x

x

I disturbi della personalità e le neuroscienze

Disturbi della personalità e le neuroscienze
Disturbi della personalità e le neuroscienze

1. L’articolo 90 CP in tema di stati emotivi e passionali

Alla luce delle neuroscienze, i disturbi del carattere e della personalità possono scemare la capacità d’intendere e di volere.

Al contrario, l’articolo 90 CP statuisce che “gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità”.

Viceversa, in Dottrina, prevale l’approccio maggiormente elastico delle neuroscienze, come dimostrano Romano & Grasso (2012), a parere dei quali “in una futura riforma, è opportuno pensare all’introduzione di una norma che attribuisca potenziale rilevanza anche a situazioni di profondo perturbamento della coscienza in genere, siano esse determinate da processi patologici oppure no, riguardino qualsiasi aspetto della coscienza, compresa la sfera emozionale ed affettiva dell’agente”.

Sempre a tal proposito, Dolcini & Gatta (2021) notano che “nell’ impostazione del Codice Rocco, la sfera emotiva non è suscettibile, per definizione [ex Art. 90 CP] di assumere i connotati di una totale o parziale deficienza psichica, tale da alterare la capacità dell’individuo di comprendere e di volere il significato e le conseguenze delle proprie condotte“ Siffatto panorama rigido e rigoristico è, finalmente, mutato, nella Giurisprudenza di legittimità, grazie alle Sezioni Unite Raso del 2005.

Tale basilare ed innovativo Precedente ha attenuato la precettività dell’articolo 90 CP, riconoscendo rilevanza giuridica a “stati emotivi o passionali" derivanti da turbe del carattere, nevrosi e psicopatie non organiche e non conclamate.

Anche Bertolino (1981) auspicava, negli Anni Ottanta del Novecento, quella che sarebbe stata, ventiquattro anni dopo, la soluzione a-tipica delle Sezioni Unite Raso, in tanto in quanto, a causa del rigorismo provocato dall’articolo 90 CP, “l’incertezza dei diversi paradigmi psicopatologici (medico, psicologico e sociologico) si riflette [prima delle Sezioni Unite Raso] in un grande disagio giurisprudenziale, con la conseguente crisi del concetto giuridico di imputabilità”.

Anche Collica (2005), in Dottrina, ha salutato con favore il riconoscimento attivo dei disturbi della personalità e del carattere ai fini del giudizio sull’infermità o, quantomeno, sulla semi-infermità dell’imputato.

Oppure ancora, sempre nella Dottrina giuspenalistica, l’indebolimento dell’articolo 90 CP è valutato in chiave positiva pure da Magro (2017), a parere della quale “la Giurisprudenza di legittimità [in Sezioni Unite Raso] […] ha recepito la più recente concezione multifattoriale di tipo bio-psico-sociale del disturbo mentale (o paradigma integrato), che affianca, alla diagnosi nosografica, altri e diversi paradigmi [come, p.e., quelli delle neuroscienze]”.

Assai interessante è pure Piva (2020), il quale, alla luce delle Sezioni Unite Raso del 2005, asserisce, nell’ottica delle neuroscienze, che “le infermità di mente non sono solo quelle a base organica, clinicamente accertabili, ma possono essere anche i disturbi della personalità, o comunque, tutte quelle anomalie psichiche, compulsive ed impulsive, non inquadrabili [ex DSM-V] nelle figure tipiche della nosografia clinica”.

Di nuovo, come si può notare, Piva (ibidem) contesta la non-rilevanza penale degli stati emotivi e passionali di cui all’articolo 90 CP. Anzi, nelle Motivazioni delle Sezioni Unite Raso, gli Artt. 88 e 89 CP, in tema di vizio totale o parziale di mente, sono congiunti pure al concetto di “disturbo grave del carattere”.

Inoltre, non si deve dimenticare che le Sezioni Unite Raso del 2005 aprono la strada all’impiego, nel Procedimento Penale, delle neuroscienze, qualificate come un prezioso “elemento di valutazione e di giudizio […] volto a verificare, soprattutto, il nesso eziologico tra il disturbo mentale ed il fatto di reato [perché le neuroscienze] consentono di ritenere il reato causalmente determinato dal disturbo mentale”.

Tuttavia, con amarezza culturale, Bertolino (2015) ha notato la persistente prevalenza dell’articolo 90 CP, giacché “l’evoluzione [positiva] dei rapporti tra il Diritto Penale e le neuroscienze, delineata dalle Sezioni Unite Raso, non è stata puntualmente recepita dalla Giurisprudenza, che, spesso, ha continuato a guardare ai disturbi della personalità con la lente della Folk Psychology, piuttosto che dialogando con la (neuro)psicologia scientifica”.

Del pari, Merzagora Betsos (2020), pur non ipostatizzando mai le neuroscienze, afferma, in conformità alle Sezioni Unite Raso del 2005, che “oggi la nozione di infermità mentale deve ricomprendere anche i disturbi della personalità”.

Dunque, come si evidenzia dall’esame della Dottrina, si è assistito, negli Anni Duemila, ad una progressiva erosione della precettività dogmatica dell’articolo 90 CP in tema di “stati emotivi o passionali”.

 Ciononostante, la Giurisprudenza di legittimità contemporanea, sovente, dimentica di applicare l’approccio neuroscientifico delle Sezioni Unite Raso. P.e., Cass., sez. pen. I, 24 gennaio 2020, n. 2962 nega “il rilievo patologico delle alterazioni emotive dell’autore del reato”.

Dunque, Cass., sez. pen. I, 24 gennaio 2020, n. 2962 ripristina, più o meno consapevolmente, la piena precettività dell’articolo 90 CP. Oppure ancora, Cass., sez. pen. I, 8 ottobre 2021, n. 36709 nega rilevanza, ai fini del riconoscimento dell’infermità mentale, alla ludopatia, che, viceversa, è reputata come “invalidante” dalle neuroscienze, in tanto in quanto essa è sintomo indubitabile di un’alterazione grave del metabolismo della dopamina.

 

2. Il possibile impiego delle neuroscienze nel Diritto Penale

Grazie alle neuroscienze, oggi, si è scoperta l’origine ormonale, anziché non organica, di disturbi della personalità quali la ludopatia, la cleptomania, le psicopatie caratteriali invalidanti e la pedofilia. Le neuroscienze, benché non onnipotenti, possono fornire una nuova qualificazione psicopatologica del concetto di “infermità mentale”.

Parimenti, l’approccio neuroscientifico ha recato la Giuspenalistica da un ripensamento del ruolo degli “stati emotivi e passionali” nell’articolo 90 CP. Cioni (2020) afferma che “l’immagine della razionalità classica come immune dalle emozioni non collima con le evidenze neuroscientifiche, che descrivono un cervello emotivo.

Le moderne tecniche di neuroimaging suggeriscono, infatti, il superamento della figura dell’agente razionale [ex Art. 90 CP] con quella dell’agente emotivo, con interessanti riverberi in ambito penalistico, proprio sulla tradizionale finzione di imputabilità di cui all’articolo 90 CP”. Addirittura, non senza esagerazioni, le neuroscienze hanno predisposto pure una “emotionotopy” in grado di svelare il ruolo degli stati emotivi sull’imputabilità.

A tal proposito, Pietrini & Cecchetti (2019), financo con eccessivo ottimismo, hanno sostenuto che “l’esistenza di una mappa delle emozioni è importante non solo per i neuorscienziati che studiano le alterazioni delle emozioni alla base delle diverse patologie mentali, ma anche per il Diritto Penale, che deve rapportarsi alla realtà dei fatti di reato spesso commessi dall’agente sull’onda emotivo-passionale”.

Importante, ancorché non miracolosa o sostitutiva rispetto al Diritto Penale, è pure la Brain Initiative Cell Census Network (BICNN), la quale consiste in una “censimento” del cervello umano o, meglio, della corteccia motoria primaria. La BICNN ha esplorato i neuroni sia su base anatomica, sia esaminando le modalità di connessione e di attivazione cerebrale.

Tuttavia, sempre nell’ambito della BICNN, chi scrive si dissocia dagli approfondimenti di stampo genetico, in base ai quali taluni, in maniera neo-darwinistica, vorrebbero individuare una presunta trasmissione ereditaria delle tendenze delittuosse. Va segnalato, in Europa, pure lo Human brain Project (HBP), avviato dall’ UE nel 2013 e finalizzato a raffinare la c.d. “medicina del cervello”.

L’entusiasmo delle neuroscienze ha fatto esclamare a taluni: “noi siamo il connnettoma dei nostri neuroni“, ma, più prudentemente e più moderatamente, Seung (2013) ha corretto il tiro precisando che “per quanto il connettoma [lo Studio delle connessioni neuronali, ndr] abbia registrato recenti successi nel comprendere i comportamenti nei nematodi e nelle mosche, ciò non è sufficiente per spiegare come funziona un cervello più complesso, come quello umano, con un’interconnettività apparentemente illimitata.

Inoltre, il connettoma non dice nulla né sulla qualità delle connessioni, se sono forti o deboli, né sulle sostanze chimiche del cervello chiamate neuromodulatori, che circolano attraverso il fluido che circonda i neuroni, a differenza delle sostanze chimiche dei neuortrasmettitori rilasciate proprio all’ interno delle connessioni sinaptiche tra neuroni. I neuromodulatori sono un altro modo in cui i neuroni comunicano tra di loro”.

Questi asserti di Seung (2013) sono preziosi in tanto in quanto sfatano il mito di una Medicina onnipotente ed onnipresente, in grado di sostituire le valutazioni giuridiche del Magistrato.

Il Diritto Penale è una disciplina autonoma e la nozione di “imputabilità” non va per nulla medicalizzata sino alle estreme conseguenze.

L’eventuale infermità/semi-infermità mentale è e rimane una categoria giuridica e, soprattutto, le perizie psichiatriche non debbono condizionare in toto le valutazioni giuridiche del Giudice penale, il cui apprezzamento è libero e non prono rispetto al parere del CTU o dei consulenti delle parti private.

Senza dubbio, ognimmodo, le nuove tecniche neuroscientifiche recheranno ad una novellazione profonda del DSM-V e ciò non potrà non riflettersi, inevitabilmente, sui profili del Diritto Penale e della Criminologia, pur se rimane comunque sempre rigettabile un approccio determinista che ripristini le rigide, e fors’anche bizzarre, categorie prefissate da Lombroso. Tantomeno, l’impatto delle neuroscienze sul DSM-V deve irrobustire od incentivare l’orribile ratio della presunta ereditarietà dell’inclinazione al crimine.

Infatti, Fornari (2019) auspica, con prudenza e con senso della misura, “un lento e faticoso processo di cambiamento culturale […] di quella parte della Giurisprudenza penale che appare più restìa a dialogare con le neuroscienze.

Un dialogo che non può essere inteso come subordinazione della categoria penalistica dell’imputabilità alla neuropsicologia, bensì alla stregua di una feconda integrazione multidisciplinare, a patto che la stessa Giurisprudenza si sforzi di rifuggire da un orientamento rigido in materia di disturbi della personalità”.

 

3. I disturbi della personalità nel non-imputabile/semi-imputabile per stalking

Come giustamente osservato da Dova (2019), l’articolo 90 CP, anche in tema di stalking, si rivela, oggi, ormai inadeguato, poiché “il fattore emotivo-passionale appare non più suscettibile di essere relegato ai margini della ricostruzione della capacità d’intendere e di volere, come osservato da un recente filone di Studi in dialogo con le neuroscienze”.

In particolare modo, la alterazione patologica delle emozioni è basilare nel determinare l’imputabilità o meno del reo di stalking, ovverosia del delitto p. e p. ex Art. 612 bis CP, rubricato “Atti persecutori”. Sotto il profilo definitorio, Manna (2010) specifica che il reato di stalking “è un reato abituale […].

La minaccia o la molestia può essere effettuata in qualunque modo [e] la condotta consiste nel minacciare o molestare reiteratamente la vittima, che subisce una compromissione non solo della propria tranquillità individuale, ma anche della libera autodeterminazione”.

Altrettanto preziosa, sempre sotto il profilo definitorio, è pure Cass., sez. pen. V, 22 novembre 2021, n. 42659, ai sensi della quale “per l’integrazione dell’evento [rectius:del danno] psichico del reato, non si richiede l’accertamento [nella parte lesa] di uno stato patologico [dunque una lesione corporale], ma è sufficiente che gli atti persecutori abbiano un effetto destabilizzante sulla serenità e sull’equilibrio psicologico della vittima”:

Nell’ottica delle neuroscienze, l’articolo 612 bis CP rivela quasi sempre una componente impulsiva, che è sintomo di una capacità d’intendere e di volere fortemente diminuita o, quantomeno, alterata.

Molti Precedenti di legittimità, in tema di stalking, parlano di una “tempesta emotiva”, nel reo, la quale lascia trasparire un pregresso o congenito disturbo della personalità.

Tale alterazione emotiva, dunque, va curata, non punita e, a differenza di quanto stabilito nell’articolo 90 CP, essa non è ininfluente ai fini della corretta valutazione circa l’imputabilità, o meno, del soggetto agente imputato.

E’ necessario, peraltro, notare che lo stalker, sovente, è anche donna, pur se tale aspetto non coincide con la figura popolare e televisiva del persecutore maschio, violento, possessivo e patologicamente impulsivo. A tal proposito, Manna (2010), dal punto di vista criminologico, osserva che “lo stalker donna mette in atto strategie più sottili e indirette per colpire la sua vittima, e non usa necessariamente la violenza fisica: colpisce l’altro in quello che ha di più caro, infangandone la reputazione, diffamandolo, minando il suo rapporto di coppia e/o la sua carriera professionale.

Lo stalking femminile è un processo lento, ma degenerante, che varia a seconda del tipo di rapporto instaurato con la vittima […].

[Inoltre,] le donne sono più propense, rispetto alla controparte maschile, a molestare sia uomini sia donne”. Ogni modo, lo stalker, tanto uomo quanto donna, è quasi sempre affetto da un disturbo border-line di personalità (BDP), che gli provoca una sensazione di annientamento di fronte alla decisione del/della proprio/a compagno/a di interrompere una relazione sentimentale. Il BDP, che è (semi)invalidante, provoca, nello stalker, una sensazione di dolorosa ed irreversibile solitudine. Lo stalker affetto da BDP reputa la relazione come vitale e l’altro/a, in caso di ritiro dal legame affettivo, si trasforma in un nemico cui attribuire l’auto-percepita rovina dell’intera propria vita.

P.e., in Cass., sez. pen. V, 22 settembre 2021, n. 35044, una donna stalker è ricorsa alla Suprema Corte affinché, ex Artt. 88 ed 89 CP, venisse riconosciuta la sua (semi)infermità mentale a causa di un grave BDP, accertato da una perizia psichiatrica resa da un consulente tecnico scelto e nominato dalla stalker medesima.

Cass., sez. pen. V, 22 settembre 2021, n. 35044 ha accolto il ricorso dell’imputata e ne ha dichiarato il vizio di mente, in tanto in quanto, come specificato nelle Motivazioni, “è importante che il giudizio normativo sulla capacità d’intendere e di volere dialoghi con il sapere tecnico-scientifico in tema di accertamento dell’ infermità mentale [ex Artt. 88 e 89 CP], secondo quanto già delineato dalla famose Sezioni Unite Raso [del 2005] […] [Invece,] nello svolgimento del discorso giustificativo delle Sentenze di primo e di secondo grado, i giudici del merito hanno assunto, quale presupposto del loro ragionamento, l’assunto per cui, in ogni caso, un disturbo della personalità [come il BDP] non sarebbe comunque idoneo ad integrare il vizio, anche solo parziale, di mente [ex Art. 89 CP].

Tale disturbo della personalità è idoneo a far scemare la capacità d’intendere e di volere.

La lacunosità e la manifesta illogicità delle Sentenze del merito non sono sanate nemmeno dall’ulteriore circostanza che l’imputata abbia, alfine, volontariamente interrotto l’azione criminosa. Infatti, la capacità dimostrativa di tale circostanza appare del tutto apodittica, poiché manca qualsivoglia riferimento di carattere scientifico”.

Dunque, come si può notare, anche Cass., sez. pen. V, 22 settembre 2021, n. 35044, in conformità alle Sezioni Unite Raso del 2005, riconosce, ai fini dell’accertamento del vizio di mente ex Artt. 88 e 89 CP, la piena rilevanza di quegli “stati emotivi o passionali” codicisticamente nonché erroneamente ininfluenti ai sensi dell’Articolo 90 CP. Il borderline può essere (semi)infermo di mente, in tanto in quanto i disturbi della personalità e del carattere provocano una totale o parziale invalidità psichica.

Lo “stato emotivo” non è irrilevante nelle dinamiche accertatorie relative agli Artt. 88 ed 89 CP.

 

4. Lo stalking tra malattia e reato

Kahneman (2012) afferma che, di fronte a casi di stalking o altro reato ad eziologia patologica, un Magistrato “anziché sforzarsi scientificamente di rispondere alla domanda <<perché punire ?>> finisce, inconsapevolmente, per sostituirla con una più facile <<perché non punire ?>>.

Si tratta di una scorciatoia mentale […], di una modalità di pensiero emotiva e veloce, piuttosto che razionale e lenta”. Viceversa, la verità è che, nello/a stalker, sussiste sempre un’alterazione patologica della sfera emotiva, la quale reca ad una parziale o totale infermità di mente, pur se il populismo dei partiti e delle televisioni preferisce modalità risolutorie più giustizialistiche e neo-retribuzionistiche.

Di Giovine (2018) afferma che, di fronte a fattispecie di atti persecutori ex Art. 612 bis CP, “la misurazione del grado di disturbo mentale richiede, comunque, un approfondimento delle caratteristiche del cervello dello stalker patologico, attraverso un’indagine retrospettiva sulla personalità del soggetto”.

Secondo l’ulteriore parere di Di Giovine (2014), soprattutto nella fattispecie dello stalking, “le evidenze neuroscientifiche potrebbero contribuire a suggerire strutture e programmi di terapia dei soggetti con disturbi della personalità, totalmente non imputabili [ex Art. 88 CP] e semi-imputabili [ex Art. 89 CP]".

Anzi, nel caso degli stalkers semi-imputabili, bisogna ammettere, con tutta franchezza, che la reclusione intramuraria è inutile e che il Magistrato dovrebbe, piuttosto, disporre un programma terapeutico al di fuori di strutture carcerarie. In effetti, anche Donini (2021), commentando la Legge delega 134/2021 ( c.d. “Riforma Cartabia” ) sottolinea che “la sanzione penale è chiamata a risolvere anche un problema sociale, secondo un progetto umanistico, e non deve essere espressivo-simbolica, tanto che lo stesso giudice di primo grado [nel progetto della Riforma Cartabia] è coinvolto nel definire programmi esecutivi non espressivo-simbolici, bensì in funzione rieducativa [e terapeutica]”.

In buona sostanza, lo stalker semi-imputabile va curato e non punito, in tanto in quanto le strutture carcerarie intramurarie non sono idonee, nel concreto, al superamento dei disturbi della personalità.

Anzi, per il vero, lo stalker non presenta quasi mai profili devastanti di pericolosità sociale, per cui l’affidamento al centro psico-sociale competente per territorio può ben sostituire un pesante nonché inutile internamento in una Rems.

Come rimarcato da Donini (2021), “la restorative justice, fondata sulla logica della riconciliazione con la vittima del reato [anche di stalking] potrebbe anch’essa contribuire a far ripensare la sanzione penale classica (anche se attenuata) nel caso di soggetti con parziale capacità d’ intendere e di volere [ex Art. 89 CP, anche nella fattispecie dello stalker]”.

Secondo Merzagora Betsos (2012), “gli stati emotivi e passionali, che sono irrilevanti per il Codice Rocco del 1930, si prestano ad essere ridefiniti come tutt’altro che marginali, nella recente prospettiva neuroscientifica, al punto da suggerire una possibile base organica dei disturbi della personalità, nonostante una certa diffidenza di una tale Dottrina che, con dovizia di argomentazioni, ha evidenziato le criticità, anche alla luce di una (presunta ?) separazione tra attività mentale e funzionamento del cervello.

Una diffidenza che potrebbe, forse, malcelare lo spettro di Lombroso, poiché le neuroscienze e la genetica comportamentale insinuerebbero una visione deterministica del comportamento umano e quindi anche del crimine”.

Probabilmente, Merzagora Betsos (2012) è eccessivamente ottimista e rigida. Più moderato e condivisibile, viceversa, risulta Ian Stewart (2009), il quale propone le neuroscienze senza imporle, nel senso che “le moderni neuroscienze suggeriscono che il cervello è un sistema assai complesso, le cui alterazioni patologiche potrebbero contribuire a gettare nuova luce sui disturbi della personalità [e del carattere] […].

Non è forse irrazionale, per il Diritto Penale, rifiutarsi di conoscere come funziona realmente il cervello in preda ad alterazioni emotive patologiche?

La verità scientifica è una verità che va sperimentata”. L’essenziale, a parere di chi redige, è non concedere una fiducia illimitata alle neuroscienze. Non delinque il cervello, bensì l’intero soggetto agente, la cui volontà non va, sempre e comunque, disgiunta dalla responsabilità.

Le alterazioni emozionali patologiche non costituiscono una costante onnipresente, in tanto in quanto, nella maggior parte delle fattispecie processuali, il reo è e rimane pienamente capace d’ intendere e di volere.

La Psichiatria non fornisce chiavi ermeneutiche universali e perfette.

Bertolino, La crisi del concetto di imputabilità, Rivista italiana di diritto processuale penale,

             Giuffrè, Milano 1981

idem    Il vizio di mente tra prospettive neuroscientifiche e giudizi di responsabilità penale, in

             Rassegna italiana di Criminologia, Pensa MultiMedia Editore, Milano 2/2015

Cioni, Tracce cerebrali. L’ elettroencefalografia quantitativa a supporto delle perizie psicologiche-

            psichiatriche, edizioni ETS, Pisa, 2020

Collica, Anche i disturbi della personalità sono infermità mentale, in Rivista italiana di diritto

             processuale penale, Giuffrè, Milano, 1/2005

Di Giovine, Prove neurotecniche di personalizzazione della responsabilità penale, in La prova

             scientifica nel processo penale, Giappichelli, Torino, 2018

idem    voce <<Neuroscienze>>, in Enciclopedia del Diritto, Treccani, Milano, 2014

Dolcini & Gatta, Codice penale commentato, Milanofiori, 2021

Donini, Efficienza e principi della legge Cartabia. Il Legislatore a scuola di realismo e cultura della

             discrezionalità, in Politica del Diritto, 2021

Dova, Alterazioni emotive e colpevolezza, Giappichelli, Torino, 2019

Fornari, Trattato di psichiatria forense, Tomo I, / Edizione, Milanofiori, 2019

Kahneman, Pensieri lenti e veloci, trad. it., Mondadori, Milano, 2012

Ian Stewart, Dio gioca a dadi?, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino, 2009

Magro, Infermità di mente: nozione giuridica e ruolo delle neuroscienze, in Quotidiano giuridico,

             Milano, 16 giugno 2017

Manna, Il nuovo delitto di atti persecutori e la sua conformità ai principi costituzionali in materia

             penale, in Scritti in memoria di Giuliano Marini, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli,

             2010

Merzagora Betsos, Il ruolo delle neuroscienze in relazione all’ imputabilità e ai giudizi di

             predittività, in Diritto processuale penale, Edizioni Simone, Napoli, 1/2020

eadem  Colpevoli si nasce?, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2012

Pietrini & Cecchetti, Emotionotopy in the human right temporo-parietal cortex, in Net. Community,

             5 dicembre 2019

Piva, Le componenti impulsive della condotta. Tra imputabilità, (pre)colpevolezza e pena, Jovene,

             Napoli, 2020

Romano & Grasso, Commentario sistematico del codice penale, Giuffrè, Milano, 2012

Seung, Connettoma, La nuova geografia mentale, traduzione italiana, Einaudi, Torino, 2013