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Il libero arbitrio? Per le neuroscienze, una «mera illusione»

Imputabilità e libertà al centro del dibattito penale
Bologna
Ph. Alessandro Saggio / Bologna

Imputabilità e libero arbitrio

Che cos’è il libero arbitrio? Che cos’è l’imputabilità, fondata proprio sulla libertà e l’autoconsapevolezza del reato commesso? E siamo davvero certi che l’essere umano sia libero? O non occorrerebbe, piuttosto, riportare al centro del dibattito penale una riflessione su imputabilità e libro arbitrio, cercando di capire davvero fino a che punto siamo liberi?

Sempre più numerose sono, infatti, le personalità che richiedono di dare ascolto alla voce delle neuroscienze, della biologia che, di fondo, sarebbero già giunte a una conclusione, per molti, sconcertante: l’essere umano non sarebbe “così libero”.

Sempre più spesso, infatti, si parla di «Neurolaw»: una neuroscienza centrata sullo studio del cervello umano – della sua coscienza, del suo libero arbitrio – le cui conclusioni devono, ad avviso di molti, essere prese in considerazione e studiate dal dibattito su imputabilità e pena da infliggere. La sintesi, infatti, sarebbe una: «giustizia penale in un mondo senza libero arbitrio».

Non possiamo certo qui esaurire l’argomento né, tantomeno, esprimere una posizione esaustiva sul tema. Vogliamo però approfondire il tema, mettendo in luce lo stato attuale della riflessione in corso, alla luce degli ultimi risultati della ricerca scientifica.

 

Libero arbitrio: mera illusione?

Il progresso scientifico ha spesso capovolto le credenze umane. Nel XVII secolo, la scoperta che la Terra non era al centro dell'universo non è stata solo difficile da comprendere: fu considerata un colpo disumanizzante per l'ego dell'umanità. Alla fine, tuttavia, tutti sono arrivati ad accettare le nuove scoperte – come quella, ormai banale per chiunque, che la Terra orbiti intorno al Sole – e, sulla base di esse, modelliamo le nostre istituzioni. La scoperta sconvolgente di oggi non è cosmologica, ma più vicina che mai: le neuroscienze stanno rimodellando la comprensione del nostro cervello.

I progressi nelle neuroscienze hanno seriamente messo in discussione la nozione di libero arbitrio. Alcuni eminenti scienziati ora chiamano questa azione volontaria una mera illusione; attribuiscono invece la totalità del comportamento umano a processi chimici inconsci. 

Questa implicazione – che il libero arbitrio possa essere un'illusione – sconvolge la nozione di responsabilità morale

 

«Neurolaw»: condannare non sulla base del libero arbitrio, ma di valutazione del rischio, probabilità di recidiva e riabilitazione

Il campo emergente del Neurolaw, sostenuto dal famoso neuroscienziato di Stanford David Eagleman, tenta di affrontare le implicazioni giudiziarie di questi progressi nelle moderne neuroscienze. Il nostro sistema di giustizia penale, sostiene, non dovrebbe più assumere la nozione di libero arbitrioInvece di condannare sulla base della colpevolezza, deve condannare in vista della valutazione del rischio, della probabilità di recidiva e della riabilitazione.

L'immagine che emerge del cervello attribuisce il processo decisionale a una varietà di fattori, come i geni, l'ambiente – sia nell'utero che durante l'infanzia – e persino a stimoli chimici immediati e non rilevabili. Il cervello sembra non essere altro che una serie innumerevole di intricate reazioni chimiche; da nessuna parte in esso risulta un "sé" unificante che dirige le sue azioni. La consapevolezza cosciente riceve pochi o nessuno dei fattori che contribuiscono al comportamento. Inoltre, anche la coscienza stessa pare non consistere in alcun tipo di singola entità esecutiva, che possa essere appropriatamente etichettata come "sé". 

Negli anni '80, lo psicologo Benjamin Libet ha illustrato l'illusione della volontà cosciente, mostrando che il cervello di un soggetto aveva deciso una particolare azione pochi millisecondi prima che lui "scegliesse" consapevolmente di eseguire quell'azione. Questi risultati danno credito al determinismo - la posizione filosofica secondo cui solo i fattori causali in conformità con le leggi fisiche determinano ogni evento, senza possibili alternative - non lasciando spazio all'azione umana. La loro interpretazione è, ovviamente, ancora controversa: il filosofo Daniel Dennett, ad esempio, considera il libero arbitrio compatibile con una visione deterministica del mondo. Ma anche senza un consenso scientifico, il “movimento” contro il libero arbitrio è abbastanza forte, e le sue implicazioni decisamente drastiche.

 

Giustizia penale, le posizioni attuali

Nonostante tali risultati, il moderno sistema di giustizia penale, al momento, ancora si base sull’azione volontaria del criminale tout court e impone misure che cambiano la vita sulla base di tale presupposto. Per fare un esempio, la Corte Suprema degli Stati Uniti, in United States v. Grayson, 1978, ha affermato che il libero arbitrio era una «pietra fondamentale universale e persistente nel nostro sistema giuridico» e che il determinismo era «incoerente con i precetti alla base del nostro sistema di giustizia penale». Nelle tipiche sentenze giudiziarie, la colpevolezza del criminale – cioè il livello di colpa che assume in base alle sue intenzioni e circostanze – regola la gravità della sua pena: più il reato è “intenzionale”, più il criminale è “colpevole”. I gradi di omicidio, ad esempio, illustrano questo tipo di ragionamento: l'omicidio di primo grado rende il criminale più colpevole dell'omicidio colposo.

 

Imputabilità a scopo preventivo: prevenzione di futuri crimini

La “simpatia” per il criminale in genere cresce se una sorta di disfunzione cognitiva può spiegare il suo crimine. Un caso molto citato, nelle recenti ricerche degli scienziati, è quello di Charles Whitman: nel 1966, prima di sparare a 15 persone dalla torre di UT Austin fino a quando non gli fu sparato dalla polizia, Whitman lasciò un biglietto, chiedendo l'esame del suo cervello. Si descrisse come sopraffatto da improvvisi impulsi aggressivi, che non riusciva né a spiegare né a controllare. La sua autopsia rivelò un grosso tumore che premeva contro la sua amigdala, l'area del cervello responsabile dell'aggressione.

Whitman non ha scelto il suo tumore, e quindi appare a molti subito “meno colpevole”. Tuttavia, più le neuroscienze imparano sul comportamento, più è difficile distinguere il caso di Whitman da qualsiasi altro. Proprio come non ha scelto il suo tumore, così ogni criminale non sceglie la sua neurologia. Chiedersi se la colpa sia della persona o della biologia è, secondo Eagleman, la domanda sbagliata: sempre più esse sono indistinguibili. In questa prospettiva, tutti i criminali sono in definitiva le vittime di circostanze sfortunate ma predeterminate, che il neuroscienziato Sam Harris descrive come una combinazione «di cattivi geni, cattivi genitori, cattivi ambienti e cattive idee».

Questo argomento renderebbe crudele e ingiusta la punizione penale solo per amore della «giusta punizione». Punire qualcuno per la sua neurochimica – in altre parole, per la sua «sfortuna» – non è etico. La punizione penale, quindi, sembrerebbe difendibile solo se potesse scoraggiare il crimine. Non c'è, tuttavia, quasi nessuna prova che possa farlo. 

L'incarcerazione, tuttavia, può ancora servire a uno scopo pratico: la prevenzione di futuri criminiHarris sottolinea che, «se potessimo incarcerare terremoti e uragani per i loro crimini», lo faremmo per il bene della sicurezza pubblica. In molti casi, i trasgressori violenti rappresentano una chiara minaccia per il pubblico: questi criminali, anche se mere “vittime” della loro biologia, dovrebbero essere trattenuti dalla società civile fintanto che rappresentano una minaccia.

 

Giustizia riparativa

Questa moderna comprensione della neurologia porta alla conclusione che la condanna penale dovrebbe enfatizzare la riabilitazione rispetto alla punizione. Circa un terzo degli incarcerati soffre di malattie mentali; la condanna punitiva non può sostituire le cure mediche. La giustizia riparativa – un sistema di giustizia penale che si concentra su misure riabilitative piuttosto che punitive per i trasgressori – si sarebbe già dimostrato efficace. Il sistema norvegese, ad esempio, fornisce ai detenuti assistenza e strutture di alta qualità e offre programmi professionali per prepararli alla vita fuori dal carcere. Un Paese come gli Stati Uniti - che enfatizza le misure punitive - ha uno dei più alti tassi di recidiva nel mondo al 60%, mentre la Norvegia ne ha uno dei più bassi, al 20%. Un sistema come quello norvegese creerebbe, dunque, persone riabilitate dai delinquenti, che poi continuano a contribuire in modo produttivo alla società.

Niente di tutto ciò significa, ovviamente, che l'intento criminale sia irrilevante per la condanna penale. L'intento è davvero rilevante, ma – in questa ottica - solo nella misura in cui può prevedere il comportamento futuro. La distinzione chiave è che questa previsione, piuttosto che qualsiasi determinazione artificiale di colpevolezza, deve determinare una sentenza.

 

I progressi del Neurolaw

Tali capacità predittive possono sembrare impossibili, ma Neurolaw le sta già fornendo. Eagleman sta sviluppando la scienza della condanna razionale, che utilizza indici di intenti come predittori sorprendentemente affidabili di recidiva. Impiega una tecnologia all'avanguardia che, attraverso la valutazione dei singoli cervelli, può dare forma a sentenze personalizzate. Valutazioni neuropsicologiche possono stimare la probabilità di recidiva con un incredibile grado di accuratezza, fornendo così alla magistratura la capacità di discriminare chi dovrebbe e non dovrebbe incarcerare

Uno di questi strumenti di valutazione è un certo tipo di videogioco che testa il grado di aggressione reattiva dei criminali violenti, o di inibizione dei tossicodipendenti. I suoi risultati possono prevedere i rischi di recidiva con una precisione fino al 95%. Un altro test mostra immagini di occhi umani a criminali violenti e, quindi, valuta le loro reazioni emotive nei loro confronti. I risultati indicano i loro livelli di empatia.

Questo tipo di test può sembrare disumanizzante: rimuove, infatti, il giudizio umano dal processo di condanna penale. Eagleman, però, sottolinea che il giudizio umano è un predittore molto inferiore di comportamento criminale. Il giudizio umano è soggetto a ogni sorta di pregiudizio: condanne più lunghe, ad esempio, sono altamente correlate all'aspetto fisico e alla razza del criminale. I giudici mostrerebbero molta più clemenza, ad esempio, se la condanna avviene dopo aver pranzato. 

Neurolaw, in sintesi, parrebbe davvero il futuro. Il nostro sistema giudiziario, d'altra parte, è stato creato da uomini che credevano ancora in un'anima immateriale, che esisteva magicamente al di fuori dei processi fisici. Liberarci dall'illusione del libero arbitrio e di un sé sostanziale, sebbene a prima vista controintuitivo, potrebbe in realtà – almeno ad avviso degli scienziati – aiutarci a creare un sistema di giustizia penale molto più umano e una società molto più giusta.