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Il disturbo bipolare della personalità non è idoneo ad escludere l’infermità mentale

Breve nota alla sentenza della Cassazione 10 aprile 2020, n.13959 in materia di disturbo bipolare e cenni alla dottrina in materia.

Disturbo bipolare
Disturbo bipolare

Abstract

La condizione di variabilità dell’umore del soggetto agente dovuta ad un disturbo bipolare non esclude o diminuisce la capacità di intendere e volere ai sensi degli articoli 88, 89 Codice Penale.

 

Il ricorso avanti la Corte di Cassazione, nella parte che ci interessa, enuncia l’errata applicazione degli artt. 85, 89 Codice Penale in quanto la Corte d’Appello avrebbe dovuto riscontrare la sussistenza del vizio totale di mente dell’imputato (condannato per maltrattamenti ex articolo 572 Codice Penale).

Il vizio totale, che secondo il difensore emergeva dalla perizia psichiatrica disposta dal GUP, riguardava un disturbo bipolare che escludeva ogni possibilità di autodeterminazione.

La Seconda Sezione (Sentenza 10.04.2020, n.13959), che conferma la sentenza impugnata, motiva la decisione seguendo i più recenti arresti giurisprudenziali (su tutte Sezioni Unite sentenza 9163/2005, e successivamente Sezione Prima sentenza 14808/2012) ove non si è escluso che i c.d. “disturbi della personalità” possano rientrare dell’infermità di mente qualora escludano o diminuiscano la capacità di intendere e volere, ed a condizione che sussista un “nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale”.

Nel caso di specie, secondo la Corte il disturbo non era di tale consistenza da incidere sulla capacità dell’imputato, e quindi era corretta la valutazione circa l’assenza del vizio di mente operata dalla Corte d’appello.

La Corte è nuovamente chiamata a pronunciarsi su una tematica di estrema complessità, quale l’infermità mentale riferita all’esclusione dell’imputabilità, anche per l’evoluzione della psichiatria forense avvenuta in epoca successiva all’entrata in vigore del codice.

In dottrina (Fiandaca-Musco) si è detto che l’imputabilità è allo stesso tempo empirica e normativa.

Ciò significa che il legislatore ha correttamente previsto parametri predeterminati, ma allo stesso tempo si deve ritenere che quei parametri non debbano essere considerati tassativi. Ogniqualvolta si ritiene che sussista una “deficienza” (non limitata alla sola infermità mentale ma anche del fisico), proprio per il connotato empirico di cui sopra, il giudicante dovrà pronunciarsi ai sensi dell’articolo 87 Codice Penale escludendo l’imputabilità del reo, o dichiarandone la diminuzione (articolo 88 Codice Penale), ovviamente in presenza di nesso eziologico con il fatto costituente reato.

Venendo al caso di nostro interesse, che il disturbo della personalità possa rientrare nel concetto di infermità, è argomento discusso, come si è visto.

Tentando di semplificare le due posizioni apparentemente contrastanti, si può ritenere che il disturbo della personalità costituisce infermità (e quindi idonea ad escludere la punibilità o a farla scemare) se la intendiamo come patologia della mente. Viceversa, non si potrà parlare di infermità se la facciamo rientrare nelle c.d. anomalie (non patologiche) della personalità.

La pronuncia già citata delle Sezioni Unite del 2005 tenta di “mettere ordine”, statuendo che “i disturbi della personalità, come in genere quelli da nevrosi e psicopatie, quand’anche non inquadrabili nelle figure tipiche della nosografia clinica iscrivibili al più ristretto novero delle “malattie” mentali, possono costituire anch’esse “infermità”, anche transeunte, rilevante ai fini degli articoli 88 e 89 Codice Penale, ove determinino lo stesso risultato di pregiudicare, totalmente o grandemente, le capacità intellettive e volitive”.

Ciò significa che, trovando una sorta di terza strada alle due tesi sopra indicate, il disturbo della personalità sarà tale da escludere o diminuire l’imputabilità solo se idonea a causare una situazione di assetto psichico incontrollabile o ingestibile.

Proseguendo, le Sezioni Unite spiegano che “non possono avere rilievo, ai fini dell’imputabilità, altre “anomalie caratteriali”, “disarmonie della personalità”, “alterazioni di tipo caratteriale”, “deviazioni del carattere e del sentimento” quelle legato “alla indole” del soggetto, che, pur afferendo alla sfera del processo psichico di determinazione e di inibizione, non si rivestano, tuttavia, delle connotazioni testé indicate e non attingano, quindi, a quel rilievo di incisività sulla capacità di autodeterminazione del soggetto agente, nei termini e nella misura voluta dalla norma, secondo quanto sopra si è detto”.

E quindi, nel caso di specie, secondo la II Sezione bene aveva fatto la Corte di Appello (e dapprima il GUP) a ritenere che il disturbo della personalità a cui era affetto l’imputato non fosse di consistenza tale da escludere (o diminuire) la sua capacità di intendere o volere.

Letture consigliate:

Forti – Seminara – Zuccalà, COMMENTARIO BREVE AL CODICE PENALE, Cedam VI edizione.

Fiandaca – Musco, DIRITTO PENALE, PARTE GENERALE, Zanichelli VII edizione.