Divieto di cumulo tra indennizzo e risarcimento

Breve nota a Cassazione 11 giugno 2014, n. 13233

Una recente decisione della Corte di Cassazione ha stabilito che in caso un infortunio non mortale, l’infortunato non può cumulare l’indennizzo ottenuto dal proprio assicuratore ˗ con il quale ha stipulato, in epoca antecedente al sinistro, una polizza contro gli infortuni ˗ e risarcimento ottenuto dal terzo responsabile o dall’assicuratore di quest’ultimo, giacché la corresponsione dell’indennizzo o del risarcimento (a seconda di quale pagamento sia avvenuto prima) estingue l’obbligazione.

La decisione si allinea a una precedente giurisprudenza della Suprema Corte adottata a Sezioni Unite (Cassazione 10 aprile 2002 n. 5119, in Foro it., 2002, I, 2039), con la quale si stabiliva che l’assicurazione contro il rischio d’infortuni non mortali rientra tra le assicurazioni contro i danni, rimanendo perciò assoggettata al principio indennitario, espresso dall’articolo 1908 del codice civile. E, pertanto, seguendo il ragionamento fatto proprio dai giudici della Suprema Corte nella sentenza in epigrafe, laddove l’infortunato abbia già ottenuto l’indennizzo non può ottenere anche il risarcimento, se non per differenza tra quanto ottenuto a titolo di indennizzo e quanto spettante a titolo di responsabilità civile (o viceversa), onde evitare che l’infortunato ottenga un indennizzo che ecceda il danno effettivamente patito.

La decisione è destinata ad avere ripercussioni sul mercato assicurativo italiano. Anche perché si scontra con la prassi assicurativa, che tende a inserire tra le condizioni generali delle polizze ‘infortuni’ la cosiddetta clausola di rinunzia, da parte dell’assicuratore, all’esercizio del diritto di surrogazione ex articolo 1916 del codice civile. In altre parole, l’assicuratore indennizza il proprio assicurato e rinunzia a rivalersi nei confronti del responsabile.

Sarà quindi opportuno che il mercato corra al più presto ai ripari  onde evitare un cortocircuito del sistema, in caso di coesistenza di polizze infortuni e responsabilità civile.

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Cassazione Civile) sez. III, 11˗06˗2014, n. 13233 ˗ Pres. SEGRETO Antonio ˗ Est. ROSSETTI Marco ˗ P.M. BASILE Tommaso ˗ S.L. c. INA  ASSITALIA  SPA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. (OMISSIS) il sig. S.L., dipendente della società SALT˗Società Autostrade Ligure Toscana s.p.a., mentre si trovava al  lavoro, venne  investito da un veicolo di proprietà della società datrice di lavoro, subendo lesioni personali.

In conseguenza dell’infortunio il sig. S.L. riscosse l’indennizzo contrattualmente dovutogli in virtù di una assicurazione privata contro gli infortuni, stipulata dal datore di  lavoro a beneficio dei dipendenti.

2. 29.1.1996 il sig. S.L. convenne dinanzi al Tribunale di La Spezia la SALT s.p.a. (nella sua veste di proprietaria del veicolo dal quale venne investito); il conducente del veicolo investitore, sig. P.R., e l’assicuratore della r.c.a. del medesimo mezzo, la Assitalia s.p.a..

Nei confronti di tutti chiese il risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’investimento di cui si è detto.

3. Il Tribunale di La Spezie con sentenza dell’8.1.2002 accolse la domanda, ma dall’importo del risarcimento spettante alla vittima detrasse la somma da questa già percepita dall’assicuratore privato contro gli infortuni, pari a 20 milioni di lire.

4. La sentenza, impugnata dal sig. S.L., su tale punto venne confermata dalla Corte d’appello di Genova con sentenza 8.6.2007.

Tale sentenza è stata impugnata per cassazione dal sig. S.L., sulla base d’un solo motivo.

La INA Assitalia s.p.a. (incorporante per fusione la Assitalia s.p.a.) ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sia incorsa in un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il ricorrente sostiene, al riguardo, la seguente tesi in diritto: (a) il contratto di assicurazione si divide in due categorie, soggette a regole differenti: l’assicurazione contro i danni e quella sulla vita;

(b) solo per le assicurazioni contro i danni vige il principio per cui l’indennizzo riscosso dall’assicurato non può mai superare l’entità effettiva del danno subito, e quindi il divieto di cumulare l’indennizzo dovuto dall’assicuratore col risarcimento eventualmente dovuto dal terzo per lo stesso fatto;

(c) l’assicurazione contro gli infortuni rientra tra le assicurazioni  sulla vita;

(d) ergo, l’indennizzo riscosso per effetto di una assicurazione contro gli infortuni non può essere detratto da quanto dovuto, a titolo di risarcimento, dal terzo responsabile dell’infortunio.

2. Il motivo è infondato.

Sulla  questione della natura dell’assicurazione contro gli infortuni non mortali la giurisprudenza ha ormai da tempo abbandonato l’opinione che essa rientri tra le assicurazioni sulla vita.

Questa antica opinione si fondava su due argomenti: (a) l’infortunio è un evento attinente la vita umana; (b) l’indennizzo nell’assicurazione infortuni non è parametrato ad un valore effettivo e reale, ma è liberamente pattuito dalle parti. Tale ultima osservazione, a sua volta, riposava sull’opinione che riteneva ripugnante al diritto ed alla morale attribuire un valore al corpo dell’uomo (così già Cass. Roma 26.5.1906, in Foro it., 1906, 1^, 780; in seguito, nello stesso senso, Cass. 27.4.1937 n. 1343; Cass. 2.2.1938 n. 336, e Cass. 12.7.1939 n. 2495).

In seguito questa Corte, pur non abbandonando formalmente la tesi secondo cui l’assicurazione contro gli infortuni non mortali rientra nell’assicurazione sulla vita, ha tuttavia cominciato ad ammettere che non tutte le norme dettate per l’assicurazione sulla vita siano applicabili all’assicurazione contro gli infortuni.

Così, in particolare:

(˗)  con  riferimento  alle  conseguenze del  mancato  pagamento  del  premio,  si  è esclusa l’applicabilità all’assicurazione  infortuni  dell’art.  1924 c.c., ritenendo invece applicabile l’art. 1901  c.c.,  (Cass.  13.11.1964 n. 2735; Cass. 19.10.1967 n. 2551; Cass. 27.5.1971  n.  1526;  e  soprattutto Cass. 13.5.1977 n. 1883, in  Assicurazioni,  1978,  II,  2, 197, ove per la prima volta si proclama una diversità  "ontologica e di struttura" tra l’assicurazione sulla vita  e  quella  contro gli infortuni);

(˗) con  riferimento alle conseguenze al mutamento di professione dell’assicurato, si è esclusa l’applicabilità all’assicurazione infortuni dell’art. 1926 c.c. (Cass. 27.11.1979 n. 6205);

(˗)  con riferimento alle conseguenze dell’omissione dell’obbligo  di  avviso    di    sinistro,   si   è   ritenuta   applicabile    anche  all’assicurazione contro gli infortuni la previsione di cui  all’art.  1915 c.c. (Cass. 4.3.1978 n. 1078);

(˗)  con riferimento alle conseguenze del ritardato pagamento dell’indennizzo, si è qualificata l’obbligazione dell’assicuratore contro gli infortuni come debito di valore e non di valuta (quale è  nvece  il debito d’indennizzo nell’assicurazione vita), sul  presupposto che anche l’assicurazione infortuni rientra nell’assicurazione contro i danni (Cass., 03˗05˗1986, n. 3017; Cass.,  26˗01˗1988, n. 661).

Tutti i  contrasti  e  le  incertezze  sono  stati  infine  risolti  dall’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte, le  quali  hanno  definitivamente stabilito che l’assicurazione contro  il  rischio  di  infortuni non mortali è un’assicurazione contro i danni, alla  quale  si  applicherà  il  principio  indennitario  e  l’intera  disciplina  dettata  dal  codice per l’assicurazione contro i danni (Cass.  civ.,  sez. un., 10˗04˗2002, n. 5119).

L’affermazione che l’assicurazione contro gli infortuni  non  mortali  rientra  nell’assicurazione contro i danni  è  stata  fondata  dalle  Sezioni Unite sui seguenti argomenti:

(a) l’art. 1882 c.c., quando definisce l’assicurazione contro i danni  come  quella  in  virtù  della  quale l’assicuratore  si  obbliga  a  rivalere l’assicurato del danno ad esso prodotto da un sinistro,  non  fa  riferimento  solo  ai danni alle cose, ma  anche  ai  danni  alla  persona;

(b)  per  contro,  il riferimento del medesimo art.  1882  c.c.  agli  eventi  attinenti la vita umana, quali presupposto dell’assicurazione  sulla  vita, va inteso con esclusivo riferimento ai fatti concernenti  la morte o la sopravvivenza;

(c)  l’art. 1916 c.c., mirando ad impedire il cumulo di indennizzo  e  risarcimento,   costituisce   espressione   tipica   del    principio  indennitario.  Di  conseguenza, poichè il  4  comma  di  tale  norma  concede la surrogazione all’assicuratore contro gli infortuni,  anche  l’assicurazione infortuni ha natura indennitaria;

(d)  l’invalidità  causata  dall’infortunio  costituisce  sempre  un  "danno"  per i fini di cui all’art. 1882 c.c.: sicuramente biologico,  ed eventualmente patrimoniale;

(e)  la  circostanza  che la misura dell’indennizzo  sia  liberamente  predeterminata  nella  polizza non priva l’assicurazione  contro  gli  infortuni non mortali del carattere indennitario, in quanto la  legge  consente alle parti la stima del valore (ex art. 1908 c.c.).

3. Se  dunque  l’assicurazione contro gli infortuni non  mortali  è  soggetta alla disciplina delle assicurazioni contro i danni, in  caso  di  infortunio  l’assicurato non potrà cumulare l’indennizzo  dovuto  per   effetto  di  essa,  con  il  risarcimento  dovuto   dal   terzo  responsabile dell’infortunio. A tale conclusione ostano sia le  norme  sul  contratto  di  assicurazione, sia quelle  sulla  responsabilità  civile e sul risarcimento del danno.

3.1 Sotto  il  primo profilo, l’indennizzo non può  cumularsi  col  risarcimento per tre ragioni.

La   prima  è  che,  se  fosse  consentito  all’assicurato  cumulare  indennizzo  e  risarcimento, questi verrebbe ad avere  in  teoria  un  interesse  positivo all’avverarsi del sinistro: il che trasformerebbe  l’assicurazione in una scommessa, noto essendo che il rischio di  cui  all’art.  1895 c.c. dev’essere la possibilità di avveramento  di  un  evento futuro, incerto, dannoso e non voluto.

La  seconda  ragione  è  che,  se  fosse  consentito  all’assicurato  cumulare  indennizzo  e  risarcimento, l’assicuratore  perderebbe  il  diritto di surrogazione, accordatogli anche nell’assicurazione contro  gli infortuni dall’art. 1916 c.c., comma 4.

Infatti, poichè la surrogazione costituisce una successione a titolo  particolare  dell’assicuratore  nel diritto  vantato  dall’assicurato  verso  il  terzo  responsabile, prevedendo tale  istituto  anche  per  l’assicurazione contro gli infortuni il legislatore ammette che,  per  effetto  del  pagamento dell’indennizzo assicurativo, il  diritto  al  risarcimento      si      trasferisca     dall’assicurato˗danneggiato  all’assicuratore. E se il diritto al risarcimento si trasferisce  per  effetto di surrogazione, l’assicurato non ne è più titolare  e  non  può  esigerne  il  pagamento dal terzo danneggiato,  che  altrimenti  sarebbe  costretto  ad  un  duplice pagamento:  sia  nelle  mani  del  danneggiato   (a   titolo   di   risarcimento),   sia   nelle    mani  dell’assicuratore  di  questi (a titolo di surrogazione),  come  già  ritenuto  da  questa  Corte con la sentenza pronunciata  da  Sez.  3,  Sentenza n. 1881 del 14/06/1972, Rv. 358934.

La  terza ragione è che, se fosse consentito all’assicurato cumulare  indennizzo  e risarcimento, la percezione del risarcimento integrale,  da  parte del danneggiato˗creditore, estinguerebbe l’obbligazione del  danneggiante˗debitore. Se dunque l’assicuratore pagasse l’indennizzo,  non  potrebbe  più agire in surrogazione, in quanto il  danneggiante  potrebbe validamente eccepirgli (attesa la perfetta identità tra  il  diritto  del  danneggiato al risarcimento ed  il  diritto  acquistato  dall’assicuratore per effetto del pagamento dell’indennizzo) di avere  già  estinto  il  proprio  debito. Pertanto,  anche  se  il  credito  relativo  al  risarcimento del danno e quello relativo  al  pagamento  dell’indennizzo sono strutturalmente diversi, quando il  danneggiato,  prima di percepire l’indennizzo assicurativo, ottiene il risarcimento  integrale  da parte del responsabile, il risultato della  liberazione  dell’assicuratore   dagli  obblighi  derivanti   dal   contratto   di  assicurazione  si  produce per effetto della  norma  che  prevede  la  responsabilità  dell’assicurato che arrechi pregiudizio  al  diritto  dell’assicuratore (come già ritenuto da Sez. 2, Sentenza n. 2595 del  25/10/1966, Rv. 325000).

3.2 Il cumulo dell’indennizzo assicurativo con il risarcimento  del  danno, anche nell’assicurazione contro gli infortuni, è poi impedito  dalle norme che disciplinano il risarcimento del danno.

Se,  infatti,  fosse  consentito tale  cumulo,  verrebbe  violato  il  principio  di integralità del risarcimento, in virtù del  quale  il  danneggiato  non  può,  dopo  il  risarcimento,  trovarsi   in   una  condizione patrimoniale più favorevole rispetto a quella in  cui  si  trovava  prima di restare vittima del fatto illecito. Tale  principio  venne  affermato già da questa Corte con la sentenza pronunciata  da  Sez.  3,  Sentenza  n.  293 del 29/01/1973,  Rv.  362174,  nella  cui  motivazione  si afferma che "in virtù del principio indennitario  un  sinistro  non  può  diventare fonte di lucro  per  chi  lo  subisce,  neppure quando l’indennizzo gli spetti a duplice titolo e da parte di  due  soggetti  diversi, come accade nell’ipotesi  in  cui  lo  stesso  evento  dannoso, oltre a rendere operante la copertura  assicurativa,  faccia  sorgere un’obbligazione riparatoria a carico  di  chi  lo  ha  cagionato.  In tal caso il danneggiato resta bensì l’unico  titolare  attivo  dei  due distinti rapporti obbligatori, libero di  rivolgersi  all’uno  o  all’altro o ad entrambi gli obbligati; ma  l’eventualità  del  doppio  indennizzo per lo stesso danno è scongiurata garantendo  all’assicuratore  o  la  possibilità  di  surrogarsi   nei   diritti  dell’assicurato  verso  il terzo responsabile  (art.  1916  c.c.),  o  quella  di rivalersi nei confronti dello stesso assicurato,  se  tale  possibilità sia stata da lui pregiudicata".

4. Questa  Corte non ignora che, per un diverso orientamento,  anche  quando  la  vittima di un danno abbia già ottenuto  un  risarcimento  (parziale  o  totale) dal responsabile, essa resterebbe titolare  del  diritto al pagamento integrale dell’indennizzo assicurativo da  parte  del  proprio assicuratore contro i danni. Ritiene tuttavia  che  tale  orientamento, oltre che ormai superato dall’intervento delle  Sezioni  Unite  sopra ricordato (Sez. U, Sentenza n. 5119 del 10/04/2002,  Rv. 553633),  non possa comunque essere condiviso, per la fragilità  dei  presupposti teorici su cui si fonda.

Secondo   il   suddetto   orientamento,  il  cumulo   di   indennizzo  assicurativo  e  risarcimento  del danno  sarebbe  possibile  perchè  quando  la  vittima  di un fatto illecito sia anche  "assicurato"  ai  sensi   dell’art.  1904  c.c.,  non  opererebbe  il  principio  della  compensano  lucri cum damno: quest’ultimo, infatti, potrebbe  trovare  applicazione  solo  nel caso in cui il vantaggio ed  il  danno  siano  entrambi  conseguenza immediata e diretta del fatto  illecito,  quali  suoi  effetti  contrapposti. Invece nel caso in  cui  il  danneggiato  abbia  un’assicurazione  contro  i  danni,  il  credito  risarcitorio  vantato  nei  confronti del responsabile ed il  credito  indennitario  vantato  nei  confronti del proprio assicuratore privato hanno  fonte  diversa  (rispettivamente, legale e contrattuale),  e  tra  essi  non  opera  la compensano lucri cum damno (così Sez. 3, Sentenza n.  1135  del 10/02/1999, Rv. 523113).

In  altre decisioni, poi, si è affermato che il cumulo di indennizzo  e  risarcimento è si vietato dal principio indennitario, ma  solo  a  condizione che l’assicuratore privato della vittima abbia manifestato  la  volontà  di  surrogarsi nei diritti  di  quest’ultima  verso  il  danneggiante:  diversamente  il danneggiato  "anche  se  ha  riscosso  l’indennizzo,  può agire per il risarcimento totale,  senza  che  il  responsabile  possa opporgli l’avvenuta riscossione"  (cosi  Sez.  3,  Sentenza  n.  22883 del 06/12/2004, Rv. 578304; Sez. 3,  Sentenza  n.  3544  del  23/02/2004,  Rv. 570390; Sez. 3,  Sentenza  n.  12101  del  19/08/2003, Rv. 565930).

5. L’orientamento appena riassunto non sembra meritevole di essere ulteriormente coltivato, perchè cozza contro insormontabili ostacoli  di ordine teorico.

In   primo   luogo,  appare  erroneo  affermare  che   indennizzo   e  risarcimento  possono  cumularsi  perchè  nel  caso  in  esame   non  opererebbe  il  principio della compensano lucri cum damno,  a  causa  della  diversità  dei titoli in base ai quali  il  danneggiato  può  vantare  da  un  lato  l’indennizzo, dall’altro il  risarcimento.  La  diversità  formale  dei  titoli posti  a  fondamento  della  pretesa  risarcitoria   non   può  mai  servire  a  superare   il   principio  indennitario, come già ritenuto da tempo dalla dottrina.

In  secondo  luogo, il cumulo di indennizzo e risarcimento  non  può  escludersi  invocando  il  principio della  inapplicabilità  a  tale  ipotesi dell’istituto della compensano lucri cum damno.

Indennizzo  assicurativo e risarcimento non si possono  cumulare  non  già  perchè  sia  operante  in  tale  ipotesi  il  principio  della  compensano,  ma  per  una ragione molto più semplice:  il  pagamento  dell’indennizzo  assicurativo,  nell’assicurazione  contro  i  danni,  presuppone   che  esista  un  danno.  Ma  se  il  terzo  responsabile  risarcisce  la  vittima prima che questa percepisca l’indennizzo,  il  credito risarcitorio si estingue per effetto dell’adempimento, e  con  esso  il  danno  risarcibile.  L’assicuratore  non  sarà  tenuto  al  pagamento di alcun indennizzo, per la semplice ragione che  non  v’è  più alcun danno da indennizzare.

Lo   stesso  dicasi  nell’ipotesi  inversa,  in  cui  il  danneggiato  percepisca l’indennizzo assicurativo prima del risarcimento. Anche in  tal  caso  l’obbligo risarcitorio del terzo responsabile verrà  meno  non  per  effetto  della compensano, ma per la semplice  ragione  che  l’intervento  dell’assicuratore ha eliso (in tutto od  in  parte)  il  pregiudizio  patito  dal danneggiato, e non  si  può  pretendere  il  risarcimento di un danno che non c’è più.

Nè  appare risolutiva, al fine di consentire il cumulo di indennizzo  e   risarcimento,  l’osservazione  ˗  pure  prospettata  da  dottrina  minoritaria  ˗ secondo cui, avendo l’assicurato pagato i premi,  egli  avrebbe  comunque diritto all’indennizzo in aggiunta al risarcimento,  altrimenti il pagamento dei premi sarebbe sine causa.

Il  pagamento  del premio infatti non è mai sine causa,  perchè  al  momento  in  cui viene compiuto vi è obiettiva incertezza  circa  il  verificarsi  del  sinistro  e la solvibilità  del  responsabile.  Il  pagamento del premio è in sinallagma col trasferimento del  rischio,  non  certo col pagamento dell’indennizzo, tanto è vero che  se  alla  scadenza  del  contratto il rischio non si è verificato,  il  premio  resta ugualmente dovuto.

In  secondo luogo, se davvero bastasse pagare il premio per  cumulare  indennizzo  e risarcimento, e quindi trasformare il sinistro  in  una  occasione di lucro, allora si dovrebbe conseguentemente ammettere che  il contratto concluso non è più un’assicurazione, ma una scommessa,  nella  quale  puntando una certa somma (il premio)  lo  scommettitore  può  ottenere una remunerazione complessiva assai superiore al danno  subito. Non meno erroneo appare l’orientamento che ammette il  cumulo  di  indennizzo  e risarcimento, in tutti i casi in cui l’assicuratore  della  vittima  non  abbia manifestato la volontà  di  surrogarsi  a  quest’ultima  nei  confronti del responsabile,  ex  art.  1916  c.c..

Questo orientamento si fonda sul seguente (falso) sillogismo:

(a) il trasferimento dei diritti dall’assicurato all’assicuratore non  opera  automaticamente, ma è subordinato ad  una  manifestazione  di  volontà di quest’ultimo diretta al terzo responsabile;

(b)  di  conseguenza, solo da quel momento l’assicurato non  è  più  legittimato  a protendere dal terzo responsabile il risarcimento  del  danno, per essersi la legittimazione trasferita all’assicuratore;

(c)  ergo, qualora non risulti che l’assicuratore non si sia  avvalso  di  tale  facoltà,  il  danneggiato assicurato  può  agire  per  il  risarcimento  totale  verso il responsabile, senza  che  quest’ultimo  possa  opporgli  l’avvenuta riscossione dell’indennità  assicurativa  ovvero  l’avvenuto  pagamento  da parte dell’assicuratore  di  quanto  dovuto dall’assicurato ad un terzo.

Quello appena riassunto è tuttavia un falso sillogismo.

La  surrogazione dell’assicuratore non interferisce in alcun modo con  il   problema  dell’esistenza  del  danno,  e  quindi  col  principio  indennitario.  Abbia  o  non  abbia  l’assicuratore  rinunciato  alla  surroga, non può essere risarcito il danno inesistente ab origine  o  non più esistente, ed il danno indennizzato dall’assicuratore è  un  danno  che  ha cessato di esistere dal punto di vista giuridico,  dal  momento  in  cui  la  vittima  ha  percepito  l’indennizzo,  e   fino  all’ammontare di quest’ultimo.

Si  consideri,  del  resto, che la surrogazione ex  art.  1916  c.c.,  costituisce, secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente,  una  successione  a  titolo  particolare  dell’assicuratore  nel   diritto  dell’assicurato.  Orbene,  perchè  il  diritto  si  trasferisca,  è  necessario   che  esso  sia  perso  dall’assicurato   ed   acquistato  dall’assicuratore. Tuttavia l’estinzione del diritto al risarcimento  in capo  all’assicurato avviene per effetto del solo pagamento,  non  certo  per (effetto della surrogazione, la quale se mai è un effetto  dell’estinzione e non la causa di essa. Pertanto l’effetto estintivo,  prodotto  dal pagamento, è indifferente alle vicende del diritto  di  surrogazione  da  parte dell’assicuratore. Questi,  rinunciando  alla  surrogazione,  dispone  di  un  proprio  diritto  (futuro),   e   non  dell’altrui, e tale atto di disposizione non muta l’effetto estintivo  del pagamento.

Detto  altrimenti,  la  percezione  dell’indennizzo,  da  parte   del  danneggiato, elide  in  misura  corrispondente   il   suo   credito  risarcitorio nei confronti del danneggiante, che pertanto si estingue  e  non  può  essere più preteso, nè azionato. Se così non  fosse,  nell’ipotesi  in cui il danneggiato avesse stipulato un contratto  di  assicurazione contro i danni, questi avrebbe un interesse positivo al  realizzarsi  del  sinistro, il che contrasta  insanabilmente  con  il  principio   indennitario  e  con  la  "neutralità"   dell’intervento  dell’assicuratore     rispetto    alle    condizioni     patrimoniali  dell’assicurato in epoca anteriore al sinistro.

Pertanto  se  l’assicuratore  della  vittima  abbia  rinunciato  alla  surrogazione,  ovvero  non abbia ancora manifestato  l’intenzione  di  esercitarla al momento in cui il danneggiato pretende il risarcimento  dal   responsabile   (pur   avendo  corrisposto   l’indennizzo),   è  circostanza  irrilevante  ai  fini  del  problema.  Ed   infatti,   a  prescindere  dalla  circostanza che è stato a lungo  ed  è  tuttora  controverso  se la surrogazione dell’assicuratore operi ipso  iure  o  per  effetto  di  una  apposita denuntiatio,  è  dirimente  che  non  sussiste  alcun  nesso di implicazione reciproca tra  il  diritto  di  surrogazione  ed il divieto di cumulo tra indennizzo e  risarcimento.

Il   primo,   infatti,   costituisce  una  modificazione   soggettiva  dell’obbligazione,   finalizzata   ad   evitare   il   depauperamento  dell’assicuratore,  e  che può mancare senza  che  il  contratto  di  assicurazione  perda  la  sua natura; l’altro  è  un  principio  che  attiene  al nucleo causale del contratto di assicurazione, e  la  cui  mancanza finisce inevitabilmente per trasformare quest’ultimo  in  un  contratto diverso.

A conferma di quanto osservato basterà ricordare che le SS.UU. hanno  radicalmente  escluso  la possibilità per l’assicurato  di  cumulare  più indennizzi che, complessivamente, eccedano l’ammontare del danno  patito:  e  se non possono cumularsi più indennizzi, a fortiori  non  può ritenersi possibile cumulare indennizzi e risarcimento.

Nemmeno  la  preventiva rinuncia dell’assicuratore all’esercizio  del  diritto  di surroga ex art. 1916 c.c., può consentire all’assicurato  di  cumulare  il  risarcimento ottenuto dal  terzo  con  l’indennizzo  dovuto dall’assicuratore, per le seguenti ragioni:

(˗)  perchè  il  diritto  di  surroga dell’assicuratore  non  è  un  elemento  essenziale del contratto di assicurazione,  e  può  dunque  mancare senza che il contratto di assicurazione perda la sua funzione  indennitaria;

(˗)  perchè  la  rinuncia  al  diritto  di  surroga  giova  solo  al  responsabile  civile, non al danneggiato, il quale  anche  in  questo  caso   non   può  cumulare  risarcimento  del  terzo  ed  indennità  dell’assicuratore;

(˗)  perchè  il  principio indennitario in materia  assicurativa  è  principio di ordine pubblico e quindi inderogabile.

Deve   dunque   concludersi   nel   senso   che   indennizzo   dovuto  dall’assicuratore e risarcimento dovuto dal responsabile assolvano ad  una  identica  funzione risarcitoria, e non possano essere  cumulati:

non  perchè  nel  caso  di specie non trovi applicazione  l’istituto  della compensatio lucri cum damno, ma semplicemente perchè non  c’è  più danno risarcibile per la parte indennizzata dall’assicuratore.

Di conseguenza:

(a)   l’assicuratore  può  legittimamente  rifiutare  il   pagamento  dell’indennizzo (in tutto od in parte), ove l’assicurato  abbia  già  ottenuto  il  risarcimento  del danno (in  tutto  od  in  parte)  dal  responsabile;

(b)  il  responsabile  del  danno può  legittimamente  rifiutare  il  pagamento  del risarcimento (in tutto od in parte), ove  l’assicurato  abbia  già  ottenuto il pagamento dell’indennità (in  tutto  od  in  parte) dal proprio assicuratore privato contro i danni.

Questo  principio era ben chiaro a questa Corte già  un  secolo  fa,  allorchè  si  escluse  il  cumulo  tra  risarcimento  ed  indennizzo  assicurativo con una motivazione che merita di essere ricordata:  "è  di  intuitiva evidenza e conforme a ragione e giustizia che il  fatto  delle   assicurazioni  stipulate  e  pagate  (...)  concorrono  senza  possibile dubbio ad attenuare il danno complessivo (...). In tema  di  liquidazione di danni da colpa aquiliana, (...) si deve  tener  (...)  conto   di  quei  fatti  e  di  quelle  circostanze  che,  apprezzato  convenientemente il complessivo danno materiale e morale,  valgano  a  legittimare una equa riduzione dell’indennità, la quale fosse dovuta  ove  non concorressero detti fatti e dette circostanze, sia pure  che  ciò  provenga  non ad opera del danneggiatore, ma della  vittima  od  altrimenti.

Nè  giova osservare in contrario che (...) diversi sono i titoli  da  cui  deriva  il  diritto  all’indennità  di  assicurazione  (...)  e  all’indennità  per  fatto  colposo,  non  potendosi  negare  che  la  conseguenza  circa alla vera entità del danno effettivo  risarcibile  sia  ad  ogni  modo la reale attenuazione del danno medesimo"  (Cass.  Torino 30.3.1910, in Giur. it., 1910, 1^, 1, 1099).

6. Resta solo da aggiungere, per completezza, che la detrazione  dal  risarcimento   del   danno  aquiliano  dell’indennizzo   assicurativo  percepito  dalla  vittima in virtù di una assicurazione  contro  gli  infortuni  esige  che  il  danno  patito  ed  il  rischio  assicurato  coincidano:  se  l’assicurazione copre  il  danno  da  perdita  della  capacità  di  lavoro (danno patrimoniale), e la  vittima  del  fatto  illecito  abbia  subito  soltanto  un  danno  biologico  (danno   non  patrimoniale), nessuna detrazione sarà possibile, a nulla  rilevando  che   l’assicuratore  abbia,  per  effetto  di  particolari  clausole  contrattuali  che ammettano l’indennizzabilità d’un danno  presunto,  pagato ugualmente l’indennizzo.

7.Il  ricorso deve dunque essere rigettato sulla base del seguente  principio di diritto:

L’assicurazione contro gli infortuni non mortali costituisce un’assicurazione contro i danni, ed è soggetta al principio indennitario, in virtù del quale l’indennizzo non può mai eccedere il danno effettivamente patito. Ne consegue che il risarcimento del danno dovuto alla vittima di lesioni personali deve essere diminuito dell’importo da questa percepito a titolo di indennizzo da parte del  proprio assicuratore privato contro gli infortuni.

8. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del  ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1.

 

P.Q.M. 

la Corte di cassazione:

˗) rigetta il ricorso;

˗) condanna il sig. S.L. alla rifusione in favore di INA Assitalia s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, di cui 200 per spese vive.

Una recente decisione della Corte di Cassazione ha stabilito che in caso un infortunio non mortale, l’infortunato non può cumulare l’indennizzo ottenuto dal proprio assicuratore ˗ con il quale ha stipulato, in epoca antecedente al sinistro, una polizza contro gli infortuni ˗ e risarcimento ottenuto dal terzo responsabile o dall’assicuratore di quest’ultimo, giacché la corresponsione dell’indennizzo o del risarcimento (a seconda di quale pagamento sia avvenuto prima) estingue l’obbligazione.

La decisione si allinea a una precedente giurisprudenza della Suprema Corte adottata a Sezioni Unite (Cassazione 10 aprile 2002 n. 5119, in Foro it., 2002, I, 2039), con la quale si stabiliva che l’assicurazione contro il rischio d’infortuni non mortali rientra tra le assicurazioni contro i danni, rimanendo perciò assoggettata al principio indennitario, espresso dall’articolo 1908 del codice civile. E, pertanto, seguendo il ragionamento fatto proprio dai giudici della Suprema Corte nella sentenza in epigrafe, laddove l’infortunato abbia già ottenuto l’indennizzo non può ottenere anche il risarcimento, se non per differenza tra quanto ottenuto a titolo di indennizzo e quanto spettante a titolo di responsabilità civile (o viceversa), onde evitare che l’infortunato ottenga un indennizzo che ecceda il danno effettivamente patito.

La decisione è destinata ad avere ripercussioni sul mercato assicurativo italiano. Anche perché si scontra con la prassi assicurativa, che tende a inserire tra le condizioni generali delle polizze ‘infortuni’ la cosiddetta clausola di rinunzia, da parte dell’assicuratore, all’esercizio del diritto di surrogazione ex articolo 1916 del codice civile. In altre parole, l’assicuratore indennizza il proprio assicurato e rinunzia a rivalersi nei confronti del responsabile.

Sarà quindi opportuno che il mercato corra al più presto ai ripari  onde evitare un cortocircuito del sistema, in caso di coesistenza di polizze infortuni e responsabilità civile.

 ***

Cassazione Civile) sez. III, 11˗06˗2014, n. 13233 ˗ Pres. SEGRETO Antonio ˗ Est. ROSSETTI Marco ˗ P.M. BASILE Tommaso ˗ S.L. c. INA  ASSITALIA  SPA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. (OMISSIS) il sig. S.L., dipendente della società SALT˗Società Autostrade Ligure Toscana s.p.a., mentre si trovava al  lavoro, venne  investito da un veicolo di proprietà della società datrice di lavoro, subendo lesioni personali.

In conseguenza dell’infortunio il sig. S.L. riscosse l’indennizzo contrattualmente dovutogli in virtù di una assicurazione privata contro gli infortuni, stipulata dal datore di  lavoro a beneficio dei dipendenti.

2. 29.1.1996 il sig. S.L. convenne dinanzi al Tribunale di La Spezia la SALT s.p.a. (nella sua veste di proprietaria del veicolo dal quale venne investito); il conducente del veicolo investitore, sig. P.R., e l’assicuratore della r.c.a. del medesimo mezzo, la Assitalia s.p.a..

Nei confronti di tutti chiese il risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’investimento di cui si è detto.

3. Il Tribunale di La Spezie con sentenza dell’8.1.2002 accolse la domanda, ma dall’importo del risarcimento spettante alla vittima detrasse la somma da questa già percepita dall’assicuratore privato contro gli infortuni, pari a 20 milioni di lire.

4. La sentenza, impugnata dal sig. S.L., su tale punto venne confermata dalla Corte d’appello di Genova con sentenza 8.6.2007.

Tale sentenza è stata impugnata per cassazione dal sig. S.L., sulla base d’un solo motivo.

La INA Assitalia s.p.a. (incorporante per fusione la Assitalia s.p.a.) ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sia incorsa in un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il ricorrente sostiene, al riguardo, la seguente tesi in diritto: (a) il contratto di assicurazione si divide in due categorie, soggette a regole differenti: l’assicurazione contro i danni e quella sulla vita;

(b) solo per le assicurazioni contro i danni vige il principio per cui l’indennizzo riscosso dall’assicurato non può mai superare l’entità effettiva del danno subito, e quindi il divieto di cumulare l’indennizzo dovuto dall’assicuratore col risarcimento eventualmente dovuto dal terzo per lo stesso fatto;

(c) l’assicurazione contro gli infortuni rientra tra le assicurazioni  sulla vita;

(d) ergo, l’indennizzo riscosso per effetto di una assicurazione contro gli infortuni non può essere detratto da quanto dovuto, a titolo di risarcimento, dal terzo responsabile dell’infortunio.

2. Il motivo è infondato.

Sulla  questione della natura dell’assicurazione contro gli infortuni non mortali la giurisprudenza ha ormai da tempo abbandonato l’opinione che essa rientri tra le assicurazioni sulla vita.

Questa antica opinione si fondava su due argomenti: (a) l’infortunio è un evento attinente la vita umana; (b) l’indennizzo nell’assicurazione infortuni non è parametrato ad un valore effettivo e reale, ma è liberamente pattuito dalle parti. Tale ultima osservazione, a sua volta, riposava sull’opinione che riteneva ripugnante al diritto ed alla morale attribuire un valore al corpo dell’uomo (così già Cass. Roma 26.5.1906, in Foro it., 1906, 1^, 780; in seguito, nello stesso senso, Cass. 27.4.1937 n. 1343; Cass. 2.2.1938 n. 336, e Cass. 12.7.1939 n. 2495).

In seguito questa Corte, pur non abbandonando formalmente la tesi secondo cui l’assicurazione contro gli infortuni non mortali rientra nell’assicurazione sulla vita, ha tuttavia cominciato ad ammettere che non tutte le norme dettate per l’assicurazione sulla vita siano applicabili all’assicurazione contro gli infortuni.

Così, in particolare:

(˗)  con  riferimento  alle  conseguenze del  mancato  pagamento  del  premio,  si  è esclusa l’applicabilità all’assicurazione  infortuni  dell’art.  1924 c.c., ritenendo invece applicabile l’art. 1901  c.c.,  (Cass.  13.11.1964 n. 2735; Cass. 19.10.1967 n. 2551; Cass. 27.5.1971  n.  1526;  e  soprattutto Cass. 13.5.1977 n. 1883, in  Assicurazioni,  1978,  II,  2, 197, ove per la prima volta si proclama una diversità  "ontologica e di struttura" tra l’assicurazione sulla vita  e  quella  contro gli infortuni);

(˗) con  riferimento alle conseguenze al mutamento di professione dell’assicurato, si è esclusa l’applicabilità all’assicurazione infortuni dell’art. 1926 c.c. (Cass. 27.11.1979 n. 6205);

(˗)  con riferimento alle conseguenze dell’omissione dell’obbligo  di  avviso    di    sinistro,   si   è   ritenuta   applicabile    anche  all’assicurazione contro gli infortuni la previsione di cui  all’art.  1915 c.c. (Cass. 4.3.1978 n. 1078);

(˗)  con riferimento alle conseguenze del ritardato pagamento dell’indennizzo, si è qualificata l’obbligazione dell’assicuratore contro gli infortuni come debito di valore e non di valuta (quale è  nvece  il debito d’indennizzo nell’assicurazione vita), sul  presupposto che anche l’assicurazione infortuni rientra nell’assicurazione contro i danni (Cass., 03˗05˗1986, n. 3017; Cass.,  26˗01˗1988, n. 661).

Tutti i  contrasti  e  le  incertezze  sono  stati  infine  risolti  dall’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte, le  quali  hanno  definitivamente stabilito che l’assicurazione contro  il  rischio  di  infortuni non mortali è un’assicurazione contro i danni, alla  quale  si  applicherà  il  principio  indennitario  e  l’intera  disciplina  dettata  dal  codice per l’assicurazione contro i danni (Cass.  civ.,  sez. un., 10˗04˗2002, n. 5119).

L’affermazione che l’assicurazione contro gli infortuni  non  mortali  rientra  nell’assicurazione contro i danni  è  stata  fondata  dalle  Sezioni Unite sui seguenti argomenti:

(a) l’art. 1882 c.c., quando definisce l’assicurazione contro i danni  come  quella  in  virtù  della  quale l’assicuratore  si  obbliga  a  rivalere l’assicurato del danno ad esso prodotto da un sinistro,  non  fa  riferimento  solo  ai danni alle cose, ma  anche  ai  danni  alla  persona;

(b)  per  contro,  il riferimento del medesimo art.  1882  c.c.  agli  eventi  attinenti la vita umana, quali presupposto dell’assicurazione  sulla  vita, va inteso con esclusivo riferimento ai fatti concernenti  la morte o la sopravvivenza;

(c)  l’art. 1916 c.c., mirando ad impedire il cumulo di indennizzo  e  risarcimento,   costituisce   espressione   tipica   del    principio  indennitario.  Di  conseguenza, poichè il  4  comma  di  tale  norma  concede la surrogazione all’assicuratore contro gli infortuni,  anche  l’assicurazione infortuni ha natura indennitaria;

(d)  l’invalidità  causata  dall’infortunio  costituisce  sempre  un  "danno"  per i fini di cui all’art. 1882 c.c.: sicuramente biologico,  ed eventualmente patrimoniale;

(e)  la  circostanza  che la misura dell’indennizzo  sia  liberamente  predeterminata  nella  polizza non priva l’assicurazione  contro  gli  infortuni non mortali del carattere indennitario, in quanto la  legge  consente alle parti la stima del valore (ex art. 1908 c.c.).

3. Se  dunque  l’assicurazione contro gli infortuni non  mortali  è  soggetta alla disciplina delle assicurazioni contro i danni, in  caso  di  infortunio  l’assicurato non potrà cumulare l’indennizzo  dovuto  per   effetto  di  essa,  con  il  risarcimento  dovuto   dal   terzo  responsabile dell’infortunio. A tale conclusione ostano sia le  norme  sul  contratto  di  assicurazione, sia quelle  sulla  responsabilità  civile e sul risarcimento del danno.

3.1 Sotto  il  primo profilo, l’indennizzo non può  cumularsi  col  risarcimento per tre ragioni.

La   prima  è  che,  se  fosse  consentito  all’assicurato  cumulare  indennizzo  e  risarcimento, questi verrebbe ad avere  in  teoria  un  interesse  positivo all’avverarsi del sinistro: il che trasformerebbe  l’assicurazione in una scommessa, noto essendo che il rischio di  cui  all’art.  1895 c.c. dev’essere la possibilità di avveramento  di  un  evento futuro, incerto, dannoso e non voluto.

La  seconda  ragione  è  che,  se  fosse  consentito  all’assicurato  cumulare  indennizzo  e  risarcimento, l’assicuratore  perderebbe  il  diritto di surrogazione, accordatogli anche nell’assicurazione contro  gli infortuni dall’art. 1916 c.c., comma 4.

Infatti, poichè la surrogazione costituisce una successione a titolo  particolare  dell’assicuratore  nel diritto  vantato  dall’assicurato  verso  il  terzo  responsabile, prevedendo tale  istituto  anche  per  l’assicurazione contro gli infortuni il legislatore ammette che,  per  effetto  del  pagamento dell’indennizzo assicurativo, il  diritto  al  risarcimento      si      trasferisca     dall’assicurato˗danneggiato  all’assicuratore. E se il diritto al risarcimento si trasferisce  per  effetto di surrogazione, l’assicurato non ne è più titolare  e  non  può  esigerne  il  pagamento dal terzo danneggiato,  che  altrimenti  sarebbe  costretto  ad  un  duplice pagamento:  sia  nelle  mani  del  danneggiato   (a   titolo   di   risarcimento),   sia   nelle    mani  dell’assicuratore  di  questi (a titolo di surrogazione),  come  già  ritenuto  da  questa  Corte con la sentenza pronunciata  da  Sez.  3,  Sentenza n. 1881 del 14/06/1972, Rv. 358934.

La  terza ragione è che, se fosse consentito all’assicurato cumulare  indennizzo  e risarcimento, la percezione del risarcimento integrale,  da  parte del danneggiato˗creditore, estinguerebbe l’obbligazione del  danneggiante˗debitore. Se dunque l’assicuratore pagasse l’indennizzo,  non  potrebbe  più agire in surrogazione, in quanto il  danneggiante  potrebbe validamente eccepirgli (attesa la perfetta identità tra  il  diritto  del  danneggiato al risarcimento ed  il  diritto  acquistato  dall’assicuratore per effetto del pagamento dell’indennizzo) di avere  già  estinto  il  proprio  debito. Pertanto,  anche  se  il  credito  relativo  al  risarcimento del danno e quello relativo  al  pagamento  dell’indennizzo sono strutturalmente diversi, quando il  danneggiato,  prima di percepire l’indennizzo assicurativo, ottiene il risarcimento  integrale  da parte del responsabile, il risultato della  liberazione  dell’assicuratore   dagli  obblighi  derivanti   dal   contratto   di  assicurazione  si  produce per effetto della  norma  che  prevede  la  responsabilità  dell’assicurato che arrechi pregiudizio  al  diritto  dell’assicuratore (come già ritenuto da Sez. 2, Sentenza n. 2595 del  25/10/1966, Rv. 325000).

3.2 Il cumulo dell’indennizzo assicurativo con il risarcimento  del  danno, anche nell’assicurazione contro gli infortuni, è poi impedito  dalle norme che disciplinano il risarcimento del danno.

Se,  infatti,  fosse  consentito tale  cumulo,  verrebbe  violato  il  principio  di integralità del risarcimento, in virtù del  quale  il  danneggiato  non  può,  dopo  il  risarcimento,  trovarsi   in   una  condizione patrimoniale più favorevole rispetto a quella in  cui  si  trovava  prima di restare vittima del fatto illecito. Tale  principio  venne  affermato già da questa Corte con la sentenza pronunciata  da  Sez.  3,  Sentenza  n.  293 del 29/01/1973,  Rv.  362174,  nella  cui  motivazione  si afferma che "in virtù del principio indennitario  un  sinistro  non  può  diventare fonte di lucro  per  chi  lo  subisce,  neppure quando l’indennizzo gli spetti a duplice titolo e da parte di  due  soggetti  diversi, come accade nell’ipotesi  in  cui  lo  stesso  evento  dannoso, oltre a rendere operante la copertura  assicurativa,  faccia  sorgere un’obbligazione riparatoria a carico  di  chi  lo  ha  cagionato.  In tal caso il danneggiato resta bensì l’unico  titolare  attivo  dei  due distinti rapporti obbligatori, libero di  rivolgersi  all’uno  o  all’altro o ad entrambi gli obbligati; ma  l’eventualità  del  doppio  indennizzo per lo stesso danno è scongiurata garantendo  all’assicuratore  o  la  possibilità  di  surrogarsi   nei   diritti  dell’assicurato  verso  il terzo responsabile  (art.  1916  c.c.),  o  quella  di rivalersi nei confronti dello stesso assicurato,  se  tale  possibilità sia stata da lui pregiudicata".

4. Questa  Corte non ignora che, per un diverso orientamento,  anche  quando  la  vittima di un danno abbia già ottenuto  un  risarcimento  (parziale  o  totale) dal responsabile, essa resterebbe titolare  del  diritto al pagamento integrale dell’indennizzo assicurativo da  parte  del  proprio assicuratore contro i danni. Ritiene tuttavia  che  tale  orientamento, oltre che ormai superato dall’intervento delle  Sezioni  Unite  sopra ricordato (Sez. U, Sentenza n. 5119 del 10/04/2002,  Rv. 553633),  non possa comunque essere condiviso, per la fragilità  dei  presupposti teorici su cui si fonda.

Secondo   il   suddetto   orientamento,  il  cumulo   di   indennizzo  assicurativo  e  risarcimento  del danno  sarebbe  possibile  perchè  quando  la  vittima  di un fatto illecito sia anche  "assicurato"  ai  sensi   dell’art.  1904  c.c.,  non  opererebbe  il  principio  della  compensano  lucri cum damno: quest’ultimo, infatti, potrebbe  trovare  applicazione  solo  nel caso in cui il vantaggio ed  il  danno  siano  entrambi  conseguenza immediata e diretta del fatto  illecito,  quali  suoi  effetti  contrapposti. Invece nel caso in  cui  il  danneggiato  abbia  un’assicurazione  contro  i  danni,  il  credito  risarcitorio  vantato  nei  confronti del responsabile ed il  credito  indennitario  vantato  nei  confronti del proprio assicuratore privato hanno  fonte  diversa  (rispettivamente, legale e contrattuale),  e  tra  essi  non  opera  la compensano lucri cum damno (così Sez. 3, Sentenza n.  1135  del 10/02/1999, Rv. 523113).

In  altre decisioni, poi, si è affermato che il cumulo di indennizzo  e  risarcimento è si vietato dal principio indennitario, ma  solo  a  condizione che l’assicuratore privato della vittima abbia manifestato  la  volontà  di  surrogarsi nei diritti  di  quest’ultima  verso  il  danneggiante:  diversamente  il danneggiato  "anche  se  ha  riscosso  l’indennizzo,  può agire per il risarcimento totale,  senza  che  il  responsabile  possa opporgli l’avvenuta riscossione"  (cosi  Sez.  3,  Sentenza  n.  22883 del 06/12/2004, Rv. 578304; Sez. 3,  Sentenza  n.  3544  del  23/02/2004,  Rv. 570390; Sez. 3,  Sentenza  n.  12101  del  19/08/2003, Rv. 565930).

5. L’orientamento appena riassunto non sembra meritevole di essere ulteriormente coltivato, perchè cozza contro insormontabili ostacoli  di ordine teorico.

In   primo   luogo,  appare  erroneo  affermare  che   indennizzo   e  risarcimento  possono  cumularsi  perchè  nel  caso  in  esame   non  opererebbe  il  principio della compensano lucri cum damno,  a  causa  della  diversità  dei titoli in base ai quali  il  danneggiato  può  vantare  da  un  lato  l’indennizzo, dall’altro il  risarcimento.  La  diversità  formale  dei  titoli posti  a  fondamento  della  pretesa  risarcitoria   non   può  mai  servire  a  superare   il   principio  indennitario, come già ritenuto da tempo dalla dottrina.

In  secondo  luogo, il cumulo di indennizzo e risarcimento  non  può  escludersi  invocando  il  principio della  inapplicabilità  a  tale  ipotesi dell’istituto della compensano lucri cum damno.

Indennizzo  assicurativo e risarcimento non si possono  cumulare  non  già  perchè  sia  operante  in  tale  ipotesi  il  principio  della  compensano,  ma  per  una ragione molto più semplice:  il  pagamento  dell’indennizzo  assicurativo,  nell’assicurazione  contro  i  danni,  presuppone   che  esista  un  danno.  Ma  se  il  terzo  responsabile  risarcisce  la  vittima prima che questa percepisca l’indennizzo,  il  credito risarcitorio si estingue per effetto dell’adempimento, e  con  esso  il  danno  risarcibile.  L’assicuratore  non  sarà  tenuto  al  pagamento di alcun indennizzo, per la semplice ragione che  non  v’è  più alcun danno da indennizzare.

Lo   stesso  dicasi  nell’ipotesi  inversa,  in  cui  il  danneggiato  percepisca l’indennizzo assicurativo prima del risarcimento. Anche in  tal  caso  l’obbligo risarcitorio del terzo responsabile verrà  meno  non  per  effetto  della compensano, ma per la semplice  ragione  che  l’intervento  dell’assicuratore ha eliso (in tutto od  in  parte)  il  pregiudizio  patito  dal danneggiato, e non  si  può  pretendere  il  risarcimento di un danno che non c’è più.

Nè  appare risolutiva, al fine di consentire il cumulo di indennizzo  e   risarcimento,  l’osservazione  ˗  pure  prospettata  da  dottrina  minoritaria  ˗ secondo cui, avendo l’assicurato pagato i premi,  egli  avrebbe  comunque diritto all’indennizzo in aggiunta al risarcimento,  altrimenti il pagamento dei premi sarebbe sine causa.

Il  pagamento  del premio infatti non è mai sine causa,  perchè  al  momento  in  cui viene compiuto vi è obiettiva incertezza  circa  il  verificarsi  del  sinistro  e la solvibilità  del  responsabile.  Il  pagamento del premio è in sinallagma col trasferimento del  rischio,  non  certo col pagamento dell’indennizzo, tanto è vero che  se  alla  scadenza  del  contratto il rischio non si è verificato,  il  premio  resta ugualmente dovuto.

In  secondo luogo, se davvero bastasse pagare il premio per  cumulare  indennizzo  e risarcimento, e quindi trasformare il sinistro  in  una  occasione di lucro, allora si dovrebbe conseguentemente ammettere che  il contratto concluso non è più un’assicurazione, ma una scommessa,  nella  quale  puntando una certa somma (il premio)  lo  scommettitore  può  ottenere una remunerazione complessiva assai superiore al danno  subito. Non meno erroneo appare l’orientamento che ammette il  cumulo  di  indennizzo  e risarcimento, in tutti i casi in cui l’assicuratore  della  vittima  non  abbia manifestato la volontà  di  surrogarsi  a  quest’ultima  nei  confronti del responsabile,  ex  art.  1916  c.c..

Questo orientamento si fonda sul seguente (falso) sillogismo:

(a) il trasferimento dei diritti dall’assicurato all’assicuratore non  opera  automaticamente, ma è subordinato ad  una  manifestazione  di  volontà di quest’ultimo diretta al terzo responsabile;

(b)  di  conseguenza, solo da quel momento l’assicurato non  è  più  legittimato  a protendere dal terzo responsabile il risarcimento  del  danno, per essersi la legittimazione trasferita all’assicuratore;

(c)  ergo, qualora non risulti che l’assicuratore non si sia  avvalso  di  tale  facoltà,  il  danneggiato assicurato  può  agire  per  il  risarcimento  totale  verso il responsabile, senza  che  quest’ultimo  possa  opporgli  l’avvenuta riscossione dell’indennità  assicurativa  ovvero  l’avvenuto  pagamento  da parte dell’assicuratore  di  quanto  dovuto dall’assicurato ad un terzo.

Quello appena riassunto è tuttavia un falso sillogismo.

La  surrogazione dell’assicuratore non interferisce in alcun modo con  il   problema  dell’esistenza  del  danno,  e  quindi  col  principio  indennitario.  Abbia  o  non  abbia  l’assicuratore  rinunciato  alla  surroga, non può essere risarcito il danno inesistente ab origine  o  non più esistente, ed il danno indennizzato dall’assicuratore è  un  danno  che  ha cessato di esistere dal punto di vista giuridico,  dal  momento  in  cui  la  vittima  ha  percepito  l’indennizzo,  e   fino  all’ammontare di quest’ultimo.

Si  consideri,  del  resto, che la surrogazione ex  art.  1916  c.c.,  costituisce, secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente,  una  successione  a  titolo  particolare  dell’assicuratore  nel   diritto  dell’assicurato.  Orbene,  perchè  il  diritto  si  trasferisca,  è  necessario   che  esso  sia  perso  dall’assicurato   ed   acquistato  dall’assicuratore. Tuttavia l’estinzione del diritto al risarcimento  in capo  all’assicurato avviene per effetto del solo pagamento,  non  certo  per (effetto della surrogazione, la quale se mai è un effetto  dell’estinzione e non la causa di essa. Pertanto l’effetto estintivo,  prodotto  dal pagamento, è indifferente alle vicende del diritto  di  surrogazione  da  parte dell’assicuratore. Questi,  rinunciando  alla  surrogazione,  dispone  di  un  proprio  diritto  (futuro),   e   non  dell’altrui, e tale atto di disposizione non muta l’effetto estintivo  del pagamento.

Detto  altrimenti,  la  percezione  dell’indennizzo,  da  parte   del  danneggiato, elide  in  misura  corrispondente   il   suo   credito  risarcitorio nei confronti del danneggiante, che pertanto si estingue  e  non  può  essere più preteso, nè azionato. Se così non  fosse,  nell’ipotesi  in cui il danneggiato avesse stipulato un contratto  di  assicurazione contro i danni, questi avrebbe un interesse positivo al  realizzarsi  del  sinistro, il che contrasta  insanabilmente  con  il  principio   indennitario  e  con  la  "neutralità"   dell’intervento  dell’assicuratore     rispetto    alle    condizioni     patrimoniali  dell’assicurato in epoca anteriore al sinistro.

Pertanto  se  l’assicuratore  della  vittima  abbia  rinunciato  alla  surrogazione,  ovvero  non abbia ancora manifestato  l’intenzione  di  esercitarla al momento in cui il danneggiato pretende il risarcimento  dal   responsabile   (pur   avendo  corrisposto   l’indennizzo),   è  circostanza  irrilevante  ai  fini  del  problema.  Ed   infatti,   a  prescindere  dalla  circostanza che è stato a lungo  ed  è  tuttora  controverso  se la surrogazione dell’assicuratore operi ipso  iure  o  per  effetto  di  una  apposita denuntiatio,  è  dirimente  che  non  sussiste  alcun  nesso di implicazione reciproca tra  il  diritto  di  surrogazione  ed il divieto di cumulo tra indennizzo e  risarcimento.

Il   primo,   infatti,   costituisce  una  modificazione   soggettiva  dell’obbligazione,   finalizzata   ad   evitare   il   depauperamento  dell’assicuratore,  e  che può mancare senza  che  il  contratto  di  assicurazione  perda  la  sua natura; l’altro  è  un  principio  che  attiene  al nucleo causale del contratto di assicurazione, e  la  cui  mancanza finisce inevitabilmente per trasformare quest’ultimo  in  un  contratto diverso.

A conferma di quanto osservato basterà ricordare che le SS.UU. hanno  radicalmente  escluso  la possibilità per l’assicurato  di  cumulare  più indennizzi che, complessivamente, eccedano l’ammontare del danno  patito:  e  se non possono cumularsi più indennizzi, a fortiori  non  può ritenersi possibile cumulare indennizzi e risarcimento.

Nemmeno  la  preventiva rinuncia dell’assicuratore all’esercizio  del  diritto  di surroga ex art. 1916 c.c., può consentire all’assicurato  di  cumulare  il  risarcimento ottenuto dal  terzo  con  l’indennizzo  dovuto dall’assicuratore, per le seguenti ragioni:

(˗)  perchè  il  diritto  di  surroga dell’assicuratore  non  è  un  elemento  essenziale del contratto di assicurazione,  e  può  dunque  mancare senza che il contratto di assicurazione perda la sua funzione  indennitaria;

(˗)  perchè  la  rinuncia  al  diritto  di  surroga  giova  solo  al  responsabile  civile, non al danneggiato, il quale  anche  in  questo  caso   non   può  cumulare  risarcimento  del  terzo  ed  indennità  dell’assicuratore;

(˗)  perchè  il  principio indennitario in materia  assicurativa  è  principio di ordine pubblico e quindi inderogabile.

Deve   dunque   concludersi   nel   senso   che   indennizzo   dovuto  dall’assicuratore e risarcimento dovuto dal responsabile assolvano ad  una  identica  funzione risarcitoria, e non possano essere  cumulati:

non  perchè  nel  caso  di specie non trovi applicazione  l’istituto  della compensatio lucri cum damno, ma semplicemente perchè non  c’è  più danno risarcibile per la parte indennizzata dall’assicuratore.

Di conseguenza:

(a)   l’assicuratore  può  legittimamente  rifiutare  il   pagamento  dell’indennizzo (in tutto od in parte), ove l’assicurato  abbia  già  ottenuto  il  risarcimento  del danno (in  tutto  od  in  parte)  dal  responsabile;

(b)  il  responsabile  del  danno può  legittimamente  rifiutare  il  pagamento  del risarcimento (in tutto od in parte), ove  l’assicurato  abbia  già  ottenuto il pagamento dell’indennità (in  tutto  od  in  parte) dal proprio assicuratore privato contro i danni.

Questo  principio era ben chiaro a questa Corte già  un  secolo  fa,  allorchè  si  escluse  il  cumulo  tra  risarcimento  ed  indennizzo  assicurativo con una motivazione che merita di essere ricordata:  "è  di  intuitiva evidenza e conforme a ragione e giustizia che il  fatto  delle   assicurazioni  stipulate  e  pagate  (...)  concorrono  senza  possibile dubbio ad attenuare il danno complessivo (...). In tema  di  liquidazione di danni da colpa aquiliana, (...) si deve  tener  (...)  conto   di  quei  fatti  e  di  quelle  circostanze  che,  apprezzato  convenientemente il complessivo danno materiale e morale,  valgano  a  legittimare una equa riduzione dell’indennità, la quale fosse dovuta  ove  non concorressero detti fatti e dette circostanze, sia pure  che  ciò  provenga  non ad opera del danneggiatore, ma della  vittima  od  altrimenti.

Nè  giova osservare in contrario che (...) diversi sono i titoli  da  cui  deriva  il  diritto  all’indennità  di  assicurazione  (...)  e  all’indennità  per  fatto  colposo,  non  potendosi  negare  che  la  conseguenza  circa alla vera entità del danno effettivo  risarcibile  sia  ad  ogni  modo la reale attenuazione del danno medesimo"  (Cass.  Torino 30.3.1910, in Giur. it., 1910, 1^, 1, 1099).

6. Resta solo da aggiungere, per completezza, che la detrazione  dal  risarcimento   del   danno  aquiliano  dell’indennizzo   assicurativo  percepito  dalla  vittima in virtù di una assicurazione  contro  gli  infortuni  esige  che  il  danno  patito  ed  il  rischio  assicurato  coincidano:  se  l’assicurazione copre  il  danno  da  perdita  della  capacità  di  lavoro (danno patrimoniale), e la  vittima  del  fatto  illecito  abbia  subito  soltanto  un  danno  biologico  (danno   non  patrimoniale), nessuna detrazione sarà possibile, a nulla  rilevando  che   l’assicuratore  abbia,  per  effetto  di  particolari  clausole  contrattuali  che ammettano l’indennizzabilità d’un danno  presunto,  pagato ugualmente l’indennizzo.

7.Il  ricorso deve dunque essere rigettato sulla base del seguente  principio di diritto:

L’assicurazione contro gli infortuni non mortali costituisce un’assicurazione contro i danni, ed è soggetta al principio indennitario, in virtù del quale l’indennizzo non può mai eccedere il danno effettivamente patito. Ne consegue che il risarcimento del danno dovuto alla vittima di lesioni personali deve essere diminuito dell’importo da questa percepito a titolo di indennizzo da parte del  proprio assicuratore privato contro gli infortuni.

8. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del  ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1.

 

P.Q.M. 

la Corte di cassazione:

˗) rigetta il ricorso;

˗) condanna il sig. S.L. alla rifusione in favore di INA Assitalia s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, di cui 200 per spese vive.