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I prezzi predatori come forma patologica dell’abbassamento dei prezzi

1. L’abbassamento dei prezzi come miglioramento dell’efficienza allocativa ed incremento dell’efficienza produttiva

Adam Smith vedeva nell’abbassamento dei prezzi, “il più nobile effetto del processo concorrenziale” .

Secondo l’economista scozzese, infatti, mentre da un lato il prezzo del monopolio è da considerarsi come “il più alto che possa essere ottenuto”, dall’altro, il prezzo naturale o della libera concorrenza, è definibile come il più basso che “i venditori possono comunemente permettersi di tenere, continuando costantemente nella propria attività”

Da un punto di vista meramente teorico, l’abbassamento dei prezzi in un dato mercato può essere determinato da due diversi fattori.

Nel primo caso, la discesa dei prezzi può essere determinata da cause di tipo “allocativo”; ciò si verifica quando un dato mercato risulti interessato dal continuo ingresso di nuove imprese e dal conseguente aumento della concorrenza effettiva.

Nel caso di specie, si assiste al raggiungimento di un punto astratto di equilibrio che può essere quello in cui

- il prezzo eguaglia il costo marginale

- il prezzo diventa “sostenibile”

In entrambi i casi, l’efficienza allocativa delle risorse è massima.

Nel secondo caso, invece, la caduta dei prezzi risulta essere direttamente proporzionale al miglioramento delle strutture produttive dell’azienda; basti pensare, a mero titolo esemplificativo, all’ammodernamento degli impianti, all’applicazione di nuove tecnologie, alla formazione dei propri dipendenti ecc ecc. Chiaramente, questo tipo di efficienza produttiva può avere, quale conseguenza diretta, un cambiamento notevole dei rapporti di forza tra le imprese concorrenti, mettendo alcune di esse in condizione di prevalere sulle altre. Si assiste, in pratica, ad una sorta di “selezione naturale” in cui le imprese più arretrate da un punto vista tecnologico sono costrette a soccombere nel confronto con le imprese concorrenti che, al contrario, investo in modernità.

2. I prezzi predatori come forma patologica dell’abbassamento dei prezzi

La caduta dei prezzi in un dato mercato non trova fondamento solamente nell’ingresso di nuove imprese o nei maggiori investimenti volti all’ammodernamento degli impianti: talvolta, l’abbassamento dei prezzi posto in essere da un’impresa dominante sul mercato, ha come scopo unico quello di “eliminare” i concorrenti dal mercato.

La fattispecie dei prezzi predatori rappresenta, infatti, una tipica condotta abusiva escludente.

Si è in presenza di predatori pricing quando un’impresa detentrice di una posizione dominante sul mercato, ponga in essere una strategia di vendita “sottocosto” non giustificata da ragioni di efficienza economica; essa viene posta in essere in attuazione di un disegno deliberatamente teso ad escludere dal mercato i concorrenti più deboli, privi di risorse finanziare adeguate per sopportare una prolungata e pregiudizievole “guerra dei prezzi”.

L’accertamento della summenzionata condotta abusiva dipende dal riscontro di alcune caratteristiche del mercato e dell’impresa che pone in essere la pratica escludente:

- significative barriere all’ingresso

- disponibilità in capo all’impresa dominante di risorse finanziare ingenti

- capacità produttive sufficienti a soddisfare l’intera domanda una volta che i concorrenti siano stati estromessi dal mercato

Ciò premesso, ai fini dell’accertamento della pratica anti-concorrenziale, risulta necessario definire un parametro di costi al di sotto dei quali il prezzo può essere definito come predatorio.

La letteratura economica in materia definisce i prezzi predatori come quei prezzi praticati al di sotto dei costi marginali: ne consegue che, ogni vendita effettuata a tale prezzo costituisce una vendita in perdita e, come, tale, priva di giustificazione economica.

3. Il criterio Areeda- Turner

La più nota tecnica di individuazione dei prezzi predatori è il cosiddetto “criterio di Areeda e Turner”, dal nome degli studiosi che lo hanno elaborato.

Il criterio di Areeda e Turner si basa su due presupposti fondamentali:

- il diritto antitrust deve mirare a colpire solo ed esclusivamente le politiche di prezzo con intenti escludenti

- l’atteggiamento per l’individuazione dei prezzi predatori deve essere assolutamente prudenziale per evitare di confondere la libera concorrenza con la messa in pratica di condotte abusive.

Partendo da tale premessa metodologica, Areeda e Turner concentrano la loro analisi su due tipi di costo differenti, il costo medio e il costo marginale, definendo predatori solo i prezzi inferiori alla seconda misura di costo. In tale ultima ipotesi, infatti, l’impresa produrrebbe “in perdita” in quanto i costi sostenuti per la produzione di un dato bene risulterebbero inferiori al valore assegnato al bene medesimo.

In altre parole, quando un’impresa scende sotto il prezzo che un mercato perfettamente concorrenziale le imporrebbe, si concreta un a condotta abusiva volta ad eliminare i concorrenti più deboli dal mercato.

4. Il caso AKZO

La Corte di Giustizia ha chiarito per la prima volta la nozione di prezzo predatorio nella nota sentenza AKZO.

Alla fine degli anni settanta in Irlanda e in Inghilterra, il mercato degli additivi per farina alimentare era caratterizzato dalla presenza di due grosse aziende chimiche: la AKZO UK e la ECS.

ECS era un piccolo produttore inglese di sostanza chimiche che venivano utilizzate sia nel mercato della farina alimentare, sia nel processo di produzione dei polimeri.

AKZO era, invece, un’industria chimica multinazionale, dominante in entrambi i mercati summenzionati.

Fino al 1789 la AKZO agiva sostanzialmente da price leader mentre ECS seguiva gli aumenti mantenendo i prezzi piu bassi del 10% rispetto alla rivale. Da quella data in poi, ECS che fino ad allora aveva acquistato il perossido di benzoile (polimero utilizzato come additivo per farina) da AKZO, cominciò a produrlo in proprio e a venderlo direttamente alla BASF (uno dei principali clienti di AKZO), a prezzi piu bassi del 15-20% rispetto alla concorrente.

Di fronte al tentativo di ECS di mutare tali equilibri precostituiti, insediando la propria posizione dominante, AKZO minacciò di eliminare ECS dal mercato a meno che quest’ultima non decidesse di ritirarsi definitivamente dal mercato dei polimeri.

A questo scopo, AKZO mise in atto una politica di sconti “anormalmente bassi” a tutti i clienti di ECS fino al 1983. Le grandi dimensioni di AKZO nonché le ampie soglie di fatturato di quest’ultima, le consentirono, infatti, di intraprendere una vera e propria guerra dei prezzi con ECS che, non potendo disporre delle risorse finanziare della grande multinazionale, non aveva altra scelta se non quella di rivolgersi alla Commissione Europea.

5. La bocciatura del test di Areeda Turner nel caso AKZO

Il 14 Dicembre 1985 la Commissione Europea condannava AKZO per l’abuso di posizione dominante concretatosi nel comportamento escludente nei confronti della rivale (609/85).

Le difese di AKZO si basavano su un duplice assunto:

- i prezzi praticati erano superiori ai costi variabili e quindi superavano il test di Areeda e Turner

- non si può parlare di “abusiva” riduzione dei prezzi in presenza di “massimizzazione dei profitti” anche se questo danneggia l’attività di un concorrente

Nella succitata decisione, la Commissione, respinse entrambe le eccezioni sollevate da AKZO.

In relazione alla prima:

Per contrastare il primo punto della difesa di AKZO, la Commissione fa riferimento al test di Areeda e Turner, sottolineando come il criterio posto alla base di tale test, sia “centrato su una nozione statica e breve periodo dell’efficienza” e, pertanto, non “tiene conto degli obiettivi generali delle regole comunitarie di concorrenza sancite dall’articolo 3, lett f del Trattato.”

In relazione alla seconda:

La Commissione non ritiene di individuare i prezzi predatori in tutti i prezzi “irrazionali”, indipendentemente dal tentativo di eliminazione dei rivali.

Per la Commissione, infatti, alla luce del caso AKZO, sono da definirsi predatori tutti quei prezzi che, in un’ottica di lungo periodo, frustano le aspettative dei concorrenti mirando all’esclusione di questi ultimi, non sulla base di una maggiore efficienza produttiva ma in forza del loro potere di mercato.

6. La sentenza della Corte di Giustizia

Con la sentenza c.95,71 del e Luglio 1991, la Corte di Giustizia ha definito, per la prima volta, i criteri per la determinazione della definitone di predatorietà dei prezzi. In particolare, (i) se un’impresa dominante fissa i prezzi al di sotto dei costi medi variabili, si assiste ad una presunzione di predatorietà in quanto tale strategia non è giustificata da ragioni di efficienza economica ma si caratterizza per un mero intento escludente, (ii) se fissa i prezzi ad un livello compreso fra i costi medi variabili ed i costi medi totali, è colpevole solo se sussistono ulteriori elementi volti a dimostrare l’esistenza di un “disegno escludente”, (iii) se fissa il prezzo al di sopra dei costi medi totali, non si parla di prezzi predatori.

Riassumendo:

Prezzi al di sotto dei costi medi variabili Quasi certamente indicativi di prezzi predatori

Prezzi al di sopra dei costi medi variabili ma al di sotto dei costi medi totali Non sono un indizio di predatorietà dei prezzi a meno che il prezzo non sia una variabile strategia per eliminare al concorrenza

Prezzi al di sopra dei costi medi totali Generalmente sono ritenuti come non predatori

7. I prezzi predatori secondo l’AGCM: il caso Tekal/Italcementi

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avuto modo di occuparsi, per la prima volta, del concetto di predatorietà dei prezzi esaminando il caso Tekal/Italcementi.

All’epoca dei fatti, Italcementi era il più importante produttore di cemento in Italia ed in Europa nonché una società attiva nel mercato del calcestruzzo preconfezionato.

Tuttavia, nell’anno 1993, gli equilibri di mercato fino ad allora vigenti, iniziarono a mutare a causa dell’ingresso di imprese concorrenti provenienti da Grecia ed ex Jugloslavia.

Nonostante i mutati scenari di mercato, Italcementi non abbassò immediatamente i prezzi, preferendo investire nell’acquisto di nuovi impianti per la produzione del cemento.

Solo successivamente l’impresa italiana iniziò a mettere in atto una vera e propria guerra dei prezzai, vendendo i suoi prodotti al di sotto dei costi variabili ( e raddoppiando in pochissimo tempo la propria quota di mercato).

Nell’esaminare il caso in questione, l’AGCM si trovava, dunque, di fronte la situazione di un’impresa che

- praticava prezzi inferiori ai costi variabili,

- aveva rafforzato la propria dominanza in pochissimo tempo,

- il comportamento dell’azienda lasciava intendere un chiaro fine predatorio.

Secondo l’AGCM, i comportamenti tenuti da Italcementi, con particolare riferimento alla vendita di calcestruzzo a prezzi inferiori ai costi variabili, anche attraverso la pratica delle vendite c.d. a bocca d’impianto - ed all’applicazione del sistema di sconti previsto nei contratti di fornitura conclusi con la società TEKAL costituivano abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 3, lettera b), della legge n. 287/90 e per tale ragione, ha imposto alla Italcementi , la sanzione amministrativa pecuniaria di 3 miliardi e 750 milioni di lire.

1. L’abbassamento dei prezzi come miglioramento dell’efficienza allocativa ed incremento dell’efficienza produttiva

Adam Smith vedeva nell’abbassamento dei prezzi, “il più nobile effetto del processo concorrenziale” .

Secondo l’economista scozzese, infatti, mentre da un lato il prezzo del monopolio è da considerarsi come “il più alto che possa essere ottenuto”, dall’altro, il prezzo naturale o della libera concorrenza, è definibile come il più basso che “i venditori possono comunemente permettersi di tenere, continuando costantemente nella propria attività”

Da un punto di vista meramente teorico, l’abbassamento dei prezzi in un dato mercato può essere determinato da due diversi fattori.

Nel primo caso, la discesa dei prezzi può essere determinata da cause di tipo “allocativo”; ciò si verifica quando un dato mercato risulti interessato dal continuo ingresso di nuove imprese e dal conseguente aumento della concorrenza effettiva.

Nel caso di specie, si assiste al raggiungimento di un punto astratto di equilibrio che può essere quello in cui

- il prezzo eguaglia il costo marginale

- il prezzo diventa “sostenibile”

In entrambi i casi, l’efficienza allocativa delle risorse è massima.

Nel secondo caso, invece, la caduta dei prezzi risulta essere direttamente proporzionale al miglioramento delle strutture produttive dell’azienda; basti pensare, a mero titolo esemplificativo, all’ammodernamento degli impianti, all’applicazione di nuove tecnologie, alla formazione dei propri dipendenti ecc ecc. Chiaramente, questo tipo di efficienza produttiva può avere, quale conseguenza diretta, un cambiamento notevole dei rapporti di forza tra le imprese concorrenti, mettendo alcune di esse in condizione di prevalere sulle altre. Si assiste, in pratica, ad una sorta di “selezione naturale” in cui le imprese più arretrate da un punto vista tecnologico sono costrette a soccombere nel confronto con le imprese concorrenti che, al contrario, investo in modernità.

2. I prezzi predatori come forma patologica dell’abbassamento dei prezzi

La caduta dei prezzi in un dato mercato non trova fondamento solamente nell’ingresso di nuove imprese o nei maggiori investimenti volti all’ammodernamento degli impianti: talvolta, l’abbassamento dei prezzi posto in essere da un’impresa dominante sul mercato, ha come scopo unico quello di “eliminare” i concorrenti dal mercato.

La fattispecie dei prezzi predatori rappresenta, infatti, una tipica condotta abusiva escludente.

Si è in presenza di predatori pricing quando un’impresa detentrice di una posizione dominante sul mercato, ponga in essere una strategia di vendita “sottocosto” non giustificata da ragioni di efficienza economica; essa viene posta in essere in attuazione di un disegno deliberatamente teso ad escludere dal mercato i concorrenti più deboli, privi di risorse finanziare adeguate per sopportare una prolungata e pregiudizievole “guerra dei prezzi”.

L’accertamento della summenzionata condotta abusiva dipende dal riscontro di alcune caratteristiche del mercato e dell’impresa che pone in essere la pratica escludente:

- significative barriere all’ingresso

- disponibilità in capo all’impresa dominante di risorse finanziare ingenti

- capacità produttive sufficienti a soddisfare l’intera domanda una volta che i concorrenti siano stati estromessi dal mercato

Ciò premesso, ai fini dell’accertamento della pratica anti-concorrenziale, risulta necessario definire un parametro di costi al di sotto dei quali il prezzo può essere definito come predatorio.

La letteratura economica in materia definisce i prezzi predatori come quei prezzi praticati al di sotto dei costi marginali: ne consegue che, ogni vendita effettuata a tale prezzo costituisce una vendita in perdita e, come, tale, priva di giustificazione economica.

3. Il criterio Areeda- Turner

La più nota tecnica di individuazione dei prezzi predatori è il cosiddetto “criterio di Areeda e Turner”, dal nome degli studiosi che lo hanno elaborato.

Il criterio di Areeda e Turner si basa su due presupposti fondamentali:

- il diritto antitrust deve mirare a colpire solo ed esclusivamente le politiche di prezzo con intenti escludenti

- l’atteggiamento per l’individuazione dei prezzi predatori deve essere assolutamente prudenziale per evitare di confondere la libera concorrenza con la messa in pratica di condotte abusive.

Partendo da tale premessa metodologica, Areeda e Turner concentrano la loro analisi su due tipi di costo differenti, il costo medio e il costo marginale, definendo predatori solo i prezzi inferiori alla seconda misura di costo. In tale ultima ipotesi, infatti, l’impresa produrrebbe “in perdita” in quanto i costi sostenuti per la produzione di un dato bene risulterebbero inferiori al valore assegnato al bene medesimo.

In altre parole, quando un’impresa scende sotto il prezzo che un mercato perfettamente concorrenziale le imporrebbe, si concreta un a condotta abusiva volta ad eliminare i concorrenti più deboli dal mercato.

4. Il caso AKZO

La Corte di Giustizia ha chiarito per la prima volta la nozione di prezzo predatorio nella nota sentenza AKZO.

Alla fine degli anni settanta in Irlanda e in Inghilterra, il mercato degli additivi per farina alimentare era caratterizzato dalla presenza di due grosse aziende chimiche: la AKZO UK e la ECS.

ECS era un piccolo produttore inglese di sostanza chimiche che venivano utilizzate sia nel mercato della farina alimentare, sia nel processo di produzione dei polimeri.

AKZO era, invece, un’industria chimica multinazionale, dominante in entrambi i mercati summenzionati.

Fino al 1789 la AKZO agiva sostanzialmente da price leader mentre ECS seguiva gli aumenti mantenendo i prezzi piu bassi del 10% rispetto alla rivale. Da quella data in poi, ECS che fino ad allora aveva acquistato il perossido di benzoile (polimero utilizzato come additivo per farina) da AKZO, cominciò a produrlo in proprio e a venderlo direttamente alla BASF (uno dei principali clienti di AKZO), a prezzi piu bassi del 15-20% rispetto alla concorrente.

Di fronte al tentativo di ECS di mutare tali equilibri precostituiti, insediando la propria posizione dominante, AKZO minacciò di eliminare ECS dal mercato a meno che quest’ultima non decidesse di ritirarsi definitivamente dal mercato dei polimeri.

A questo scopo, AKZO mise in atto una politica di sconti “anormalmente bassi” a tutti i clienti di ECS fino al 1983. Le grandi dimensioni di AKZO nonché le ampie soglie di fatturato di quest’ultima, le consentirono, infatti, di intraprendere una vera e propria guerra dei prezzi con ECS che, non potendo disporre delle risorse finanziare della grande multinazionale, non aveva altra scelta se non quella di rivolgersi alla Commissione Europea.

5. La bocciatura del test di Areeda Turner nel caso AKZO

Il 14 Dicembre 1985 la Commissione Europea condannava AKZO per l’abuso di posizione dominante concretatosi nel comportamento escludente nei confronti della rivale (609/85).

Le difese di AKZO si basavano su un duplice assunto:

- i prezzi praticati erano superiori ai costi variabili e quindi superavano il test di Areeda e Turner

- non si può parlare di “abusiva” riduzione dei prezzi in presenza di “massimizzazione dei profitti” anche se questo danneggia l’attività di un concorrente

Nella succitata decisione, la Commissione, respinse entrambe le eccezioni sollevate da AKZO.

In relazione alla prima:

Per contrastare il primo punto della difesa di AKZO, la Commissione fa riferimento al test di Areeda e Turner, sottolineando come il criterio posto alla base di tale test, sia “centrato su una nozione statica e breve periodo dell’efficienza” e, pertanto, non “tiene conto degli obiettivi generali delle regole comunitarie di concorrenza sancite dall’articolo 3, lett f del Trattato.”

In relazione alla seconda:

La Commissione non ritiene di individuare i prezzi predatori in tutti i prezzi “irrazionali”, indipendentemente dal tentativo di eliminazione dei rivali.

Per la Commissione, infatti, alla luce del caso AKZO, sono da definirsi predatori tutti quei prezzi che, in un’ottica di lungo periodo, frustano le aspettative dei concorrenti mirando all’esclusione di questi ultimi, non sulla base di una maggiore efficienza produttiva ma in forza del loro potere di mercato.

6. La sentenza della Corte di Giustizia

Con la sentenza c.95,71 del e Luglio 1991, la Corte di Giustizia ha definito, per la prima volta, i criteri per la determinazione della definitone di predatorietà dei prezzi. In particolare, (i) se un’impresa dominante fissa i prezzi al di sotto dei costi medi variabili, si assiste ad una presunzione di predatorietà in quanto tale strategia non è giustificata da ragioni di efficienza economica ma si caratterizza per un mero intento escludente, (ii) se fissa i prezzi ad un livello compreso fra i costi medi variabili ed i costi medi totali, è colpevole solo se sussistono ulteriori elementi volti a dimostrare l’esistenza di un “disegno escludente”, (iii) se fissa il prezzo al di sopra dei costi medi totali, non si parla di prezzi predatori.

Riassumendo:

Prezzi al di sotto dei costi medi variabili Quasi certamente indicativi di prezzi predatori

Prezzi al di sopra dei costi medi variabili ma al di sotto dei costi medi totali Non sono un indizio di predatorietà dei prezzi a meno che il prezzo non sia una variabile strategia per eliminare al concorrenza

Prezzi al di sopra dei costi medi totali Generalmente sono ritenuti come non predatori

7. I prezzi predatori secondo l’AGCM: il caso Tekal/Italcementi

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avuto modo di occuparsi, per la prima volta, del concetto di predatorietà dei prezzi esaminando il caso Tekal/Italcementi.

All’epoca dei fatti, Italcementi era il più importante produttore di cemento in Italia ed in Europa nonché una società attiva nel mercato del calcestruzzo preconfezionato.

Tuttavia, nell’anno 1993, gli equilibri di mercato fino ad allora vigenti, iniziarono a mutare a causa dell’ingresso di imprese concorrenti provenienti da Grecia ed ex Jugloslavia.

Nonostante i mutati scenari di mercato, Italcementi non abbassò immediatamente i prezzi, preferendo investire nell’acquisto di nuovi impianti per la produzione del cemento.

Solo successivamente l’impresa italiana iniziò a mettere in atto una vera e propria guerra dei prezzai, vendendo i suoi prodotti al di sotto dei costi variabili ( e raddoppiando in pochissimo tempo la propria quota di mercato).

Nell’esaminare il caso in questione, l’AGCM si trovava, dunque, di fronte la situazione di un’impresa che

- praticava prezzi inferiori ai costi variabili,

- aveva rafforzato la propria dominanza in pochissimo tempo,

- il comportamento dell’azienda lasciava intendere un chiaro fine predatorio.

Secondo l’AGCM, i comportamenti tenuti da Italcementi, con particolare riferimento alla vendita di calcestruzzo a prezzi inferiori ai costi variabili, anche attraverso la pratica delle vendite c.d. a bocca d’impianto - ed all’applicazione del sistema di sconti previsto nei contratti di fornitura conclusi con la società TEKAL costituivano abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 3, lettera b), della legge n. 287/90 e per tale ragione, ha imposto alla Italcementi , la sanzione amministrativa pecuniaria di 3 miliardi e 750 milioni di lire.