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Le sezioni unite intervengono sui confini applicativi della pedopornografia domestica

pedopornografia
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A seguito del recente deposito della motivazione della sentenza delle Sezioni Unite penali n. 4616 del 2022, è possibile ripercorrere l’iter motivazionale che ha condotto la Suprema Corte all’elaborazione di nuovi principi di diritto in tema di pedopornografia domestica.

Preliminarmente, è opportuno riassumere la vicenda che ha dato origine alla rimessione della questione alle Sezioni Unite.

 

Il caso in esame

La Corte d’appello di Roma con sentenza del 2020 aveva confermato la condanna pronunciata dal tribunale cittadino nei confronti di un soggetto imputato del delitto di cui agli artt. 81, 600-ter, comma 1, n. 1, c.p. per aver realizzato materiale pornografico utilizzando la minorenne con la quale aveva instaurato una relazione intima e per aver successivamente divulgato sul social network facebook le immagini che ritraevano la minore nel compimento di atti sessuali.

A parere del G.u.p. di Roma le condotte poste in essere dall’imputato integravano anche i delitti di cui agli artt. 609-quater e 600-ter, comma 4, c.p., i quali risultavano assorbiti dalla condotta di cui all’art. 600-ter, comma 1 c.p.

La Corte distrettuale aveva confermato la penale responsabilità dell’imputato in relazione al reato ascrittogli considerando irrilevanti e, in ogni caso, non scriminanti le dichiarazioni della minore volte ad affermare la sussistenza del consenso della stessa rispetto alla realizzazione e alla cessione delle immagini.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato deducendo erronea applicazione dell’art. 600-ter, comma 1, c.p., per avere i giudici di secondo grado fornito un’interpretazione del reato di pornografia minorile contraria a quella stabilita dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 51815 del 2018 e alla normativa internazionale in materia.

A parere della difesa, i giudici di merito avrebbero dovuto riconoscere l’irrilevanza penale della condotta dell’imputato in virtù dell’insussistenza di quella strumentalizzazione e reificazione che connota la condotta contestata, trattandosi di soggetti coinvolti in una relazione affettiva e dovendosi, pertanto, ritenere la ripresa dell’atto sessuale come manifestazione della sessualità della minore ultraquattordicenne.

La Terza Sezione ha ritenuto opportuno rimettere la questione alle Sezioni Unite, dopo aver individuato profili di dissenso rispetto alla citata pronuncia del 2018.

 

L’inquadramento normativo

L’art. 600-ter c.p. è il frutto di una pluralità di interventi normativi che hanno condotto all’attuale formulazione a seguito della l. 1 ottobre 2012, n. 172 che ha ratificato ed eseguito la Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, firmata a Lanzarote nel 2007.

La norma contiene, al settimo comma, la definizione di pornografia minorile intesa come “ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali”.

La giurisprudenza di legittimità ha precisato che «il carattere pornografico o meno di immagini ritraenti un minore, costituisce apprezzamento di fatto demandato al giudice di merito e, pertanto, sottratto al sindacato di legittimità se sorretto da una motivazione immune da vizi logici e giuridici» (Cass. pen., Sez. III, n. 38651 del 2017).

Quanto all’esegesi del primo comma dell’art. 600-ter, c.p. oggetto dell’ordinanza di rimessione, occorre chiarire che la norma presuppone la diversità tra il soggetto che realizza il materiale e il soggetto ripreso, in quanto, in caso contrario, difetterebbe l’elemento costitutivo del reato, ovvero l’utilizzo del minore da parte di un terzo.

Dapprima la giurisprudenza di legittimità ha affermato come, ai fini dell’integrazione del reato in esame, la produzione di materiale pornografico dovesse essere destinata all’immissione nel mercato della pedofilia, trattandosi di un reato di pericolo idoneo a garantire una tutela anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quelle condotte che ne mettono a repentaglio lo sviluppo personale mediante la mercificazione del corpo (Cass. Sez. Un. pen., n. 13 del 2000, Bove).

La Corte, in tale occasione, aveva precisato come spettasse al giudice accertare di volta in volta la configurabilità del pericolo, facendo ricorso ad elementi sintomatici della condotta quali l’esistenza di una struttura organizzativa anche rudimentale atta a corrispondere alle esigenze di mercato dei pedofili, il collegamento dell’agente con soggetti potenziali destinatari del materiale pornografico, la disponibilità materiale di strumenti tecnici idonei alla diffusione.

Le Sezioni Unite del 2018 hanno interpretato la fattispecie in termini di reato di danno, per cui non è richiesto l’accertamento del concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto, in considerazione della pervasiva influenza delle moderne tecnologie di comunicazione e della diffusa utilizzazione di programmi di condivisione di contenuti.

Lo stesso sviluppo tecnologico e la diffusione di sistemi di messaggistica e social network ha sottoposto all’attenzione dell’interprete il profilo della rilevanza penale della diffusione di contenuti pornografici autoprodotti dal minore.

Sebbene la norma sembri cristallina sul punto, sancendo la punibilità di condotte di distribuzione di foto o video realizzati utilizzando il minorenne, di recente la Corte di Cassazione ha fornito una diversa interpretazione, riconoscendo la punibilità, ai sensi dell’art. 600-ter c.p., della condotta di distribuzione di selfie qualora l’autoscatto venga acquisito dall’agente mediante minaccia nei confronti del minorenne, indotto, quindi all’invio del materiale autoprodotto (Cass. pen., Sez. III, n. 39039 del 2108).

La Terza Sezione è giunta alle medesime conclusioni nell’ipotesi di acquisizione dell’autoscatto da parte dell’agente attraverso l’inganno o, comunque, senza il consenso del minorenne che intendeva tenere riservato il materiale (Cass. pen., Sez. III, n. 5522 del 2020).

 

L’ordinanza di rimessione alle sezioni unite

La Sezione rimettente ha ricordato come le Sezioni Unite nel 2018 abbiano ristretto il perimetro applicativo del reato di cui all’art. 600-ter, comma 1, c.p., affermando  che l’utilizzazione del minore, quale elemento caratterizzante il delitto de quo, non sussiste nell’ipotesi in cui vi sia tra i soggetti coinvolti un rapporto privo di condizionamenti e l’attività di ripresa dell’atto sessuale risulti, alla luce delle circostanze del caso concreto, quale forma di espressione della libertà sessuale del minore che abbia raggiunto i quattordici anni, età del consenso sessuale e sia destinata ad un uso strettamente personale.

Il Supremo Collegio aveva riconosciuto il rischio di un’applicazione eccessivamente espansiva della norma incriminatrice rispetto alla quale aveva affermato la superfluità dell’accertamento del concreto pericolo di diffusione del materiale stesso, alla luce della potenziale diffusività di qualsiasi produzione di immagini o video.

La Sezione rimettente ha sottolineato come il legislatore nazionale non abbia ritenuto di esercitare la facoltà prevista dall’art. 8, par. 3 della direttiva 2011/93/CE e già prima nella Convenzione di Lanzarote, che consentiva di escludere la rilevanza penale della produzione e del possesso di materiale pedopornografico ove vi fosse il consenso del minore che aveva raggiunto l’età per prestarlo e comunque fosse finalizzato ad uso privato delle parti coinvolte e purchè l’atto non implicasse un abuso.

In virtù di ciò, i giudici di legittimità avevano ritenuto che la norma incriminatrice de quo dovesse interpretarsi alla luce del bene protetto che va individuato nella tutela dell’intimità e del riserbo sessuale del minore di anni diciotto e nella necessità di limitare la diffusione di materiale che possa destare interesse sessuale verso soggetti minorenni, piuttosto che nell’autonomia sessuale del minore infraquattordicenne.

La Terza Sezione ha, pertanto, evidenziato come la pronuncia delle Sezioni Unite abbia espresso un generico principio, omettendo di attenzionare la differenza tra una relazione paritaria tra soggetti minori di età e capaci di prestare il proprio consenso sessuale e una relazione tra un adulto e un minore che difficilmente può definirsi paritaria, ma il più delle volte è connotata dalla sussistenza di una posizione di supremazia verso il minore.

Peraltro, le Sezioni Unite, esaminando il tema della pedopornografia domestica, non avevano approfondito la questione del consenso del minore ultraquattordicenne alla riproduzione in files video o immagini di attività sessuale, alla visione da parte dei protagonisti della stessa e alla divulgazione a terzi estranei alla coppia delle immagini della vita sessuale del minorenne, consensualmente prodotte.

Nella sentenza impugnata, i giudici di seconde cure avevano affermato come non si potesse ritenere valido il consenso del minore ultraquattordicenne alla riproduzione di immagini o filmati dell’attività sessuale o che tale consenso potesse avere valore scriminante per l’adulto produttore del materiale, trattandosi di soggetto non in grado di discernere le possibili ripercussioni sulla propria sfera psichica connesse all’eventuale diffusione.

Alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte d’appello, fatta propria dal collegio della Terza Sezione, e della sussistenza di un potenziale contrasto con le indicazioni fornite dalle Sezioni Unite del 2018, la Terza Sezione ha ritenuto di non poter rispondere adeguatamente alle censure sollevate dal ricorrente e ha, pertanto, sottoposto alle Sezioni Unite il seguente quesito:

“Se, e in quali limiti, la condotta di produzione di materiale pornografico, realizzata con il consenso del minore ultraquattordicenne, nel contesto di una relazione con persona maggiorenne, configuri il reato di cui all’art. 600-ter, primo comma, n. 1, c.p.”.

 

L’iter motivazionale delle ss.uu. Del 2022

Le Sezioni Unite da ultimo intervenute in tema di pedopornografia domestica, per far luce sul quesito sottoposto dalla Terza Sezione penale, hanno richiamato la consolidata interpretazione giurisprudenziale del concetto di utilizzazione del minore, contenuto nell’art. 600-ter, comma 1, c.p. e cristallizzata dalle Sezioni Unite del 2018.

L’utilizzazione del minore, dunque, è stata intesa quale degradazione dello stesso ad oggetto di manipolazioni, mercificazione, strumentalizzazione, sfruttamento del minore per il perseguimento di un proprio interesse.

In una serie di pronunce successive, è stato precisato che il concetto di utilizzazione «presuppone la ricorrenza di un differenziale di potere tra il soggetto che realizza le immagini e il minore rappresentato, tale da generare una strumentalizzazione della sfera sessuale di quest’ultimo» (Cass. pen., Sez. III, n. 2252 del 22/10/2020, rv. 280825-01).

L’utilizzazione del minore, inoltre, può manifestarsi anche mediante l’induzione o l’istigazione, dunque rafforzamento di un proposito già esistente, della vittima stessa alla produzione di materiale a contenuto sessuale (in tal senso Cass. pen., Sez. III, n. 26862 del 18/04/2019, rv. 276231-01; Cass. pen. Sez. III. N. 2252 del 23/10/2020 rv. 280825-01).

La Corte di legittimità, nella motivazione della pronuncia in esame, ha confermato che deve ritenersi esclusa dalla sfera applicativa dell’art. 600-ter, comma 1, c.p. la condotta di produzione di materiale pornografico realizzato senza l’utilizzazione del minore e con il consenso espresso dal soggetto che abbia raggiunto l’età per manifestarlo.

Peraltro, sotto il profilo sistematico, è stata valorizzata la profonda connessione tra le disposizioni contenute nel Titolo XII, nell’ambito dei delitti contro la personalità individuale e contro la libertà personale, in quanto sorretti dalla medesima finalità consistente nella tutela dell’integrità psico-fisica dei soggetti maggiormente esposti ad aggressione e sfruttamento sessuale, con particolare riguardo ai minori di età.

L’impianto argomentativo della Corte prosegue con una riflessione sulla maturità del minore, in quanto il legislatore opera una distinzione tra minore infraquattordicenne, ultraquattordicenne, infrasedicenne e ultrasedicenne, in relazione al graduale sviluppo del minore stesso.

Ciò si coglie, in particolare, nell’art. 609-quater c.p. ove è prevista una riposta sanzionatoria graduata sulla base dell’età del minore e della relazione intercorrente con l’autore della condotta di atti sessuali.

L’evoluzione del processo di formazione psicologica e sviluppo psico-fisico del minore comporta la necessità di un accertamento pregnante sulle modalità della condotta posta in essere nei suoi confronti e sull’insidiosità degli artifici necessari a vincere la resistenza del minore al condizionamento della sua volontà nell’assentire le richieste dell’adulto.

La Corte ha, poi, precisato che la puntuale valutazione delle circostanze del caso concreto è ancor più rilevante in presenza di una relazione affettiva tra adulto e minore.

L’accertamento delle condizioni di utilizzazione, in tale contesto, richiede di verificare che l’adulto abbia vinto le resistenze del minore mediante manipolazione psicologica, sfruttando la propria superiorità in termini di età, esperienze, posizione sociale.

L’eventuale consenso prestato dal minore all’atto sessuale, inoltre, non include anche il consenso alla registrazione dell’atto stesso e alla conservazione delle riproduzioni da parte di chi le ha prodotte, attività che rappresenta un quid pluris riconducibile sempre alla libera scelta e all’autonomia sessuale del minore.

Il minore, pertanto, ha diritto di rivolgersi direttamente al Garante per la protezione dei dati personali contro il rischio di diffusione di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito di cui sia egli stesso protagonista, ai sensi dell’art. 144 bis, comma 1, d.lgs. 196/2003.

Alla luce delle argomentazioni esposte, la Suprema Corte ha affermato il seguente principio:

«si ha utilizzazione del minore allorquando, all’esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell’età, maturità, esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volontà del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale solo condotte realmente prive di offensività rispetto all’integrità psico-fisica dello stesso».

L’ordinanza di rimessione della Terza Sezione aveva posto anche la questione relativa al rapporto tra il primo comma dell’art. 600-ter c.p. e i commi secondo terzo e quarto, aventi ad oggetto la circolazione e la diffusione del materiale pedopornografico.

Vi era il rischio, infatti, che si creasse un vuoto di tutela, in quanto il riferimento al materiale di cui al primo comma, contenuto nei commi successivi, parrebbe riferire il divieto di commercializzazione, distribuzione, divulgazione, ecc. al solo materiale prodotto mediante l’utilizzazione del minore e non a quello realizzato nell’ambito della pornografia domestica.

La stessa Sezione, in alcune precedenti pronunce, aveva affermato come il reato di cessione di materiale pornografico di cui all’art. 600-ter, comma 4, c.p. dovesse riferirsi anche al materiale realizzato dallo stesso minore, precisando come nel secondo, terzo e quarto comma si vada a richiamare non l’intera condotta del primo comma, ma esclusivamente l’oggetto materiale del reato, ovvero il materiale pedopornografico prodotto.

Non rileverebbero, pertanto, le modalità di produzione ma le caratteristiche del materiale ritenuto pornografico ove qualificabile nei termini di cui al settimo comma dell’art. 600-ter c.p.

Occorre, d’altra parte, precisare che oggetto della pronuncia delle Sezioni Unite è la pornografa domestica che, per definizione, è destinata a rimanere nella disponibilità esclusiva delle parti coinvolte.

Pertanto, ove la diffusione del materiale pedopornografico sia frutto di una deliberazione maturata dall’autore già al momento della sua realizzazione, risulterà integrata la fattispecie di cui al primo comma dell’art. 600- ter c.p.

Qualora, invece, il soggetto produttore si determini alla diffusione in un secondo momento, troveranno applicazione i commi seguenti della medesima disposizione.

La Corte, infine, ha precisato come la responsabilità dell’adulto per la successiva diffusione del materiale prodotto possa essere esclusa solo per eventi imprevedibili a lui non imputabili e solo ove dimostri di aver adottato tutte le cautele necessarie per evitarla.

Va, inoltre, escluso che il minore possa prestare il proprio consenso alla diffusione del materiale pornografico, trattandosi di un soggetto privo della maturità adeguata a comprendere le possibili ricadute negative di una tale condotta.

Le Sezioni Unite hanno, dunque, affermato il principio di diritto secondo cui: «la diffusione verso terzi del materiale pornografico realizzato con un minore degli anni diciotto integra il reato di cui all’art. 600-ter, terzo e quarto comma, c.p. ed il minore non può prestare consenso ad essa».