devono essere intese come prova di un fatto giuridico o comunque rappresentativo, necessario nel caso di che trattasi a produrre effetti giuridici nei confronti dei lavoratori interessati i quali attraverso quegli atti hanno potuto fornire la “prova“ alla Pubblica Amministrazione di lavorare regolarmente e quindi di ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
In definitiva “con tale condotta intenzionale e consapevole quel datore di lavoro, servendosi della propria figura professionale aveva, di fatto, simulato l’avvenuta assunzione dei cittadini non comunitari al solo fine di consentire loro, già titolari di permesso di soggiorno in scadenza di ottenerne il rinnovo, beneficio che effettivamente si era poi realizzato in quanto l’Autorità emittente era stata indotta in errore dalle false comunicazioni di assunzione al Centro per l’Impiego” (Tribunale Milano Sez. IX sentenza irrevocabile nr.386/09 RG Tribunal; Tribunale Milano Sez.IV sentenza irrevocabile nr.13803/08 RG Tribunale).
Resta la questione aperta sulle contraddizioni tuttora esistenti nella giurisprudenza di merito e di legittimità in tema di falso.