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Danno all’immagine per l’amministrazione causato da un amministratore di ente locale: riflessioni sulla lotta all’abusivismo

Nota a Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale per la Sicilia, Sentenza 16 febbraio 2012, n.548

La recente sentenza della Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale per la Regione Sicilia n. 548/2012, riportata in calce, suona come un ulteriore monito al rigore, alla legalità e alla correttezza dell’attività propria degli amministratori pubblici in un clima di corruzione e abusi come quello dell’attuale classe politica italiana.

Nel caso che si sta commentando, con la sentenza appena richiamata, venivano addebitati al più alto esponente dell’organizzazione amministrativa di un Ente locale, una serie di reati compiuti nel periodo di attività tra l’85 e il ’93 in una delle aree ritenute archeologicamente tra le più rilevanti della Sicilia e consistenti nella mancata adozione dei definitivi provvedimenti di polizia urbanistica, obbligatori ai sensi della L. 47/1985 e della LR 37/1985.

A fronte dei numerosi abusi edilizi, compiuti dall’ex Sindaco, a cui si aggiunge il mancato controllo e l’insufficiente attività di monitoraggio del territorio comunale, la Corte ravvisava diverse tipologie di danno:

1) patrimoniale di tipo ambientale;

2) all’immagine;

3) all’efficacia dell’azione amministrativa.

Per la prima tipologia di danno, si chiedeva all’imputato, per la condotta dolosa e per non aver avviato alcuna attività mirata all’eliminazione degli abusi e il ripristino dello stato dei luoghi preesistenti, il risarcimento ex art. 311, comma 7, del D.Lgs 152/2006.

La Corte, quindi, al fine di tutelare il territorio, invocava l’art. 311 sopra richiamato secondo il quale “chiunque arrechi danno all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato all’effettivo ripristino a sue spese, e in mancanza, all’adozione di misure di riparazione complementare e compensativa (direttiva 2004/35/CE) o ancora al risarcimento per equivalente patrimoniale se l’effettivo ripristino risulti in tutto o in parte omesso, impossibile o eccessivamente oneroso ai sensi dell’articolo 2058 c.c.”.

Al riguardo, l’amministratore convenuto eccepiva, alla luce della normativa vigente, che il pregiudizio erariale per la lesione della vivibilità ambientale e paesaggistica, non poteva essere risarcito innanzi alla Corte dei conti ma solo innanzi alla giurisdizione ordinaria.

Pertanto, a seguito del giudizio pronunciato dalla Suprema Corte di Cassazione (SS.UU. Ord. n.14846 del 6/7/2011), la Corte dichiarava l’insussistenza di giurisdizione sul prospettato danno ambientale ai sensi della L. n. 349 del 1986, art. 18, comma 2.

Di conseguenza quindi, il difetto di competenza giurisdizionale, fa sì che, per gli scempi edilizi e per tutte le conseguenze disastrose arrecati ad un territorio archeologicamente unico nel suo genere, oltre che di notevole richiamo turistico, nessuno alla fine sarà obbligato a pagare per riportarlo all’antico splendore.

Ebbene, in assenza di specifici responsabili, l’inefficienza e la tolleranza nel controllo e nella gestione del territorio da parte di amministratori corrotti, si consumerà ancora una volta, a danno dei cittadini e della loro incolumità.

Al riguardo, si pensi agli ultimi disastri verificatisi, non a caso, in zone soggette a vincoli paesaggistici e ad alto rischio idrogeologico, che dimostrano come la sicurezza del nostro territorio spesso dimenticata viene alla ribalta solo quando si verificano catastrofi e lutti.

Si deve inoltre evidenziare, che la disciplina del danno ambientale continua a non conoscere requie né organicità. Infatti, il D.L. n. 135/2009 convertito in legge n. 166/2009, costituisce, rispetto alla prima legge del 1986, il quinto intervento posto in essere dal legislatore, senza contare poi la miriade di leggi e leggine che, nel tempo, per singoli settori, hanno introdotto criteri speciali per la liquidazione del danno all’ambiente.

Con riferimento poi al danno all’immagine, con la sentenza di cui si discute, veniva evidenziato come la condotta del convenuto, per la gravità degli episodi contestati e per i fatti addebitati in sede penale, aveva determinato, anche in considerazione del tipo di attività svolta, una minore credibilità e prestigio per la P.A., generando altresì nei cittadini la convinzione di una distorta organizzazione dei pubblici poteri.

Di fatto quindi, l’organo requirente evidenziava che il Comune effettivamente aveva subito un grave danno, in conseguenza del “clamor fori” , in quanto l’opinione pubblica aveva finito con l’identificare la città con l’abusivismo edilizio, in dispregio ai principi di legalità, correttezza ed imparzialità.

Si deve inoltre rilevare che, con riferimento alla tipologia del suddetto reato contro la P.A. sono in continuo aumento le citazioni a giudizio e le sentenze di condanna per il danno non patrimoniale causato e qualificato dalla Corte dei Conti come “danno esistenziale all’immagine”.

Ciò si verifica invero, quando funzionari pubblici, dipendenti e amministratori di P.A., per la gravità dei loro comportamenti di solito accompagnati da reati penali o astrattamente configurabili come tali, generano diffusione di un sentimento di dispregio e di allarme sociale, determinando di fatto una alterazione della stessa identità della P.A. e più ancora un immagine negativa.

Il presupposto costituzionale del danno esistenziale all’immagine è stato individuato nell’art. 97 della Costituzione. Esso configura il diritto della P.A. ad organizzare i propri organi ed uffici e la propria azione amministrativa, secondo criteri di buon andamento, economicità, efficienza, imparzialità e trasparenza.

Trattasi quindi, di diritto proprio della P.A., che le appartiene in modo personale e la cui lesione comporta danno alla propria immagine.

Pertanto, tutte le volte in cui detto diritto sia in qualche modo pregiudicato o impedito dal comportamento di chi agisce per la stessa P.A., l’illecito commesso comporta l’immediata lesione del valore costituzionalmente tutelato, incidendo e ledendo l’immagine di una cd. “buona amministrazione”.

Ebbene, nel caso in questione, quel disegno criminale, peraltro attuato per un significativo arco di tempo, ha finito per condizionare negativamente la reputazione dell’amministrazione comunale.

Al riguardo, è stato ampiamente accertato dalla stessa Corte come la compromissione dell’immagine del Comune in questione sia stata determinata da un cattivo uso dell’azione amministrativa dell’ex Sindaco, non improntata, come invece avrebbe dovuto essere, all’imparzialità e al buon andamento della cosa pubblica.

Infine, al convenuto veniva addebitato anche il danno all’efficacia dell’azione amministrativa a titolo di dolo, avuto riguardo al carattere intenzionale dei suoi comportamenti omissivi.

In tal caso occorre precisare che il presupposto necessario affinché un soggetto possa essere chiamato a rispondere in sede di responsabilità amministrativa, è che lo stesso, a seguito di una condotta dolosa o gravemente colposa collegata o inerente al rapporto esistente con l’amministrazione, causi un danno pubblico risarcibile come conseguenza diretta e immediata del suddetto comportamento.

Ne consegue, pertanto, che la condanna al risarcimento del danno in argomento, da parte del soggetto inadempiente, sorge a favore dell’Ente danneggiato soltanto quando la responsabilità sia realmente accertata e vi sia una puntuale individuazione di quegli aspetti del pubblico agire che siano stati compromessi dal distorto esercizio delle funzioni svolte.

In mancanza quindi, dei suindicati presupposi in merito alla responsabilità amministrativa, si può affermare che non è possibile addebitare al soggetto inadempiente, sia esso dipendente e/o amministratore, alcun onere in termini economici per i danni cagionati alla P.A. come si è verificato di fatto per l’ex amministratore di cui si discute.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA SICILIA

composta dai seguenti magistrati

dott. Luciano PAGLIARO Presidente

dott. Guido PETRIGNI Giudice

dott. Roberto RIZZI Giudice estensore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di responsabilità amministrativa, iscritto al numero 55273 del Registro di Segreteria, promosso dal Procuratore Regionale

nei confronti di

• Tizio;

• Caio.

Esaminati gli atti e documenti di causa;

Uditi, alla pubblica udienza del 25 gennaio 2012, il relatore, Dr. Roberto Rizzi, il Pubblico Ministero, rappresentato in udienza dal Dr. Salvatore Chiazzese, e l’Avv. Daniele Piazza, in sostituzione dell’Avv. Girolamo Rubino, per il convenuto Tizio, e l’Avv. Luciano Scoglio, per il convenuto Caio.

FATTO

Con sentenza n. 262/2001 del 18/1/2002, il Tribunale di Agrigento condannava, fra l’altro, Tizio, sindaco del Comune di Agrigento dal 25/6/1993 in avanti, e Caio, Assessore delegato all’Urbanista dal 27/6/1993 al 3/7/1994, rispettivamente, alla pena della reclusione di anni uno e mesi sei e di anni uno, per i reati previsti e puniti dagli artt. 81 cpv., 110, 323 c.p. perché, in concorso tra loro, e con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, abusavano, il primo, del suo ufficio di Sindaco e, il secondo, del suo ufficio di Assessore.

L’abuso si assumeva consistente nell’aver omesso di adottare i definitivi provvedimenti di polizia urbanistica, obbligatori ai sensi della L. 47/1985 e della LR 37/1985, in relazione a molteplici manufatti, abusivi alcuni dei quali realizzati nella zona A della Valle dei Templi.

Più in dettaglio, a detti soggetti si imputava di aver

- ostacolato l’attività del gruppo di repressione dell’abusivismo edilizio della Ripartizione Urbanistica del Comune attuando o comunque favorendo un continuo avvicendamento del personale con ordini di servizio, peraltro, illegittimi;

- omesso o comunque ritardato di rispondere alle richieste della Sopraintendenza volte a conoscere le iniziative assunte in relazione a 33 costruzioni abusive in zona A della Valle dei templi;

- impedito e comunque ostacolato la definitiva verifica dello stato dei luoghi in relazione a 28 perizie di demolizione, redatte dalla Sopraintendenza, omettendo di porre in essere i provvedimenti necessari alla formazione di squadre ispettive;

- impedito il funzionamento dell’Ufficio di coordinamento tecnico operativo di vigilanza e tutela del territorio comunale istituito con ordine di servizio sindacale 97 del 9/8/1993, non dotandolo di adeguate strutture logistico-operative ed omettendo di precisarne i reali compiti e i rapporti di competenza con altre strutture comunali;

- ostacolato (il solo TIZIO) l’attività del Servizio Repressione dell’Abusivismo Edilizio, istituito con determinazione sindacale n.890 del 30/11/1995.

Si assumeva, altresì, che tali condotte avessero determinato ingiusti vantaggi patrimoniali ai proprietari degli immobili abusivi, consentendo a questi ultimi di perpetuare il godimento dei medesimi immobili.

Con tale sentenza, gli imputati venivano anche condannati in solido al risarcimento del danno, da liquidarsi in sede civile, in favore delle parti civili (Comune di Agrigento, Assessorato Regionale Territorio e Ambiente, Assessorato Regionale Beni Culturali ed Ambientali, Ministero Beni Culturali, Ministero dell’Ambiente, Legambiente e WWF).

Con sentenza 135/2003 del 10/2/2003, la Corte di Appello di Palermo confermava la sussistenza di responsabilità a carico del Tizio, mentre dichiarava non doversi procedere nei confronti del CAIO in ordine al reato ascrittogli, perché estinto per intervenuta prescrizione.

Inoltre, con riferimento alle parti civili, la medesima Corte confermava «la sussistenza di un danno consistente nella modificazione materiale del territorio provocata dalle condotte dolose degli imputati che nulla hanno fatto per evitare l’evento e ripristinare lo stato dei luoghi preesistenti».

Tuttavia, diversamente dal Giudice di primo grado, che aveva ritenuto di non potere quantificare neanche in parte l’entità del danno, liquidava una provvisionale nella misura di € 50.000,00 per ciascuna delle associazioni ambientaliste costituite parte civile (WWF e Legambiente), condannando all’immediato pagamento della stessa il TIZIO ed CAIO in solido tra loro.

La Corte perveniva a tale determinazione «ritenendo disponibili indici reali per la determinazione del danno subito dalle due associazioni almeno nella misura minima. Infatti questo danno ha un concreto risvolto patrimoniale poiché l&rsquo

La recente sentenza della Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale per la Regione Sicilia n. 548/2012, riportata in calce, suona come un ulteriore monito al rigore, alla legalità e alla correttezza dell’attività propria degli amministratori pubblici in un clima di corruzione e abusi come quello dell’attuale classe politica italiana.

Nel caso che si sta commentando, con la sentenza appena richiamata, venivano addebitati al più alto esponente dell’organizzazione amministrativa di un Ente locale, una serie di reati compiuti nel periodo di attività tra l’85 e il ’93 in una delle aree ritenute archeologicamente tra le più rilevanti della Sicilia e consistenti nella mancata adozione dei definitivi provvedimenti di polizia urbanistica, obbligatori ai sensi della L. 47/1985 e della LR 37/1985.

A fronte dei numerosi abusi edilizi, compiuti dall’ex Sindaco, a cui si aggiunge il mancato controllo e l’insufficiente attività di monitoraggio del territorio comunale, la Corte ravvisava diverse tipologie di danno:

1) patrimoniale di tipo ambientale;

2) all’immagine;

3) all’efficacia dell’azione amministrativa.

Per la prima tipologia di danno, si chiedeva all’imputato, per la condotta dolosa e per non aver avviato alcuna attività mirata all’eliminazione degli abusi e il ripristino dello stato dei luoghi preesistenti, il risarcimento ex art. 311, comma 7, del D.Lgs 152/2006.

La Corte, quindi, al fine di tutelare il territorio, invocava l’art. 311 sopra richiamato secondo il quale “chiunque arrechi danno all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato all’effettivo ripristino a sue spese, e in mancanza, all’adozione di misure di riparazione complementare e compensativa (direttiva 2004/35/CE) o ancora al risarcimento per equivalente patrimoniale se l’effettivo ripristino risulti in tutto o in parte omesso, impossibile o eccessivamente oneroso ai sensi dell’articolo 2058 c.c.”.

Al riguardo, l’amministratore convenuto eccepiva, alla luce della normativa vigente, che il pregiudizio erariale per la lesione della vivibilità ambientale e paesaggistica, non poteva essere risarcito innanzi alla Corte dei conti ma solo innanzi alla giurisdizione ordinaria.

Pertanto, a seguito del giudizio pronunciato dalla Suprema Corte di Cassazione (SS.UU. Ord. n.14846 del 6/7/2011), la Corte dichiarava l’insussistenza di giurisdizione sul prospettato danno ambientale ai sensi della L. n. 349 del 1986, art. 18, comma 2.

Di conseguenza quindi, il difetto di competenza giurisdizionale, fa sì che, per gli scempi edilizi e per tutte le conseguenze disastrose arrecati ad un territorio archeologicamente unico nel suo genere, oltre che di notevole richiamo turistico, nessuno alla fine sarà obbligato a pagare per riportarlo all’antico splendore.

Ebbene, in assenza di specifici responsabili, l’inefficienza e la tolleranza nel controllo e nella gestione del territorio da parte di amministratori corrotti, si consumerà ancora una volta, a danno dei cittadini e della loro incolumità.

Al riguardo, si pensi agli ultimi disastri verificatisi, non a caso, in zone soggette a vincoli paesaggistici e ad alto rischio idrogeologico, che dimostrano come la sicurezza del nostro territorio spesso dimenticata viene alla ribalta solo quando si verificano catastrofi e lutti.

Si deve inoltre evidenziare, che la disciplina del danno ambientale continua a non conoscere requie né organicità. Infatti, il D.L. n. 135/2009 convertito in legge n. 166/2009, costituisce, rispetto alla prima legge del 1986, il quinto intervento posto in essere dal legislatore, senza contare poi la miriade di leggi e leggine che, nel tempo, per singoli settori, hanno introdotto criteri speciali per la liquidazione del danno all’ambiente.

Con riferimento poi al danno all’immagine, con la sentenza di cui si discute, veniva evidenziato come la condotta del convenuto, per la gravità degli episodi contestati e per i fatti addebitati in sede penale, aveva determinato, anche in considerazione del tipo di attività svolta, una minore credibilità e prestigio per la P.A., generando altresì nei cittadini la convinzione di una distorta organizzazione dei pubblici poteri.

Di fatto quindi, l’organo requirente evidenziava che il Comune effettivamente aveva subito un grave danno, in conseguenza del “clamor fori” , in quanto l’opinione pubblica aveva finito con l’identificare la città con l’abusivismo edilizio, in dispregio ai principi di legalità, correttezza ed imparzialità.

Si deve inoltre rilevare che, con riferimento alla tipologia del suddetto reato contro la P.A. sono in continuo aumento le citazioni a giudizio e le sentenze di condanna per il danno non patrimoniale causato e qualificato dalla Corte dei Conti come “danno esistenziale all’immagine”.

Ciò si verifica invero, quando funzionari pubblici, dipendenti e amministratori di P.A., per la gravità dei loro comportamenti di solito accompagnati da reati penali o astrattamente configurabili come tali, generano diffusione di un sentimento di dispregio e di allarme sociale, determinando di fatto una alterazione della stessa identità della P.A. e più ancora un immagine negativa.

Il presupposto costituzionale del danno esistenziale all’immagine è stato individuato nell’art. 97 della Costituzione. Esso configura il diritto della P.A. ad organizzare i propri organi ed uffici e la propria azione amministrativa, secondo criteri di buon andamento, economicità, efficienza, imparzialità e trasparenza.

Trattasi quindi, di diritto proprio della P.A., che le appartiene in modo personale e la cui lesione comporta danno alla propria immagine.

Pertanto, tutte le volte in cui detto diritto sia in qualche modo pregiudicato o impedito dal comportamento di chi agisce per la stessa P.A., l’illecito commesso comporta l’immediata lesione del valore costituzionalmente tutelato, incidendo e ledendo l’immagine di una cd. “buona amministrazione”.

Ebbene, nel caso in questione, quel disegno criminale, peraltro attuato per un significativo arco di tempo, ha finito per condizionare negativamente la reputazione dell’amministrazione comunale.

Al riguardo, è stato ampiamente accertato dalla stessa Corte come la compromissione dell’immagine del Comune in questione sia stata determinata da un cattivo uso dell’azione amministrativa dell’ex Sindaco, non improntata, come invece avrebbe dovuto essere, all’imparzialità e al buon andamento della cosa pubblica.

Infine, al convenuto veniva addebitato anche il danno all’efficacia dell’azione amministrativa a titolo di dolo, avuto riguardo al carattere intenzionale dei suoi comportamenti omissivi.

In tal caso occorre precisare che il presupposto necessario affinché un soggetto possa essere chiamato a rispondere in sede di responsabilità amministrativa, è che lo stesso, a seguito di una condotta dolosa o gravemente colposa collegata o inerente al rapporto esistente con l’amministrazione, causi un danno pubblico risarcibile come conseguenza diretta e immediata del suddetto comportamento.

Ne consegue, pertanto, che la condanna al risarcimento del danno in argomento, da parte del soggetto inadempiente, sorge a favore dell’Ente danneggiato soltanto quando la responsabilità sia realmente accertata e vi sia una puntuale individuazione di quegli aspetti del pubblico agire che siano stati compromessi dal distorto esercizio delle funzioni svolte.

In mancanza quindi, dei suindicati presupposi in merito alla responsabilità amministrativa, si può affermare che non è possibile addebitare al soggetto inadempiente, sia esso dipendente e/o amministratore, alcun onere in termini economici per i danni cagionati alla P.A. come si è verificato di fatto per l’ex amministratore di cui si discute.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA SICILIA

composta dai seguenti magistrati

dott. Luciano PAGLIARO Presidente

dott. Guido PETRIGNI Giudice

dott. Roberto RIZZI Giudice estensore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di responsabilità amministrativa, iscritto al numero 55273 del Registro di Segreteria, promosso dal Procuratore Regionale

nei confronti di

• Tizio;

• Caio.

Esaminati gli atti e documenti di causa;

Uditi, alla pubblica udienza del 25 gennaio 2012, il relatore, Dr. Roberto Rizzi, il Pubblico Ministero, rappresentato in udienza dal Dr. Salvatore Chiazzese, e l’Avv. Daniele Piazza, in sostituzione dell’Avv. Girolamo Rubino, per il convenuto Tizio, e l’Avv. Luciano Scoglio, per il convenuto Caio.

FATTO

Con sentenza n. 262/2001 del 18/1/2002, il Tribunale di Agrigento condannava, fra l’altro, Tizio, sindaco del Comune di Agrigento dal 25/6/1993 in avanti, e Caio, Assessore delegato all’Urbanista dal 27/6/1993 al 3/7/1994, rispettivamente, alla pena della reclusione di anni uno e mesi sei e di anni uno, per i reati previsti e puniti dagli artt. 81 cpv., 110, 323 c.p. perché, in concorso tra loro, e con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, abusavano, il primo, del suo ufficio di Sindaco e, il secondo, del suo ufficio di Assessore.

L’abuso si assumeva consistente nell’aver omesso di adottare i definitivi provvedimenti di polizia urbanistica, obbligatori ai sensi della L. 47/1985 e della LR 37/1985, in relazione a molteplici manufatti, abusivi alcuni dei quali realizzati nella zona A della Valle dei Templi.

Più in dettaglio, a detti soggetti si imputava di aver

- ostacolato l’attività del gruppo di repressione dell’abusivismo edilizio della Ripartizione Urbanistica del Comune attuando o comunque favorendo un continuo avvicendamento del personale con ordini di servizio, peraltro, illegittimi;

- omesso o comunque ritardato di rispondere alle richieste della Sopraintendenza volte a conoscere le iniziative assunte in relazione a 33 costruzioni abusive in zona A della Valle dei templi;

- impedito e comunque ostacolato la definitiva verifica dello stato dei luoghi in relazione a 28 perizie di demolizione, redatte dalla Sopraintendenza, omettendo di porre in essere i provvedimenti necessari alla formazione di squadre ispettive;

- impedito il funzionamento dell’Ufficio di coordinamento tecnico operativo di vigilanza e tutela del territorio comunale istituito con ordine di servizio sindacale 97 del 9/8/1993, non dotandolo di adeguate strutture logistico-operative ed omettendo di precisarne i reali compiti e i rapporti di competenza con altre strutture comunali;

- ostacolato (il solo TIZIO) l’attività del Servizio Repressione dell’Abusivismo Edilizio, istituito con determinazione sindacale n.890 del 30/11/1995.

Si assumeva, altresì, che tali condotte avessero determinato ingiusti vantaggi patrimoniali ai proprietari degli immobili abusivi, consentendo a questi ultimi di perpetuare il godimento dei medesimi immobili.

Con tale sentenza, gli imputati venivano anche condannati in solido al risarcimento del danno, da liquidarsi in sede civile, in favore delle parti civili (Comune di Agrigento, Assessorato Regionale Territorio e Ambiente, Assessorato Regionale Beni Culturali ed Ambientali, Ministero Beni Culturali, Ministero dell’Ambiente, Legambiente e WWF).

Con sentenza 135/2003 del 10/2/2003, la Corte di Appello di Palermo confermava la sussistenza di responsabilità a carico del Tizio, mentre dichiarava non doversi procedere nei confronti del CAIO in ordine al reato ascrittogli, perché estinto per intervenuta prescrizione.

Inoltre, con riferimento alle parti civili, la medesima Corte confermava «la sussistenza di un danno consistente nella modificazione materiale del territorio provocata dalle condotte dolose degli imputati che nulla hanno fatto per evitare l’evento e ripristinare lo stato dei luoghi preesistenti».

Tuttavia, diversamente dal Giudice di primo grado, che aveva ritenuto di non potere quantificare neanche in parte l’entità del danno, liquidava una provvisionale nella misura di € 50.000,00 per ciascuna delle associazioni ambientaliste costituite parte civile (WWF e Legambiente), condannando all’immediato pagamento della stessa il TIZIO ed CAIO in solido tra loro.

La Corte perveniva a tale determinazione «ritenendo disponibili indici reali per la determinazione del danno subito dalle due associazioni almeno nella misura minima. Infatti questo danno ha un concreto risvolto patrimoniale poiché l&rsquo