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Il contributo neuroscientifico nel processo penale, alla luce della recente sentenza della Suprema Corte

Scorci bolognesi
Ph. Paolo Panzacchi / Scorci bolognesi

Abstract

La correlazione tra cervello umano ed agiti, sia leciti sia criminosi, viene da molti anni studiata in America, attraverso la disciplina delle “neuroscienze comportamentali”. Nell’ultimo decennio è stata presa in considerazione altresì in Italia, dove le neuroscienze forensi si occupano di studiare e raccogliere materiale probatorio, basato sull’incidenza delle connessioni neuronali sui comportamenti anti-sociali. Eloquente risulta, al riguardo la sentenza Raso, del 2005, insieme alla recentissima pronuncia, del 2020, della Cassazione.

The correlation between human brain and acted out, both lawful and criminal, has been studied in America for many years, through the discipline of "behavioral neuroscience". In the last decade it has also been taken into consideration in Italy, where forensic neuroscience deals with studying and collecting evidence, based on the incidence of neuronal connections on anti-social behavior. In this regard, the Raso ruling of 2005 is eloquent, together with the very recent ruling, of 2020, of the Supreme Court.

 

Indice:

1. L’impatto delle neuroscienze sul diritto penale

2. Imputabilità

3. Giudizio diagnostico e giudizio normativo

4. I due orientamenti

5. Delitto di circonvenzione di incapace e questioni giurisprudenziali sulla capacità di intendere e di volere

6. Il contributo delle neuroscienze

 

1. L’impatto delle neuroscienze sul diritto penale

Negli ultimi anni, un importante settore di ricerca ha fatto capolino nell’ordinamento giuridico italiano, mettendo in discussione taluni di quei cardini da sempre indiscussi, tra i quali, ad esempio, il concetto di imputabilità nel sistema penalistico. Si tratta delle neuroscienze, termine coniato nel 1962, da un neurofisiologo statunitense, di nome Francis O. Schmitt.

Con tale termine si indica la ricerca scientifica compiuta sul cervello e sul suo funzionamento, a partire dalle sue componenti più piccole – neuroni e sinapsi – mediante un approccio multidisciplinare. Sebbene il metodo di conduzione della ricerca sia scientifico, i risultati involgono diversi ambiti di interesse, dalla criminologia alla filosofia, dal diritto alla medicina.

Il cervello diviene protagonista di un approfondimento che non lascia indifferenti le categorie dogmatiche del diritto penale, così come neppure la Giurisprudenza, la quale già da qualche anno deve tenere il passo rispetto all’ingresso di nuove concezioni penalistiche e differenti prove scientifiche.

 

2. Imputabilità

Nella valutazione dell’imputabilità, si assiste ad una “rivoluzione” dell’assetto penalistico, che conduce a lasciare campo libero a concetti quali psicosi, fragilità emotiva, disturbi attinenti alla personalità, che fino a poco tempo fa cedevano totalmente il posto solo alle diagnosi certe di conclamate malattie mentali. Queste ultime, assieme ad altre cause specifiche e contingenti come l’alcool e le sostanze stupefacenti, erano le uniche a poter decretare – ai sensi degli articoli 88 e 89 Codice Penaleuno stato di infermità e la conseguente incapacità, totale o parziale, di intendere e di volere.

I possibili processi cognitivi disfunzionali diventano la base di una nuova “non - imputabilità”. Invero, una pronuncia delle Sezioni Unite, c.d. sentenza Raso – del 2005 – ha sancito l’idoneità dei disturbi della personalità e delle psicosi non sfocianti in malattie conclamate, ad escludere o a scemare l’imputabilità.

 

3. Giudizio diagnostico e giudizio normativo

L’infermità assume, dunque, connotati variegati, non necessariamente incasellabili in una cornice clinica predeterminata; ciò richiede – ancor più specificamente – il lavoro sincronico delle due figure professionali protagoniste del processo penale: il perito e il giudice. Invero, nel guardare al giudizio sull’imputabilità, si comprende come esso non sia rigidamente valutabile, bensì scindibile in due piani di indagine.

Il primo – c.d. giudizio diagnostico – si incentra sulla diagnosi della patologia, della psicosi o della mera vulnerabilità del soggetto su cui si indaga; esso viene elaborato dall’esperto, che spieghi l’incidenza del morbo sulla capacità di intendere e di volere, nel caso concreto. Il secondo – c.d. giudizio normativo – è quello che compete al giudice, non come mero esecutore dei risultati scientifici, bensì come gatekeeper della scientificità dei mezzi di prova. Esso è basato sulla valutazione dell’incidenza della patologia sul comportamento contra ius.

 

4. I due orientamenti

Si può affermare che le neuroscienze si pongono – ad oggi – al centro di un dibattito e di uno studio via via crescente, che vede interfacciarsi giuristi, ricercatori, esperti del diritto, da un lato, e scienziati, medici e periti, dall’altro, nel comune interesse di far convergere ogni elemento a disposizione verso un’applicazione quanto più possibile univoca delle stesse, nell’universo del diritto e della procedura penale.

Due appaiono gli approcci di ricerca individuabili.

Il primo, c.d. programma forte, propone una modifica radicale dei cardini penalistici, quale soprattutto quello della imputabilità. Secondo i sostenitori di detto orientamento, il libero arbitrio non esisterebbe, venendo meno il concetto di autodeterminazione ed addebitando ogni agito a mere caratteristiche fisio-morfologiche, nonché a connessioni neurologiche.

Anche il concetto di suitas pertanto, andrebbe rivisto – se non addirittura eliminato dal sistema penalistico – in quanto obsoleto e non realistico. Ad avviso di chi scrive, tale approccio risulta eccessivamente riduzionistico di concetti presenti nel diritto penale ormai da secoli, che non possono essere sovvertiti per il contributo che una scienza, differente da quella giuridica, apporta.

Il secondo orientamento, detto anche moderato, risulta maggiormente ponderato nel constatare come il presunto reo e le sue azioni non possano essere ricondotti a meri impulsi cerebrali, bensì ad una summa di caratteristiche genetiche, elementi psico-fisici, contesto sociale, fattori ambientali, che – nel complesso – difficilmente potrebbero essere riassunti nell’idea che un illecito penale dipenda solo da un difetto neurologico, come è ben spiegato nella seguente affermazione: «Il comportamento antisociale è il prodotto di fattori genetici e ambientali multipli. Questi fattori si combinano in maniera additiva rendendo l’individuo vulnerabile a sviluppare tale comportamento» (C. Papagno).

 

5. Delitto di circonvenzione di incapace e questioni giurisprudenziali sulla capacità di intendere e di volere

Sul fronte giurisprudenziale, non può non evidenziarsi come la Suprema Corte abbia inciso particolarmente nell’elaborazione di applicazioni, quanto più possibile ragionevoli, delle neuroscienze; non solo sui dogmi penalistici – terreno più prettamente dottrinario – quanto soprattutto sulle singole fattispecie di reato.

A parere di chi scrive, uno sguardo particolare merita il delitto di circonvenzione di persone incapaci, di cui all’articolo 643 Codice Penale. Questo punisce chi, al fine di procurare un vantaggio a sé o ad altri, abusa dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore o dello stato d’infermità o deficienza psichica di una persona anche se non interdetta o inabilitata, e la induce a compiere un atto dannoso per sé o per altri.

I dubbi sollevati sulla predetta norma sono svariati, potendoli distinguere in base alla prospettiva del soggetto agente e a quella della persona offesa. Per quanto concerne il primo, ci si chiede se debba sussistere la piena consapevolezza della minorazione psichica, al contrario venendo eventualmente meno l’elemento soggettivo.

Di maggior pregnanza sono le questioni che riguardano la persona offesa. Ci si chiede quanto l’infermità debba risultare invalidante e se, tuttavia, sia necessario che rimanga presente un minimo di coscienza rispetto agli accadimenti e alla realtà circostante.

La norma si presenta come molto ampia nell’includere svariati sintomi di debolezza psico-fisica, ma tale ampiezza rischia – e ha rischiato – più volte di inglobare mere fragilità emotive, transitorie, caratteristiche della vita di ogni essere umano, al pari di altre emozioni quali la tristezza, la contentezza, la paura.

Parallelamente, non potrebbe prendersi in considerazione solo un’incapacità totale, in quanto ciò confliggerebbe con la disposizione normativa che, oltre a far riferimento anche a stati transitori, si avvale del termine “indurre”, così da far presumere che a monte, la persona offesa debba possedere quel minimum di capacità psichica generatrice di una coscienza, anche parziale e immatura.

Con un condivisibile ragionamento, la Corte di Cassazione è intervenuta – dapprima nel 2017, in seguito nel 2018 – con due sentenze, sostenendo che sia indispensabile la presenza di un’anomalia psichica ma non necessariamente la totale assenza di capacità di discernimento. Infatti, qualora venisse a mancare qualsiasi tipo di incapacità del soggetto indotto, ci si troverebbe dinanzi al delitto di truffa nei confronti di un soggetto perfettamente capace; qualora il soggetto agente non ottenesse il risultato sperato mediante l’approfittarsi della condizione di minorità altrui, ma utilizzasse piuttosto mezzi di coazione o di costringimento, sussisterebbe la fattispecie riconducibile all’estorsione.

Si aggiunge – alla stregua di autorevole dottrina – che laddove manchi in assoluto una forma, seppur offuscata di capacità psichica, in capo alla persona offesa, si rientrerebbe nella fattispecie del reato di furto, eventualmente aggravato, per l’aver profittato di circostanze di tempo, di luogo, di persone, in base all’articolo 61 n. 5 Codice Penale.

 

6. Il contributo delle neuroscienze

Affrontata la necessaria premessa, può abbracciarsi il prezioso contributo che le ricerche neuroscientifiche offrono in tale campo.

Di fronte ad una personalità fragile, ad uno stato emotivo alterato o, ancora, ad una particolare morbosità psichica, il lavoro degli esperti di psicopatologia, incrociato alle risultanze di determinati test, definisce le criticità delineandone le caratteristiche.

La valutazione fornisce elementi per comprendere la possibilità dell’imputato di avvedersi della situazione in cui versava, all’epoca dei fatti, l’infermo; ciò dipende dalla percepibilità esterna della condizione soggettiva alterata.

In secondo luogo, tali ricerche servono a ricostruire l’accadimento e la possibilità che si possa sostenere o meno la sussistenza della circonvenzione di incapaci.

Con una recentissima pronuncia del 2020 (Cass., sez. II penale, 19 ottobre 2020, 28886/2020), oltre a rimarcare la non esigenza che il soggetto passivo – nel delitto di cui all’articolo 643 Codice Penale – versi in stato di incapacità di intendere e di volere, la Suprema Corte analizza la decisione del giudice di seconde cure, soffermandosi sulla sindrome della persona offesa, c.d. di Crouzon. Secondo il perito la consapevolezza in capo all’imputato della condizione in cui versava la vittima era facilmente ipotizzabile, in quanto quel tipo di disturbo di cui era affetto è facilmente percepibile da coloro che abbiano instaurato con lui un rapporto non occasionale, nonostante la sua capacità di badare a sé nelle primarie esigenze quotidiane.

Pertanto, l’indagine specialistica, non solo fornisce un apporto estremamente utile al processo, ma finisce per risultare addirittura indispensabile, al fine di un quadro probatorio completo.

Altresì in passato, la Giurisprudenza di merito aveva esaltato il contributo offerto dalle neuroscienze; la Corte di Assise di Appello di Trieste si esprimeva in tal senso: «Particolarmente indicative possono risultare le indagini genetiche, alla ricerca di polimorfismi genetici significativi per modulare le reazioni a variabili ambientali, fra i quali [...] l’esposizione ad eventi stressanti ed a reagire agli stessi con comportamento di tipo impulsivo» (Corte Ass. Appello Trieste, 01.10.09).

Letture consigliate:

P. MARTUCCI, Neuroscienze e processo penale, Editore Key, 2015.

M. T. COLLICA, Gli sviluppi delle neuroscienze sul giudizio di imputabilità, Diritto Penale Contemporaneo, 2018.

M. BERTOLINO, Diritto penale, infermità mentale e neuroscienze, DisCrimen, 2018.

C. GRANDI, Diritto penale e neuroscienze. Punti fermi (se mai ve ne siano) e questioni aperte, Diritto Penale e Uomo, 2019.