x

x

Il corpo del transumanesimo: autorappresentazione, tecno-estetica e miglioramento umano

Faro di Castiglione della Pescaia
Ph. Maria Cristina Sica / Faro di Castiglione della Pescaia

Introduzione

Negli ultimi anni il fenomeno transumanista ha gradualmente guadagnato visibilità e riconoscimento, passando dall’essere un fenomeno minore, confinato in circoli di specialisti del settore tecnologico, ad argomento di interesse pubblico (sebbene non ancora ampiamente conosciuto presso il pubblico generalista). Se un tempo le tematiche transumaniste erano relegate all’ambito della fantascienza o al massimo dei future studies più arditi, i repentini cambiamenti apportati dall’innovazione tecnologica alle nostre vite hanno reso le riflessioni elaborate in ambito transumanista sempre più oggetto di interesse, preoccupazione e valutazione critica.

In questo contesto, il tema del corpo si è affermato come uno dei cardini attorno a cui ruota la discussione, per le sue feconde implicazioni sia etiche e antropologiche sia più prettamente politiche.

Dal punto di vista etico, si è infatti discusso del trascendimento del limite corporeo come atto emancipatore e redentore, mentre sul versante antropologico e politico si sono discusse le possibili forme che tali forme di vita post-corporee o in diversa relazione con la corporeità potrebbero assumere, valutandone i benefici, i limiti, le implausibilità e le ricadute politiche.

In questo nostro contributo vorremmo proporre una disamina del nesso transumanesimo/corpo articolata lungo un triplice asse, che ne indaga le relazioni con la filosofia della natura che alle concezioni somatiche del transumanesimo è sottesa, l’idea di miglioramento che tale movimento propone e le sue ricadute politico-giuridiche.

Le sezioni del presente articolo ricalcheranno quindi la tripartizione dei temi qui accennati, dedicandosi brevemente all’idea transumanista di natura, miglioramento e libertà, prima di ricapitolare nelle conclusioni finali alcuni degli aspetti più rilevanti per il dibattito attuale su tali temi.

 

Addio a Madre Natura: transumanesimo come prometeismo

L’interesse del movimento transumanista per il corpo si lega a doppio filo alla concezione che esso sposa del mondo naturale.

La proposta transumanista si inserisce infatti nell’alveo di una ben più antica storia, quella delle concezioni della Natura e della relazione che l’uomo intesse con essa.

Lo storico della filosofia Pierre Hadot in una sua opera dedicata all’evoluzione dell’idea di natura distingue tra due grandi atteggiamenti verso il mondo naturale: da un lato un atteggiamento orfico, di reverenza nei confronti dell’ordine naturale, dall’altro un atteggiamento prometeico, che alla natura dà l’assalto grazie alla scienza e alla tecnica.

Se il primo, affine alla religiosità mistica e all’idea di un ordine saggio nella natura, è servito a stabilizzare la posizione dell’uomo in un mondo che si pensava fisso e rigido (esemplare la concezione della Grande Catena dell’Essere), il secondo, anziché considerare la natura portatrice di un ordine morale, la vede come foriera di limitazioni da superare per il benessere dell’umanità, una serie di fatti meccanici da ricombinare per garantire un esito più felice di quello attuale.

Esso si propone quindi un superamento dell’attuale condizione umana tramite l’ingegno umano, la scienza e la tecnica.

Tale atteggiamento potrebbe essere ben riassunto dalla Lettera a Madre Natura di Max More, tra i testi fondanti del transumanesimo.

La Natura figura lì come una forza neutrale, né madre né matrigna, una serie di processi ateleologici che hanno consegnato all’umanità una duplice eredità: da un lato peculiarità specifiche di cui essere grati, dall’altra limitazioni, sofferenza e patimenti.

Contrariamente a quanto si sente spesso dire in relazione al rapporto dei transumanisti con la propria biologia, essi non sono pregiudizialmente opposti ad essa, né si fanno portatori di una negazione totale del valore della corporeità di stampo platonico-cartesiano.

La maggior parte dei transumanisti, soprattutto di quelli che hanno articolato filosoficamente le proprie convinzioni, reputa il corpo uno strumento utile ma limitato, un imprescindibile supporto per la nostra attuale condizione ma inadeguato per modalità di esistenza più elevate.

Anche in questo caso il termine “superamento” è il più adeguato a descrivere l’elemento prometeico della concezione transumanista.

Tale superamento avviene soprattutto, ritengo, in connessione con l’attività umana di autorappresentazione, ovvero ponendo come obiettivo futuro una diversa condizione non-umana o più che umana. In un mondo tradizionalmente ripartito in rigide categorie ontologiche, l’uomo si è costruito una identità tramite alterità referenziali.

Ne è un esempio il processo descritto dagli studi di zooantropologia, in cui l’animale funge da Altro, da non-umano, allo scopo di creare una dialettica tra Noi (umani) e Loro (non-umani), salvo poi recuperare nella nostra auto-definizione alcuni tratti dell’alterità per spiegare tratti della nostra condizione oppure immaginare miglioramenti a tale condizione (la vista d’aquila, il coraggio del leone ecc.).

Ma l’animale serviva da confine, limite inferiore dell’umano, sopra al quale stavano altre referenzialità, più appaganti. La divinità, l’angelo, il demone, l’automa e più recentemente l’Intelligenza Artificiale sono tutte entità che hanno svolto ruoli similari nella storia umana.

Il processo di autorappresentazione è servito a volte a giustificare “ordini naturali” fissi e immutabili, in cui ogni ente ha il posto e le sue prerogative, ma ha anche, spesso, animato desideri di “sconfinamento” e trasgressione dei limiti, come nel caso delle pratiche magiche e alchemiche, ritenute non a caso antenate del moderno transumanesimo. Tali sconfinamenti erano e sono soprattutto motivati dall’insoddisfazione nei confronti della propria corporeità, mortale, limitata, corruttibile e prona alla sofferenza.

Ovviamente, non si intende né banalizzare né ridurre la proposta transumanista ad impulsi irrazionali o concezioni premoderne, bensì osservare come l’immaginario narrativo e simbolico, l’identificazione tramite opposizioni con l’alterità e l’uso di tali referenti simbolico-identitari siano costanti nel corso della storia umana e animino oggi molte discussioni sull’umano, il suo posto e i suoi limiti.

Approfondiremo questo tema trattando della relazione che i transumanisti hanno con il corpo nella prospettiva di un miglioramento delle potenzialità che esso offre.

 

Transumanesimo, autorappresentazione e tecnoestetica

Il transumanesimo, come detto, è spesso accusato di disprezzare la biologia e il corpo, ma in realtà non si mostra pregiudizialmente ostile ad essi, bensì li considera utili strumenti di cui si sono però ormai colte le limitazioni e che andrebbero pertanto sostituiti con più adatti “supporti”.

Oltre a filosofi e scienziati come Max More, Anders Sandberg e Ray Kurtzweil, anche artisti come il performer Stelarc hanno dato voce a questa esigenza di “svecchiamento” del supporto a cui ci affidiamo nella nostra interazione con il mondo, ossia il corpo.

Non si tratta quindi di disprezzo della corporeità informato da dualismi filosofici di vecchia data né di una reminiscenza gnostica che reputa la dimensione somatica inerentemente inferiore se non malvagia. Entrambe le posizioni sono diffusamente associate al transumanesimo da commentatori e critici, ma tali valutazioni, data anche l’eterogeneità delle posizioni a riguardo nel movimento, sono quantomeno parziali e superficiali.

Proporremo qui un’interpretazione del fenomeno che prende una diversa direzione e che si appoggia sul concetto di tecnoestetica, sviluppato dal filosofo francese Gilbert Simondon.

Noto soprattutto come filosofo della tecnica, Simondon conia il termine in una breve lettera in seguito pubblicata come saggio dedicata al tema dell’esperienza estetica legata all’oggetto tecnico.

Tale esperienza non è mera sovrapposizione di un elemento estetico indipendente alla dimensione tecnico-pratica dell’oggetto, ma è unitaria e indivisa, sia tecnica che estetica, tecnoestetica.

Ne sono un esempio le sensazioni di piacere che ci danno l’ergonomia di un oggetto, la sua rispondenza alle nostre azioni, la sua efficienza e la sua eccellente capacità di mediare la nostra azione nel mondo.

Il ruolo assunto dall’artefatto tecnico nell’essere mediatore tra noi e il mondo lo pone in un’ottica di valutazione estetica: ad esempio, un attrezzo dal design pratico e funzionale (oppure, più attualmente, un software intuitivo e user-friendly) è un oggetto che ci dà esperienze di intensa soddisfazione e piacere. Al contrario, l’inefficienza, l’impraticità, la complessità non necessaria e la poca fluidità d’utilizzo generano in noi sensazioni di fastidio e insofferenza, anche di intensa frustrazione e rabbia.

Cosa ha a che fare questo con la questione dell’antropologia transumana?

La mia idea è che da sempre l’uomo avverta il proprio corpo come strumento inefficiente (sebben funzionale e oggetto di ammirazione a tratti) e che si proponga un superamento di tali limitazioni tramite il potenziamento tecnico, applicando al suo corpo una auto-tecnoestetica, ovvero una tecnoestetica che si rivolge al corpo umano come si rivolgerebbe ad uno strumento tecnologico d’utilizzo.

Inoltre, seguendo le intuizioni di Gunther Anders, l’uomo si rende conto in tempi recenti della propria sensazione di inferiorità, potremmo dire ora tecnoestetica, nei confronti della macchina, indefinitamente riproducibile e sempre performante, avulsa dai limiti del decadimento corporeo biologico, giungendo a ritenersi antiquato rispetto alla propria creazione.

Ma se ora l’uomo si sente antiquato, bisogna ricordare che l’uomo si è da sempre sentito inadatto e limitato: in una prospettiva auto-tecnoestetica i continui sogni dell’umanità di poteri sovrumani, miglioramenti fisici e cognitivi e anche di immortalità emergono come auto-valutazioni del proprio corpo-strumento, rese possibili dalla propria posizionalità eccentrica, nel senso di Plessner, dal suo altalenante oscillare tra identificarsi con il corpo (essere un corpo) e pensare il corpo come mezzo a sua disposizione (avere un corpo).

Secondo il pensatore tedesco, rappresentante dell’antropologia filosofica, proprio da questa eccentricità dell’uomo deriverebbero molte ambiguità nella nostra relazione con il mondo mediate dal corpo, ora visto come centro focale dell’azione ora invece come esteriore strumento che si pone al nostro servizio. Nel caso del transumanesimo, è la concezione del corpo strumento a prevalere, dando vita a esigenze di emancipazione dai limiti attuali del corpo e di miglioramento. Vedremo ora come tale desiderio di miglioramento venga sviluppato dal transumanesimo.

 

Libertà morfologica e miglioramento umano: la proposta

Pensiamo che per cogliere le dimensioni salienti del concetto di miglioramento umano sia opportuno iniziare trattando di libertà morfologica, ovvero della proposta ad oggi più concreta di una cornice giuridica in cui inquadrare l’esigenza transumana.

Il concetto di libertà morfologica, proposto innanzitutto da Max More e sviluppato da Anders Sandberg, designa un insieme di diritti riconosciuti legalmente e atti a garantire la possibilità dell’individuo di modificare il proprio corpo in accordo con il proprio ideale etico e di autorealizzazione.

Anders Sandberg, ad esempio, lo considera un diritto fondamentale, in quanto garante della base materiale di attualizzazione di molti altri diritti, senza la quale il diritto alla vita e alla ricerca della felicità rimangono ad un livello meramente formale.

In maniera non dissimile da quanto operate dalle persone transgender nel chiedere la possibilità riconosciuta di effettuare transizioni di genere, per il sostenitore della libertà morfologica il controllo del singolo sulla propria corporeità è un requisito fondamentale per poter perseguire una costruzione del proprio itinerario ideale di vita.

In altre parole, richiedendo ogni stile di vita, in una democrazia liberale e pluralista, i mezzi per poterlo realizzare, anche il corpo deve poter essere annoverato tra i mezzi su cui si può agire.

Non solo la limitazione disfunzionale (malattie e disabilità) ma anche qualsivoglia ostacolo di natura corporea al continuo progresso personale in vista del perseguimento della propria felicità è considerato un ostacolo da rimuovere tramite le innovazioni tecnoscientifiche.

Se così non fosse, sostengono i proponenti di tale idea, i diritti garantiti dalle democrazie liberali rimarrebbero meramente formali, privi di reale impatto sulle vite delle persone.

Autori come Sandberg propongono di sviluppare tale proposta come una compresenza di libertà negative volte a tutelare la libertà individuale e libertà positive, volte a rendere effettivo il perseguimento della realizzazione personale.

Non bisogna qui confondere tale concezione, intrisa di liberalismo pluralista, individualismo e libertarismo, con gli ideali di igiene sociale, di eugenetica o di creazione di “superumani” perfetti: non solo tale proposta si distacca da altre simili concezioni che hanno in passato assunto esiti distopici e illiberali (quando non totalitari), ma essa non verte nemmeno nella direzione di una utopia sociale definitiva. Inoltre, anche l’ideale di miglioramento che è sotteso a tale proposta andrebbe esaminato in dettaglio.

Sebbene molti critici abbiano accostato il fenomeno alle promesse redentrici delle religioni tradizionali, in diversi testi sia More che Sandberg riconducono la loro concezione non tanto alle utopie millenariste o all’orizzonte escatologico della Salvezza, bensì ad una riproposizione dell’idea illuministica di un progresso indefinito e illimitato, ateleologico e senza punti di arrivo fissi perlopiù declinato in chiave individualista-libertaria, in antitesi alle utopie sociali o ai totalitarismi.

Le concessioni alla libertà morfologica saranno vincolate da alcuni caveat etici e lasciate per quanto ritenuto lecito in mano all’individuo e non allo Stato (esorcizzando lo spettro dell’eugenetica novecentesca).

Come espresso esplicitamente da molti autori, il transumanesimo si considera erede dell’Illuminismo nella centralità accordata alla nozione di progresso, in particolare alla sua versione critica, laica e non provvidenziale.

Riprendendo da autori come Rousseau e Condorcet la nozione di perfettibilità dell’umano, caratteristica della filosofia della storia illuminista, gli autori transumanisti si ispirano alla posizione già diffusa in epoca illuminista e che, riprendendo la tradizione pragmatista, potremmo chiamare migliorismo (o meliorismo). La esaminerò brevemente a partire da una prospettiva pragmatista. Nonostante il richiamo ai principi dell’Illuminismo sia frequente, solo in alcuni casi si notano espliciti richiami all’eredità pragmatista, che pertanto spesso non viene riconosciuta, sviluppata coerentemente e valorizzata. Tuttavia, proprio all’interno di una cornice migliorista andrebbe inserita la proposta di libertà morfologica avanzata da Sandberg, che si fonda sul principio per cui non vi sia alcuna fissità antropologica e che la condizione umana sia mutevole e prona a essere oggetto di interventi di auto-miglioramento del singolo.

Il migliorismo come posizione associata al pragmatismo americano nasce come alternativa a due metafisiche estreme: il pessimismo schopenaueriano e l’ottimismo associato a Leibniz.

A differenza di queste due posizioni, il migliorismo non postula una fissità assiologica della natura del mondo, intrinsecamente pessima o ottima, bensì considera la struttura del mondo un insieme di possibilità in divenire, il cui bilancio bene-male può essere alterato dall’azione umana attraverso l’uso dell’intelligenza creativa. Il mondo presente non è né il migliore né il peggiore tra quelli possibili, bensì solo una delle conformazioni che esso può assumere, conformazione che può essere alterata dall’impegno umano e dalle sue azioni.

Posizioni a vario titolo migliorista si trovano in quasi tutti i pensatori pragmatisti, pur variamente declinate, ma sono stati soprattutto gli scritti di William James prima e John Dewey poi a darvi le più raffinate e coese formulazioni.

A differenza di pensatori come John Dewey, però, per i transumanisti libertari è a livello della vita individuale che va perseguito tale processo, adombrando l’ideale di progresso comunitario e democratico che era comune sia ai pensatori illuministi citati che ai pragmatisti in favore di una proposta di miglioramento individualista. Tuttavia, la proposta di More e Sandberg rimane una delle più efficaci esposizioni delle ricadute politiche delle concezioni transumaniste riguardanti natura, progresso e corporeità.

 

Conclusioni

Abbiamo esordito sostenendo che le tematiche variamente dette transumaniste sono recentemente diventate sempre più presenti nel dibattito pubblico contemporaneo.

Abbiamo qui proposto una breve ricognizione di una delle tematiche che più ci interessava e che ricopre senz’altro un ruolo centrale in molte delle discussioni sul tema, ovvero la dimensione della corporeità.

Solo brevemente e nelle ultime sezioni ci siamo occupati di mettere a tema una proposta politica ispirata ai principi transumanisti. Ma tale proposta trae senso dal più ampio orizzonte transumanista in cui è inserita, che si nutre dell’alterità referenziale del cyborg e dell’IA e che avanza proposte di human enhancement inquadrabili nell’ambito di una tecnoestetica del corpo, o meglio in una auto-tecnoestetica, dando veste nuova a istanze già storicamente presenti nel pensiero moderno e in generale assai sentite dall’uomo in ogni epoca.

Abbiamo quindi accennato ad alcune dimensioni teoricamente rilevanti che informano il pensiero transumanista e quindi il retroterra culturale delle molte proposte (a volte assai radicali: abolizione della morte, dell’invecchiamento, mind-uploading ecc.) che da parte transumanista provengono.

Si vuole così incoraggiare una discussione critica e approfondita sul tema, cercando di evitare facili entusiasmi o allarmismi e di ponderare a ragion veduta limiti e potenzialità della proposta transumanista.