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Il recesso del socio dalla cooperativa. Brevi note

Castelmezzano
Castelmezzano

1. Premessa

L’articolo 2532 codice civile, disciplina il diritto di recesso del socio dalla cooperativa, ammettendo lo stesso nei casi previsti dalla legge o dall’atto costitutivo. Precedentemente alla riforma del diritto societario, l’istituto era regolato dall’articolo 2526 codice civile, con contenuto sostanzialmente analogo.

Non esiste quindi nella cooperativa un diritto assoluto ed incondizionato di recedere dalla società (lo stesso si porrebbe in conflitto col carattere solidaristico della stessa), essendo l’uscita volontaria del socio consentita solamente nei casi tassativi ammessi dalla legge o dallo statuto.

La normativa dell’articolo 2532 fa riferimento soltanto al socio cooperatore. Diversamente per tutte le altre categorie di soci (finanziatori, sovventori, titolari di azioni in partecipazione, nonché per i possessori di strumenti finanziari partecipativi ex articolo 2526) la disciplina applicabile è solamente quella prevista agli articoli 2437 o 2473 codice civile, riguardante rispettivamente le s.p.a. e le s.r.l..

Il caso particolare del recesso di una cooperativa dal gruppo cooperativo paritetico è poi regolato dall’articolo 2545 septies, comma 2.

2. Procedimento

L’esercizio del diritto di recesso avviene attraverso un’apposita dichiarazione formale (la medesima rientra fra gli atti unilaterali recettizi) da inviarsi attraverso lettera raccomandata alla cooperativa.

Gli amministratori devono esaminarla entro 60 giorni (detto termine è considerato dalla dottrina anche il limite entro il quale va emanata la decisione), valutando la corrispondenza della motivazione addotta dal socio nella dichiarazione alle ipotesi di recesso consentite dalla legge o dall’atto costitutivo.

Nel caso in cui gli amministratori considerino insussistenti i presupposti del recesso, dovranno darne immediata comunicazione al socio, che entro sessanta giorni dal ricevimento della stessa, può proporre opposizione davanti al tribunale. Vi è da ritenere che il diniego dell’organo amministrativo debba essere adeguatamente motivato.

Nel silenzio della legge, si deve pensare che anche la decisione di accoglimento dell’istanza vada comunicata in modo tempestivo, evitando in tal modo comportamenti dilatori od ostruzionistici, che potrebbero procrastinare a tempo indefinito lo scioglimento del rapporto sociale.

Ci si può chiedere che cosa si verifichi nel caso in cui gli amministratori non si pronuncino nel termine suddetto.

Sul punto i pareri sono discordi. L’opinione prevalente ritiene che il socio possa rivolgersi al giudice, che accertata la sussistenza dei presupposti del recesso, potrà emettere una sentenza sostitutiva della decisione degli amministratori (confronta Morleo, Il recesso del socio nelle cooperative: le ipotesi, gli effetti e le forme di tutela, Cooperative e consorzi, 2003, 341).

3. Produzione di effetti

In merito all’efficacia del recesso, l’articolo 2532 configura due differenti effetti temporali correlati ai due distinti rapporti contrattuali che intercorrono tra il socio e la cooperativa.

Per quanto concerne il rapporto sociale il recesso produce i suoi effetti, determinando lo scioglimento dello stesso, dalla comunicazione del provvedimento di accoglimento della domanda, mentre per i rapporti mutualistici tra socio e società il recesso è efficace con la chiusura dell’esercizio in corso, se comunicato tre mesi prima (quindi per le società con esercizio “solare” entro il trenta settembre), e, in caso contrario, con la chiusura dell’esercizio successivo, salvo che la legge o l’atto costitutivo, non dispongano diversamente.

La diversa tempistica è giustificata dal fatto che l’apporto personale, diretto al conseguimento dello scopo mutualistico, è considerato più rilevante del conferimento di capitale. Di conseguenza si vuole lasciar più tempo alla società, per sopperire al venir meno del primo contributo.

La cooperativa potrebbe subire infatti danni irreparabili dall’improvvisa interruzione del rapporto contrattuale del socio.

Si è affermato, in giurisprudenza, che l’indicazione legislativa del differimento dell’efficacia del recesso, proprio perché formulata nell’interesse della società e quindi non afferente l’ordine pubblico, possa essere derogata oltre che dallo statuto, anche tramite un apposito accordo tra cooperativa e socio uscente (Cassazione civile 3 aprile 1996, numero 3114, Notariato, 1997, 45).

4. Divieto di recesso parziale

Per espressa disposizione contenuta nel primo comma dell’articolo 2532 non è ammesso il recesso parziale. Il socio cooperatore non può quindi disinvestire attraverso il recesso una parte soltanto delle quote o delle azioni. Il recesso comporta dunque uno scioglimento totale e definitivo del vincolo associativo.

La differenza, rispetto al regime delle società per azioni, che ammette il recesso per tutte o parte delle azioni possedute, si fonda sulla rilevanza nella cooperativa della figura del socio in ragione del rapporto mutualistico, preponderante rispetto la sua partecipazione di capitale (vedi Ceccherini- Schirò, Le società cooperative e mutue assicuratrici, Milano, 2008, 130).

L’appartenenza alla società ed il godimento dei vantaggi mutualistici fanno riferimento ad una posizione soggettiva che non è dunque frazionabile, come si evince anche dall’esercizio del diritto di voto che avviene “per testa” e non in rapporto alla partecipazione posseduta.

Recesso legale. Art. 2530 u.c. codice civile

L’ipotesi di recesso legale prevista in modo specifico per cooperative, sia prima che dopo la riforma del diritto societario, è quella di cui all’articolo 2530 u.c., che riconosce al socio il diritto di recedere allorquando lo statuto vieti la cessione delle azioni o delle quote.

In tal caso, il socio deve dare preavviso di almeno novanta giorni e non può comunque esercitare il suo diritto prima che siano decorsi due anni (si ritiene possibile una riduzione statutaria del termine) dal suo ingresso in cooperativa.

Si vuole in tal modo tutelare la società nel perseguimento dell’oggetto sociale, assecondando nel contempo l’esigenza di garantire serietà e consapevolezza da parte del socio al momento dell’adesione (Trimarchi, Le nuove società cooperative, Milano, 2004, 103).

Sono nulle, secondo la giurisprudenza, le disposizioni statutarie che prevedono la limitazione o la soppressione del diritto di recedere dalla cooperativa, laddove sia previsto un divieto di cessione della partecipazione (Cassazione civile 26 aprile 1965, numero 743; Tribunale Torino 15 aprile 1991, Società, 1991, 1112). L’articolo 2530 ultimo comma è infatti norma imperativa posta a tutela del socio e quindi inderogabile a suo sfavore.

Si è ritenuto che la clausola statutaria che prevede la non cedibilità delle quote sociali senza l’autorizzazione del consiglio di amministrazione, non integri un divieto di alienazione delle quote, non legittimando pertanto il recesso ad nutum del socio (Tribunale Milano 6 febbraio 1995, Società, 1995, 133).

Ci si può infine chiedere se siano da porsi sullo stesso piano del divieto assoluto di cessione le clausole, che pur non vietando formalmente l’alienazione della quota, ne restringano oltremodo l’operatività, rendendola possibile soltanto verso un gruppo molto ristretto di soggetti, ad esempio i familiari del socio.

Recesso legale. Artt. 2437 e 2473 c.c.

Fra i casi di recesso legale rientrano, secondo l’opinione prevalente (confronta Cassazione Civile 6 aprile 2001, numero 5126, Società, 2001, 1460; Bassi, Le società cooperative,Torino, 1995, 192; Schirò, citazione, 123), anche le ipotesi di recesso dettate rispettivamente per le spa e per le srl dagli art. 2437 e 2473 codice civile, applicabili a seconda del modello adottato alla cooperativa, salvo verifica di compatibilità (articolo 2519 codice civile).

Così ad esempio il socio può recedere in caso di modifica dell’oggetto sociale (quando determini un cambiamento significativo dell’attività sociale), trasformazione della società, trasferimento della sede sociale all’estero, revoca dello stato di liquidazione, l’eliminazione di una o più cause di recesso previste dall’atto costitutivo, ecc.

A seguito della riforma del diritto societario il diritto di recesso è parimenti accordato, previa preavviso di almeno 180 giorni (che lo statuto può estendere fino ad un anno), quando non è fissato un termine di scadenza alla società.

Stante quanto sancito dall’articolo 2437 u.c., è nullo ogni patto volto ad escludere o a rendere più gravoso l’esercizio del diritto di recesso nelle ipotesi legali inderogabili.

4. Recesso per giusta causa

La dottrina prevalente e la giurisprudenza (Cassazione Civile 23 giugno 1988, numero 4274; C. App. Bologna 11 marzo 2002, Giurisprudenza Italiana 2002, 2350) escludono che sia configurabile nelle cooperative un recesso legale per giusta causa, come previsto nelle società di persone dall’articolo 2285 comma 1 codice civile Si è ad esempio affermato che la perdita in capo al socio dei requisiti mutualistici di partecipazione non possa integrare ex lege giusta causa di recesso (Tribunale Milano 11 ottobre 1990, Società, 91, 63).

Alle società cooperative è infatti applicabile, in via residuale (articolo 2519 codice civile) non la disciplina delle società di persone, bensì quella delle società di capitali, che non prevede questa ipotesi.

Nulla osta che il recesso per giusta causa sia invece disciplinato a livello statutario, con la specificazione della fattispecie.

5. Recesso statutario

Il diritto di recesso può essere riconosciuto al socio anche dall’atto costitutivo (articolo 2521, comma 3, numero 7 codice civile, coordinato con l’articolo 2532).

A differenza delle ipotesi di recesso legale, per loro natura non suscettibili di riduzioni che ne rendano più gravoso l’esercizio, le clausole di recesso convenzionale possono avere il contenuto più vario, sia nella determinazione dei casi di ammissibilità, sia riguardo ad eventuali limitazioni o condizioni all’efficacia della dichiarazione di recesso (Cassazione Civile 23 giugno 1988, numero 4274).

Devono dunque considerarsi valide le clausole statutarie che subordinano il recesso convenzionale del socio alla condizione dell’approvazione da parte degli organi sociali (Cassazione Civile 6 aprile 2001, numero 5126, in Società, 2001, 1460; C. App. Napoli 4 ottobre 2008, in Vit. not. 2009, I, 357).

Si è anche ribadito, che se l’organo deputato a decidere si rifiuta di provvedere o di diniego assoluto ed immotivato, detta condizione si considera avverata, ai sensi dell’art. 1359 c.c., dato che il suo mancato avveramento è dipeso da causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario (Cassazione civile 2 maggio 2006, numero 10135, Società, 2007, 308).

La necessità dell’autorizzazione non implica infatti la trasformazione della fattispecie in un accordo, dato che il recesso si configura come negozio unilaterale, corrispondente al diritto potestativo di uscire dalla società, rispetto al quale la decisione degli amministratori o dell’assemblea si pone come condizione di efficacia.

Le disposizioni statutarie possono essere lo strumento idoneo per mediare fra esigenze contrapposte: quella del socio di svincolarsi dalla società, monetizzando la sua partecipazione, evitando così di rimanere “prigioniero a vita” della compagine sociale; quella della società di non perdere la partecipazione, sia di capitale, che personale, rendendo più difficile la realizzazione dello scopo mutualistico.

Non va sottaciuto poi come la disciplina più o meno ampia dell’esercizio del recesso possa influire sull’adesione alla cooperativa.

6. Recesso ad nutum

Problema aperto è se sia ammissibile dallo statuto della cooperativa il recesso ad nutum del socio, vale a dire quello esercitabile in modo libero ed incondizionato, senza che lo stesso debba essere altrimenti giustificato da motivazioni soggettive od oggettive, venendosi in tal modo a realizzare il principio della “porta aperta” anche in uscita.

La dottrina maggioritaria (confronta Bassi, citazione 194; Vedi anche in Tribunale Padova 12 dicembre 1985, Diritto fallimentare 1986, II, 690) propende per la risposta affermativa, dato che l’unico motivo ostativo potrebbe essere quello della diminuzione della garanzia dei creditori, problema che appare superato stante il principio della variabilità del capitale sociale, peculiare delle società mutualistiche, che fa venir meno le aspettative sulla conservazione del capitale.

Il recesso ad nutum non può comunque essere esercitato con finalità volte al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi da quelli voluti dal legislatore, potendosi in tal caso delineare l’ipotesi dell’abuso di diritto (Cassazione Civile 18 settembre 2009, numero 20106).

7. Liquidazione della quota

Il recesso determina lo scioglimento del rapporto sociale e, nel contempo, fa nascere un nuovo rapporto fra le parti, avente per oggetto la liquidazione della quota al recedente, che viene ad assumere la qualità di creditore nei confronti della cooperativa.

Quanto ai criteri per la liquidazione della quota al socio receduto (la norma si applica anche all’esclusione e morte del socio), l’articolo 2535 stabilisce il medesimo parametro già indicato dal previgente articolo 2529, ovvero il bilancio di esercizio dell’anno in cui si è verificato lo scioglimento del rapporto (diversamente avviene nella società a responsabilità limitata dove, dopo la riforma, si fa riferimento al valore di mercato).

La liquidazione della partecipazione sociale, eventualmente decurtata in proporzione alle perdite imputabili al capitale, avviene sulla base dei criteri stabiliti nell’atto costitutivo.

Il pagamento va corrisposto, di regola, entro 180 giorni dall’approvazione del bilancio.

Se entro un anno dallo scioglimento del rapporto associativo si verifica l’insolvenza della cooperativa, l’ex-socio è obbligato verso quest’ultima nei limiti di quanto ricevuto per la liquidazione della quota (articolo 2536 codice civile).