x

x

Gli ordini sono ordini! Sempre?

Condanne di appartenenti alle guardie confinarie della DDR e di membri del Consiglio Nazionale di Difesa della DDR – Corte costituzionale della RFT – Rigetto dei ricorsi
ordini
ordini

Gli ordini sono ordini! Sempre? Condanne di appartenenti alle guardie confinarie della DDR e di membri del Consiglio Nazionale di Difesa della DDR – Corte costituzionale della RFT – Rigetto dei ricorsi

Abstract: Oltre alle guardie confinarie (“Volkspolizei”) – che, in base a un ordine, sparano su chi tenta di passare il confine di Stato, ordine palesemente illegittimo e di cui le guardie dovevano/potevano rendersi conto – sono  penalmente responsabili, quali “mittelbare Täter”, anche coloro, che avevano deliberato l’ordine di usare le armi contro i fuggiaschi?
 

Introduzione e principio di non retroattività

I ricorrenti erano stati condannati – dopo la “fine” della DDR – dalla giurisdizione della RFT, in quanto, membri del Consiglio di Difesa, che avevano emanato l’ordine dell’uso delle armi nei confronti di civili che fuggivano dalla DDR, rispettivamente, perchè avevano, in qualità di militari (Guardie confinarie - “Volkspolizei”), aperto il fuoco, con armi automatiche, contro “Flüchtlinge”, uccidendoli oppure ferendoli in modo grave, per cui, successivamente, decedevano.

Proposto ricorso dinanzi al Bundesverfassungsgericht (BVerfGE) di Karlsruhe, i condannati avevano motivato le loro “Verfassungsbeschwerden”, asserendo che i giudici della RFT avrebbero violato il     “Rückwirkungsverbot” (divieto di retroattività) sancito dall’art. 103, comma 2, della Costituzione federale (GG) e negato, che i ricorrenti, potessero invocare un “Rechtfertigungsgrund” (causa di giustificazione) per il loro operato.

È ben vero, ha osservato la Corte costituzionale federale, che il divieto di retroattività inerisce allo Stato di diritto e ai diritti fondamentali della persona, consentendo una condanna soltanto qualora, al momento della commissione del fatto, la “Tat” era (già) prevista come reato; inoltre, questo divieto fa sí, che non può essere comminata una pena più grave rispetto a quella prevista  “zum Tatzeitpunkt” (al momento del fatto).

Le scriminanti trovano applicazione in ogni caso, anche se sono stati violati – in modo gravissimo – principi sanciti dal diritto internazionale e universalmente riconosciuti?

Si è richiamata, la Corte costituzionale federale, a una sentenza del BGH (Corte Suprema della RFT), che ha statuito, che cause di giustificazione, non possono essere invocate da persone, che hanno ucciso persone colpevoli soltanto di voler lasciare – inermi, con gravi rischi per la propria incolumità e  senza mettere in pericolo, in alcun modo, beni giuridici altrui – la DDR.

Ha osservato, la Corte costituzionale federale, che il divieto di retroattività(“Rückwirkungsverbot”) ha una  “grundrechtliche Gewährungsfunktion” (garanzia costituzionale) e consente al cittadino di poter “confidare” nella legge penale, se emanata dal legislatore che, nella propria attività/funzione osserva i “Grundrechte”. Non è, però, possibile ritenere esistente la predetta “Vertrauensgrundlage”, se il legislatore statuisce, che la punibilità è esclusa per reati gravissimi (”schwerstes kriminelles Unrecht”) oppure per la violazione di diritti fondamentali, riconosciuti dalla comunità internazionale. In questi casi, il “Vertrauensschutz” (art. 103, comma 2, GG) deve venir meno e non può quindi essere invocato. Ha poi osservato, la Corte costituzionale federale, adita dai ricorrenti dopo la sentenza del BGH, che a essa non compete di esaminare, se le norme penali emanate dalla DDR sono state interpretate e applicate in modo adeguato.

I ricorrenti, investiti di cariche apicali o comunque elevate nell’ambito dell’esecutivo della DDR, hanno dedotto, che non sarebbe stata rispettata l’immunità - un principio di diritto internazionale, che perdura anche dopo la “fine” della DDR.

Secondo il Bundesverfassungsgericht, non c’è dubbio, che la DDR fosse uno Stato e, come tale, “Völkerrechtssubiekt“ (soggetto di diritto internazionale), per cui, con riferimento a questo Stato, possono ritenersi applicabili le regole comuni di diritto internazionale, di cui all art. 25 della Costituzione federale (vedasi BVerfGE 36, 1, 23f); regole, che vengono “integrate” da principi propri del diritto consuetudinario.
 

“Völkerrechtsgewohnheitsrecht” e Convenzioni internazionali

L’esistenza di un ”universellen Völkerrechtsgewohnheitsrecht”, non postula, che i relativi principi vengano riconosciuti espressamente da tutti gli Stati o “fatti propri”, per facta concludentia, dagli stessi. Tuttavia, norme di diritto consuetudinario internazionale (“Völkerrechtsgewohnheitsrecht”), devono essere caratterizzate dal fatto, che vengono,  comunemente – e con costanza – osservate da molti Stati, con la “convinzione”, che si tratta di un comportamento dovuto (BVerfGE 92, 277, 320). Come aveva (già) scritto Platone (Nomoi): “È la legge, che deve “imperare” sulle persone, non le persone sulla legge”.

Con riferimento all’immunità, alla quale i ricorrenti, che ricoprivano alte cariche nell’esecutivo della DDR, si sono richiamati, la dottrina dominante è orientata nel senso, che l’immunità ”überdauert die Existenz des Staates nicht”; in altre parole, la stessa si estingue con l’estinzione della personalità dello Stato, vale a dire, nel caso de quo, della DDR (BVerfGE15, 25, 34 f).

Di conseguenza, non è fondata la tesi, secondo la quale vi sarebbe stata violazione dell’art. 25 GG della RFT, in quanto, il procedimento penale instaurato contro i ricorrenti, avrebbe violato la sovranità della DDR quale soggetto di diritto internazionale.

Anche dal trattato di data 31.8.90, stipulato tra la RFT e la DDR (cosiddetto Einigungsvertrag), non risulta, che l’operato di persone, che ricoprivano cariche apicali nella DDR, sarebbero esenti da “Strafverfolgung”.

Per quanto concerne l’assunto, secondo il quale sarebbe stato violato l’art. 103, comma 2, GG, perchè i ricorrenti sono stati condannati in applicazione di norme emanate dalla RFT, il BVerfGE ha osservato, che l’art. 103, comma 2, GG, è espressione del principio dello Stato di diritto e dei diritti di libertà; vincola lo Stato alla legge. Il citato articolo va letto in relazione all’art. 1, comma 1, e all’art. 2, comma 1 della Costituzione federale, norme, che tutelano la dignità e l’ ”Eigenverantwortlichkeit” (autoresponsabilità) delle persone, che il legislatore penale deve rispettare (BVerfGE 20, 323, 331).


Obbligo dell’uso di armi contro civili

Imporre l’obbligo dell’uso delle armi nonchè l’esecuzione di quest’ordine alle guardie di confine (“Volkspolizei”), costituisce una violazione talmente grave di valori (riconosciuti universalmente dalla comunità internazionale) e della dignità delle persone, che, in questo caso, “muss… das positive Recht der Gerechtigkeit weichen” (il diritto positivo deve cedere il passo alla Giustizia). Sembra, che nella DDR “um Recht zu schaffen, brauchte man nicht Recht zu haben” (G. Agamben).

Le leggi della DDR, non erano state emanate da un legislatore con osservanza dei diritti fondamentali propri di un ordinamento democratico. “Im Bereich schwersten kriminellen Unrechts” (ascrivibile al legislatore, che ha contravvenuto ai principi fondamentali in materia di diritti della persona), non può trovare applicazione il “Vertrauensschutz” (tutela dell’affidamento), di cui all’art. 103, comma 2, GG. Il regime della DDR, aveva imposto l’uso delle armi contro chi - inerme e a rischio della propria vita – tentava di superare la zona di confine, “fortificata” anche con mine antiuomo e filo spinato.

L’uso delle armi nei confronti di “Flüchtlinge”, era palesemente in contrasto anche con il principio di proporzionalità(“Verhältnismäßigkeitsprinzip”). Significativo, in proposito, era l’ordine, impartito ai reparti della “Volkspolizei”, che chiunque avesse tentato di oltrepassare il confine, doveva essere “vernichtet” (annientato), qualora la fuga non potesse essere impedita in altro modo. Pare che i politicanti della DDR non abbiano letto (bene) C. F. von Savigny: “Das Recht hat kein Dasein für sich, sein Wesen vielmehr ist das Leben der Menschen selbst, von einer besonderen Seite angesehen“.

 Subordinare il diritto di vita delle persone agli “interessi” dello Stato, costituiva “schwerstes Unrecht”.
 

Palese illegittimità dell’ordine di far fuoco contro fuggiaschi

Per quanto concerne in particolare l’avvenuta condanna, da parte di giudici della RFT, della guardia confinaria, in questa “Verurteilung”, non è ravvisabile violazione del principio (desumibile dalla Costituzione federale): “Nulla poena sine colpa”. I giudici, fondatamente, hanno escluso, che la guardia confinaria (“Volkspolizist”) potesse invocare, quale causa di giustificazione, di aver (semplicemente) eseguito un ordine. L’illegittimità dell’ordine di usare le armi contro chi – inerme – stava fuggendo dalla DDR, era palese. Anche il singolo “Volkspolizist”, nonostante l’indottrinamento ricevuto, sarebbe stato in grado di capire, che l’uso delle armi contro fuggiaschi, doveva costituire una grave violazione dei diritti fondamentali della persona. L’uccisione di un “Flüchtling” inerme, con un’arma automatica (“Dauerfeuer”), costituiva uno “schrekliches und jeder Rechtfertigung entzogenes Unrecht” (un’azione terrificante e insuscettibile di qualsiasi giustificazione). Tornano alla mente le parole di Montesquieu – Lettere persiane: “Comandi e obbedisci loro: esegui ciecamente tutte le loro volontà……È per te una gloria, rendere loro i più umili servizi”.

Anche per persone indottrinate, era, non soltanto “erkennbar”, ma anche “offensichtlich” (“evidente”), che stavano contravvenendo al divieto di uccidere e al principio di proporzionalità. L’ordine di “far fuoco – senza preavviso – su chiunque tenti di varcare la frontiera”, era in vigore, sia pure tanti anni fa, anche in un altro Stato europeo.

Tre dei ricorrenti dinanzi alla Corte costituzionale federale, dopo che la Corte costituzionale federale aveva rigettato le loro “Verfassungsbeschwerden”,  si erano poi rivolti alla Corte EDU, deducendo la violazione di norme contenute nella CEDU.

Motivavano, i ricorrenti, dinanzi alla Corte EDU, i loro ricorsi, come segue.

I fatti, per i quali erano stati condannati dalla giurisdizione della RFT, all’epoca in cui erano stati commessi, non erano, nè punibili secondo le leggi della DDR, nè in base al diritto internazionale.

Anche l’interpretazione del diritto della DDR e di convenzioni internazionali, da parte di giudici della RFT, non erano “in linea” con la giurisprudenza dei DDR-Gerichte. Per quanto riguardava la “sorveglianza” del confine, la responsabilità doveva essere attribuita esclusivamente allo Stato della DDR.

Le condanne emesse dalla giurisdizione della RFT, costituivano violazione dell’art. 7, comma 1 e  degli artt. 1 nonchè 2, comma 2, della CEDU.


Ricorsi alla Corte EDU - Rigetto

Ha osservato, la Corte EDU, che l’ammissibilità dei ricorsi era fuor di ogni dubbio, per cui non si è dilungata su questo punto.

Con riferimento all’asserita violazione dell’art. 7, comma 1, CEDU, la Corte EDU, preliminarmente, ha ritenuto di esaminare 1) se i ricorrenti, nella loro qualità di dirigenti politici della DDR, avessero partecipato alle decisioni per effetto delle quali era stato mantenuto l’ordine di sparare sui fuggitivi e se, di conseguenza - in quanto responsabili della morte di persone che stavano fuggendo dalla DDR - fossero stati condannati fondatamente poi da giudici della RFT; 2) se, all’epoca dei fatti, essi erano punibili secondo il diritto della DDR o quanto da essi perpetrato, costituiva violazione del diritto internazionale; 3) se  vi è stata una “nachträgliche Uminterpretation” di norme della DDR e se vi è stata violazione dell’art. 7, comma 1, CEDU; 4) se i condannati dalla giurisdizione della RFT, si fossero resi conto della punibilità(“war erkennbar”) e se la stessa fosse stata prevedibile (“vorsehbar”).

Ha osservato, la Corte EDU, che l’art. 7, nell’ambito delle garanzie previste dalla CEDU, riveste particolare importanza sotto il profilo della “Rechtsstaatlichkeit”. Contiene, il testè citato articolo, oltre al divieto di retroattività delle leggi penali, anche il principio, che fattispecie di  reato devono essere introdotte soltanto per effetto di una legge e il principio, secondo il quale, è vietata l’interpretazione della legge penale in via analogica. Rispetto e tutela della dignità e della libertà, costituiscono obbligo per tutti gli organi dello Stato, della comunità e di ogni cittadino.


Fatti punibili anche secondo la normativa allora vigente nella DDR

All’epoca dei fatti, per i quali i ricorrenti, dinanzi a giudici della RFT, erano stati condannati, erano punibili secondo la legislazione della DDR (§§ 112 e 213 CP della DDR in relazione all’art. 22, comma 2, CP della DDR).

L’art. 19, comma 2, della Costituzione della DDR, era del seguente tenore: “Rispetto e tutela della dignità e della libertà, costituiscono obbligo per tutti gli organi dello Stato, della comunità e di ogni cittadino.

L’art. 30, comma 1, della Costituzione della DDR, ha sancito la tutela della vita e dell’integrità fisica della persona come segue: “La personalità e la libertà di ogni cittadino della DDR, sono “unantastbar” (inviolabili). Limitazioni sono consentite soltanto quale conseguenza della commissione di un reato o per esigenze di carattere sanitario; possono essere imposte soltanto per effetto di una legge e se ciò è indispensabile.

I ricorrenti, nei procedimenti svoltisi dinanzi alla giurisdizione della RFT, hanno “giustificato” il loro operato, richiamandosi all’art. 17, comma 2, del “Volksplolizeigesetz” (Legge sulla “Volkspolizei”) e all § 27, comma 2, del “Grenzgesetz” della DDR. Sulla base di queste norme, non avrebbero e non avevano subito, nella DDR, procedimento penale.

Ha osservato la Corte EDU, che l’uso di armi era peraltro previsto unicamente quale “äußerste Maßnahme” e il ricorso alle stesse – per quanto possibile – doveva essere evitato nei confronti di persone giovani e senza mettere in pericolo la vita di queste.

Le norme ora elencate, secondo la Corte EDU, devono essere interpretate alla luce dei principi contenuti nella Costituzione.


Non violati gli artt. 7, 2, 1 e 14 della CEDU

L’interpretazione delle norme concernenti le cause di giustificazione da parte di giudici della RFT e la decisione di non riconoscere le stesse ai ricorrenti, non è “censurabile” secondo la Corte EDU.

L’uccisione di persone inermi, in prevalenza molto giovani, che non costituivano pericolo per nessuno e che volevano soltanto lasciare il territorio della DDR, era, già all’epoca dei fatti, con-                        traria alle leggi della DDR, in quanto contrastante con l’obbligo di tutelare la vita (“Lebensschutz”) e con il principio di proporzionalità.

I ricorrenti non potevano – fondatamente – richiamarsi alla prassi seguita nella DDR in quanto il diritto alla vita, già all’epoca dei fatti, era – nel diritto costituzionale della DDR - l’”höchstes Rechtsgut” (bene giuridico supremo); figurava, altresí, al primo posto nella ”Werteskala” (scala dei valori) dei diritti fondamentali riconosciuti dal diritto internazionale. L’ordine imposto alle guardie di confine dagli stessi (3) ricorrenti, “Grenzverletzer zu vernichten und die Grenze unter allen Umständen zu sichern”, costituiva una grave e palese violazione degli articoli 19 e 20 della Costituzione della DDR.

Con riferimento alla tesi difensiva dei ricorrenti, secondo la quale, responsabili delle uccisioni al confine, non sarebbero essi ricorrenti (quali persone), ma la DDR quale Stato, la Corte EDU ha rilevato, che tre dei ricorrenti avevano  ricoperto alte cariche nello Stato (Cons. Naz. di Difesa e Cons. di Stato). La “discrepanza” tra il diritto vigente nella DDR e la “prassi”, deve essere ascritto           proprio ai ricorrenti. L’ordine di sparare sui fuggiaschi, era stato deliberato dal Cons. Naz. di “Difesa e dal Cons. di Stato.

I ricorrenti, anche per le cariche rivestite, conoscevano o avrebbero dovuto conoscere la Costituzione e le leggi della DDR nonchè gli obblighi assunti in sede internazionale; la loro responsabilità penale, è desumibile pure dal § 95 del codice penale della DDR.

Con riferimento all’assunto difensivo dei condannati, secondo il quale essi non erano stati sottoposti a procedimento penale nella DDR e che da ciò sarebbe desumibile, che quanto da loro commesso, non costituirebbe reato, la Corte EDU ha osservato, che una tesi del genere, non è accoglibile.

L’interpretazione e l’applicazione – di norme della DDR da parte di giudici della RFT -  non può considerarsi “willkürlich” (arbitrario); i fatti, per i quali i ricorrenti erano stati condannati da giudici della RFT, erano punibili secondo “DDR-Recht” (diritto della DDR). La responsabilità penale dei ricorrenti era “vorsehbar” (prevedibile) und “erkennbar” (conoscibile). Sono responsabili per gli omicidi anche individualmente e non è ravvisabile violazione dell’art. 7, comma 1, CEDU, al quale si sono richiamati i ricorrenti. La “prassi” seguita nella DDR, non può essere considerata “diritto” ai sensi dell’art. 7 CEDU.

La tutela della vita è stata oggetto di tante Convenzioni internazionali e quanto ascritto ai ricorrenti, era punibile anche secondo il diritto internazionale.

Il diritto alla vita è tutelato pure dall’art. 2 CEDU.

Non è ravvisabile nessuna delle ipotesi (art. 2, comma 2, CEDU) secondo la quale ci sarebbe stata l’esigenza assoluta di ricorrere alla forza.

L’uccisione di fuggiaschi costituiva una violazione del diritto alla vita, diritto riconosciuto all’epoca dei fatti dalla DDR, a seguito delle Convenzioni internazionali firmate e ratificate.

L’ordine di sparare sui fuggiaschi, costituiva (anche) violazione del diritto “auf Freizügigkeit”, sancito dal Protocollo addizionale CEDU (art. 2, comma 2). Impedire a quasi tutti gli abitanti della DDR, di lasciare il territorio dello Stato, non era stato necessario per la tutela della sicurezza dello Stato o di altri interessi (dello Stato).

A proposito della responsabilità personale dei ricorrenti per l’ordine all’uso delle armi e per la posa di mine antiuomo, la Corte EDU ha osservato, che ciò era non soltanto contrario alla Costituzione della DDR, ma anche al diritto internazionale. È ben vero, che questo Stato, è responsabile di quanto avvenuto sul proprio territorio, ma anche i suoi organi sono responsabili a titolo personale.

I ricorrenti hanno sostenuto, che la decisione della Corte costituzionale federale, contrasterebbe con l’art. 1 CEDU in quanto essi, cittadini della DDR, non godrebbero tutela con riferimento al divieto di retroattività. La giurisprudenza dei supremi organi della RFT, avrebbe “instaurato” un sistema discriminatorio, che farebbe sí, che essi ricorrenti, già cittadini della DDR e ora “Bürger“ della RFT, sarebbero stati privati del diritto sancito dall’art. 7 CEDU.

Ha negato, la Corte EDU, che vi sarebbe stata violazione del divieto di discriminazione ai danni dei ricorrenti, perchè i principi applicati dalla Corte costituzionale federale, sono “genereller Natur” (di natura generica) e trovano applicazione (anche) per persone, che non erano cittadini della DDR. Pertanto, non vi è stata discriminazione di cui all’art. 14 in relazione all’art. 7 CEDU.

La Corte EDU ha quindi rigettato – a unanimità - i ricorsi proposti da coloro (inclusi politici con funzioni apicali), che si erano resi responsabili di un vero e proprio “Systemunrecht” e ha ribadito, che uno Stato democratico (nel caso in esame la RFT), quale Stato successore della DDR, è legittimato a perseguire i reati commessi nella DDR e a condannarne gli autori.

Ha statuito la Corte EDU, che le sentenze emanate (da giudici della RFT) erano conformi ai principi sanciti dalla CEDU e avevano lo scopo di assicurare “Rechtssicherheit”.

I giudici della RFT non hanno fatto altro, che affermare, che uno Stato democratico, ha il diritto di interpretare norme emanate da uno Stato dittatoriale secondo principi propri di uno Stato di diritto.