Il "controverso" rapporto tra la disciplina 231 e i reati tributari
1. L’inserimento dei reati tributari nel catalogo dei reati-presupposto ex Decreto Legislativo n. 231/2001
1.1 Premessa: la disciplina del diritto penale tributario
Occorre osservare in via preliminare che l’impostazione di fondo delineata dal diritto penale tributario considera quali destinatari dei precetti penali esclusivamente le persone fisiche e contempla gli enti unicamente quali soggetti tenuti al pagamento delle sanzioni amministrative.
Nello specifico, l’articolo 7, Decreto Legge n. 269/2003, convertito dalla Legge n. 326/2003, prevede, infatti, che: “Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica”.
L’articolo 19, comma 2, del Decreto Legislativo n.74/2000 dispone altresì che: “permane, in ogni caso, la responsabilità per la sanzione amministrativa dei soggetti indicati nell‘articolo 11, comma 1, del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, che non siano persone fisiche concorrenti nel reato.”
L’articolo 11, comma 1, del Decreto Legislativo n. 472/1997, a sua volta, recita: “Nei casi in cui una violazione che abbia inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo è commessa dal dipendente o dal rappresentante legale o negoziale di una persona fisica nell‘adempimento del suo ufficio o del suo mandato ovvero dal dipendente o dal rappresentante o dall‘amministratore, anche di fatto, di società, associazioni o enti, con o senza personalità giuridica, nell‘esercizio delle sue funzioni o incombenze, la persona fisica, la società, l‘associazione o l‘ente nell‘interesse dei quali ha agito l‘autore della violazione sono obbligati al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata, salvo il diritto di regresso secondo le disposizioni vigenti.”
Pertanto, in base al contenuto delle suddette previsioni, la commissione di un illecito penale tributario nell‘ambito di contribuenti/persone giuridiche comporta l‘irrogazione, in capo all‘ente, delle sanzioni amministrative che deriverebbero dalla condotta illecita, in deroga all‘applicazione del principio di specialità, previsto dall’articolo 19, comma 1, del Decreto Legislativo n. 74/2000 che prevede: “Quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del Titolo II e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale.
1.2 Gli orientamenti seguiti in dottrina
Delineato il perimetro sanzionatorio del diritto penale tributario, in dottrina è acceso il dibattito sull’opportunità di includere i delitti di cui al Decreto Legislativo n. 74/2000 tra i reati presupposto della responsabilità degli enti ex Decreto Legislativo n. 231/2001.
Chi opta per la tesi negativa [1] espone le seguenti argomentazioni:
già a diritto vigente è possibile irrogare una sanzione tributaria all’ente ai sensi dell’articolo 19, comma 2, Decreto Legislativo n. 74/2000;
la non delegabilità degli obblighi tributari, logicamente e strutturalmente incompatibile con la disciplina dell’articolo 6 del Decreto Legislativo n.231/2001, incentrata sull’esistenza di direttive di comportamento ai soggetti apicali e sulla violazione fraudolenta dei relativi obblighi;
la pari afflittività del sistema tributario rispetto a quello penale;
la necessità di evitare una moltiplicazione delle sanzioni a carico dell’ente (sanzione penale per la persona fisica + sanzione tributaria per la persona giuridica + sanzione 231 per la persona giuridica);
la possibilità di procedere comunque alla confisca ex Decreto Legislativo n. 231/2001 in caso di contestazione dell’articolo 416 c.p. o del reato transnazionale previsto dalla legge 16 marzo 2006 n. 146.
Su altro fronte, chi ne invoca l’inclusione fonda l’assunto sulla maggiore efficacia complessiva cui assurgerebbe il sistema, anche alla luce del quadro sanzionatorio particolarmente gravoso tratteggiato dal Decreto Legislativo n. 231/2001, nella lotta alla “criminalità tributaria”.[2]
I fautori della suddetta innovazione sostengono che l’introduzione degli illeciti fiscali tra i reati richiamati dal Decreto Legislativo n. 231/2001 non presenterebbe profili di particolare novità, posto che l’ordinamento italiano già conosce modelli punitivi che, in relazione al medesimo fatto, prevedono una responsabilità penale, una responsabilità amministrativa ed una responsabilità dell’ente ex Decreto Legislativo n. 231/2001.
Si pensi, in particolare, alla legislazione in materia di market abuse di cui agli artt. 25-sexies, Decreto Legislativo n. 231/2001, 187-quinquies e 187-terdecies T.U.F.
Inoltre, le previsioni di cui al Decreto Legislativo n. 497/1997 e quelle ex Decreto Legislativo n. 231/2001 avrebbero un campo di applicazione assolutamente diverso e non sarebbero sovrapponibili, in quanto la sanzione di cui all’articolo 11, comma 1, Decreto Legislativo n. 472/1997 prescinde da ogni forma di responsabilità dell’ente, che non ha alcuna possibilità di essere esonerato dall’applicazione della pena, posto che la sanzione tributaria in discorso «svolge un carattere meramente servente rispetto alla sanzione penale (...) [e] l’obbligo in questione ha natura di obbligazione solidale che conferisce all’ente la titolarità del diritto di regresso nei confronti del coobligato, situazione difficilmente riconducibile ad uno schema di responsabilità dipendente da reato[3]».
Anche valutazioni di opportunità politico criminale vengono poi svolte per sostenere la necessità di introdurre i reati tributari nell’elenco di cui agli artt. 24 e seguenti del Decreto Legislativo n. 231/2001.
Invero, si evidenzia come tale ampliamento sia necessario anche sul piano sanzionatorio posto che nel sistema punitivo delineato dall’articolo 11 Decreto Legislativo n. 497/1997 non sono ricomprese le sanzioni interdittive e la confisca, istituti contemplati, invece, dal Decreto Legislativo n. 231/2001.
Dunque, la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti «meglio si presta a colpire le condotte illecite, che intervengano all’interno degli enti, finalizzate alla realizzazione di profitti, sia per la previsione dell’interdizione-sanzione, in ragione della sua capacità ad incidere sull’operatività dell’ente, sia per la previsione della confisca-sanzione, obbligatoria ed eseguibile anche per equivalente [oltre a doversi considerare la] circostanza che proprio nel settore tributario la logica del profitto nell’interesse dell’ente è strutturale alla condotta posta in essere dall’autore materiale del reato, sì che devono ravvisarsi nella loro massima estensione le ragioni per cui è stato adottato il sistema della responsabilità degli enti»[4].
Peraltro, «attaccare giuridicamente su questo piano col metodo classico della responsabilità penale individuale non può condurre ad alcun risultato sensibilmente apprezzabile, perché in un’ottica sistemica non incide in modo stabile sugli assetti di mercato (favorevoli alla redditività delle imprese criminali) determinati dalle pratiche illegali (...) ecco perché si è sempre pensato come l’unica via percorribile con speranza di successo consiste nell’intervenire sull’attività di impresa in modo da far sì che le chances di illegalità non costituiscano più scelte commerciali vantaggiose (o, almeno, sufficientemente vantaggiose), [così come] la punizione diretta dell’impresa societaria potrebbe disincentivare, per il timore di riceverne un danno finanziario, il naturale stato d’animo alla connivenza (o al disinteresse) da parte della proprietà rispetto ai comportamenti illegali tenuti dal management[5]».
Si consideri, inoltre, che la condotta riconducibile alla frode fiscale, sia nella forma della dichiarazione sia nella forma dell’emissione di fatture relative a operazioni inesistenti, presenta tratti di notevole similitudine con la truffa ai danni dello Stato, reato per il quale, ex articolo 24 Decreto Legislativo n. 231/2001, è prevista la responsabilità degli enti.
La stessa prassi giudiziaria ha evidenziato come le condotte di frode fiscale costituiscano talvolta veicolo di realizzazione di disponibilità extracontabili, attraverso le quali vengono perpetrati ulteriori reati, quali la corruzione e le false comunicazioni sociali, che, come è noto, rientrano nel catalogo dei reati-presupposto.
Infine, dato che la responsabilità penaltributaria viene individuata solo a carico di chi ha sottoscritto la dichiarazione dei redditi o IVA, nell’ambito delle società potrebbe diffondersi la prassi di attribuire la delega alla presentazione delle dichiarazioni a dirigenti dell’impresa, così allontanando il rischio penale dalle persone che rivestono posizioni di vertice.
1.3 L’attuale applicazione del Decreto Legislativo n. 231/2001 ai reati tributari
È opportuno considerare come siano ipotizzabili comunque situazioni in cui dalla constatata violazione di obblighi tributari da parte del legale rappresentante o amministratore di società, oltre alla configurabilità della responsabilità penale a carico di costui, possa scaturire anche una responsabilità amministrativa per la società.
Posto che tra i reati transnazionali che, a norma dell’articolo 10 della già citata L. n. 146/2006, danno luogo a responsabilità amministrativa degli enti, vi è anche il delitto di «associazione per delinquere» di cui all’articolo 416 c.p., nel caso in cui sia contestato il reato associativo a carattere transnazionale, finalizzato alla commissione di delitti di emissione e/o utilizzazione di fatture relative ad operazioni inesistenti, secondo lo schema delle frodi carosello, non c’è dubbio che, accanto alla responsabilità penale delle persone fisiche che hanno commesso i reati di cui trattasi, vi sarà anche, a carico delle società appartenenti al sodalizio criminoso, una responsabilità amministrativa comportante l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da 400 a 1000 quote, nonché delle sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, Decreto Legislativo n. 231/2001, per una durata non inferiore ad un anno.
Infine, con la successiva introduzione dell’articolo 416 c.p. tra i reati presupposto della responsabilità dell’ente ex Decreto Legislativo n. 231/2001, potrà essere sostanzialmente addebitata alla persona giuridica la commissione di qualsiasi reato-fine (che solo sia qualificato come delitto doloso), superando la suddetta limitazione di responsabilità alle associazioni criminose aventi carattere transnazionale.[6]
1.4 La scelta del legislatore
La scelta politico-criminale del legislatore è sicuramente criticabile in quanto è fisiologico che gli adempimenti tributari di maggiore spessore e consistenza concretizzano ben precise scelte di politiche di impresa cui conseguono vantaggi indebiti per l’ente.
A tal proposito, si segnala il ddl S.19 presentato in data 15 marzo 2013 dal senatore Grasso ed altri firmatari, che propone di «estendere la responsabilità da reato degli enti ai reati tributari, colmando così una lacuna ingiustificabile sul terreno politico-criminale (si evidenzia, tra l’altro, che i reati tributari si atteggiano spesso come strumentali alla consumazione del reato di corruzione: si pensi al reato di false fatturazioni, funzionale alla creazione di provvista extracontabile destinata ad integrare una «tangente»). Sul piano della dosimetria sanzionatoria, sono state previste le sanzioni pecuniarie più gravi, unitamente alle sanzioni interdittive, per i delitti che presentano l’elemento costitutivo della «fraudolenza» o dell’«occultamento o della distruzione»: dunque, gli illeciti di cui agli articoli 2, 3, 8, 10 e 11 del decreto legislativo n. 74 del 2000[7]».
In particolare, l’articolo 8 rubricato “Modificazioni al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica” prevede l’inserimento dell’articolo 25-quaterdecies (Reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto), così formulato:
“1. In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per i delitti di cui agli articoli 4, 5, comma 1, 10-bis e 10-ter, la sanzione pecuniaria fino a trecento quote;
b) per i delitti di cui agli articoli 10 e 11, comma 2, la sanzione pecuniaria da duecento a seicento quote;
c) per i delitti di cui agli articoli 2, comma 1, 3, 8 e 11, comma 1, la sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a settecento quote.
2. Nei casi di condanna per i delitti indicati nel comma 1, lettere b) e c), si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non superiore ad un anno.”
Inoltre, sarebbe opportuno un intervento organico calibrato sul contesto criminologico della materia penale/tributaria, al fine di favorire sia esiti di effettività della tutela, sia una maggiore corrispondenza al quadro garantistico delineato dal principio di legalità penale.
Nell’evoluzione così delineata, andrebbe anche effettuato un opportuno coordinamento con il sistema sanzionatorio extrapenale delineato dagli artt. 11, comma 1, del Decreto Legislativo n. 472/1997 e 19, comma 2, del Decreto Legislativo n. 74/2000, al fine di evitare un surplus sanzionatorio che si caricherebbe di connotati vessatori (sanzione penale per la persona fisica + sanzione tributaria per la persona giuridica + sanzione amministrativa da reato per la persona giuridica) e nuocerebbe, pertanto, all’esigenza di promuovere un apparato di tutela che appaia legittimo e giusto.
A conferma di questo trend espansivo del novero dei reati-presupposto può anche richiamarsi l’esperienza della Commissione Greco, insediata presso il Ministero della Giustizia, cui era affidato per l’appunto il compito di individuare ulteriori fattispecie di reato in grado di determinare la responsabilità della persona giuridica.
I lavori della commissione si sono conclusi proponendo l’inserimento nel Decreto Legislativo 231/2001 di una serie di reati la cui commissione è tipicamente giustificata dalla logica di profitto di chi agisce, conformemente alla ratio della disciplina in tema di responsabilità delle società; in particolare, fra gli illeciti che la commissione ministeriale ha proposto di inserire quali reati-presupposto della responsabilità delle società anche alcuni degli illeciti tributari disciplinati nel Decreto Legislativo n. 74/2000 ed in particolare:
a) articolo 2, comma 1, dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (per il quale è prevista a carico della società la sanzione pecuniaria da 600 a 1000 quote e la sanzione interdittiva da 6 mesi ad un anno);
b) articolo 8, emissione di fatture o altri documenti relativi ad operazioni inesistenti, con le medesime sanzioni previste per la precedente ipotesi;
c) articolo 5, omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o ai fini IVA (per il quale è prevista a carico della società la sanzione pecuniaria da 400 a 800 quote e la sanzione interdittiva da tre ad otto mesi);
d) articolo 10, distruzione ed occultamento di documenti contabili (per il quale è prevista a carico della società la sanzione pecuniaria da 500 a 900 quote e la sanzione interdittiva da quattro a nove mesi).
1.4.1 La delega fiscale
La Legge 11 marzo 2014, n. 23 ha conferito una delega al Governo per la realizzazione di un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita.
In particolare, l’articolo 6 (Gestione del rischio fiscale, governance aziendale, tutoraggio, rateizzazione dei debiti tributari e revisione della disciplina degli interpelli)[8] delega il Governo ad introdurre:
forme di comunicazione e di cooperazione anche in termini preventivi rispetto alle scadenze fiscali, tra le imprese e l’amministrazione finanziaria;
per i soggetti di maggiori dimensioni, la previsione di sistemi aziendali strutturati di gestione e di controllo del rischio fiscale, con una chiara attribuzione di responsabilità nel quadro del complessivo sistema dei controlli interni.
Con specifico riferimento alla gestione e al controllo del rischio fiscale sono stati individuati dei benefici da concedere alle società virtuose che intendono implementare sistemi preventivi di controllo, vale a dire:
riduzioni delle eventuali sanzioni, anche in relazione ai criteri di limitazione e di esclusione della responsabilità previsti dal D. Lgs. n. 231 del 2001;
incentivi sotto forma di minori adempimenti per i contribuenti;
forme specifiche di interpello preventivo con procedura abbreviata.
Quanto all’individuazione dei sistemi preventivi di controllo, il Servizio Studi del Senato sulla delega fiscale ha evidenziato che i modelli di organizzazione, gestione e controllo adottati ai sensi del D. Lgs n. 231 del 2001 “possono essere inquadrati a fondamento di un sistema integrato di controlli che consentano di gestire in modo efficiente e puntuale qualsiasi forma di rischio (compreso quello fiscale), offrendo all’imprenditore, ai soci e alla governance aziendale un vero e proprio sistema capace di monitorare l’attività dell’impresa.”
2. La confisca per equivalente a carico dell’ente
Nel caso in cui gli illeciti fiscali siano commessi dal contribuente/persona fisica, quest’ultimo è soggetto alla misura ablatoria per equivalente.
Nello specifico, l’articolo 1, comma 143, L. 24 dicembre 2007 n. 244 (« Finanziaria 2008 ») ha esteso l’istituto al settore dei reati tributari (imposte sui redditi e sul valore aggiunto), disponendo che “nei casi di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 Decreto Legislativo 10 marzo 2000 n. 74, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322-ter c.p.”[9]
Qualora, invece, si verifichi un divario tra autore (persona fisica) del fatto criminoso e mero beneficiario del profitto dell‘illecito, e quest’ultimo sia una persona giuridica, nel nome e per conto della quale il singolo, come suo organo, ha commesso il fatto di reato, non sarà possibile applicare quella sanzione, mancando una disposizione che espressamente contempli il potere di colpire il patrimonio del fruitore dell’evasione fiscale in quanto estraneo al delitto.
La scelta di escludere la confisca per equivalente nei confronti dei contribuenti che, producendo ricchezze significative, rappresentano i protagonisti principali del rapporto tributario e, al contrario, quella di punire il solo autore/persona fisica, risulta, a ben vedere, irragionevole sul piano politico-criminale.
Al fine di porre rimedio a tale lacuna, la Suprema Corte con la sentenza n. 28731/2011[10] ha sostenuto che il Decreto Legislativo n. 231 del 2001 non costituisce un limite all’applicazione della confisca per equivalente dei beni dell'ente collettivo nelle ipotesi di reati tributari commessi dall'amministratore o dal legale rappresentante della società.
Nello specifico, nel corso di un procedimento penale a carico del rappresentante legale di una persona giuridica per il reato di cui all’articolo 10 Decreto Legislativo n. 74 del 2000, viene disposto un sequestro preventivo prodromico alla successiva confisca per equivalente di beni intestati allo stesso, nonché di beni della società dal primo legalmente rappresentata e nell'interesse della quale era stato commesso l'illecito.
Per giungere a tale conclusione, viene evidenziato che è sequestrabile il patrimonio dell'ente, che non può considerarsi terzo estraneo al reato, in quanto destinatario del profitto dell’illecito commesso dal suo legale rappresentante; inoltre, i beni della società possono essere colpiti perché l'indagato, per la sua posizione, ne ha la disponibilità.
I giudici di legittimità, rigettando il ricorso, affermano che “il reato è addebitabile all'indagato, ma le conseguenze patrimoniali ricadono sulla società a favore della quale la persona fisica ha agito salvo che si dimostri che vi è stata una rottura del rapporto organico; questo principio, pacificamente accolto dalla giurisprudenza di legittimità, non richiede che l'ente sia responsabile a sensi Decreto Legislativo n. 231/2001 (…) la società ricorrente non può considerarsi terza estranea al reato perché partecipa alla utilizzazione degli incrementi economici che ne sono derivati; dal momento che il profitto non si può collegare, per la tipologia dell'illecito (ndr: occultamento e distrazione di documenti contabili), ad un bene individuabile, il sequestro non poteva che essere disposto per equivalente”.
Il profitto dell’illecito resta incardinato nel patrimonio sociale e l’autore del reato, salvo evidentemente le ipotesi di rottura del rapporto organico o di limiti statutari alla gestione, conserva anche la materiale disponibilità dei beni, che potrebbe, diversamente opinando, continuare ad amministrare al riparo da qualunque misura ablatoria.[11]
Seguendo il procedimento logico-giuridico dell’organo giudicante, il reato è certamente attribuibile al solo amministratore, mentre le conseguenze patrimoniali di esso ricadono sulla società, dal momento che non è stata dimostrata la rottura del rapporto di immedesimazione organica.
Per questo motivo non è necessario affermare la responsabilità amministrativa dell’ente ai sensi del Decreto Legislativo n. 231/2001 in quanto risulta sufficiente e prevale l’aspetto formale del vantaggio.
Il risparmio illecito d’imposta si è tradotto in un beneficio economico per la società e, non essendo individuabile il provento del reato in un bene determinato, è legittimo il ricorso al sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente.
Tuttavia, non appare condivisibile che dal rapporto di immedesimazione organica si possano trarre conseguenze che violano il carattere personale della responsabilità penale (articolo 27 Cost.) e soprattutto comportano il ricorso alla analogia in malam partem, in quanto viene consentita, mediante il combinato disposto tra la L. n. 244/2007 e l’articolo 322-ter c.p., l’ablazione dei beni della società per i reati tributari in ordine ai quali il legislatore, attraverso il Decreto Legislativo n. 231/2001, ha stabilito la non confiscabilità dei beni dell’ente, con evidente violazione anche del principio di legalità, costituzionalmente garantito dall’articolo 25, comma 2.[12]
È noto infatti che l’applicabilità della confisca per equivalente, delineata dall’articolo 19 D. Lgs. n. 231 del 2001, sul patrimonio dell’ente è esclusa nell’ipotesi di commissione di un reato tributario nell’interesse e a vantaggio della persona giuridica, visto che, come già evidenziato in precedenza, gli illeciti penali tributari non figurano nel novero dei reati-presupposto commessi da soggetti apicali o subordinati della persona giuridica.
Da ultimo, la Cassazione penale, sez. III, con la sentenza n. 1256 del 10 gennaio 2013 sancisce che i reati tributari non rientrano tra quei reati-presupposto che, commessi da soggetti apicali o subordinati della persona giuridica, nell’interesse o a vantaggio della stessa, danno luogo a responsabilità dell’ente da reato in base al D. Lgs. n. 231/2001, circostanza che consentirebbe di ricorrere alla misura cautelare della confisca. Pertanto, i beni aziendali sfuggono a tale misura, anche nella forma per equivalente, a meno che la stessa società non sia stata utilizzata solo quale “paravento” per lasciare agire i vertici nelle manovre di evasione fiscale personale.
“In conclusione, nel caso di specie, ove è indiscussa la piena autonomia della struttura societaria di Unicredit spa rispetto agli indagati, è pacifico che sussistono gravi indizi che gli indagati, alcuni di essi in rappresentanza dell’ente, abbiano posto in essere la complessa trama fraudolenta in danno dell’Erario, a vantaggio e nell’interesse delle società bancarie poi confluite in Unicredit spa. D’altra parte la società suddetta, pur non risultando affatto estranea ai reati tributari, non può essere chiamata, a legislazione vigente, a rispondere per tali reati, in quanto, come detto, nessuna fonte di legislazione primaria prevede tale titolo di responsabilità: di conseguenza la società Unicredit ed i suoi beni non possono essere destinatari di provvedimenti cautelari di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca del profitto dei reati tributari per cui si indaga, pur commessi a suo vantaggio, reati ascritti ed allo stato ascrivibili solo agli indagati-persone fisiche.”[13]
Sono degne di menzione anche le conclusioni cui giunge la Cassazione che, nel sottolineare l’inefficacia dell’attuale sistema punitivo in materia di reati tributari, evidenzia altresì una disparità di trattamento non solo tra le persone fisiche e quelle giuridiche, ma anche tra le stesse persone giuridiche, a seconda che queste rappresentino una mera emanazione strumentale degli autori del reato, ovvero uno schermo al cui riparo poter agire indisturbati, ovvero siano enti di dimensione non modesta, rispetto ai quali si prospetta una vera e propria impunità fiscale rispetto alle prime.
Infine, appare opportuno evidenziare un ulteriore orientamento giurisprudenziale che ha come effetto proprio l’ampliamento del raggio d’azione della confisca di valore, ammettendone l’applicazione a carico dell’ente.
Nel corso di un procedimento per frode fiscale nei confronti di due imprenditori viene disposto il sequestro preventivo, fino al tetto di Iva ritenuta evasa, dei conti riconducibili alla S.r.l., nella quale i due svolgevano funzioni di vertice. Il Gip utilizza il reato di truffa ai danni dello Stato, incluso nel decreto 231, come grimaldello per eludere l'esclusione dei reati fiscali. Una posizione cui, in sede di riesame, acconsente di fatto anche il tribunale di Varese, per il quale occorre distinguere la responsabilità delle persone fisiche da quella della società.
La II Sezione penale della Cassazione con sentenza n. 41488 del 28 ottobre 2009 statuisce invece che: “Da tempo la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio secondo cui non è configurabile il concorso fra il delitto di frode fiscale ex articolo 2 D. Lgs. n. 74/2000 e quello di truffa aggravata ai danni dello Stato ex articolo 640, cpv., n. 1, c.p., dovendosi ritenere il secondo consumato nel (ovvero in rapporto di specialità con il) primo, con la conseguenza che, verificandosi l’assorbimento nel delitto di frode fiscale di quello di truffa aggravata, è impedita l’applicazione della confisca per equivalente, non prevista dalla legge anche per i reati tributari, se non per i fatti – qui pacificamente non ricorrenti – successivi all’entrata in vigore della legge finanziaria 2008, n. 244/2007. Le conclusioni di siffatto univoco indirizzo giurisprudenziale valgono sia per la responsabilità penale delle persone fisiche che per quella c.d. “amministrativa” delle persone giuridiche. Il principio di legalità, cui è ispirato l’intero sistema penale nonché l’ordinamento settoriale della responsabilità degli enti, impedisce infatti che possa “scomporsi” il reato complesso – ovvero qualsiasi altra figura criminosa che ne assorba un’altra, esaurendo in sé l’intero disvalore del fatto – al fine di far derivare, da una parte artificialmente separata della condotta posta in essere ed isolatamente riguardata, quelle conseguenze sanzionatorie che solo da essa, e non invece da quella globalmente considerata dalla legge, conseguirebbero. Il tribunale ha dunque violato il principio di stretta legalità, ritenendo applicabile all’ente una sanzione (quale deve essere considerata la confisca per equivalente) in ordine ad un’ipotesi criminosa (la contestata frode fiscale) che non la contempla; e ciò ha compiuto sia mediante la descritta, ardita in direzione – ai fini elusivi della legge – consistente nel valorizzare esclusivamente gli elementi della truffa aggravata contenuti nel delitto tributario, del quale – è bene precisarlo – il legislatore ha escluso finora la natura di reato presupposto della responsabilità degli enti, non avendolo mai inserito nel catalogo contenuto nella sezione III, capo I, Decreto Legislativo n. 231/2001; sia ritenendo irragionevolmente (dunque con manifesta illogicità) “scomponibile” il delitto di frode fiscale – al fine di apprezzarne penalmente una sua parte – solo con riguardo alla responsabilità della persona giuridica, avendo viceversa esattamente escluso siffatta creativa operazione ermeneutica nei confronti delle persone fisiche.”
Successivamente, anche le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 1235 del 28 ottobre 2010 hanno eretto a principio di diritto la già diffusa opinione in dottrina secondo la quale “i reati in materia fiscale di cui agli articoli. 2 e 8 Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, sono speciali rispetto al delitto di truffa aggravata a danno dello stato di cui all’articolo 640, secondo comma, n. 1, codice penale.”
3. Conclusioni
Alla luce del contrasto dottrinale riguardante l’opportunità di introdurre i reati tributari nel catalogo dei reati-presupposto ex Decreto Legislativo n. 231/2001 e degli arresti giurisprudenziali appena richiamati in merito all’applicazione della confisca per equivalente a carico degli enti, sono auspicabili due tipi di intervento: quello nomofilattico delle Sezioni Unite[14] oppure – soluzione che appare preferibile – quello chiarificatore del legislatore.
In merito alla prima opzione, in data 5 marzo 2014 sono state depositate le motivazioni relative alla sentenza n. 10561[15], che condividono sostanzialmente quell’orientamento dottrinale e giurisprudenziale, già riportato in precedenza, secondo il quale gli illeciti penali tributari non figurano, come noto, nel novero dei reati presupposto che danno luogo alla responsabilità dell'ente e, dunque, non potrebbe trovare applicazione la speciale confisca di valore stabilita dall'articolo 19 del Decreto Legislativo n. 231 del 2001.
Nello specifico, la Corte di Cassazione sancisce i seguenti principi di diritto:
“È consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di tale persona giuridica”;
“Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio”;
“Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato”;
“L'impossibilità del sequestro del profitto di reato può essere anche solo transitoria senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato”.
Invero, il rapporto organico che esiste tra persona fisica e società non è di per sé idoneo a giustificare l'estensione dell'ambito di applicazione della confisca per equivalente.
Inoltre, non può trovare applicazione il principio per cui a ciascun concorrente devono imputarsi le conseguenze del reato, dato che nel nostro ordinamento è prevista solo una responsabilità amministrativa degli enti e non una responsabilità penale, sicché l'ente non è mai autore del reato e non può essere considerato concorrente.
La confisca per equivalente dei beni della società non può fondarsi neppure sull'assunto che l'autore del reato ha la disponibilità di tali beni in quanto amministratore, essendo tale disponibilità nell'interesse dell'ente e non della persona fisica.
Tale forma di confisca, peraltro, non può essere disposta ai sensi dell'articolo 19 del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, perché nel decreto manca una specifica ipotesi di responsabilità dell'ente per i reati tributari, né ai sensi dell'articolo 322 ter c.p., dal momento che tale norma si applica all'autore del reato e la persona giuridica, come sottolineato più volte, non può essere considerata tale.
Lo stesso carattere sanzionatorio della confisca per equivalente ne impedisce l’applicazione oltre ai casi espressamente considerati, a ciò ostando il divieto di applicazione analogica in malam partem vigente nella materia penale.
Allo stesso tempo, le Sezioni Unite non mancano di rilevare come la situazione normativa delineata presenti evidenti profili di irrazionalità e incoerenza, statuendo che: “il mancato inserimento dei reati tributari fra quelli previsti dal Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, rischia di vanificare le esigenze di tutela delle entrate tributarie (…) è possibile, attraverso l'intestazione alla persona giuridica di beni non direttamente riconducibili al profitto di reato, sottrarre tali beni alla confisca per equivalente, vanificando o rendendo più difficile la possibilità di recupero di beni pari all'ammontare del profitto di reato, ove lo stesso sia stato occultato e non vi sia disponibilità di beni in capo agli autori del reato”.
La stessa ratio legis che ha introdotto la disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti finisce “per risultare non poco compromessa proprio dalla mancata previsione dei reati tributari tra i reati presupposto”.
Tali irrazionalità e incoerenze, peraltro, non possono essere rimosse neppure sollevando una questione di legittimità costituzionale perché il principio di riserva di legge di cui all'articolo 25, comma 2, Cost. preclude alla Corte costituzionale di adottare una pronuncia additiva che comporti effetti costitutivi o peggiorativi della responsabilità penale, trattandosi di intervento riservato in via esclusiva alla discrezionalità del legislatore.
Le Sezioni Unite, quindi, non possono che segnalare tali profili di criticità auspicando quanto prima un intervento del legislatore volto a inserire i reati tributari tra quelli per i quali è configurabile la responsabilità dell'ente ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001.
Nel caso di specie, l’organo giudicante ha rigettato il ricorso dichiarandolo inammissibile: lo stesso ricorrente ha evidenziato come la somma non corrisposta all'erario sia stata utilizzata dalla società per il pagamento dello stipendio dei dipendenti.
È pacifica, dunque, l'impossibilità di procedere alla confisca diretta del profitto del reato; non potendosi aggredire il denaro o altri beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario, risulta legittimo disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti della persona fisica per i reati tributari commessi nell'interesse dell'ente.
Analizzati i principi di diritto enucleati dalle Sezioni Unite Penali, è evidente che solo al legislatore, passando – imprescindibilmente – dall’introduzione dei reati tributari nel tessuto del Decreto Legislativo n. 231/2001, può essere demandata la definizione del sistema repressivo.
A tal proposito, auspica un intervento legislativo anche l’Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione, Servizio penale, che nella Relazione n. 30/13 (Roma, 2 luglio 2013) statuisce: “In tal senso è stato osservato che una responsabilità degli enti per i reati tributari non potrebbe essere fatta derivare da quella assegnata alle persone giuridiche nel diritto tributario: infatti, il sistema del diritto penale tributario deve essere letto ed interpretato nell’ambito del complessivo sistema del diritto penale e non può essere ritenuto un mero apparato sanzionatorio di disposizioni tributarie, avente vita a sé stante ed avulso dal generale sistema punitivo, quasi fosse una sorta di “sistema speciale” (Sez. 3, n. 24851 del 2/5/2013, Morini). In effetti, solo un intervento legislativo che preveda espressamente la responsabilità della persona giuridica per i reati tributari commessi a vantaggio e nell’interesse dell’ente potrebbe rendere possibile la confisca di valore nei suoi confronti”.
Ad oggi, il ddl S.19, menzionato in precedenza, è in discussione al Senato, congiuntamente ai disegni di legge S.657, S.711, S.846, S.847 e S.851, presso la 2ª Commissione permanente (Giustizia) in sede referente.
Tuttavia, in attesa dell’ampliamento del catalogo dei reati-presupposto, l’adozione su base volontaria di Modelli 231 finalizzati a prevenire anche gli illeciti tributari – passando per l’introduzione di sistemi di compliance integrata che, ove correttamente armonizzati, possano ridurre qualsiasi tipo di rischio, sia esso di natura penale o amministrativo – potrà garantire alle imprese virtuose i benefici prima elencati (cfr. par. 1.4.1) previsti dalla c.d. delega fiscale.
[1] Cfr. I. CARACCIOLI, Reati tributari e responsabilità degli enti, in Rivista231.it, n. 1/2007, pp. 155 e seguenti; C. SANTORIELLO, Sull’opportunità di configurare la responsabilità amministrativa delle società anche in caso di commissione di reati fiscali, ivi, n. 1/2013, pp. 189 e seguenti; F. D’ARCANGELO, La responsabilità degli enti per i delitti tributari dopo le SS.UU. 1235/2010, ivi, n. 4/2011, pp. 125 e seguenti.
[2] In questo senso P. IELO, Reati tributari e responsabilità degli enti, in Rivista231.it, n. 3/2007, 7;A. PERINI, Brevi considerazioni in merito alla responsabilità degli enti conseguente alla commissione di illeciti fiscali, ivi, n. 2/2006, 79; O. MAZZA, Il caso Unicredit al vaglio della cassazione: il patrimonio dell’ente non è confiscabile per equivalente in caso di reati tributari commessi dagli amministratori a vantaggio della società, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; Id., La confisca per equivalente fra reati tributari e responsabilità dell’ente (in margine al caso Unicredit), ivi; L. DELLA RAGIONE, Sul sequestro per equivalente dei beni della persona giuridica per i reati tributari commessi nel suo interesse, ivi; Id., La Suprema Corte ammette il sequestro preventivo funzionale alla successiva confisca per equivalente dei beni della persona giuridica per i reati tributari commessi nel suo interesse dal legale rappresentante, ivi.
[3] P. IELO, Reati tributari, cit., p. 9.
[4] P. IELO, Reati tributari, cit., p. 10.
[5] A. CARMONA, La responsabilità amministrativa degli enti: reati presupposto e Modelli organizzativi, in Rivista231.it, n. 1/2006, p. 109.
[6] Cfr. Cass. pen., sentenza. n. 24851 del 6 giugno 2013. Nello specifico, la Suprema Corte ha reputato infondato il ricorso in quanto il sequestro in questione trovava legittimazione nelle richiamate disposizioni normative relative all’articolo 416 c.p., prescindendo, quindi, dai reati fine. Nello specifico, “Occorre infatti considerare in premessa che il profitto del reato di associazione per delinquere, sequestrabile ai fini della successiva confisca per equivalente (articolo 11, legge 16 marzo 2006, n. 146), è costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall’insieme dei reati fine, dai quali è del tutto autonomo e la cui esecuzione è agevolata dall’esistenza di una stabile struttura organizzata e dal comune progetto delinquenziale (Sez. 3, Sentenza n. 5869 del 27/01/2011 Rv. 249537).”
[7] Cfr. Rel. di accompagnamento al ddl S.19: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/699371/index.html
[8] Il testo integrale dell’atto è consultabile al seguente link: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2014/3/12/14G00030/sg
[9] L’articolo 322-ter c.p. recita: “1. Nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti previsti dagli articoli da 314 a 320, anche se commessi dai soggetti indicati nell'articolo 322 bis, primo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.
2. Nel caso di condanna, o di applicazione della pena a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per il delitto previsto dall'articolo 321, anche se commesso ai sensi dell'articolo 322 bis, secondo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono il profitto salvo che appartengano a persone estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a quello di detto profitto e, comunque, non inferiore a quello del denaro o delle altre utilità date o promesse al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio o agli altri soggetti indicati nell'articolo 322 bis, secondo comma.
3. Nei casi di cui ai commi primo e secondo, il giudice, con sentenza di condanna, determina le somme di denaro o individua i beni assoggettati a confisca in quanto costituenti il profitto o il prezzo del reato ovvero in quanto corrispondente al profitto o al prezzo del reato.”
[10] Cfr. in senso conforme Cass. pen., sentenza n. 6288/2010; Cass. pen., sentenza n. 26389 del 9 giugno 2011.
[11] Si richiama così l’orientamento dottrinario (G. SALCUNI, I reati tributari. Parte generale, in A. Manna (a cura di), Corso di diritto penale dell’impresa, Padova, 2010, 493; A. PERINI, voce Reati tributari, in Dig. disc. pen., 2008, 943 ss.; Id., Brevi considerazioni in merito alla responsabilità degli enti conseguente alla commissione di illeciti fiscali, in Rivista231.it, n. 2/2006, p. 79), secondo il quale non pare comunque difficile — in via interpretativa — applicare la confisca per equivalente anche ai beni della società beneficiata dall’evasione fiscale realizzata dal suo amministratore, atteso che di tali beni il reo ha comunque la disponibilità proprio in quanto amministratore (al limite, anche solo di fatto) o rappresentante della società-contribuente; peraltro, sempre secondo l’orientamento in esame, tali beni neppure apparterrebbero, in siffatte circostanze, ad un soggetto qualificabile come “estraneo al reato”, tenuto conto che il reato tributario verrebbe commesso nell’interesse della società beneficiaria dell’evasione.
[12] Cfr. G. GIANGRANDE, La confisca per equivalente nei reati tributari: tra legalità ed effettività, in Diritto e pratica tributaria, n. 1/2013, pp. 173 e seguenti.
[13] Cfr. in senso conforme Cass. pen., sez. III, sent. n. 25774/2012; Cass. pen., Sez,. III, sent. n. 33371/2012; Cass. pen., sent. n. 9576/2013; Cass. pen., sent. n. 22980 del 28 maggio 2013; Cass. pen., sent. n. 24519/2013.
[14] Il 22 novembre 2013 la III Sezione penale della Corte di Cassazione con ordinanza n. 46726 ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: “Se sia possibile o meno aggredire direttamente i beni di una persona giuridica per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante della stessa”. In data 30 gennaio 2014 le Sezioni Unite Penali, nelle more della pubblicazione delle motivazioni, hanno predisposto la seguente “Informazione provvisoria n. 1”, che recita: “E’ consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni comunque direttamente riconducibili al profitto del reato, mentre non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di ulteriori beni della persona giuridica.”
[15] Si riporta in sintesi il caso che ha dato origine alla pronuncia delle Sezioni Unite in esame. Il Tribunale di Trento, chiamato a pronunciarsi in sede di appello avverso l'ordinanza del GIP che aveva rigettato la richiesta di misura cautelare reale avanzata dal pubblico ministero, ha disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di un immobile di proprietà del legale rappresentante di una società, sottoposto ad indagine per il reato previsto dall'articolo 10 ter Decreto Legislativo n. 74 del 2000, in quanto avrebbe omesso di versare per conto della società l'imposta sul valore aggiunto. Il destinatario del provvedimento di sequestro ha proposto ricorso per Cassazione sostenendo, in particolare e tra gli altri motivi, che non si sarebbe potuto procedere al sequestro preventivo nei suoi confronti perché il pubblico ministero avrebbe dovuto prima verificare la possibilità di procedere al sequestro finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato nei confronti della società, nelle cui casse è rimasta la somma non versata all'erario. Solo dopo aver accertato l'impossibilità di procedere alla confisca diretta, si sarebbe potuto disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente. Ad avviso del ricorrente, però, anche in questo caso si sarebbe dovuto aggredire il patrimonio della società beneficiaria del risparmio d'imposta e non quello della persona fisica che non ha tratto alcun profitto dalla commissione del reato. Nel caso di reati tributari commessi dal legale rappresentante nell'interesse della società, osserva il ricorrente, la persona giuridica non può essere considerata terzo estraneo al reato quando il profitto rimane nelle casse sociali. Deve quindi precedersi alla confisca del profitto nei confronti dell'ente.
1. L’inserimento dei reati tributari nel catalogo dei reati-presupposto ex Decreto Legislativo n. 231/2001
1.1 Premessa: la disciplina del diritto penale tributario
Occorre osservare in via preliminare che l’impostazione di fondo delineata dal diritto penale tributario considera quali destinatari dei precetti penali esclusivamente le persone fisiche e contempla gli enti unicamente quali soggetti tenuti al pagamento delle sanzioni amministrative.
Nello specifico, l’articolo 7, Decreto Legge n. 269/2003, convertito dalla Legge n. 326/2003, prevede, infatti, che: “Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica”.
L’articolo 19, comma 2, del Decreto Legislativo n.74/2000 dispone altresì che: “permane, in ogni caso, la responsabilità per la sanzione amministrativa dei soggetti indicati nell‘articolo 11, comma 1, del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, che non siano persone fisiche concorrenti nel reato.”
L’articolo 11, comma 1, del Decreto Legislativo n. 472/1997, a sua volta, recita: “Nei casi in cui una violazione che abbia inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo è commessa dal dipendente o dal rappresentante legale o negoziale di una persona fisica nell‘adempimento del suo ufficio o del suo mandato ovvero dal dipendente o dal rappresentante o dall‘amministratore, anche di fatto, di società, associazioni o enti, con o senza personalità giuridica, nell‘esercizio delle sue funzioni o incombenze, la persona fisica, la società, l‘associazione o l‘ente nell‘interesse dei quali ha agito l‘autore della violazione sono obbligati al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata, salvo il diritto di regresso secondo le disposizioni vigenti.”
Pertanto, in base al contenuto delle suddette previsioni, la commissione di un illecito penale tributario nell‘ambito di contribuenti/persone giuridiche comporta l‘irrogazione, in capo all‘ente, delle sanzioni amministrative che deriverebbero dalla condotta illecita, in deroga all‘applicazione del principio di specialità, previsto dall’articolo 19, comma 1, del Decreto Legislativo n. 74/2000 che prevede: “Quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del Titolo II e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale.
1.2 Gli orientamenti seguiti in dottrina
Delineato il perimetro sanzionatorio del diritto penale tributario, in dottrina è acceso il dibattito sull’opportunità di includere i delitti di cui al Decreto Legislativo n. 74/2000 tra i reati presupposto della responsabilità degli enti ex Decreto Legislativo n. 231/2001.
Chi opta per la tesi negativa [1] espone le seguenti argomentazioni:
già a diritto vigente è possibile irrogare una sanzione tributaria all’ente ai sensi dell’articolo 19, comma 2, Decreto Legislativo n. 74/2000;
la non delegabilità degli obblighi tributari, logicamente e strutturalmente incompatibile con la disciplina dell’articolo 6 del Decreto Legislativo n.231/2001, incentrata sull’esistenza di direttive di comportamento ai soggetti apicali e sulla violazione fraudolenta dei relativi obblighi;
la pari afflittività del sistema tributario rispetto a quello penale;
la necessità di evitare una moltiplicazione delle sanzioni a carico dell’ente (sanzione penale per la persona fisica + sanzione tributaria per la persona giuridica + sanzione 231 per la persona giuridica);
la possibilità di procedere comunque alla confisca ex Decreto Legislativo n. 231/2001 in caso di contestazione dell’articolo 416 c.p. o del reato transnazionale previsto dalla legge 16 marzo 2006 n. 146.
Su altro fronte, chi ne invoca l’inclusione fonda l’assunto sulla maggiore efficacia complessiva cui assurgerebbe il sistema, anche alla luce del quadro sanzionatorio particolarmente gravoso tratteggiato dal Decreto Legislativo n. 231/2001, nella lotta alla “criminalità tributaria”.[2]
I fautori della suddetta innovazione sostengono che l’introduzione degli illeciti fiscali tra i reati richiamati dal Decreto Legislativo n. 231/2001 non presenterebbe profili di particolare novità, posto che l’ordinamento italiano già conosce modelli punitivi che, in relazione al medesimo fatto, prevedono una responsabilità penale, una responsabilità amministrativa ed una responsabilità dell’ente ex Decreto Legislativo n. 231/2001.
Si pensi, in particolare, alla legislazione in materia di market abuse di cui agli artt. 25-sexies, Decreto Legislativo n. 231/2001, 187-quinquies e 187-terdecies T.U.F.
Inoltre, le previsioni di cui al Decreto Legislativo n. 497/1997 e quelle ex Decreto Legislativo n. 231/2001 avrebbero un campo di applicazione assolutamente diverso e non sarebbero sovrapponibili, in quanto la sanzione di cui all’articolo 11, comma 1, Decreto Legislativo n. 472/1997 prescinde da ogni forma di responsabilità dell’ente, che non ha alcuna possibilità di essere esonerato dall’applicazione della pena, posto che la sanzione tributaria in discorso «svolge un carattere meramente servente rispetto alla sanzione penale (...) [e] l’obbligo in questione ha natura di obbligazione solidale che conferisce all’ente la titolarità del diritto di regresso nei confronti del coobligato, situazione difficilmente riconducibile ad uno schema di responsabilità dipendente da reato[3]».
Anche valutazioni di opportunità politico criminale vengono poi svolte per sostenere la necessità di introdurre i reati tributari nell’elenco di cui agli artt. 24 e seguenti del Decreto Legislativo n. 231/2001.
Invero, si evidenzia come tale ampliamento sia necessario anche sul piano sanzionatorio posto che nel sistema punitivo delineato dall’articolo 11 Decreto Legislativo n. 497/1997 non sono ricomprese le sanzioni interdittive e la confisca, istituti contemplati, invece, dal Decreto Legislativo n. 231/2001.
Dunque, la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti «meglio si presta a colpire le condotte illecite, che intervengano all’interno degli enti, finalizzate alla realizzazione di profitti, sia per la previsione dell’interdizione-sanzione, in ragione della sua capacità ad incidere sull’operatività dell’ente, sia per la previsione della confisca-sanzione, obbligatoria ed eseguibile anche per equivalente [oltre a doversi considerare la] circostanza che proprio nel settore tributario la logica del profitto nell’interesse dell’ente è strutturale alla condotta posta in essere dall’autore materiale del reato, sì che devono ravvisarsi nella loro massima estensione le ragioni per cui è stato adottato il sistema della responsabilità degli enti»[4].
Peraltro, «attaccare giuridicamente su questo piano col metodo classico della responsabilità penale individuale non può condurre ad alcun risultato sensibilmente apprezzabile, perché in un’ottica sistemica non incide in modo stabile sugli assetti di mercato (favorevoli alla redditività delle imprese criminali) determinati dalle pratiche illegali (...) ecco perché si è sempre pensato come l’unica via percorribile con speranza di successo consiste nell’intervenire sull’attività di impresa in modo da far sì che le chances di illegalità non costituiscano più scelte commerciali vantaggiose (o, almeno, sufficientemente vantaggiose), [così come] la punizione diretta dell’impresa societaria potrebbe disincentivare, per il timore di riceverne un danno finanziario, il naturale stato d’animo alla connivenza (o al disinteresse) da parte della proprietà rispetto ai comportamenti illegali tenuti dal management[5]».
Si consideri, inoltre, che la condotta riconducibile alla frode fiscale, sia nella forma della dichiarazione sia nella forma dell’emissione di fatture relative a operazioni inesistenti, presenta tratti di notevole similitudine con la truffa ai danni dello Stato, reato per il quale, ex articolo 24 Decreto Legislativo n. 231/2001, è prevista la responsabilità degli enti.
La stessa prassi giudiziaria ha evidenziato come le condotte di frode fiscale costituiscano talvolta veicolo di realizzazione di disponibilità extracontabili, attraverso le quali vengono perpetrati ulteriori reati, quali la corruzione e le false comunicazioni sociali, che, come è noto, rientrano nel catalogo dei reati-presupposto.
Infine, dato che la responsabilità penaltributaria viene individuata solo a carico di chi ha sottoscritto la dichiarazione dei redditi o IVA, nell’ambito delle società potrebbe diffondersi la prassi di attribuire la delega alla presentazione delle dichiarazioni a dirigenti dell’impresa, così allontanando il rischio penale dalle persone che rivestono posizioni di vertice.
1.3 L’attuale applicazione del Decreto Legislativo n. 231/2001 ai reati tributari
È opportuno considerare come siano ipotizzabili comunque situazioni in cui dalla constatata violazione di obblighi tributari da parte del legale rappresentante o amministratore di società, oltre alla configurabilità della responsabilità penale a carico di costui, possa scaturire anche una responsabilità amministrativa per la società.
Posto che tra i reati transnazionali che, a norma dell’articolo 10 della già citata L. n. 146/2006, danno luogo a responsabilità amministrativa degli enti, vi è anche il delitto di «associazione per delinquere» di cui all’articolo 416 c.p., nel caso in cui sia contestato il reato associativo a carattere transnazionale, finalizzato alla commissione di delitti di emissione e/o utilizzazione di fatture relative ad operazioni inesistenti, secondo lo schema delle frodi carosello, non c’è dubbio che, accanto alla responsabilità penale delle persone fisiche che hanno commesso i reati di cui trattasi, vi sarà anche, a carico delle società appartenenti al sodalizio criminoso, una responsabilità amministrativa comportante l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da 400 a 1000 quote, nonché delle sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, Decreto Legislativo n. 231/2001, per una durata non inferiore ad un anno.
Infine, con la successiva introduzione dell’articolo 416 c.p. tra i reati presupposto della responsabilità dell’ente ex Decreto Legislativo n. 231/2001, potrà essere sostanzialmente addebitata alla persona giuridica la commissione di qualsiasi reato-fine (che solo sia qualificato come delitto doloso), superando la suddetta limitazione di responsabilità alle associazioni criminose aventi carattere transnazionale.[6]
1.4 La scelta del legislatore
La scelta politico-criminale del legislatore è sicuramente criticabile in quanto è fisiologico che gli adempimenti tributari di maggiore spessore e consistenza concretizzano ben precise scelte di politiche di impresa cui conseguono vantaggi indebiti per l’ente.
A tal proposito, si segnala il ddl S.19 presentato in data 15 marzo 2013 dal senatore Grasso ed altri firmatari, che propone di «estendere la responsabilità da reato degli enti ai reati tributari, colmando così una lacuna ingiustificabile sul terreno politico-criminale (si evidenzia, tra l’altro, che i reati tributari si atteggiano spesso come strumentali alla consumazione del reato di corruzione: si pensi al reato di false fatturazioni, funzionale alla creazione di provvista extracontabile destinata ad integrare una «tangente»). Sul piano della dosimetria sanzionatoria, sono state previste le sanzioni pecuniarie più gravi, unitamente alle sanzioni interdittive, per i delitti che presentano l’elemento costitutivo della «fraudolenza» o dell’«occultamento o della distruzione»: dunque, gli illeciti di cui agli articoli 2, 3, 8, 10 e 11 del decreto legislativo n. 74 del 2000[7]».
In particolare, l’articolo 8 rubricato “Modificazioni al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica” prevede l’inserimento dell’articolo 25-quaterdecies (Reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto), così formulato:
“1. In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per i delitti di cui agli articoli 4, 5, comma 1, 10-bis e 10-ter, la sanzione pecuniaria fino a trecento quote;
b) per i delitti di cui agli articoli 10 e 11, comma 2, la sanzione pecuniaria da duecento a seicento quote;
c) per i delitti di cui agli articoli 2, comma 1, 3, 8 e 11, comma 1, la sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a settecento quote.
2. Nei casi di condanna per i delitti indicati nel comma 1, lettere b) e c), si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non superiore ad un anno.”
Inoltre, sarebbe opportuno un intervento organico calibrato sul contesto criminologico della materia penale/tributaria, al fine di favorire sia esiti di effettività della tutela, sia una maggiore corrispondenza al quadro garantistico delineato dal principio di legalità penale.
Nell’evoluzione così delineata, andrebbe anche effettuato un opportuno coordinamento con il sistema sanzionatorio extrapenale delineato dagli artt. 11, comma 1, del Decreto Legislativo n. 472/1997 e 19, comma 2, del Decreto Legislativo n. 74/2000, al fine di evitare un surplus sanzionatorio che si caricherebbe di connotati vessatori (sanzione penale per la persona fisica + sanzione tributaria per la persona giuridica + sanzione amministrativa da reato per la persona giuridica) e nuocerebbe, pertanto, all’esigenza di promuovere un apparato di tutela che appaia legittimo e giusto.
A conferma di questo trend espansivo del novero dei reati-presupposto può anche richiamarsi l’esperienza della Commissione Greco, insediata presso il Ministero della Giustizia, cui era affidato per l’appunto il compito di individuare ulteriori fattispecie di reato in grado di determinare la responsabilità della persona giuridica.
I lavori della commissione si sono conclusi proponendo l’inserimento nel Decreto Legislativo 231/2001 di una serie di reati la cui commissione è tipicamente giustificata dalla logica di profitto di chi agisce, conformemente alla ratio della disciplina in tema di responsabilità delle società; in particolare, fra gli illeciti che la commissione ministeriale ha proposto di inserire quali reati-presupposto della responsabilità delle società anche alcuni degli illeciti tributari disciplinati nel Decreto Legislativo n. 74/2000 ed in particolare:
a) articolo 2, comma 1, dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (per il quale è prevista a carico della società la sanzione pecuniaria da 600 a 1000 quote e la sanzione interdittiva da 6 mesi ad un anno);
b) articolo 8, emissione di fatture o altri documenti relativi ad operazioni inesistenti, con le medesime sanzioni previste per la precedente ipotesi;
c) articolo 5, omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o ai fini IVA (per il quale è prevista a carico della società la sanzione pecuniaria da 400 a 800 quote e la sanzione interdittiva da tre ad otto mesi);
d) articolo 10, distruzione ed occultamento di documenti contabili (per il quale è prevista a carico della società la sanzione pecuniaria da 500 a 900 quote e la sanzione interdittiva da quattro a nove mesi).
1.4.1 La delega fiscale
La Legge 11 marzo 2014, n. 23 ha conferito una delega al Governo per la realizzazione di un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita.
In particolare, l’articolo 6 (Gestione del rischio fiscale, governance aziendale, tutoraggio, rateizzazione dei debiti tributari e revisione della disciplina degli interpelli)[8] delega il Governo ad introdurre:
forme di comunicazione e di cooperazione anche in termini preventivi rispetto alle scadenze fiscali, tra le imprese e l’amministrazione finanziaria;
per i soggetti di maggiori dimensioni, la previsione di sistemi aziendali strutturati di gestione e di controllo del rischio fiscale, con una chiara attribuzione di responsabilità nel quadro del complessivo sistema dei controlli interni.
Con specifico riferimento alla gestione e al controllo del rischio fiscale sono stati individuati dei benefici da concedere alle società virtuose che intendono implementare sistemi preventivi di controllo, vale a dire:
riduzioni delle eventuali sanzioni, anche in relazione ai criteri di limitazione e di esclusione della responsabilità previsti dal D. Lgs. n. 231 del 2001;
incentivi sotto forma di minori adempimenti per i contribuenti;
forme specifiche di interpello preventivo con procedura abbreviata.
Quanto all’individuazione dei sistemi preventivi di controllo, il Servizio Studi del Senato sulla delega fiscale ha evidenziato che i modelli di organizzazione, gestione e controllo adottati ai sensi del D. Lgs n. 231 del 2001 “possono essere inquadrati a fondamento di un sistema integrato di controlli che consentano di gestire in modo efficiente e puntuale qualsiasi forma di rischio (compreso quello fiscale), offrendo all’imprenditore, ai soci e alla governance aziendale un vero e proprio sistema capace di monitorare l’attività dell’impresa.”
2. La confisca per equivalente a carico dell’ente
Nel caso in cui gli illeciti fiscali siano commessi dal contribuente/persona fisica, quest’ultimo è soggetto alla misura ablatoria per equivalente.
Nello specifico, l’articolo 1, comma 143, L. 24 dicembre 2007 n. 244 (« Finanziaria 2008 ») ha esteso l’istituto al settore dei reati tributari (imposte sui redditi e sul valore aggiunto), disponendo che “nei casi di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 Decreto Legislativo 10 marzo 2000 n. 74, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322-ter c.p.”[9]
Qualora, invece, si verifichi un divario tra autore (persona fisica) del fatto criminoso e mero beneficiario del profitto dell‘illecito, e quest’ultimo sia una persona giuridica, nel nome e per conto della quale il singolo, come suo organo, ha commesso il fatto di reato, non sarà possibile applicare quella sanzione, mancando una disposizione che espressamente contempli il potere di colpire il patrimonio del fruitore dell’evasione fiscale in quanto estraneo al delitto.
La scelta di escludere la confisca per equivalente nei confronti dei contribuenti che, producendo ricchezze significative, rappresentano i protagonisti principali del rapporto tributario e, al contrario, quella di punire il solo autore/persona fisica, risulta, a ben vedere, irragionevole sul piano politico-criminale.
Al fine di porre rimedio a tale lacuna, la Suprema Corte con la sentenza n. 28731/2011[10] ha sostenuto che il Decreto Legislativo n. 231 del 2001 non costituisce un limite all’applicazione della confisca per equivalente dei beni dell'ente collettivo nelle ipotesi di reati tributari commessi dall'amministratore o dal legale rappresentante della società.
Nello specifico, nel corso di un procedimento penale a carico del rappresentante legale di una persona giuridica per il reato di cui all’articolo 10 Decreto Legislativo n. 74 del 2000, viene disposto un sequestro preventivo prodromico alla successiva confisca per equivalente di beni intestati allo stesso, nonché di beni della società dal primo legalmente rappresentata e nell'interesse della quale era stato commesso l'illecito.
Per giungere a tale conclusione, viene evidenziato che è sequestrabile il patrimonio dell'ente, che non può considerarsi terzo estraneo al reato, in quanto destinatario del profitto dell’illecito commesso dal suo legale rappresentante; inoltre, i beni della società possono essere colpiti perché l'indagato, per la sua posizione, ne ha la disponibilità.
I giudici di legittimità, rigettando il ricorso, affermano che “il reato è addebitabile all'indagato, ma le conseguenze patrimoniali ricadono sulla società a favore della quale la persona fisica ha agito salvo che si dimostri che vi è stata una rottura del rapporto organico; questo principio, pacificamente accolto dalla giurisprudenza di legittimità, non richiede che l'ente sia responsabile a sensi Decreto Legislativo n. 231/2001 (…) la società ricorrente non può considerarsi terza estranea al reato perché partecipa alla utilizzazione degli incrementi economici che ne sono derivati; dal momento che il profitto non si può collegare, per la tipologia dell'illecito (ndr: occultamento e distrazione di documenti contabili), ad un bene individuabile, il sequestro non poteva che essere disposto per equivalente”.
Il profitto dell’illecito resta incardinato nel patrimonio sociale e l’autore del reato, salvo evidentemente le ipotesi di rottura del rapporto organico o di limiti statutari alla gestione, conserva anche la materiale disponibilità dei beni, che potrebbe, diversamente opinando, continuare ad amministrare al riparo da qualunque misura ablatoria.[11]
Seguendo il procedimento logico-giuridico dell’organo giudicante, il reato è certamente attribuibile al solo amministratore, mentre le conseguenze patrimoniali di esso ricadono sulla società, dal momento che non è stata dimostrata la rottura del rapporto di immedesimazione organica.
Per questo motivo non è necessario affermare la responsabilità amministrativa dell’ente ai sensi del Decreto Legislativo n. 231/2001 in quanto risulta sufficiente e prevale l’aspetto formale del vantaggio.
Il risparmio illecito d’imposta si è tradotto in un beneficio economico per la società e, non essendo individuabile il provento del reato in un bene determinato, è legittimo il ricorso al sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente.
Tuttavia, non appare condivisibile che dal rapporto di immedesimazione organica si possano trarre conseguenze che violano il carattere personale della responsabilità penale (articolo 27 Cost.) e soprattutto comportano il ricorso alla analogia in malam partem, in quanto viene consentita, mediante il combinato disposto tra la L. n. 244/2007 e l’articolo 322-ter c.p., l’ablazione dei beni della società per i reati tributari in ordine ai quali il legislatore, attraverso il Decreto Legislativo n. 231/2001, ha stabilito la non confiscabilità dei beni dell’ente, con evidente violazione anche del principio di legalità, costituzionalmente garantito dall’articolo 25, comma 2.[12]
È noto infatti che l’applicabilità della confisca per equivalente, delineata dall’articolo 19 D. Lgs. n. 231 del 2001, sul patrimonio dell’ente è esclusa nell’ipotesi di commissione di un reato tributario nell’interesse e a vantaggio della persona giuridica, visto che, come già evidenziato in precedenza, gli illeciti penali tributari non figurano nel novero dei reati-presupposto commessi da soggetti apicali o subordinati della persona giuridica.
Da ultimo, la Cassazione penale, sez. III, con la sentenza n. 1256 del 10 gennaio 2013 sancisce che i reati tributari non rientrano tra quei reati-presupposto che, commessi da soggetti apicali o subordinati della persona giuridica, nell’interesse o a vantaggio della stessa, danno luogo a responsabilità dell’ente da reato in base al D. Lgs. n. 231/2001, circostanza che consentirebbe di ricorrere alla misura cautelare della confisca. Pertanto, i beni aziendali sfuggono a tale misura, anche nella forma per equivalente, a meno che la stessa società non sia stata utilizzata solo quale “paravento” per lasciare agire i vertici nelle manovre di evasione fiscale personale.
“In conclusione, nel caso di specie, ove è indiscussa la piena autonomia della struttura societaria di Unicredit spa rispetto agli indagati, è pacifico che sussistono gravi indizi che gli indagati, alcuni di essi in rappresentanza dell’ente, abbiano posto in essere la complessa trama fraudolenta in danno dell’Erario, a vantaggio e nell’interesse delle società bancarie poi confluite in Unicredit spa. D’altra parte la società suddetta, pur non risultando affatto estranea ai reati tributari, non può essere chiamata, a legislazione vigente, a rispondere per tali reati, in quanto, come detto, nessuna fonte di legislazione primaria prevede tale titolo di responsabilità: di conseguenza la società Unicredit ed i suoi beni non possono essere destinatari di provvedimenti cautelari di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca del profitto dei reati tributari per cui si indaga, pur commessi a suo vantaggio, reati ascritti ed allo stato ascrivibili solo agli indagati-persone fisiche.”[13]
Sono degne di menzione anche le conclusioni cui giunge la Cassazione che, nel sottolineare l’inefficacia dell’attuale sistema punitivo in materia di reati tributari, evidenzia altresì una disparità di trattamento non solo tra le persone fisiche e quelle giuridiche, ma anche tra le stesse persone giuridiche, a seconda che queste rappresentino una mera emanazione strumentale degli autori del reato, ovvero uno schermo al cui riparo poter agire indisturbati, ovvero siano enti di dimensione non modesta, rispetto ai quali si prospetta una vera e propria impunità fiscale rispetto alle prime.
Infine, appare opportuno evidenziare un ulteriore orientamento giurisprudenziale che ha come effetto proprio l’ampliamento del raggio d’azione della confisca di valore, ammettendone l’applicazione a carico dell’ente.
Nel corso di un procedimento per frode fiscale nei confronti di due imprenditori viene disposto il sequestro preventivo, fino al tetto di Iva ritenuta evasa, dei conti riconducibili alla S.r.l., nella quale i due svolgevano funzioni di vertice. Il Gip utilizza il reato di truffa ai danni dello Stato, incluso nel decreto 231, come grimaldello per eludere l'esclusione dei reati fiscali. Una posizione cui, in sede di riesame, acconsente di fatto anche il tribunale di Varese, per il quale occorre distinguere la responsabilità delle persone fisiche da quella della società.
La II Sezione penale della Cassazione con sentenza n. 41488 del 28 ottobre 2009 statuisce invece che: “Da tempo la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio secondo cui non è configurabile il concorso fra il delitto di frode fiscale ex articolo 2 D. Lgs. n. 74/2000 e quello di truffa aggravata ai danni dello Stato ex articolo 640, cpv., n. 1, c.p., dovendosi ritenere il secondo consumato nel (ovvero in rapporto di specialità con il) primo, con la conseguenza che, verificandosi l’assorbimento nel delitto di frode fiscale di quello di truffa aggravata, è impedita l’applicazione della confisca per equivalente, non prevista dalla legge anche per i reati tributari, se non per i fatti – qui pacificamente non ricorrenti – successivi all’entrata in vigore della legge finanziaria 2008, n. 244/2007. Le conclusioni di siffatto univoco indirizzo giurisprudenziale valgono sia per la responsabilità penale delle persone fisiche che per quella c.d. “amministrativa” delle persone giuridiche. Il principio di legalità, cui è ispirato l’intero sistema penale nonché l’ordinamento settoriale della responsabilità degli enti, impedisce infatti che possa “scomporsi” il reato complesso – ovvero qualsiasi altra figura criminosa che ne assorba un’altra, esaurendo in sé l’intero disvalore del fatto – al fine di far derivare, da una parte artificialmente separata della condotta posta in essere ed isolatamente riguardata, quelle conseguenze sanzionatorie che solo da essa, e non invece da quella globalmente considerata dalla legge, conseguirebbero. Il tribunale ha dunque violato il principio di stretta legalità, ritenendo applicabile all’ente una sanzione (quale deve essere considerata la confisca per equivalente) in ordine ad un’ipotesi criminosa (la contestata frode fiscale) che non la contempla; e ciò ha compiuto sia mediante la descritta, ardita in direzione – ai fini elusivi della legge – consistente nel valorizzare esclusivamente gli elementi della truffa aggravata contenuti nel delitto tributario, del quale – è bene precisarlo – il legislatore ha escluso finora la natura di reato presupposto della responsabilità degli enti, non avendolo mai inserito nel catalogo contenuto nella sezione III, capo I, Decreto Legislativo n. 231/2001; sia ritenendo irragionevolmente (dunque con manifesta illogicità) “scomponibile” il delitto di frode fiscale – al fine di apprezzarne penalmente una sua parte – solo con riguardo alla responsabilità della persona giuridica, avendo viceversa esattamente escluso siffatta creativa operazione ermeneutica nei confronti delle persone fisiche.”
Successivamente, anche le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 1235 del 28 ottobre 2010 hanno eretto a principio di diritto la già diffusa opinione in dottrina secondo la quale “i reati in materia fiscale di cui agli articoli. 2 e 8 Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, sono speciali rispetto al delitto di truffa aggravata a danno dello stato di cui all’articolo 640, secondo comma, n. 1, codice penale.”
3. Conclusioni
Alla luce del contrasto dottrinale riguardante l’opportunità di introdurre i reati tributari nel catalogo dei reati-presupposto ex Decreto Legislativo n. 231/2001 e degli arresti giurisprudenziali appena richiamati in merito all’applicazione della confisca per equivalente a carico degli enti, sono auspicabili due tipi di intervento: quello nomofilattico delle Sezioni Unite[14] oppure – soluzione che appare preferibile – quello chiarificatore del legislatore.
In merito alla prima opzione, in data 5 marzo 2014 sono state depositate le motivazioni relative alla sentenza n. 10561[15], che condividono sostanzialmente quell’orientamento dottrinale e giurisprudenziale, già riportato in precedenza, secondo il quale gli illeciti penali tributari non figurano, come noto, nel novero dei reati presupposto che danno luogo alla responsabilità dell'ente e, dunque, non potrebbe trovare applicazione la speciale confisca di valore stabilita dall'articolo 19 del Decreto Legislativo n. 231 del 2001.
Nello specifico, la Corte di Cassazione sancisce i seguenti principi di diritto:
“È consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di tale persona giuridica”;
“Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio”;
“Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato”;
“L'impossibilità del sequestro del profitto di reato può essere anche solo transitoria senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato”.
Invero, il rapporto organico che esiste tra persona fisica e società non è di per sé idoneo a giustificare l'estensione dell'ambito di applicazione della confisca per equivalente.
Inoltre, non può trovare applicazione il principio per cui a ciascun concorrente devono imputarsi le conseguenze del reato, dato che nel nostro ordinamento è prevista solo una responsabilità amministrativa degli enti e non una responsabilità penale, sicché l'ente non è mai autore del reato e non può essere considerato concorrente.
La confisca per equivalente dei beni della società non può fondarsi neppure sull'assunto che l'autore del reato ha la disponibilità di tali beni in quanto amministratore, essendo tale disponibilità nell'interesse dell'ente e non della persona fisica.
Tale forma di confisca, peraltro, non può essere disposta ai sensi dell'articolo 19 del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, perché nel decreto manca una specifica ipotesi di responsabilità dell'ente per i reati tributari, né ai sensi dell'articolo 322 ter c.p., dal momento che tale norma si applica all'autore del reato e la persona giuridica, come sottolineato più volte, non può essere considerata tale.
Lo stesso carattere sanzionatorio della confisca per equivalente ne impedisce l’applicazione oltre ai casi espressamente considerati, a ciò ostando il divieto di applicazione analogica in malam partem vigente nella materia penale.
Allo stesso tempo, le Sezioni Unite non mancano di rilevare come la situazione normativa delineata presenti evidenti profili di irrazionalità e incoerenza, statuendo che: “il mancato inserimento dei reati tributari fra quelli previsti dal Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, rischia di vanificare le esigenze di tutela delle entrate tributarie (…) è possibile, attraverso l'intestazione alla persona giuridica di beni non direttamente riconducibili al profitto di reato, sottrarre tali beni alla confisca per equivalente, vanificando o rendendo più difficile la possibilità di recupero di beni pari all'ammontare del profitto di reato, ove lo stesso sia stato occultato e non vi sia disponibilità di beni in capo agli autori del reato”.
La stessa ratio legis che ha introdotto la disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti finisce “per risultare non poco compromessa proprio dalla mancata previsione dei reati tributari tra i reati presupposto”.
Tali irrazionalità e incoerenze, peraltro, non possono essere rimosse neppure sollevando una questione di legittimità costituzionale perché il principio di riserva di legge di cui all'articolo 25, comma 2, Cost. preclude alla Corte costituzionale di adottare una pronuncia additiva che comporti effetti costitutivi o peggiorativi della responsabilità penale, trattandosi di intervento riservato in via esclusiva alla discrezionalità del legislatore.
Le Sezioni Unite, quindi, non possono che segnalare tali profili di criticità auspicando quanto prima un intervento del legislatore volto a inserire i reati tributari tra quelli per i quali è configurabile la responsabilità dell'ente ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001.
Nel caso di specie, l’organo giudicante ha rigettato il ricorso dichiarandolo inammissibile: lo stesso ricorrente ha evidenziato come la somma non corrisposta all'erario sia stata utilizzata dalla società per il pagamento dello stipendio dei dipendenti.
È pacifica, dunque, l'impossibilità di procedere alla confisca diretta del profitto del reato; non potendosi aggredire il denaro o altri beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario, risulta legittimo disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti della persona fisica per i reati tributari commessi nell'interesse dell'ente.
Analizzati i principi di diritto enucleati dalle Sezioni Unite Penali, è evidente che solo al legislatore, passando – imprescindibilmente – dall’introduzione dei reati tributari nel tessuto del Decreto Legislativo n. 231/2001, può essere demandata la definizione del sistema repressivo.
A tal proposito, auspica un intervento legislativo anche l’Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione, Servizio penale, che nella Relazione n. 30/13 (Roma, 2 luglio 2013) statuisce: “In tal senso è stato osservato che una responsabilità degli enti per i reati tributari non potrebbe essere fatta derivare da quella assegnata alle persone giuridiche nel diritto tributario: infatti, il sistema del diritto penale tributario deve essere letto ed interpretato nell’ambito del complessivo sistema del diritto penale e non può essere ritenuto un mero apparato sanzionatorio di disposizioni tributarie, avente vita a sé stante ed avulso dal generale sistema punitivo, quasi fosse una sorta di “sistema speciale” (Sez. 3, n. 24851 del 2/5/2013, Morini). In effetti, solo un intervento legislativo che preveda espressamente la responsabilità della persona giuridica per i reati tributari commessi a vantaggio e nell’interesse dell’ente potrebbe rendere possibile la confisca di valore nei suoi confronti”.
Ad oggi, il ddl S.19, menzionato in precedenza, è in discussione al Senato, congiuntamente ai disegni di legge S.657, S.711, S.846, S.847 e S.851, presso la 2ª Commissione permanente (Giustizia) in sede referente.
Tuttavia, in attesa dell’ampliamento del catalogo dei reati-presupposto, l’adozione su base volontaria di Modelli 231 finalizzati a prevenire anche gli illeciti tributari – passando per l’introduzione di sistemi di compliance integrata che, ove correttamente armonizzati, possano ridurre qualsiasi tipo di rischio, sia esso di natura penale o amministrativo – potrà garantire alle imprese virtuose i benefici prima elencati (cfr. par. 1.4.1) previsti dalla c.d. delega fiscale.
[1] Cfr. I. CARACCIOLI, Reati tributari e responsabilità degli enti, in Rivista231.it, n. 1/2007, pp. 155 e seguenti; C. SANTORIELLO, Sull’opportunità di configurare la responsabilità amministrativa delle società anche in caso di commissione di reati fiscali, ivi, n. 1/2013, pp. 189 e seguenti; F. D’ARCANGELO, La responsabilità degli enti per i delitti tributari dopo le SS.UU. 1235/2010, ivi, n. 4/2011, pp. 125 e seguenti.
[2] In questo senso P. IELO, Reati tributari e responsabilità degli enti, in Rivista231.it, n. 3/2007, 7;A. PERINI, Brevi considerazioni in merito alla responsabilità degli enti conseguente alla commissione di illeciti fiscali, ivi, n. 2/2006, 79; O. MAZZA, Il caso Unicredit al vaglio della cassazione: il patrimonio dell’ente non è confiscabile per equivalente in caso di reati tributari commessi dagli amministratori a vantaggio della società, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; Id., La confisca per equivalente fra reati tributari e responsabilità dell’ente (in margine al caso Unicredit), ivi; L. DELLA RAGIONE, Sul sequestro per equivalente dei beni della persona giuridica per i reati tributari commessi nel suo interesse, ivi; Id., La Suprema Corte ammette il sequestro preventivo funzionale alla successiva confisca per equivalente dei beni della persona giuridica per i reati tributari commessi nel suo interesse dal legale rappresentante, ivi.
[3] P. IELO, Reati tributari, cit., p. 9.
[4] P. IELO, Reati tributari, cit., p. 10.
[5] A. CARMONA, La responsabilità amministrativa degli enti: reati presupposto e Modelli organizzativi, in Rivista231.it, n. 1/2006, p. 109.
[6] Cfr. Cass. pen., sentenza. n. 24851 del 6 giugno 2013. Nello specifico, la Suprema Corte ha reputato infondato il ricorso in quanto il sequestro in questione trovava legittimazione nelle richiamate disposizioni normative relative all’articolo 416 c.p., prescindendo, quindi, dai reati fine. Nello specifico, “Occorre infatti considerare in premessa che il profitto del reato di associazione per delinquere, sequestrabile ai fini della successiva confisca per equivalente (articolo 11, legge 16 marzo 2006, n. 146), è costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall’insieme dei reati fine, dai quali è del tutto autonomo e la cui esecuzione è agevolata dall’esistenza di una stabile struttura organizzata e dal comune progetto delinquenziale (Sez. 3, Sentenza n. 5869 del 27/01/2011 Rv. 249537).”
[7] Cfr. Rel. di accompagnamento al ddl S.19: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/699371/index.html
[8] Il testo integrale dell’atto è consultabile al seguente link: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2014/3/12/14G00030/sg
[9] L’articolo 322-ter c.p. recita: “1. Nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti previsti dagli articoli da 314 a 320, anche se commessi dai soggetti indicati nell'articolo 322 bis, primo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.
2. Nel caso di condanna, o di applicazione della pena a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per il delitto previsto dall'articolo 321, anche se commesso ai sensi dell'articolo 322 bis, secondo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono il profitto salvo che appartengano a persone estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a quello di detto profitto e, comunque, non inferiore a quello del denaro o delle altre utilità date o promesse al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio o agli altri soggetti indicati nell'articolo 322 bis, secondo comma.
3. Nei casi di cui ai commi primo e secondo, il giudice, con sentenza di condanna, determina le somme di denaro o individua i beni assoggettati a confisca in quanto costituenti il profitto o il prezzo del reato ovvero in quanto corrispondente al profitto o al prezzo del reato.”
[10] Cfr. in senso conforme Cass. pen., sentenza n. 6288/2010; Cass. pen., sentenza n. 26389 del 9 giugno 2011.
[11] Si richiama così l’orientamento dottrinario (G. SALCUNI, I reati tributari. Parte generale, in A. Manna (a cura di), Corso di diritto penale dell’impresa, Padova, 2010, 493; A. PERINI, voce Reati tributari, in Dig. disc. pen., 2008, 943 ss.; Id., Brevi considerazioni in merito alla responsabilità degli enti conseguente alla commissione di illeciti fiscali, in Rivista231.it, n. 2/2006, p. 79), secondo il quale non pare comunque difficile — in via interpretativa — applicare la confisca per equivalente anche ai beni della società beneficiata dall’evasione fiscale realizzata dal suo amministratore, atteso che di tali beni il reo ha comunque la disponibilità proprio in quanto amministratore (al limite, anche solo di fatto) o rappresentante della società-contribuente; peraltro, sempre secondo l’orientamento in esame, tali beni neppure apparterrebbero, in siffatte circostanze, ad un soggetto qualificabile come “estraneo al reato”, tenuto conto che il reato tributario verrebbe commesso nell’interesse della società beneficiaria dell’evasione.
[12] Cfr. G. GIANGRANDE, La confisca per equivalente nei reati tributari: tra legalità ed effettività, in Diritto e pratica tributaria, n. 1/2013, pp. 173 e seguenti.
[13] Cfr. in senso conforme Cass. pen., sez. III, sent. n. 25774/2012; Cass. pen., Sez,. III, sent. n. 33371/2012; Cass. pen., sent. n. 9576/2013; Cass. pen., sent. n. 22980 del 28 maggio 2013; Cass. pen., sent. n. 24519/2013.
[14] Il 22 novembre 2013 la III Sezione penale della Corte di Cassazione con ordinanza n. 46726 ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: “Se sia possibile o meno aggredire direttamente i beni di una persona giuridica per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante della stessa”. In data 30 gennaio 2014 le Sezioni Unite Penali, nelle more della pubblicazione delle motivazioni, hanno predisposto la seguente “Informazione provvisoria n. 1”, che recita: “E’ consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni comunque direttamente riconducibili al profitto del reato, mentre non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di ulteriori beni della persona giuridica.”
[15] Si riporta in sintesi il caso che ha dato origine alla pronuncia delle Sezioni Unite in esame. Il Tribunale di Trento, chiamato a pronunciarsi in sede di appello avverso l'ordinanza del GIP che aveva rigettato la richiesta di misura cautelare reale avanzata dal pubblico ministero, ha disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di un immobile di proprietà del legale rappresentante di una società, sottoposto ad indagine per il reato previsto dall'articolo 10 ter Decreto Legislativo n. 74 del 2000, in quanto avrebbe omesso di versare per conto della società l'imposta sul valore aggiunto. Il destinatario del provvedimento di sequestro ha proposto ricorso per Cassazione sostenendo, in particolare e tra gli altri motivi, che non si sarebbe potuto procedere al sequestro preventivo nei suoi confronti perché il pubblico ministero avrebbe dovuto prima verificare la possibilità di procedere al sequestro finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato nei confronti della società, nelle cui casse è rimasta la somma non versata all'erario. Solo dopo aver accertato l'impossibilità di procedere alla confisca diretta, si sarebbe potuto disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente. Ad avviso del ricorrente, però, anche in questo caso si sarebbe dovuto aggredire il patrimonio della società beneficiaria del risparmio d'imposta e non quello della persona fisica che non ha tratto alcun profitto dalla commissione del reato. Nel caso di reati tributari commessi dal legale rappresentante nell'interesse della società, osserva il ricorrente, la persona giuridica non può essere considerata terzo estraneo al reato quando il profitto rimane nelle casse sociali. Deve quindi precedersi alla confisca del profitto nei confronti dell'ente.