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Riforma penale: tra novità e profili di criticità

La riforma del processo penale
Parigi, 2013
Ph. Alessandro Saggio / Parigi, 2013

Lo scorso 23 settembre il Senato ha approvato il disegno di legge n. 2353 di riforma del processo penale, approvato alla Camera il 3 agosto.

L’obiettivo della riforma è promuovere la rapidità e al contempo l’efficienza del processo penale, valorizzado una risposta giudiziaria che assicuri le garanzie difensive.

È noto come la giustizia italiana sia attanagliata da ritardi e inefficienze che incidono inesorabilmente sulla durata dei processi, comportando, non di rado, la condanna dello Stato da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione del principio dell’equo processo di cui all’art. 6 CEDU e 111 Cost.

Il carico degli uffici giudiziari ripropone l’immagine di un sistema in affanno, sistematicamente carente e strutturalmente disorganico.

Il progetto di riforma si presenta, senza dubbio, come un’occasione per snellire i processi penali e alleggerire il carico giudiziario nel tentativo di restituire un sistema efficiente in termini di coerenza e ragionevolezza.

Il provvedimento in esame prevede, inoltre, misure volte al potenziamento delle garanzie difensive e della tutela della vittima del reato.

 

Riforma penale e digitalizzazione

Si propone di avviare un percorso che conduca alla digitalizzazione e informatizzazione del processo mediante un utilizzo generalizzato della PEC o di altri strumenti telematici per compiere comunicazioni e notificazioni, superando in tal modo la ritrosia che connota l’atteggiamento della Suprema Corte verso l’utilizzo di tali strumenti.

Si comprende come l’utilizzo degli strumenti telematici per il deposito degli atti sia oggettivamente funzionale a consentire una più snella ed efficiente amministrazione della giustizia, velocizzando le attività di ricezione e trasmissione degli atti.

 

Riforma penale: indagini e udienza preliminare

Emerge con chiarezza la direzione finalistica della riforma verso un concreto snellimento del procedimento penale perseguibile attraverso interventi volti ad incidere, in primo luogo, sulla disciplina delle indagini preliminari e sull’udienza preliminare.

È prevista la rimodulazione dei termini di durata delle indagini preliminari in relazione alla tipologia di reato per cui si procede, al fine di consentirne una più rapida conclusione e di ridurre i momenti di stasi del processo, in un’ottica di maggiore garanzia per l’indagato e per la persona offesa.

Sono stati individuati, inoltre, criteri di priorità trasparenti e predeterminati per l’esercizio dell’azione penale, indicati con legge del parlamento e da sottoporre all’approvazione del consiglio superiore della magistratura.

Degna di nota è la previsione di un meccanismo di discovery degli atti di indagine in favore dell’indagato, del difensore e della persona offesa, affinchè prendano visione del materiale acquisito nel corso delle indagini preliminari dopo la scadenza dei termini senza che il pubblico ministero abbia assunto le proprie determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione penale.

È stato individuato un profilo di criticità con riguardo allo strumento della discovery coatta nelle ipotesi in cui risulti preclusiva di scelte operative del p.m. con particolare riguardo alla richiesta di applicazione di misure cautelari.

Si comprende come la rivelazione del compendio probatorio a fondamento di tale richiesta possa vanificare l’attività investigativa svolta.

Con riguardo all’udienza preliminare, se ne limita la previsione ai reati di particolare gravità, mentre si estende il catalogo dei reati con citazione diretta davanti al tribunale in composizione monocratica, comprendendo quelli puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni, anche se congiunta alla pena della multa, che non presentino rilevanti difficoltà di accertamento e prevedendo un meccanismo di controllo del giudice sulla formulazione dell'imputazione.

 

Riforma penale e riti alternativi

Con riguardo ai riti alternativi, e in particolar modo al patteggiamento, si prevede che, qualora la pena detentiva superi i due anni, l’accordo tra imputato e pubblico ministero possa avere ad oggetto le pene accessorie e la loro durata, oltre alla confisca facoltativa e alla determinazione del suo oggetto e dell’ammontare.

In tema di giudizio abbreviato, si dovrà subordinare l’accoglimento della richiesta di integrazione probatoria ad una valutazione ai fini della necessità per la decisione, prevedendo un’ulteriore riduzione della pena di un sesto in caso di mancata proposizione di impugnazione da parte dell’imputato.

In relazione al procedimento per decreto è prevista l’estensione del termine a disposizione del p.m. per chiedere l’emissione del decreto stesso, stabilendo che presupposto dell'estinzione del reato sia, oltre al decorso dei termini, anche il pagamento della pena pecuniaria e prevedendo che se il condannato rinuncia all'opposizione può essere ammesso a pagare una pena pecuniaria ridotta.

 

Riforma penale e mezzi di impugnazione

Con riguardo al giudizio di appello è previsto l’ampliamento delle ipotesi di inappellabilità non solo delle sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa ma anche di quelle che dispongono la condanna al lavoro di pubblica utilità.

Si eliminano le preclusioni all’accesso al concordato sui motivi d’appello, di cui all’art. 599 c.p.p., ove l’attuale disciplina pone delle limitazioni con riferimento ad alcune tipologie di reati (art. 599 bis, comma 2, c.p.p.)

Si prevede, poi, la trasposizione sul piano normativo dell’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale concernete l’inammissibilità dell’appello per aspecificità dei motivi.

Relativamente all’ultimo grado di giudizio, si prevede l’introduzione di un mezzo di impugnazione straordinario davanti alla Corte di Cassazione al fine di dare esecuzione alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e si prevede la trattazione cartolare dei ricorsi con contraddittorio scritto, salva la richiesta delle parti di discussione orale.

 

Riforma penale e condizioni di procedibilità

Del tutto coerenti con lo scopo della riforma si mostrano le innovazioni concernenti le condizioni di procedibilità, e in particolare la proponibilità della querela nelle ipotesi di reati contro la persona o contro il patrimonio, da individuarsi nell'ambito di quelli puniti con la pena edittale detentiva non superiore nel minimo a due anni, computati senza tener conto delle circostanze del reato e facendo salva la procedibilità d'ufficio quando la persona offesa sia incapace per età o per infermità.

Si tratta di una novella inserita nel solco di un indirizzo politico-criminale volto a subordinare l’avvio di procedimenti penali, aventi ad oggetto determinate fattispecie di reato, alla sussistenza di un concreto interesse delle persone offese alla perseguibilità dell’autore delle condotte.

 

Riforma penale: prescrizione e improcedibilità dell’azione penale

Fulcro della riforma è, senza dubbio l’istituto della prescrizione dei reati, oggetto dei più recenti interventi legislativi.

Con la riforma viene confermata la disciplina introdotta con la l. n. 3/2019 (c.d. Spazzacorrotti) che prevede la cessazione del corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, indipendentemente dal suo esito.

Si esclude, al contempo, che possano prodursi tali effetti con riguardo al decreto penale di condanna, in quanto emesso fuori dal contraddittorio tra le parti, motivo per cui viene inserito tra gli atti interruttivi della prescrizione di cui all’art. 160, comma 1, c.p.

Nella diversa ipotesi di annullamento della sentenza, la prescrizione riprenderebbe a decorrere dalla pronuncia definitiva di annullamento.

È prevista l’introduzione, all’art. 344 bis c.p.p., dell’istituto dell’improcedibilità dell’azione penale nei giudizi di impugnazione per il superamento dei termini di durata massima, fissati rispettivamente in due anni e un anno, quale rimedio volto a tutelare il diritto fondamentale alla ragionevole durata del processo.

I termini cui si è fatto riferimento decorrono dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del

termine previsto dall’articolo 544 c.p.p. (eventualmente prorogato ai sensi dell’articolo 154

disp. att. c.p.p.) per il deposito della motivazione della sentenza di primo e di secondo grado.

Soltanto con riferimento ad alcuni delitti (artt. 407, comma 2, lettera a), 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322-bis c.p.), qualora il giudizio si connoti per particolare complessità dovuta al numero delle parti, delle imputazioni, delle questioni di fatto o di diritto da trattare, i termini di durata massima del processo possono essere prorogati, con ordinanza del giudice.

Con riguardo ad ulteriori fattispecie criminose, tra le quali i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, di associazione mafiosa e di scambio elettorale politico-mafioso, di violenza sessuale aggravata e di traffico di stupefacenti, il termine dei due anni in appello e di un anno in Cassazione può essere prorogato, per ragioni inerenti alla complessità del giudizio, con successive proroghe, senza limiti di tempo.

È prevista un’estensione delle proroghe per i delitti aggravati dal metodo mafioso e dall'agevolazione mafiosa ai sensi dell'articolo 416-bis.1, c.p., fino ad un massimo di tre anni per l'appello e un anno e sei mesi per il giudizio di legittimità; per tutti gli altri reati è possibile solo una proroga di un anno per il giudizio di appello e di sei mesi per il giudizio in Cassazione.

La causa di improcedibilità in esame non opera nei procedimenti relativi ai delitti puniti con l’ergastolo, anche ove detto trattamento sanzionatorio derivi dalla contestazione di circostanze aggravanti.

Il nomen adottato dal legislatore segnala un’inversione di tendenza in materia di prescrizione: da istituto di diritto sostanziale funzionale all’estinzione del reato a struttura essenzialmente di carattere processuale, tale da determinare l’impossibilità di proseguire il giudizio nell’ipotesi del superamento dei prescritti termini di durata nei gradi di impugnazione.

Il nuovo istituto parrebbe foriero di irragionevole applicazione, alla luce della dubbia compatibilità con il principio di uguaglianza e di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale.

Nel dettaglio, rispetto ad un reato ancora perseguibile per non essere maturati i termini di prescrizione, la dichiarazione di improcedibilità risulterebbe irragionevolmente ostativa al doveroso accertamento dello Stato in relazione ad un reato non estinto.

Quanto al rilevato contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza, si comprende come evidenti disparità ed incongruenze si produrrebbero qualora fosse invocata l’improcedibilità dell’azione penale per il decorso del termine di fase dell’impugnazione con conseguente impossibilità di prosecuzione del giudizio, a fronte di processi diluiti in un arco temporale eccessivo ma conforme alle prescrizioni disposte in tema di improcedibilità.

In altre parole, si tratterebbe di un meccanismo solo apparentemente predisposto alla garanzia della ragionevole durata dei processi, in linea con le fonti sovranazionali, ove in concreto si tradurrebbe nell’attuazione della ragionevole durata dei gradi di impugnazione, attuando ingiustificate disparità di trattamento.

Non ci si può esimere dal valutare le ripercussioni in ambito processuale dell’improcedibilità così delineata.

In primo luogo, subordinare la prosecuzione del processo al mero decorso del termine di durata dei giudizi di impugnazione caducherebbe, non solo l’interesse dell’ordinamento all’applicazione della legge penale a tutela di beni giuridici meritevoli di adeguata protezione, ma anche quello della persona offesa all’accertamento della responsabilità dei presunti autori del reato e all’applicazione della relativa sanzione.

Con riguardo al regime intertemporale, è disposta una retroattività parziale, in quanto applicabile soltanto nei procedimenti di impugnazione che hanno ad oggetto reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020.

Tuttavia, nei procedimenti nei quali l’impugnazione è proposta entro il 31 dicembre 2024 e nei giudizi conseguenti ad annullamento con rinvio pronunciato prima del 31 dicembre 2024 i termini di fase sono prolungati, ossia tre anni per il giudizio di secondo grado e un anno e sei mesi per quello avanti alla Suprema Corte.

Il regime transitorio esaminato ha la chiara finalità di consentire il graduale adeguamento degli uffici giudiziari al nuovo regime, evitando che la riforma possa produrre conseguenze pregiudizievoli per le vittime di reato.

 

Riforma penale: ulteriori novità

Perseguendo la stessa finalità di riduzione dei termini processuali, la legge di riforma prevede la calendarizzazione delle udienze e la relativa comunicazione alle parti, in linea con l’obiettivo di favorire una migliore organizzazione del ruolo delle udienze ed evitare rinvii dovuti a cause di impedimento dei difensori. 

Si prevede, inoltre, il deposito delle consulenze tecniche e delle perizie entro un termine congruo rispetto alla data fissata per l’esame del consulente o del perito.

Nell'ipotesi di mutamento del giudice o di uno o più componenti del collegio, si dispone che il giudice provveda, a richiesta di parte, alla riassunzione della prova dichiarativa già assunta.

Quando la prova dichiarativa sia stata verbalizzata tramite videoregistrazione nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, il giudice potrà disporre la riassunzione della prova solo qualora lo ritenga necessario sulla base di specifiche esigenze.

Per i reati a citazione diretta di cui all’art. 550 c.p.p. attribuiti alla competenza del tribunale monocratico, la riforma prevede l’introduzione di una sorta di udienza filtro, celebrata da un giudice diverso rispetto a quello davanti al quale dovrà tenersi il dibattimento e nell'ambito della quale il giudice dovrà pronunciare la sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna.

L’udienza filtro costituirebbe, altresì, il momento in cui dovrebbe procedersi, a pena di decadenza, con eventuali richieste di riti alternativi.

Laddove, invece, il procedimento superi questa fase, il giudice dovrà fissare la data della successiva udienza dibattimentale, dinanzi a un giudice diverso.

In prospettiva di deflazione processuale è prevista l’estensione dell'ambito di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131 bis c.p., ai reati puniti con pena edittale non superiore nel minimo a due anni, con la possibilità di prevedere eccezioni per specifici reati, tra i quali l’omicidio aggravato dalla violazione di norme antinfortunistiche, gli atti persecutori e il sequestro di persona, e con l’assoluta preclusione in caso di reati di violenza domestica.

L'istituto della sospensione del procedimento penale con messa alla prova dell'imputato andrebbe esteso a specifici reati, puniti con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a sei anni, ove si prospetti la proficua partecipazione a percorsi risocializzanti o riparatori da parte dell'autore.

La riforma in esame ha rimodulato i confini applicativi delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, da individuare nella semilibertà, nella detenzione domiciliare, nel lavoro di pubblica utilità e nella pena pecuniaria.

Le nuove pene sostitutive, irrogabili entro il limite di quattro anni di pena inflitta, saranno direttamente applicate dal giudice della cognizione, nel tentativo di decongestionare il processo penale, favorendo soluzioni premiali per reati che non si caratterizzano per un’intensa potenzialità offensiva.

È stata, inoltre, disciplinata una causa di estinzione delle contravvenzioni applicabile nella fase delle indagini preliminari, per effetto del tempestivo adempimento di apposite prescrizioni impartite dall'organo accertatore e del pagamento di una somma di denaro determinata in una frazione del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.

 

Riforma penale e garanzie difensive

La riforma in esame non trascura le istanze di garanzia dell’imputato, intervenendo sulla disciplina delle notificazioni e prevedendo che solo la prima notificazione, a garanzia dell’effettiva conoscenza del procedimento, e quelle relative alla citazione a giudizio in primo grado e in sede di impugnazione, debbano essere effettuate personalmente all'imputato, ove le successive potranno essere effettuate al difensore di fiducia, al quale l'imputato avrà l'onere di comunicare i propri recapiti.

La materia delle notifiche richiama l’attenzione sull’istituto del processo in absentia, per cui la riforma ha recepito il principio codicistico in base al quale è consentita la celebrazione del processo in assenza dell’imputato anche se vi è stata elezione o dichiarazione di domicilio o la nomina del difensore di fiducia, dovendo in tali casi escludersi che la mancata comparizione dello stesso sia dovuta all’incolpevole stato di ignoranza del procedimento.

Occorre sottolineare come, con riguardo alla presunzione di conoscenza del procedimento da

parte dell’imputato, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23948/2020, richiamando la giurisprudenza della Corte EDU sul tema del rapporto tra le regole di conoscenza legale e i principi dell’equo processo, abbiano affermato che, ove sia stata disposta una misura cautelare, non può ritenersi effettiva la conoscenza del procedimento se la misura sia rimasta ineseguita, richiedendosi piuttosto il regolare compimento del procedimento cautelare o precautelare, che prevede sempre il contatto con il giudice e la contestazione specifica degli addebiti.

I giudici di legittimità sono da ultimo intervenuti con la sentenza n. 31201 del 15/09/2020 sul tema della compatibilità del processo in assenza con i principi convenzionali del giusto processo, sanciti dall’art. 6 CEDU.

In tale arresto è stato evidenziato come la Corte EDU (Yavuz c. Austra, 27/5/2004), pur avendo ritenuto che non è vietato dalla Convenzione che l’avviso dell’udienza venga notificato al

difensore e non anche personalmente all’imputato, ha sottolineato come, in tal caso, sia

necessaria una particolare diligenza nella valutazione della volontarietà della rinuncia dell’imputato

a comparire, evidenziando altresì che, a fronte della contestazione non manifestamente infondata

sulla conoscenza della data del processo da parte dell’imputato, è compito delle autorità interne

procedere agli accertamenti necessari.

La riforma, dunque, intende riaffermare il principio in base al quale si può procedere in assenza dell'imputato solo se si ha la certezza che la sua mancata partecipazione al processo è volontaria.

In mancanza, il giudice dovrà pronunciare sentenza inappellabile di non doversi procedere, chiedendo contestualmente che si proceda alle ricerche dell'imputato.

 

Riforma penale: tutela delle vittime e giustizia riparativa

La riforma include anche disposizioni per il rafforzamento degli istituti di tutela della vittima del reato e per l'introduzione di una disciplina organica sulla giustizia riparativa, in una prospettiva fondamentalmente vittimologica.

Il tema della giustizia riparativa è ormai da anni oggetto di interesse in ambito comunitario, seppur con timide ricadute nell’ordinamento nazionale.

Nel 2001 il Consiglio dell’Unione Europea aveva adottato la Decisione quadro 2001/220/GAI, in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato.

Nel 2012, poi, la menzionata decisione è stata sostituita dalla Direttiva 29 del Parlamento Europeo e del Consiglio atta a fornire strumenti di giustizia riparativa e di mediazione alle vittime quali soggetti che abbiano subito un danno fisico, mentale o patrimoniale, quale diretta conseguenza di un reato.

La riforma detta principi e criteri direttivi con particolare riguardo alla definizione dei programmi, ai criteri di accesso, alle garanzie, alla legittimazione a partecipare, alle modalità di svolgimento dei programmi e alla valutazione dei suoi esiti, nelle diverse fasi del procedimento penale, integrando le norme a tutela delle vittime di violenza domestica e di genere introdotte con legge n. 69 del 2019 (c.d. Codice rosso) ed estendendone la portata applicativa anche alle vittime dei suddetti reati in forma tentata e alle vittime di tentato omicidio.

 

Riforma penale: conclusioni

È doveroso considerare come la complessità del sistema dell’amministrazione della giustizia penale non si presti ad una riforma strutturalmente completa, tale da incidere in modo organico sul processo.

La riforma esaminata è, senza dubbio, incisiva ma non rivoluzionaria né apprezzabile in una prospettiva del processo globalmente inteso.

Infatti, sebbene miri a promuovere una razionalizzazione del processo penale, alcune innovazioni concernono meccanismi estranei al processo stesso ma sempre letti in un’ottica di economia processuale.

In tale prospettiva si spiega la spinta verso l’informatizzazione e l’adozione di misure dirette alla predisposizione di un processo telematico.

Si punta su istituti che dovrebbero consentire di ridurre del 25 % i tempi del processo, nell’ottica di un allineamento con le spinte europeiste collegate al PNRR. 

Il timore è che ancora una volta non sia stata sfruttata al meglio l’occasione per imprimere un nuovo impulso al processo penale e che si tratti di una riforma pensata non per promuovere l’efficienza interna del Paese ma la sua credibilità ed affidabilità in ambito europeo.

Solo strappando il velo di Maya e andando oltre le illusioni e le asettiche dissertazioni, nell’applicazione concreta delle innovazioni introdotte, potremo disporre di una diversa chiave di lettura di una riforma tanto attesa quanto discussa.