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Diritto penale e neuroscienze: nuove frontiere, difficili equilibri*

Criminal law and neuroscience: new frontiers, difficult balances
Fiume Reno, 2019
Ph. Mario Lamma / Fiume Reno, 2019

*Il contributo è stato sottoposto a referaggio con valutazione favorevole.

Articolo pubblicato nella sezione Orizzonti di diritto del numero 1/2021 della Rivista "Percorsi penali".

 

Abstract

Il lavoro analizza il controverso tema concernente il rapporto tra il diritto penale e le neuroscienze. Più in dettaglio, l’articolo esamina l’utilizzo processuale dei moderni sistemi di indagine morfologica del cervello, sulla base della più recente giurisprudenza in materia.

L’autore mira, dunque, ad evidenziare il riflesso generato sul piano penalistico, sostanziale e processuale, dai dati empirici forniti dalle tecniche di esplorazione cerebrale.

This paper analyses the controversial issue concerning the relationship between criminal law and neuroscience. In more detail, the article examines the procedural use of the modern systems of brain morphological investigation, based on the most recent case law on the subject.

The author, therefore, aims to highlight the criminal, substantive and procedural reflection generated by empirical data provided by brain exploration techniques.

 

Sommario

1. Il ruolo delle neuroscienze

2. Definizione del concetto

3. Il settore del neuroimaging

4. La prova neuroscientifica nel processo penale

5. Ammissione e valutazione della prova neuroscientifica

5.1 I criteri Daubert e la giurisprudenza italiana

5.2 Il valore e i limiti della perizia

6. Prospettive future

                                                 

Summary

1. The role of neuroscience

2. Definition of the concept

3. The neuroimaging sector

4. The neuroscientific evidence in the criminal trial

5. Admission and evaluation of neuroscientific evidence

5.1  The Daubert criteria and the Italian case-law

5.2 The value and limits of the expertise

6. Future perspectives

 

1. Il ruolo delle neuroscienze

Negli ultimi anni si è assistito ad un rilevante sviluppo delle neuroscienze[1] che, studiando le correlazioni tra il cervello e le condotte umane, hanno fornito contributi utili sia in campo scientifice che in campo giuridico[2].

Si tratta, dunque, di una scienza che permette di studiare ed elaborare dati empirici sulle funzionalità del sistema nervoso centrale e periferico.

L’ambito nel quale è immediatamente percepibile l’apporto neuroscientifico è, senza dubbio, quello concernente l’imputabilità, con la relativa valutazione circa la capacità di intendere e di volere del soggetto che delinque.

Il giudizio sull’imputabilità, infatti, richiede un accertamento costituito da un substrato misto per cui all’accertamento circa l’esistenza di un’infermità mentale si associa la valutazione del grado di incidenza della devianza sulla capacità di intendere e di volere[3].

Risulta necessaria, pertanto, una commistione tra saperi giuridici e saperi tecnico-scientifici in continua evoluzione.

In realtà, come spesso accade di fronte a nuove scoperte, in tema di ricerca neuroscientifica si è aperto uno scenario caratterizzato da una pluralità di posizioni, dal momento che «quella lanciata dalle neuroscienze appare come la più recente (e, per molti versi, maggiormente radicale) sfida portata dal sapere scientifico al mondo della giustizia penale»[4].

Si sono confrontate, infatti, varie tesi in merito al concetto di libero arbitrio e alla possibilità che possa dissolversi per via degli approdi neuroscientifici e degli studi sulla morfologia del cervello[5].

Il dibattito vede contrapposti ai deterministi, i quali ritengono che il comportamento umano sia una mera conseguenza del funzionamento del cervello e che la libertà di scelta sia del tutto illusoria, gli indeterministi, per i quali la complessa organizzazione neuronale non esclude scelte libere e consapevoli[6].

È opportuno ricordare come tale dibattito affondi le radici nell’Ottocento, quando Cesare Lombroso e gli esponenti della Scuola Positiva negarono la sussistenza del libero arbitrio ritenendo che l’azione umana fosse determinata da una concatenazione di cause dalle quali è esclusa la libertà di scelta[7].

In particolare, Lombroso, a partire dalla scoperta della fossetta occipitale mediana nel cranio di un delinquente, elaborò la teoria della delinquenza congenita e della conseguente alterazione della responsabilità penale[8].

Assai più tardi, nel 1980 fu condotto un esperimento finalizzato ad approfondire gli studi sul c.d. potenziale di prontezza motoria ovvero l’attività elettrica prodotta in alcune aree del cervello quando si deve compiere un movimento.

Nel caso di specie venne registrata l’attività elettrica cerebrale e muscolare di alcuni soggetti attraverso un collegamento ad elettroencefalogramma (EEG) ed elettromiogramma (EMG)[9].

Ai partecipanti fu chiesto di eseguire un semplice movimento e dalle registrazioni emerse che l’attività cerebrale connessa al movimento anticipava di circa mezzo secondo la decisione relativa alla volontà di compierlo[10].

La conseguenza dello studio fu la negazione dell’esistenza del libero arbitrio dal punto di vista fisiologico e la diffusione dell’idea per cui la coscienza libera rileverebbe solo in qualità di supervisore di una condotta già avviata.

In senso conforme, Greene e Cohen, due autori noti per il loro contributo in materia[11]  hanno sostenuto come sia del tutto illusoria l’idea che le azioni umane siano il prodotto di una scelta consapevole, per cui l’individuo non sarebbe altro che «un pacchetto di neuroni»[12].

Il sistema centrale, pertanto, risulterebbe diviso in moduli autonomi che lavorano in parallelo e in modo indipendente dal nostro “io” cosciente e verbale, per cui l’uomo avrebbe solo l’illusione di agire liberamente.

L’opera di Greene e Cohen, e in particolare la celebre citazione «For the law, neuroscience changes nothing or everything», ha costituito l’incipit del convegno “Diritto e neuroimaging: prove aperte di un dialogo” tenutosi lo scorso 28 gennaio presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro.

In tale occasione il neurologo Umberto Sabatini ha affermato che, sebbene una visione totalitaria dell’essere umano non possa escludere le fondamenta neurologiche della sua condotta, «sarà sempre l’esperto di diritto, il giudice, con le sue conoscenze ed un adeguato supporto, a dare un valore alla visione neuroscientifica e decidere, con l’obiettività e l’esperienza, se questa è in grado di contribuire a spiegare un dato comportamento o l’imputabilità di un individuo»[13].

Quanto alla tesi opposta al summenzionato determinismo[14], essa ha contestato, in primis, i risultati dell’esperimento condotto nel 1980, ritenuto insufficiente a dimostrare l’inesistenza della libertà di volere poiché avente ad oggetto un’azione connotata da una dinamica estremamente semplice[15].

È stato dimostrato, inoltre, come i nuovi studi neuroscientifici permettano di distinguere le azioni riflesse da quelle propriamente volontarie[16].

Le azioni volontarie, infatti, involgono un maggior numero di circuiti cerebrali la cui attività, governata dai lobi frontali del cervello, determina una correlazione tra gli impulsi fino all’elaborazione della decisione finale che viene trasmessa al sistema muscolare.

I tratti personalistici della responsabilità[17] risultano ormai confermati dalla più accreditata giurisprudenza che afferma «che deve essere possibile far risalire la realizzazione del fatto all’ambito della facoltà di controllo e di scelta del soggetto, al di fuori delle quali può prendere corpo unicamente un’ascrizione meccanicistica, oggettiva dell’evento storicamente determinatosi […]»[18].

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