x

x

Il “Decreto Fiscale 2016” (Decreto Legge 22 ottobre 2016, n. 193) e le modifiche al regime del deposito i.v.a.

Il “Decreto Fiscale 2016” (Decreto Legge 22 ottobre 2016, n. 193) e le modifiche al regime del deposito i.v.a.
Il “Decreto Fiscale 2016” (Decreto Legge 22 ottobre 2016, n. 193) e le modifiche al regime del deposito i.v.a.

Con Gazzetta Ufficiale n. 249 del 24 ottobre 2016 è stato pubblicato il Decreto Legge 22 ottobre 2016, n. 193 “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili”, già ampiamente pubblicizzato - ancora prima della sua emanazione - limitatamente alle previsioni inerenti la soppressione di Equitalia e la sua sostituzione con un nuovo ente pubblico economico denominato Agenzia delle Entrate - Riscossione.

A tale sostituzione, peraltro, non corrisponde alcuna modifica sostanziale di rilievo in relazione alle procedure ed alle modalità di riscossione attualmente in vigore che, pertanto, salvi successivi interventi legislativi, resteranno in vigore e ciò a riprova del fatto che, nonostante i proclami di diversi attori istituzionali, era ed è a tutti fin troppo chiaro che, in realtà, la “vecchia” Equitalia altro non faceva se non il proprio dovere istituzionale, ossia incamerare le risorse tributarie il cui pagamento era stato, a vario titolo e per varie ragioni, non tutte necessariamente censurabili dal punto di vista morale, omesso da parte dei contribuenti.

Ma nel medesimo decreto, oltre a quanto sopra ed alle disposizioni in  materia di “rottamazione” (termine da alcuni anni molto in voga) delle cartelle settoriali, sono contenute anche altre previsioni di non poco momento attinenti la disciplina tributaria e, fra queste, una - rinvenibile nei commi 7 ed 8 dell’articolo 4 - attinente l’attività doganale  ed avente a specifico oggetto il regime del “deposito I.V.A.”; tali previsioni sono essenzialmente tese, per quanto è possibile, a contrastare il fenomeno dell’evasione di tale tributo, per legge dovuto all’atto dell’estrazione delle merci dal deposito.

In particolare, l’articolo 4 comma 7 lett. a) del Decreto Legge 20/10/2016, n. 193 ha:

  • modificato l’articolo 50-bis comma 4 lett. c) del Decreto Legge 30/10/1993, n. 331 elidendo il riferimento ai soggetti identificati in un altro Stato membro della U.E. con la conseguenza che, ora, le cessioni di beni potranno essere operate senza applicazione d’imposta a condizione che questi siano immediatamente introdotti in un deposito I.V.A. e ciò indipendentemente dal fatto che l’acquirente sia un soggetto operante in un altro Stato membro della U.E.. In sostanza, a differenza di quanto accadeva in precedenza, si potrà fare ricorso al regime in questione anche in caso di cessione a favore di soggetti nazionali;
  • soppresso l’articolo 50-bis comma 4 lett. d) del Decreto Legge 30/10/1993, n. 331, orami divenuto sostanzialmente inutile, a mente del quale potevano essere effettuate senza pagamento d’imposta le cessioni di alcune particolari tipologie di beni, indicate nella tabella A-bis allegata al Decreto Legge 331/1993, eseguite mediante introduzione in un deposito I.V.A., effettuate nei confronti di soggetti diversi da quelli indicati nella lettera c) (ossia anche se effettuate a favore di soggetti passivi diversi da quelli identificati in altro Stato membro della U.E.), secondo la sua formulazione anteriore all’entrata in vigore del Decreto Legge 20/10/2016, n. 193.

Il successivo articolo 4 c. 7 lett. b) del Decreto Legge 20/10/2016, n. 193  ha integralmente riscritto l’articolo 50-bis c. 6 del Decreto Legge 30/10/1993, n. 331 da un lato ampliando la possibilità di estrazione dal deposito I.V.A. anche a soggetti che, stante la precedente formulazione, ne erano esclusi e, dall’altro, introducendo una particolare modalità di versamento, dal carattere marcatamente antifraudolento, per il pagamento dell’imposta dovuta a fronte di merci introdotte in deposito a seguito dell’immissione in  libera pratica, prevedendo - in questo caso - anche la corresponsabilità solidale del gestore del deposito nel pagamento del cespite tributario.

 

Nella precedente formulazione, infatti, l’estrazione dei beni dal deposito ai fini della loro utilizzazione o esecuzione in atti di commercializzazione nello Stato era possibile solo da parte di “soggetti passivi d’imposta agli effetti dell’I.V.A. iscritti alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura da almeno un anno, che dimostrino una effettiva operatività e attestino regolarità dei versamenti I.V.A., con le modalità definite con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate”.

Nella nuova formulazione della disposizione cade ogni riferimento alla “anzianità di iscrizione” del soggetto essendo possibile procedere all’estrazione dal deposito per i predetti fini da parte di tutti i soggetti passivi I.V.A..

Nulla cambia, invece, in ordine alle modalità di determinazione della base imponibile da assoggettare ad imposizione di consumo all’atto dell’estrazione: sul punto, infatti, sia la “vecchia” sia la “nuova” stesura dell’articolo 50-bis comma 6 Decreto Legge 30/10/1993, n. 331 prevedono che questa sia “costituita dal corrispettivo o valore relativo all’operazione non assoggettata all’imposta per effetto dell’introduzione ovvero, qualora successivamente i beni abbiano formato oggetto di una o più cessioni, dal corrispettivo o valore relativo all’ultima di tali cessioni, in ogni caso aumentato, se non già compreso, dell’importo relativo alle eventuali prestazioni di servizi delle quali i beni stessi abbiano formato oggetto durante la giacenza fino al momento dell’estrazione”.

Enormi, invece, sono - in caso di merci introdotte in deposito I.V.A. a seguito di immissione in libera pratica - le differenze relative alle modalità di assolvimento dell’imposta e ciò nel tentativo di correggere quello che era ormai diventato un comodo sistema per evadere il pagamento del tributo

Nella precedente stesura, infatti:

  1. l’imposta era dovuta dal soggetto che procede all’estrazione, a norma dell’articolo 17 comma 2 del Decreto del Presidente della Repubblica 26/10/1972, n. 633, ossia previa emissione di autofattura da annotare contemporaneamente nel registro fatture attive e nel registro fatture passive;
  2. in caso di estrazione di beni oggetto di un precedente acquisto, anche intracomunitario, senza pagamento dell’imposta, il soggetto procedente doveva provvedere all’integrazione della relativa fattura, con specifica indicazione dei servizi eventualmente resi e dell’imposta dovuta, ed all’annotazione della variazione in aumento nel registro delle fatture attive di cui all’articolo 23 del Decreto del Presidente della Repubblica 26/10/1972, n. 633 entro quindici giorni dall’estrazione e con riferimento alla relativa data; la variazione doveva, altresì, essere annotata nel registro delle fatture passive di cui all’articolo 25 del medesimo decreto entro il mese successivo a quello dell’estrazione.

In entrambe i casi si realizzava una sostanziale “neutralizzazione” dell’imposta la cui applicazione era de facto traslata al successivo momento della rivendita del bene così estratto, operazione che avrebbe dovuto essere regolarmente fatturata da parte del soggetto cedente salva applicazione degli eventuali titoli di non imponibilità.

Accortosi, come detto, del fatto che l’utilizzo del regime del deposito I.V.A. era ormai divenuto, per le merci di estera provenienza introdotte in deposito a seguito dell’assolvimento delle formalità doganali, una via fin troppo comoda per evadere il pagamento dell’imposta solo formalmente assolta (con le modalità sopraddette) all’atto dell’estrazione dal deposito, il legislatore ha cercato di correre ai ripari modificato in toto le modalità di pagamento.

Secondo la nuova formulazione dell’articolo 50-bis comma 6 del Decreto Legge 30/10/1993, n. 331, l’imposta è ora dovuta dal soggetto che procede all’estrazione dal deposito (nulla dunque cambia rispetto al pregresso) ma deve essere versata, entro il giorno 16 del mese successivo e senza facoltà di compensazione, in suo nome e per suo conto dal soggetto che gestisce il deposito I.V.A. mediante delega F24; tale soggetto è de iure responsabile solidale nel pagamento dell’imposta con il soggetto che procede all’estrazione.

A parere di chi scrive, pare doversi ritenere che tale responsabilità solidale attenga la sola imposta dovuta in ragione della base imponibile emergente dai documenti in possesso del gestore del deposito I.V.A.; di tal che eventuali accertamenti di una maggiore massa imponibile successivi all’estrazione dal deposito non dovrebbero comportare alcun corresponsabilità a suo carico, salvo il caso di prova della sua effettiva previa conoscenza del reale valore della merce.

Il soggetto che procede all’estrazione è comunque tenuto ad emettere una autofattura ai fini dell’estrazione da annotare nel registro fatture passive di cui all’articolo 25 del Decreto del Presidente della Repubblica 26/10/1972, n. 633.

Al momento dell’estrazione, questi può fare uso del proprio plafond I.V.A. (a condizione, ovviamente, che sia in possesso dei requisiti per poter essere considerato esportatore abituale ed abbia capienza di plafond) ed in tal caso deve emettere specifica dichiarazione di intento da trasmettere telematicamente all’Agenzia delle Entrate, che rilascia apposita ricevuta telematica; tale dichiarazione dovrà poi essere trasmessa al gestore del deposito il quale provvede a contrapporla alla propria contabilità al fine di appurare l’estrazione e giustificare il proprio operato all’atto del controllo da parte dell’Ufficio delle Dogane territorialmente competente.

Il mancato pagamento dell’imposta evasa a seguito dell’estrazione irregolare dal deposito I.V.A. trova ora expressis verbis sanzione dal punto di vista amministrativo (eliminando così una annosa diatriba, peraltro già superata dalla giurisprudenza, in relazione all’eventuale configurabilità del reato di contrabbando in caso di estrazione dal deposito I.V.A. con conseguente mancato versamento d’imposta) ai sensi dell’articolo 13 del Decreto Legislativo 18/12/1997, n. 471 a mente del quale “chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a novanta giorni, la sanzione di cui al primo periodo è ridotta alla metà. Salva l’applicazione dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al secondo periodo è ulteriormente ridotta a un importo pari a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo”.

Ovviamente, il fatto che il legislatore preveda ora una violazione amministrativa non impone che il comportamento violatorio debba essere sempre e soltanto considerato punibile in tale sede: nulla, infatti, impedisce l’applicazione del Decreto Legislativo 10/03/2000, n. 74 e delle disposizioni in esso contenute così come nulla pare impedire l’applicazione delle disposizioni in materia di “evasione I.V.A. all’importazione” (cfr. artt. 292 e 295 del D.P.R. 23/01/1973, n. 43 e 67 e 70 del D.P.R. 26/10/1972, n. 633) allorché venga compiutamente dimostrato che il soggetto che procede all’estrazione dal deposito I.V.A. esista sì ma solo “sulla carta”. In caso, infatti, di soggetti passivi I.V.A. di fatto inesistenti, privi dei locali di esercizio indicati in sede di visura camerale, che non hanno istituito le scritture contabili o che le hanno soppresse, è da ritenere che le violazioni commesse siano tali da rendere di fatto “inesistente” il soggetto passivo e, dunque, facciano venire meno il presupposto stesso dell’estrazione del bene dal deposito I.V.A. con conseguente applicabilità della disciplina di rilievo penale testé richiamata; su tale aspetto, però, solo la futura giurisprudenza potrà sciogliere l’inevitabile confusione interpretativa.

Piuttosto, come detto, il richiamo operato ora all’articolo 13 del Decreto Legislativo 18/12/1997, n. 471 pare comportare l’inapplicabilità della disciplina del Decreto del Presidente della Repubblica 23/01/1973, n. 43 alle violazioni successive al vincolo delle merci immesse in libera pratica al regime del deposito I.V.A., salvo il caso - come detto - della sostanziale inesistenza del soggetto che procede all’estrazione.

 Ad ogni buon conto, al pagamento della sanzione amministrativa è obbligato non solo il soggetto che procede all’estrazione dei beni dal deposito, ma anche il gestore dello stesso che, infatti, è colui che deve materialmente provvedere al pagamento dell’imposta mediante modello F24; ciò salvo il caso in cui l’estrazione sia avvenuta senza versamento di imposta a fronte della presentazione di specifica dichiarazione di intento: in tale ipotesi, infatti, la sanzione applicabile non sarà quella di cui al citato articolo 13 del Decreto Legislativo 18/12/1997, n. 471, ma bensì quella (nettamente più “pesante”, in quanto di importo compreso fra il 100% ed il 200% dell’importo evaso) di cui all’articolo 7 comma 4 del medesimo decreto e risulta applicabile nei confronti del solo soggetto che emette la dichiarazione di intento.

Le innovazioni apportate alle modalità di registrazione contabile non sono state, invece, così radicali in caso di estrazione dal deposito I.V.A. di merci precedentemente introdotte in forza di acquisto intracomunitario ossia, in sostanza, di beni introdotti ai sensi dell’articolo 50-bis comma 4 lett. a) del Decreto Legislativo 30/10/1993, n. 331.

In tale ipotesi, infatti, trattandosi comunque di merci unionali, secondo la definizione contenuta nel regolamento (UE) n. 952/2013, il soggetto che procede all’estrazione assolve direttamente l’imposta provvedendo ad integrare l’originaria fattura di acquisto con indicazione dei servizi eventualmente resi nel corso del periodo di permanenza all’interno del deposito (cfr. articolo 50-bis comma 4 lett. h del D.L. 30/10/1993, n. 331) ed annotando la variazione in aumento nel registro delle fatture attive di cui all’articolo 23 del Decreto del Presidente della Repubblica 26/10/1972, n. 633 e, entro il mese successivo a quello dell’estrazione, nel registro delle fatture passive di cui all’articolo 25 del medesimo decreto, con conseguente “neutralizzazione” dell’imposta.

Per la concreta applicazione di tali “novelle” è comunque richiesta l’emanazione di un decreto direttoriale di concerto del Direttore dell’Agenzia delle Entrate e del Direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. In ogni caso, fino al momento dell’integrazione delle informazioni presenti nelle banche dati delle due Agenzie Fiscali, il soggetto che procede all’estrazione dei beni introdotti in deposito I.V.A. deve comunicare al gestore del deposito i dati relativi alla liquidazione dell’imposta il quale provvede a comunicare all’Ufficio doganale competente per il controllo i dati relativi alle estrazioni dal deposito al fine di conseguire lo svincolo della garanzia prevista dall’articolo 50-bis comma 4 lett. b) del Decreto Legge 30/10/1993, n. 331 la cui prestazione rimane pertanto obbligatoria in relazione alle merci introdotte in deposito I.V.A. a seguito dell’immissione in libera pratica.

L’articolo 4 comma 7 lett. c) del Decreto Legge 22 ottobre 2016, n. 193 modifica l’articolo 50-bis comma 8 del Decreto Legge 30/10/1993, n. 331 disponendo ora che la violazione degli obblighi previsti dal novellato comma 6 a carico del gestore del deposito I.V.A. sia elemento valutabile ai fini della revoca dell’autorizzazione alla gestione del deposito.

L’articolo 4 comma 8 del Decreto Legge 22 ottobre 2016, n. 193 ha comunque stabilito al 1 aprile 2017 la data di entrata in vigore delle disposizioni contenute nel precedente comma 7 in materia di modifica della gestione del regime del deposito I.V.A..

Con Gazzetta Ufficiale n. 249 del 24 ottobre 2016 è stato pubblicato il Decreto Legge 22 ottobre 2016, n. 193 “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili”, già ampiamente pubblicizzato - ancora prima della sua emanazione - limitatamente alle previsioni inerenti la soppressione di Equitalia e la sua sostituzione con un nuovo ente pubblico economico denominato Agenzia delle Entrate - Riscossione.

A tale sostituzione, peraltro, non corrisponde alcuna modifica sostanziale di rilievo in relazione alle procedure ed alle modalità di riscossione attualmente in vigore che, pertanto, salvi successivi interventi legislativi, resteranno in vigore e ciò a riprova del fatto che, nonostante i proclami di diversi attori istituzionali, era ed è a tutti fin troppo chiaro che, in realtà, la “vecchia” Equitalia altro non faceva se non il proprio dovere istituzionale, ossia incamerare le risorse tributarie il cui pagamento era stato, a vario titolo e per varie ragioni, non tutte necessariamente censurabili dal punto di vista morale, omesso da parte dei contribuenti.

Ma nel medesimo decreto, oltre a quanto sopra ed alle disposizioni in  materia di “rottamazione” (termine da alcuni anni molto in voga) delle cartelle settoriali, sono contenute anche altre previsioni di non poco momento attinenti la disciplina tributaria e, fra queste, una - rinvenibile nei commi 7 ed 8 dell’articolo 4 - attinente l’attività doganale  ed avente a specifico oggetto il regime del “deposito I.V.A.”; tali previsioni sono essenzialmente tese, per quanto è possibile, a contrastare il fenomeno dell’evasione di tale tributo, per legge dovuto all’atto dell’estrazione delle merci dal deposito.

In particolare, l’articolo 4 comma 7 lett. a) del Decreto Legge 20/10/2016, n. 193 ha:

  • modificato l’articolo 50-bis comma 4 lett. c) del Decreto Legge 30/10/1993, n. 331 elidendo il riferimento ai soggetti identificati in un altro Stato membro della U.E. con la conseguenza che, ora, le cessioni di beni potranno essere operate senza applicazione d’imposta a condizione che questi siano immediatamente introdotti in un deposito I.V.A. e ciò indipendentemente dal fatto che l’acquirente sia un soggetto operante in un altro Stato membro della U.E.. In sostanza, a differenza di quanto accadeva in precedenza, si potrà fare ricorso al regime in questione anche in caso di cessione a favore di soggetti nazionali;
  • soppresso l’articolo 50-bis comma 4 lett. d) del Decreto Legge 30/10/1993, n. 331, orami divenuto sostanzialmente inutile, a mente del quale potevano essere effettuate senza pagamento d’imposta le cessioni di alcune particolari tipologie di beni, indicate nella tabella A-bis allegata al Decreto Legge 331/1993, eseguite mediante introduzione in un deposito I.V.A., effettuate nei confronti di soggetti diversi da quelli indicati nella lettera c) (ossia anche se effettuate a favore di soggetti passivi diversi da quelli identificati in altro Stato membro della U.E.), secondo la sua formulazione anteriore all’entrata in vigore del Decreto Legge 20/10/2016, n. 193.

Il successivo articolo 4 c. 7 lett. b) del Decreto Legge 20/10/2016, n. 193  ha integralmente riscritto l’articolo 50-bis c. 6 del Decreto Legge 30/10/1993, n. 331 da un lato ampliando la possibilità di estrazione dal deposito I.V.A. anche a soggetti che, stante la precedente formulazione, ne erano esclusi e, dall’altro, introducendo una particolare modalità di versamento, dal carattere marcatamente antifraudolento, per il pagamento dell’imposta dovuta a fronte di merci introdotte in deposito a seguito dell’immissione in  libera pratica, prevedendo - in questo caso - anche la corresponsabilità solidale del gestore del deposito nel pagamento del cespite tributario.

 

Nella precedente formulazione, infatti, l’estrazione dei beni dal deposito ai fini della loro utilizzazione o esecuzione in atti di commercializzazione nello Stato era possibile solo da parte di “soggetti passivi d’imposta agli effetti dell’I.V.A. iscritti alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura da almeno un anno, che dimostrino una effettiva operatività e attestino regolarità dei versamenti I.V.A., con le modalità definite con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate”.

Nella nuova formulazione della disposizione cade ogni riferimento alla “anzianità di iscrizione” del soggetto essendo possibile procedere all’estrazione dal deposito per i predetti fini da parte di tutti i soggetti passivi I.V.A..

Nulla cambia, invece, in ordine alle modalità di determinazione della base imponibile da assoggettare ad imposizione di consumo all’atto dell’estrazione: sul punto, infatti, sia la “vecchia” sia la “nuova” stesura dell’articolo 50-bis comma 6 Decreto Legge 30/10/1993, n. 331 prevedono che questa sia “costituita dal corrispettivo o valore relativo all’operazione non assoggettata all’imposta per effetto dell’introduzione ovvero, qualora successivamente i beni abbiano formato oggetto di una o più cessioni, dal corrispettivo o valore relativo all’ultima di tali cessioni, in ogni caso aumentato, se non già compreso, dell’importo relativo alle eventuali prestazioni di servizi delle quali i beni stessi abbiano formato oggetto durante la giacenza fino al momento dell’estrazione”.

Enormi, invece, sono - in caso di merci introdotte in deposito I.V.A. a seguito di immissione in libera pratica - le differenze relative alle modalità di assolvimento dell’imposta e ciò nel tentativo di correggere quello che era ormai diventato un comodo sistema per evadere il pagamento del tributo

Nella precedente stesura, infatti:

  1. l’imposta era dovuta dal soggetto che procede all’estrazione, a norma dell’articolo 17 comma 2 del Decreto del Presidente della Repubblica 26/10/1972, n. 633, ossia previa emissione di autofattura da annotare contemporaneamente nel registro fatture attive e nel registro fatture passive;
  2. in caso di estrazione di beni oggetto di un precedente acquisto, anche intracomunitario, senza pagamento dell’imposta, il soggetto procedente doveva provvedere all’integrazione della relativa fattura, con specifica indicazione dei servizi eventualmente resi e dell’imposta dovuta, ed all’annotazione della variazione in aumento nel registro delle fatture attive di cui all’articolo 23 del Decreto del Presidente della Repubblica 26/10/1972, n. 633 entro quindici giorni dall’estrazione e con riferimento alla relativa data; la variazione doveva, altresì, essere annotata nel registro delle fatture passive di cui all’articolo 25 del medesimo decreto entro il mese successivo a quello dell’estrazione.

In entrambe i casi si realizzava una sostanziale “neutralizzazione” dell’imposta la cui applicazione era de facto traslata al successivo momento della rivendita del bene così estratto, operazione che avrebbe dovuto essere regolarmente fatturata da parte del soggetto cedente salva applicazione degli eventuali titoli di non imponibilità.

Accortosi, come detto, del fatto che l’utilizzo del regime del deposito I.V.A. era ormai divenuto, per le merci di estera provenienza introdotte in deposito a seguito dell’assolvimento delle formalità doganali, una via fin troppo comoda per evadere il pagamento dell’imposta solo formalmente assolta (con le modalità sopraddette) all’atto dell’estrazione dal deposito, il legislatore ha cercato di correre ai ripari modificato in toto le modalità di pagamento.

Secondo la nuova formulazione dell’articolo 50-bis comma 6 del Decreto Legge 30/10/1993, n. 331, l’imposta è ora dovuta dal soggetto che procede all’estrazione dal deposito (nulla dunque cambia rispetto al pregresso) ma deve essere versata, entro il giorno 16 del mese successivo e senza facoltà di compensazione, in suo nome e per suo conto dal soggetto che gestisce il deposito I.V.A. mediante delega F24; tale soggetto è de iure responsabile solidale nel pagamento dell’imposta con il soggetto che procede all’estrazione.

A parere di chi scrive, pare doversi ritenere che tale responsabilità solidale attenga la sola imposta dovuta in ragione della base imponibile emergente dai documenti in possesso del gestore del deposito I.V.A.; di tal che eventuali accertamenti di una maggiore massa imponibile successivi all’estrazione dal deposito non dovrebbero comportare alcun corresponsabilità a suo carico, salvo il caso di prova della sua effettiva previa conoscenza del reale valore della merce.

Il soggetto che procede all’estrazione è comunque tenuto ad emettere una autofattura ai fini dell’estrazione da annotare nel registro fatture passive di cui all’articolo 25 del Decreto del Presidente della Repubblica 26/10/1972, n. 633.

Al momento dell’estrazione, questi può fare uso del proprio plafond I.V.A. (a condizione, ovviamente, che sia in possesso dei requisiti per poter essere considerato esportatore abituale ed abbia capienza di plafond) ed in tal caso deve emettere specifica dichiarazione di intento da trasmettere telematicamente all’Agenzia delle Entrate, che rilascia apposita ricevuta telematica; tale dichiarazione dovrà poi essere trasmessa al gestore del deposito il quale provvede a contrapporla alla propria contabilità al fine di appurare l’estrazione e giustificare il proprio operato all’atto del controllo da parte dell’Ufficio delle Dogane territorialmente competente.

Il mancato pagamento dell’imposta evasa a seguito dell’estrazione irregolare dal deposito I.V.A. trova ora expressis verbis sanzione dal punto di vista amministrativo (eliminando così una annosa diatriba, peraltro già superata dalla giurisprudenza, in relazione all’eventuale configurabilità del reato di contrabbando in caso di estrazione dal deposito I.V.A. con conseguente mancato versamento d’imposta) ai sensi dell’articolo 13 del Decreto Legislativo 18/12/1997, n. 471 a mente del quale “chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a novanta giorni, la sanzione di cui al primo periodo è ridotta alla metà. Salva l’applicazione dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al secondo periodo è ulteriormente ridotta a un importo pari a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo”.

Ovviamente, il fatto che il legislatore preveda ora una violazione amministrativa non impone che il comportamento violatorio debba essere sempre e soltanto considerato punibile in tale sede: nulla, infatti, impedisce l’applicazione del Decreto Legislativo 10/03/2000, n. 74 e delle disposizioni in esso contenute così come nulla pare impedire l’applicazione delle disposizioni in materia di “evasione I.V.A. all’importazione” (cfr. artt. 292 e 295 del D.P.R. 23/01/1973, n. 43 e 67 e 70 del D.P.R. 26/10/1972, n. 633) allorché venga compiutamente dimostrato che il soggetto che procede all’estrazione dal deposito I.V.A. esista sì ma solo “sulla carta”. In caso, infatti, di soggetti passivi I.V.A. di fatto inesistenti, privi dei locali di esercizio indicati in sede di visura camerale, che non hanno istituito le scritture contabili o che le hanno soppresse, è da ritenere che le violazioni commesse siano tali da rendere di fatto “inesistente” il soggetto passivo e, dunque, facciano venire meno il presupposto stesso dell’estrazione del bene dal deposito I.V.A. con conseguente applicabilità della disciplina di rilievo penale testé richiamata; su tale aspetto, però, solo la futura giurisprudenza potrà sciogliere l’inevitabile confusione interpretativa.

Piuttosto, come detto, il richiamo operato ora all’articolo 13 del Decreto Legislativo 18/12/1997, n. 471 pare comportare l’inapplicabilità della disciplina del Decreto del Presidente della Repubblica 23/01/1973, n. 43 alle violazioni successive al vincolo delle merci immesse in libera pratica al regime del deposito I.V.A., salvo il caso - come detto - della sostanziale inesistenza del soggetto che procede all’estrazione.

 Ad ogni buon conto, al pagamento della sanzione amministrativa è obbligato non solo il soggetto che procede all’estrazione dei beni dal deposito, ma anche il gestore dello stesso che, infatti, è colui che deve materialmente provvedere al pagamento dell’imposta mediante modello F24; ciò salvo il caso in cui l’estrazione sia avvenuta senza versamento di imposta a fronte della presentazione di specifica dichiarazione di intento: in tale ipotesi, infatti, la sanzione applicabile non sarà quella di cui al citato articolo 13 del Decreto Legislativo 18/12/1997, n. 471, ma bensì quella (nettamente più “pesante”, in quanto di importo compreso fra il 100% ed il 200% dell’importo evaso) di cui all’articolo 7 comma 4 del medesimo decreto e risulta applicabile nei confronti del solo soggetto che emette la dichiarazione di intento.

Le innovazioni apportate alle modalità di registrazione contabile non sono state, invece, così radicali in caso di estrazione dal deposito I.V.A. di merci precedentemente introdotte in forza di acquisto intracomunitario ossia, in sostanza, di beni introdotti ai sensi dell’articolo 50-bis comma 4 lett. a) del Decreto Legislativo 30/10/1993, n. 331.

In tale ipotesi, infatti, trattandosi comunque di merci unionali, secondo la definizione contenuta nel regolamento (UE) n. 952/2013, il soggetto che procede all’estrazione assolve direttamente l’imposta provvedendo ad integrare l’originaria fattura di acquisto con indicazione dei servizi eventualmente resi nel corso del periodo di permanenza all’interno del deposito (cfr. articolo 50-bis comma 4 lett. h del D.L. 30/10/1993, n. 331) ed annotando la variazione in aumento nel registro delle fatture attive di cui all’articolo 23 del Decreto del Presidente della Repubblica 26/10/1972, n. 633 e, entro il mese successivo a quello dell’estrazione, nel registro delle fatture passive di cui all’articolo 25 del medesimo decreto, con conseguente “neutralizzazione” dell’imposta.

Per la concreta applicazione di tali “novelle” è comunque richiesta l’emanazione di un decreto direttoriale di concerto del Direttore dell’Agenzia delle Entrate e del Direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. In ogni caso, fino al momento dell’integrazione delle informazioni presenti nelle banche dati delle due Agenzie Fiscali, il soggetto che procede all’estrazione dei beni introdotti in deposito I.V.A. deve comunicare al gestore del deposito i dati relativi alla liquidazione dell’imposta il quale provvede a comunicare all’Ufficio doganale competente per il controllo i dati relativi alle estrazioni dal deposito al fine di conseguire lo svincolo della garanzia prevista dall’articolo 50-bis comma 4 lett. b) del Decreto Legge 30/10/1993, n. 331 la cui prestazione rimane pertanto obbligatoria in relazione alle merci introdotte in deposito I.V.A. a seguito dell’immissione in libera pratica.

L’articolo 4 comma 7 lett. c) del Decreto Legge 22 ottobre 2016, n. 193 modifica l’articolo 50-bis comma 8 del Decreto Legge 30/10/1993, n. 331 disponendo ora che la violazione degli obblighi previsti dal novellato comma 6 a carico del gestore del deposito I.V.A. sia elemento valutabile ai fini della revoca dell’autorizzazione alla gestione del deposito.

L’articolo 4 comma 8 del Decreto Legge 22 ottobre 2016, n. 193 ha comunque stabilito al 1 aprile 2017 la data di entrata in vigore delle disposizioni contenute nel precedente comma 7 in materia di modifica della gestione del regime del deposito I.V.A..