x

x

Foto di copertina, ricordi e maestro di Vita

Mario Tedeschi
Mario Tedeschi

Il Primo numero del Borghese uscì a Milano il 15 marzo del 1950; conteneva, tra gli altri, articoli di Prezzolini, Longanesi, Ansaldo, Junger, Montanelli, Spadolini, Tedeschi. La rivista era, allora, quindicinale. Chi scrive iniziò a pubblicare sul Borghese nel 1990, sotto pseudonimo su consiglio del Direttore Mario Tedeschi.

Mario Tedeschi

Mario Tedeschi nel 1957 divenne direttore, fino alla sua morte nel novembre del 1993.

Ebbi la fortuna di conoscere Mario Tedeschi, un maestro di giornalismo, inventore insuperabile per genialità ed abilità tecnica nell’impaginazione e scelta delle fotografie.

Possiamo ben dire che Il Borghese ha fatto scuola. È stato il primo giornale ad usare la fotografia “crudele” come arma di satira, in un Paese dove la tradizione della vignetta satirica era pressoché inesistente.

Ancora oggi, fra gli “addetti ai lavori” con i capelli bianchi, per indicare un certo tipo di immagini particolarmente feroci o sarcastiche, si parla di “fotografie da Borghese”.

La copertina di questo breve ricordo è stata una mia idea. Il “Magistrato suicida” era il compianto Romano Gentile, un fotografo, che si prestò alla bisogna.

Quando iniziai la collaborazione, scrivevo dei “tappa buchi” così li definiva Tedeschi. Annotazioni pungenti che servivano al Direttore per riempire gli spazi vuoti a piè di pagina.

Mario Tedeschi era una persona di una intelligenza ed ironia e magnanimità fuori dal comune. All’apparenza burbero e di pochissime parole, ti doveva studiare.

Mi accolse nella sua abitazione-studio-redazione di Trastevere, incaricandomi di catalogare la sua immensa biblioteca; dopo qualche giorno, mi disse, con la sua proverbiale ironia: “Mi sembri un ragazzo sveglio, forse troppo”.

Aveva intuito che ero di idee diametralmente opposte alle sue.

Io giovane fervente radicale, con un amore viscerale per Giacinto detto Marco Pannella. Lui fascista, ex marò del battaglione Barbarigo combattente sul fronte di Nettuno contro gli americani, Senatore del M.S.I..

Nacque un idillio, un rapporto di collaborazione tra un Maestro e un discepolo desideroso di imparare. Mi ricordo le sue strigliate: “Riccardo devi tagliare”. Mi ripeteva che più si taglia, più uno scritto migliora, e che l’italiano è una brutta lingua, che diventa bella soltanto se la frase è secca, asciutta. Aggiungeva che bisogna scrivere a mano, per avere il tempo di pensare.

Ricordo che ero una sorte di “mascotte, ho conosciuto i vari: Giorgio Pillon, Emilio Cavaterra, Lo Svizzero, Giuseppe Bonanni, Nicola Patruno, Corrado Pizzinelli, Claudio Quarantotto, Marco Bertoncini, Pietro Poscia, le segretarie Federica, Concetta e l’amministratore l’Ingegnere Bartolini, figura austera e ieratica, che aveva il duro compito di far quadrare i conti.

Tutti Galantuomini che ti lasciavano sempre un piccolo insegnamento.

Le giornate erano scandite da un lavoro frenetico e stimolante: alle 6,00 la lettura dei quotidiani per la stesura della rassegna stampa da recapitare alle 8,00 ad un ex Presidente della Repubblica. Alle 8,30 il Direttore si riaccomodava alla scrivania per scrivere, mentre io nel frattempo ero corso alla redazione di Piazza Rondanini.

Bisognava aggiornare l’archivio o schedario che aveva creato il Direttore nel corso degli anni, poi di corsa alla Camera o al Senato a reperire notizie e a svolgere la mia attività parallela di “portaborse” per un deputato liberale, con annessa pratica forense e attività di studio pomeridiana.

Concludevo la giornata alle 19,00 con la riunione serale a casa del Direttore, con la Signora Luciana che ci guardava in cagnesco, per preparare la scaletta del giorno dopo per l’agenzia di stampa Cronache della Disinformazione, altra sua creatura con sede in Via Taro diretta da Giorgio Capuano, un grande uomo prima che giornalista acuto ed irriverente.

L’ironia e l’autoironia sono caratteristiche che ho affinato in quegli anni. Conservo indelebili ricordi, delle battute che scambiavo con quel “Nonno Burbero” con l’incedere claudicante.

Proverbiale la sera del 24 aprile del 1993, nel congedarmi dissi: “Buona serata Direttore ci vediamo domani mattina per completare il lavoro della bibliografia del libro”. Tedeschi mi guardò negli occhi e rispose:” Domani non festeggi?” ed io con faccia interrogativa, già da avvocato consumato, risposi: “Perché è festa?”. La risposta lapidaria del Direttore: “Sei proprio un figlio de mignotta … salvando mamma”. L’indomani ero lì.

Mario Tedeschi era un grande artigiano del giornalismo, non concepiva e non avrebbe mai tollerato le strutture faraoniche del giornale-industria di oggi. Il Direttore mi insegnò a lavorare e ragionare con la propria testa senza avere preconcetti e verificare sempre le fonti.

Strano a dirsi ma ho respirato molta più libertà nell’esprimere le mie idee al Borghese che in altre sedi con il marchio “libertario”.

Borghese

Negli anni 1990-1993 ho accumulato una esperienza che mi ha permesso di saper stare davanti ad un Presidente della Repubblica e magari nella stessa giornata davanti ad un criminale indefesso.

Quando improvvisamente morì Tedeschi, nel novembre del 1993, piansi come un bambino. Quelle lacrime erano il senso di un’amicizia profonda e sincera e il dolore per la perdita di una guida.

Abbandonai il giornalismo e mi dedicai alla professione di avvocato, dopo aver superato l’esame a Roma nel 1994.

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

Il mio dura tuttora, né più mi occorrono

le coincidenze, le prenotazioni,

le trappole, gli scorni di chi crede

che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio

non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.

Con te le ho scese perché sapevo che di noi due

le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,

erano le tue. 

(Eugenio Montale)