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La corsa alla definizione della “materia penale”: tra astrattezze sovranazionali, subalternità delle Corti di merito e garanzie di proporzionalità della Corte Costituzionale. Excursus su un concetto alla costante ricerca di un equilibrio

The rush to define “criminal matters”: among supranational abstractions, local Courts subalternity and the Constitutional Court safeguards of proportionality. A focus about a concept to the constant search for a balance
H2O - Carmen Cortés Cañagueral
H2O - Carmen Cortés Cañagueral

Abstract

Nessuno può ormai dubitare dell’influenza esercitata dall’interpretazione giurisprudenziale sulla portata e sui limiti del concetto di “materia penale”. Emblema della sovranità punitiva del legislatore nazionale, essa è progressivamente divenuta oggetto di riletture e di remaniements a opera delle Corti interne e sovranazionali, le quali hanno tentato di collocare questa nozione sotto l’egida garantistica che caratterizza la tutela multilivello delle libertà individuali.

Questa finalità ha contraddistinto l’opera di interpretazione esercitata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale, nel suo crescente ruolo di “superlegislatore”, ha impresso alla “matière pénale” un significato onnicomprensivo, tale da estendersi anche a settori diversamente qualificati dalla normativa interna. A fronte di tale “riscrittura”, in palese contrasto con la natura “formale” che contraddistingue il diritto penale nazionale, non deve stupire il dibattito sorto in merito agli effettivi limiti della materia punitiva.

Lo scritto, prendendo le mosse dalle tensioni interpretative sorte tra la giurisprudenza italiana e quella europea, tenterà di portare ordine in questo settore, i cui tratti sono ormai confusi e incerti. Per realizzare tale obiettivo, esso focalizzerà l’attenzione sui due principali fattori che, forse, sono in grado di offrire garanzie certe in una realtà priva di significato effettivo: il principio di proporzionalità e di ragionevolezza, da un lato, e il dirimente ruolo esercitato dalla Corte Costituzionale, l’unica Autorità che, mediante una valutazione obiettiva ed equilibrata, tale da apprezzare i singoli aspetti della norma riconducibile alla “materia penale”, è in grado di realizzare un coerente bilanciamento tra le crescenti aspettative di tutela delle libertà individuali promosse in ambito sovranazionale e i valori inderogabili dell’ordinamento interno.

 

Today, no one can doubt the influence exerted by the jurisprudential interpretation on the scope and limits of the meaning of “criminal matters”. Symbol of punitive sovereign power wielded by the National Legislator, it has progressively become the subject of many reinterpretations and remaniements of the domestic and supranational Courts. In fact, they attempted to put this notion under the aegis of warranties characterizing the multilevel protection of individual freedoms.

This purpose marked the work of interpretation of the European Court of Human Rights: in its growing role as ‘super-legislator’, it recognized an all-encompassing meaning, including also some sectors otherwise classified by the National Legislator. Faced with this ‘rewriting’, in stark contrast to the ‘formal’ nature of domestic criminal law, an important discussion on the actual limits of punitive matters has arisen.

This paper, taking as its starting point the interpretative conflict between the Italian and European jurisprudence, attempts to bring order to this field, whose features are confused and uncertain. To achieve this objective, it will focus attention on the two main factors offering some clear guarantees in a reality that is devoid of any real meaning: on the one hand, the principle of proportionality and of reasonableness and, on the there hand, the major role exercised by the Italian Constitutional Court. In fact, this one can be considered the only Institution that, thanks to an objective and balanced evaluation of every aspect of the domestic punitive law, is able to achieve a coherent balancing between the growing supranational expectations of protection of individual freedoms and the imperative values of the domestic legal system.

 

Sommario

1. Introduzione

2. Il diritto penale e la valenza afflittiva: ex uno plures

3. La “materia penale” nell’interpretazione giurisprudenziale: dalla perdita dell’emprise legislativa al dialogo (muto) tra le Corti interne e la Corte EDU

4. I criteri di individuazione della “materia penale”

5. Lo scotto del nuovo concetto di “materia penale”: il caso del ne bis in idem tra garanzie e incertezze

6. La “materia penale” recepita dalla giurisprudenza nazionale: un baluardo senza direzione

7. La definizione dei confini della “materia penale” convenzionale: da vuoto concettuale a termine da apprezzare con proporzionalità

8. Un Giudice a chiusura del sistema: la Corte Costituzionale e il suo ruolo di indirizzo in materia penale

9. Conclusioni: quali vincitori in un nuovo equilibrio?

 

Summary

1. Opening words

2. The criminal law and its afflictive influence: ex uno plures

3. “Criminal matters” in the interpretation of the case law: from the loss of the legislative emprise to the (silent) dialogue between domestic Courts and the ECHR

4. The criteria for identifying ‘criminal matters’

5. The price of the new concept of “criminal matters”: the principle of ne bis in idem between guarantees and uncertainties

6. “Criminal matters” transposed by the domestic Courts of justice: a bulwark without direction

7. The boundaries of the conventional meaning of “criminal matters”: from a conceptual vacuum to a concept full of proportionality

8. A Judge to close the system: the Constitutional Court and its leading role in criminal matters

9. Conclusions: which have won in this new balanced system?

 

1. Introduzione

È una storia dalle origini semplici, divenuta però incerta e contraddittoria, quella del significato attribuito al concetto di “materia penale”. Massima espressione del potere sanzionatorio e repressivo esercitato dal legislatore nazionale, questa nozione è oggi al centro di un silenzioso ma crescente contrasto interpretativo che oppone l’ordinamento giuridico interno al sistema giuridico europeo, caratterizzato dalla rilevanza dei principi CEDU così come definiti e applicati dalla Corte di Strasburgo.

È proprio quest’ultima, d’altronde, ad aver elaborato un significato di “materia penale” i cui caratteri – soprattutto sostanziali – si differenziano marcatamente da quelli a essa tradizionalmente riconosciuti in ambito nazionale. Tra gli aspetti più discussi, si considera il campo di applicazione di questa materia, progressivamente ampliato fino a ricomprendere misure e sanzioni che, nel diritto interno, non sono qualificate come “formalmente” penali.

Malgrado la vis “attrattiva” che contraddistingue il nuovo concetto di “materia penale”, giustificato dalle esigenze garantistiche perseguite in ambito europeo, non possono essere ignorati gli inconvenienti legati a tale evoluzione. In particolare, si rimarcano i contrasti interpretativi sorti in merito alla compatibilità di questa nozione con i caratteri fondamentali dell’ordinamento penale interno, derivanti dalla difficoltà di recepire in toto gli astratti principi elaborati dalla Corte EDU nell’esercizio della sua crescente funzione legislativa.

Con il presente articolo si tenterà di elaborare una soluzione che prende le mosse dalla consapevolezza della relatività che offusca la portata sovranazionale della “materia penale”. Preso atto della necessità di “concretizzare” questo termine, il quale, lungi dal delineare un ordinamento sanzionatorio autonomo, mira a razionalizzare e ad armonizzare le finalità garantistiche che contraddistinguono il diritto punitivo interno, la tesi che si esporrà getta le basi di un equilibrato sistema in grado di recepire i cambiamenti sovranazionali in ambito penale senza venire meno ai principi costituzionali interni.

Nello specifico, si tratterà di individuare le interazioni tra il concetto di “materia penale” europeo e i caratteri distintivi dell’ambito sanzionatorio italiano, al fine di comprendere fino a che punto il primo può spingersi contemporaneamente a integrare e a innovare il secondo. Tale riflessione potrà essere sviluppata solo superando i – forse esasperati – dubbi lessicali e interpretativi espressi in merito all’inedito significato di “materia penale” e focalizzando l’attenzione sullo strumento più idoneo a garantire il recepimento di quest’ultimo nel nostro ordinamento: il principio di proporzionalità e di ragionevolezza, in virtù del quale è escluso ogni automatico e generalizzato ampliamento dello jus puniendi a discapito delle norme inderogabili nazionali.

L’impatto è evidente, essendo questa tesi in palese contrasto con la “vocazione universalizzante[1] perseguita dalla Corte EDU in “materia penale”, la quale mira a ricomprendere ambiti “formalmente” diversi e autonomi nel campo di applicazione delle garanzie di cui agli artt. 6 e 7 della Convenzione Europea. Fissando un limite a tale influenza, l’articolo tenterà di rilanciare il ruolo dirimente della Corte Costituzionale Italiana. Sarà quest’ultima, a fronte della persistente inerzia legislativa, a riappropriarsi del ruolo di “centro gravitazionale” delle prospettive evolutive in materia penale: l’unico soggetto che, “ripensando e ordinando il molteplice”[2], sarà in grado di conformare la “materia penale” alle diverse esigenze e valori di un ordinamento giuridico in costante evoluzione.

 

2. Il diritto penale e la valenza afflittiva: ex uno plures

Oggi, il concetto di “materia penale” è tanto complesso quanto, in origine, esso appariva semplice e di immediata definizione. È sufficiente ripercorrere la storia degli attuali ordinamenti giuridici nazionali per comprendere come, in un passato neppure troppo lontano, questa materia trovasse nella legge la sua principale fonte di legittimità e di regolamentazione. Fulcro della reazione punitiva esercitata dallo Stato, il diritto penale si contraddistingueva per la sua natura “formale”, impressa dal legislatore mediante norme tassative e dai contorni ben definiti. D’altronde, si riteneva che solo il principio di legalità – comprensivo dei suoi corollari – potesse perseguire efficacemente le esigenze di tutela delle libertà individuali sancite dalla Costituzione, in conformità alla natura democratica dell’ordinamento italiano.

Mentre il legislatore deteneva il monopolio della “creazione” legislativa, titolare del potere di incriminare oppure di abolire o depenalizzare le fattispecie di reato, la loro concreta applicazione era rimessa al solo potere giudiziario interno, competente nell’interpretare il precetto e nell’adeguare la pena al caso concreto[3]. In ossequio alle esigenze garantistiche sopracitate, il principio di separazione tra queste due prerogative mirava a proteggere efficacemente le libertà individuali, rispettando così gli ulteriori principi di extrema ratio e di residualità che contraddistinguono il diritto penale.

L’equilibrio normativo qui ripercorso permette di comprendere la portata delle recenti riforme intervenute nel sistema penale italiano, frutto, da un lato, degli obiettivi di depenalizzazione perseguiti dal legislatore e, dall’altro, dell’influenza esercitata dalla Corte EDU anche in materia penale.

Nel primo caso, si fa riferimento all’ingente opera di riqualificazione di diverse fattispecie penali in meri illeciti amministrativi. Il diritto punitivo classicamente inteso, basato sul “concetto formale di reato” tipico del Codice Rocco[4], è stato così interessato non solo da riforme “accentratrici”[5], vòlte a espandere questo settore fino a ricomprendervi ipotesi di mera pericolosità, ma contemporaneamente è divenuto oggetto di opposte forze “centrifughe” che hanno escluso la sua rilevanza in altri ambiti comunque sanzionati dal legislatore. Il presente scritto, soffermandosi proprio su quest’ultimo aspetto, ne analizzerà la portata e le conseguenze a fronte delle evoluzioni intervenute nella giurisprudenza europea, dove le Corti sovranazionali non hanno taciuti rilievi critici in merito alla suddetta “depenalizzazione”. Un passo decisivo in tal senso è stato solcato con la Legge n. 689 del 24 novembre 1981, la quale, accentuando l’opera di riforma già annunciata da alcuni sporadici precedenti normativi[6], ha istituto il cosiddetto sistema “para-penale”.

L’ampliamento di quest’ultimo sistema, divenuto sempre più vario e confusionario, è stato compiuto mediante una inarrestabile concatenazione di novelle normative, le quali hanno introdotto varie sfumature ai modelli sanzionatori “extra-penali” coniati in precedenza.

Tale evoluzione ha dato inizio a una complessa missione interpretativa vòlta a chiarire i caratteri dei diversi tipi di illecito introdotti dalle suddette novelle normative, con lo scopo di categorizzare[7] queste figure e individuare gli effettivi confini tra esse e la “materia penale”. Una missione che, tuttavia, non sempre è stata di facile realizzazione, come dimostrato dai dibattiti sorti in merito alla possibilità di estendere le garanzie penalistiche alle sanzioni amministrative di natura punitivo-afflittiva[8]. A coloro che ritengono questa alternativa fattibile, qualificando tali misure come “pene in senso tecnico”[9], si oppone chi, al contrario, ritiene necessario distinguere i settori punitivi a seconda delle ulteriori finalità perseguite dal legislatore mediante la sua opera di depenalizzazione[10].

Infatti, secondo i sostenitori di quest’ultima tesi, la differenziazione tra lo jus puniendi tradizionale e le sanzioni afflittive “extra-penali” sarebbe necessaria al fine di individuare l’ulteriore scopo ripristinatorio o risarcitorio da esse perseguito[11]: ciò metterebbe in luce e giustificherebbe la volontà normativa di operare una differenziazione tra l’ambito tipicamente punitivo e i settori vòlti a realizzare ulteriori finalità di primaria importanza.[12]

Tale orientamento è tanto più coerente ed efficace quanto la produzione normativa interna sembra divenire sempre più attiva e ipertrofica, incentivata da scopi di varia natura che il legislatore imprime in novelle e riforme di dubbia qualificazione giuridica. A promuovere questa tendenza – avente effetti ha chiaramente ampliato i settori delle sanzioni extra-penali.

Per questo motivo, un’analisi avente a oggetto il nuovo concetto di “materia penale” così come coniato dalla Corte di Strasburgo deve necessariamente tenere conto del contestuale – e, in parte, opposto – spirito sanzionatorio perseguito a livello comunitario. Uno spirito che, contribuendo ad arricchire il sistema del diritto sanzionatorio, ha evidenziato l’attualità del dibattito sull’ampiezza della “matière pénale”; laddove quest’ultima contribuisce a non privare questi ulteriori settori delle tutele ormai irrinunciabili per chi è destinatario della pretesa punitiva statale.

Una figura fra tutte evidenzia la poliedricità dell’ordinamento attuale, in cui la “materia penale” è stata affiancata da settori che, pur perseguendo simili scopi punitivi, presentano molteplici caratteri di differenziazione, spesso di portata mutevole e incerta. Si tratta del discusso istituto della confisca[13], la cui natura e le cui funzioni sono da tempo oggetto di ampie riflessioni dottrinarie[14] e giurisprudenziali. Infatti, al tradizionale orientamento vòlto a considerarla una “pena accessoria”[15], si è opposta la tesi che ha qualificato questo istituto come “sanzione civile specifica”[16]. Il contrasto interpretativo trova certamente fonte nella – forse eccessiva – creatività legislativa, la quale ha aggiunto all’originaria misura disciplinata dall’art. 240 c.p. varianti di diversa natura, a partire dalla cosiddetta “confisca di prevenzione”[17], introdotta dalla Legge Rognoni-La Torre del 1982. In questo caso, l’istituto era formalmente ricondotto alla categoria delle misure di prevenzione, coniate in un’ottica di difesa sociale al fine di tutelare la collettività contro quei soggetti che, indipendentemente dalla commissione di reati, erano considerati socialmente pericolosi a causa delle loro condotte di vita.

Lungi dal soffermarsi sull’evoluzione di questa figura – per quanto interessante esso sia –, il riferimento ai suoi mutevoli caratteri e ai dibattiti che l’hanno accompagnata dimostra come la produzione normativa italiana di portata sanzionatorio-afflittiva abbia spalancato da tempo le porte alla riflessione pretoria, vòlta a chiarire la natura delle misure introdotte in questo settore. Una riflessione che, inquadrando, da ultimo, i limiti della “materia penale”, ha tentato di fornire soluzioni coerenti sia con la volontà normativa perseguita dal legislatore sia con la necessaria tutela delle libertà individuali che neanche il diritto punitivo può più ignorare.

È in tale contesto che si inserisce il contributo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale, concepita talvolta come mero organo giurisdizionale competente nel rendere decisioni particolari e individualizzate e, talaltra, come vero e proprio soggetto “creatore” della norma, ha progressivamente elaborato un punto di vista molto più ampio in merito alla portata della “materia penale”.

Nei capitoli che seguiranno saranno approfondite le tensioni derivanti da tale “ingerenza” interpretativa nel sistema sanzionatorio interno. In particolare, essi si focalizzeranno sulle difficoltà di adeguamento dell’ordinamento giuridico italiano alle soluzioni elaborate dalla Corte EDU, la quale, qualificando come “sostanzialmente” penali misure non ritenute “formalmente” tali dal legislatore interno, ha gettato le basi per una riflessione sulla effettiva compatibilità tra le prospettive sovranazionali e i valori del sistema penale italiano. Ci si interrogherà sulla necessità di mettere in dubbio questi principi e si rifletterà sulla possibile armonizzazione dell’ordinamento penale mediante un’interpretazione che, rilanciando il ruolo degli organi giurisprudenziali interni e, soprattutto, della Corte Costituzionale, tenterà di favorire l’evoluzione della “matière pénale” senza ledere i baluardi normativi nazionali.

 

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[1] Il riferimento è sempre a PALIERO, C.E., cit.

[2] Per utilizzare un’espressione impiegata da PALIERO, C.E., Il diritto liquido. Pensieri post-dalmesiani sulla dialettica delle fonti penali, in Riv. It. di Dir. e Proc. Pen., n. 3, novembre 2014, p. 1099.

[3] In tal senso, v. DELSIGNORE, M., Le regole di convivenza della sanzione amministrativa, in Dir. Amm., fasc. II, giugno 2017, p. 235. Si veda anche BACHELET, V. in Studi in memoria di Carlo Esposito, vol. IV, Milano, 1974.

[4] La cosiddetta “formeller verbrechensbegriff”, contraddistinta da un elevato tecnicismo giuridico, come osservato da MANES, V., Profili e confini dell’illecito para-penale, in Riv. It. di Dir. e Proc. Pen., Fasc. 3, luglio 2017, p. 988. A tal proposito, si veda anche ZIPF, H., Kriminalpolitik: ein Lehrbuch, Heidelberg, Karlsruhe, 1980.

[5] In merito a una tendenza che, oggi, risulta essere in costante aumento, si veda ex pluris: SILVA SANCHEZ, La expansion del derecho penal. Aspectos de la politica criminal en las sociedades postindustriales, Madrid, 2011; DEMURO, G.P., Ultima ratio. Alla ricerca dei limiti di espansione del diritto penale, in Riv. It. di Dir. e Proc. Pen., 2013, pp. 1654 e ss. Per un confronto comparatistico in tema di ipertrofia normativa, v. SMITH, S.F., Overcoming overcriminalisation, in The journal of Criminal Law and Criminology, 2012, p. 102.

[6] Quali le Leggi n. 317 del 1967 e n. 706 del 1975.

[7] A tal proposito, è apprezzabile lo scritto di DONINI, M., Septies in idem.Dalla “materia penale” alla proporzione delle pene multiple nei modelli italiano ed europeo, in Cass. Pen., n. 7/8, 2018, pp. 2284 e ss.

[8] Il cui ambito è stato oggetto di studio da parte di vari autori, già chiamati a pronunciarsi sulla loro riconducibilità alla materia penale. ex multis, v.: BENVENUTI, F., Le sanzioni amministrative come mezzo dell’azione amministrativa, in AA.VV., Le sanzioni amministrative. Atti del XXVI convegno di studi di scienza dell’amministrazione (Varenna 18-20 settembre 1980, pp. 25 ss.; CANNADA BARTOLI, E., Illecito (diritto amministrativo), in Enc. del Dir., vol. XX, Milano, 1970, pp. 112 e ss.; CAPACCIOLI, E., Principi in tema di sanzioni amministrative: considerazioni introduttive, in Le sanzioni in materia tributaria. Atti del convegno di studio svoltosi a Sanremo, 21-22 ottobre 1978, Milano, 1979, pp. 125 ss.; CIERBO, P., Le sanzioni amministrative, Milano, 1999; CIMINI, S., Il potere sanzionatorio delle amministrazioni pubbliche, Napoli, 2017; TESAURO, A., Le sanzioni amministrative punitive, Napoli, 1925.

[9] In tal senso, ZANOBINI, G., Le sanzioni amministrative, Torino, 1924, il quale descrive la sanzione amministrativa con gli stessi termini impiegati nel diritto penale per definire la funzione della pena, ritenendo che essa sia sempre “un mezzo indiretto, sul quale il legislatore fa assegnamento per ottenere l’osservanza della sua legge e che, come tale, essa “indica la conseguenza dannosa che il legislatore collega al fatto di colui che viola la norma, come corrispettivo della sua azione e come mezzo di restaurazione dell’ordine giuridico da essa turbato”.

[10] Come osservato da TESAURO, A., cit.

[11] Come evidenziato da CERBO, P., cit., e BENVENUTI, F., Appunti di diritto amministrativo, 1959.

[12] Non a caso, oggi, l’equiparazione tra la materia penale e le sanzioni amministrative è compiuta soprattutto con riferimento a quelle di quest’ultima categoria che perseguono un chiaro scopo afflittivo e specialpreventivo, in contrapposizione alle sanzioni miranti a garantire la realizzazione dell’interesse leso. In tal senso, v. RABAI, B., La conclusione del procedimento sanzionatorio antitrust mediante accettazione di impegni. Considerazioni sul rapporto tra public e private endorcement, in Dir. Amm., Fasc. 1, 2018, p. 182; SANDULLI, M. A., Le sanzioni amministrative pecuniarie, Napoli, 1983.

[13] L’istituto, in origine, si limitava a prevedere la confisca generale dei beni ai sensi dell’art. 9 del Decreto n. 159/1944, introdotto per colpire il patrimonio dei cittadini che avevano prestato manforte all’esercito invasore tedesco. Per un excursus sui caratteri e le evoluzioni di questo istituto, v. ex pluris: FINOCCHIARO, S., Confisca di prevenzione e civil forfeiture, 2022; NICOSIA, E., La confisca, le confische. Funzioni politico-criminali, natura giuridica e problemi ricostruttivo-applicativi, Giappichelli, Torino, 2012. Per un approfondimento delle questioni risalenti che hanno animato il dibattito su questo istituto, v. VASSALLI, G., La confisca dei beni: studi recenti e profili dommatici, Padova, 1951, pp. 17 e ss.

[14] In tal senso si legge: “la confisca si staglia come un test fondamentale per una scienza giuridica attenta non solo alla sorgente della punibilità – il fatto illecito – ma anche all’inventario delle possibili conseguenze, in modo da discernere, senza, apriorismi, sia l’essenza generale del fenomeno sanzionatorio che tutte le sue possibili declinazioni” da MONGILLO, V., Confisca proteiforme e nuove frontiere della ragionevolezza costituzionale. Il banco di prova degli abusi di mercato, in Giur. Cost., fasc. 6, dicembre 2019, p. 3343.

[15] In tal senso, si veda la risalente Cass. pen., 19 settembre 1945, Dizioni; Cass. pen., 9 novembre 1945, Occasi, in VASSALLI, G., cit.

[16] Cass. pen., Sez. Un., 23 novembre 1946, Ricci, in Giust. pen. 1946, con cui i giudici di legittimità ne hanno chiarito anche la funzione risarcitoria a favore della collettività. In senso analogo Corte Cost., 25 maggio 1961, n. 29.

[17] Per un approfondimento del tema, v. FIANDACA, G., voce Misure di prevenzione (profili sostanziali), in Dig. disc. pen., Torino, 1994, p. 109; FURFARO, S., voce Misure di prevenzione patrimoniale, in Dig. Pen. Aggiornamento III-I, Torino, Utet, 2005.