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Il litisconsorzio nel processo tributario

Sommario:

1. Considerazioni introduttive.

2. La disciplina normativa del litisconsorzio nel processo tributario.

3. Il litisconsorzio necessario: considerazioni di carattere generale e confronto con la disciplina contenuta nel codice del rito.

4. I problemi nascenti dalla mancata integrazione del contraddittorio nel litisconsorzio necessario.

4.1. Mancata integrazione del contraddittorio nelle liti tra soci e società di persone: Cassazione Civile, Sez. Unite, sentenza del 04/06/2008, n. 14815.

4.2. Sentenza motivabile per relationem ed inscindibilità delle cause: Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza del 04/06/2008, n. 14814.

5. Cenni disciplinari in merito alla figura del litisconsorzio facoltativo nel processo tributario.

6. Considerazioni conclusive.

1.Considerazioni introduttive

Una delle novità più importanti e considerevoli in merito al contenzioso tributario attiene senza dubbio alla normativa sul processo litisconsortile, altrimenti detto “processo con pluralità di parti”.

È con l’istituto in esame che il Legislatore ha per la prima volta disciplinato la obbligatoria partecipazione al processo di tutti quei soggetti che sono inscindibilmente legati alla questione dibattuta e congiuntamente interessati alla soluzione della controversia.

È proprio grazie all’introduzione del litisconsorzio che nel processo tributario si attribuisce una valenza processuale maggiore alla comunione di interessi sostanziali facenti capo ad una pluralità di parti.

Nel presente scritto l’attenzione sarà dapprima rivolta all’esame e allo studio della disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 546/1992, art. 14, che, in via del tutto innovativa rispetto al passato, regolamenta l’istituto in esame.

Successivamente si analizzerà, nel merito e nel contenuto, l’attività di riforma compiuta dal Legislatore del 1992, attorno alla quale sussiste, ancora oggi, una "querelle" tra i vari esponenti di spicco della dottrina maggioritaria.

Ci si soffermerà, in seguito, sul punto essenziale della controversia che risiede nella diversa valutazione, formulata da rappresentanti di rilievo della dottrina prevalente, in merito alla riforma sulla fattispecie litisconsortile.

Infatti, mentre alcuni esponenti della dottrina esaltano gli sforzi compiuti dal Legislatore che, nella riforma dell’istituto in esame, ha cercato di essere quanto più puntuale e preciso possibile, altri studiosi, invece, ne sottolineano il pedissequo rifacimento alla normativa contenuta nel codice di procedura civile.

Il costante richiamo alla normativa contenuta nel codice del rito se da un lato, molto probabilmente, denota la volontà del Legislatore di non voler lasciare istituti processuali, non disciplinati nel diritto tributario da solide disposizioni normative (è, per esempio, il caso della disciplina litisconsortile), alla libera e discrezionale valutazione dell’interprete, dall’altro evidenza una grande lacuna normativa vista l’assenza, nel D.Lgs n.546/1992, art. 14, di caratteri spiccatamente innovativi e di aspetti particolarmente originali.

Come chiaramente emergerà nel corso della trattazione dell’istituto in esame, la problematica legata alla mancata integrazione del contraddittorio delle parti necessariamente collegate alla soluzione della controversia risulta essere oggetto di recenti spunti giurisprudenziali e dottrinali.

Si analizzeranno, in particolare, le ultime pronunce emesse dalla Corte di Cassazione che disaminano, in maniera precisa e meticolosa, le varie fattispecie di litisconsorzio necessario e le problematiche risultanti dalla mancata integrazione del contraddittorio dei soggetti inscindibilmente interessati alla soluzione congiunta della questione dibattuta.

Nonostante tutte le difficoltà incontrate e le diverse critiche affrontate, il Legislatore della riforma ha provveduto a disciplinare concretamente sia il litisconsorzio necessario, nell’articolo 14, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992, sia il litisconsorzio facoltativo, tramite gli istituti dell’intervento e della chiamata in causa, articolo 14, comma 3.

2. La disciplina normativa del litisconsorzio nel processo tributario

Il Legislatore, nella previgente disciplina sul contenzioso tributario, contenuta nel D.P.R. del 1972 n. 636, non aveva previsto una disposizione normativa ad hoc che regolamentasse giuridicamente il litisconsorzio nel processo tributario.[1]

Nello specifico, le difficoltà applicative riscontrate dalle Commissioni Tributarie volte a gestire e a regolare rapporti tributari plurisoggettivi sono la diretta conseguenza del fatto che in passato non fosse presente una specifica disciplina normativa atta a regolamentare l’istituto in esame.

Molti studiosi di diritto tributario, infatti, si sono soffermati sul motivo per cui il Legislatore del 1992 abbia voluto disciplinare ex novo il litisconsorzio, istituto allora estraneo al panorama “processualtributario”.

La risposta a tale interrogativo risiede, molto probabilmente, nel fatto che il Legislatore volesse garantire nel processo tributario, in maniera certa ed efficace, principi di “equità” sostanziale tra le parti processuali in modo tale che più fatti rilevanti a fini tributari e riguardanti più contribuenti ai fini fiscali, ricevessero un unico esame ed omogenea valutazione.

Entrando, poi, nell’analisi dell’articolo 14 del D.Lgs. n. 546/1992, emerge che la norma in esame costituisce l’attuazione del principio contenuto nella legge delega n. 413 /1991, lettera g), n. 2, che rende necessaria “la previsione e la disciplina dell’intervento e della chiamata in giudizio di soggetti che hanno lo stesso interesse, in quanto, insieme al ricorrente, destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso”.[2]

Il legislatore del 1992, nella relazione ministeriale, pur ammettendo la natura “embrionale” dell’istituto, cerca di mettere in luce gli aspetti più significativi e caratteristici della normativa in vigore, utilizzando sì una terminologia tipicamente “processualcivilistica” ma con lo specifico intento di rendere la materia conforme ai rapporti meramente tributari.

Ma nonostante gli sforzi compiuti nel formulare correttamente e definitivamente la fattispecie litisconsortile, è tuttora in corso un dibattito che anima molti rappresentanti della dottrina prevalente.

La controversia, che ha per oggetto la formulazione dell’art. 14 del D.Lgs del 1992 n. 546, vede contrapporsi due linee di pensiero: la prima si basa sull’osservazione che, nell’elaborazione del suddetto articolo, il Legislatore tributario si sia pedissequamente rifatto alla normativa “processualcivilistica” creando così una sorta di sovrapponibilità di disciplina[3], la seconda, invece, elogia gli apprezzabili, seppur limitati, passi in avanti compiuti dal Legislatore stesso, sottolineando ed evidenziando gli aspetti contenutistici di grande innovazione e di massima originalità.

Se da un lato si può sicuramente attribuire un grande merito al Legislatore della riforma, il quale con molte difficoltà, ha cercato di rendere la materia litisconsortile chiara, precisa e autonoma rispetto a quella contenuta nel codice di procedura civile, bisogna, dall’altro lato, con altrettanta fermezza, sottolineare come tuttora siano molte le spinte dottrinali tese a spronare il Legislatore stesso verso una nuova e più esaustiva formulazione della materia, in quanto ritenuta ancora debole normativamente e mal formulata contenutisticamente.

Più specificamente, l’articolo 14 risulta essere suddiviso in sei comma ed illustra le condizioni processuali che comportano la formazione di un processo litisconsortile necessario o facoltativo, originario o successivo, volontario o coatto.

La norma così recita:

1. "Se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi".

2. "Se il ricorso non è stato proposto da o nei confronti di tutti i soggetti indicati nel comma 1 è ordinata l’integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza".

3. "Possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso".

4. "Le parti chiamate si costituiscono in giudizio nelle fatale prescritte per la parte resistente, in quanto applicabili".

5. "I soggetti indicati nei commi 1 e 3 intervengono nel processo notificando apposito atto a tutte le parti e costituendosi nelle forme di cui al comma precedente".

6. "Le parti chiamate in causa o intervenute volontariamente non possono impugnare autonomamente l’atto se per esse al momento della costituzione è già decorso il termine di decadenza".

3. Litisconsorzio necessario: considerazioni di carattere generale e confronto con la disciplina contenuta nel codice del rito.

L’articolo 14, comma 1, così recita "Se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi".

Nel primo comma dell’articolo 14, il Legislatore ha voluto esplicitare giuridicamente l’instaurazione di un processo complesso da una punto di vista soggettivo, procedendo così alla definizione di litisconsorzio necessario.

Questo ricorre ogni qualvolta si deduce in giudizio un unico ed inscindibile rapporto giuridico sostanziale che, riguardando contemporaneamente più soggetti, impone la presenza di tutti al fine di rendere effettiva ed efficace la tutela giurisdizionale.

Per questo motivo, quando cioè l’oggetto del ricorso riguarda più soggetti necessariamente collegati, è richiesta la partecipazione obbligatoria di tutte le parti al medesimo processo, in quanto la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi.

Per una maggiore chiarezza in materia, procedendo alla lettura dell’art. 102 del codice di procedura civile (“Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo”) emerge immediatamente un’apparente somiglianza di contenuti tra la disciplina contenuta nel codice di procedura civile[4] e quella contemplata dal Legislatore tributario nel D.Lgs. n. 546 del 1992, articolo 14.

In effetti se si opera, nel dettaglio, un raffronto tra le due disposizioni normative, se ne deduce una differenza più terminologica che semantica.

A tal proposito, si è espressa anche la Corte Suprema in una celebre pronuncia, (Cass., SS.UU., n. 1052 del 2007), che ha così disposto “Il litisconsorzio necessario debba essere considerato come fattispecie autonoma rispetto a quella contenuta e disciplinata nel codice del rito, di cui all’art. 102, in quanto la norma che regolamenta la fattispecie litisconsortile necessaria non può essere considerata, come quella processualcivilistica, “una mera norma in bianco”, ma debba essere collegata a presupposti tipici del processo tributario: l’inscindibilità della causa tra una pluralità di soggetti specificata dall’oggetto del ricorso”.[5]

Nel processo tributario, quindi, sarà la domanda giudiziale a determinare l’oggetto del processo e a costituire riferimento funzionale per valutare l’inscindibilità della causa tra soggetti.[6]

Ergo, in presenza di una situazione plurilaterale, desunta dalla domanda giudiziale che determina l’oggetto del ricorso, il giudice dovrà emettere una decisione valida e vincolante nei confronti di tutti i soggetti incontrovertibilmente collegati, pena l’inefficacia della decisione medesima.

Certamente non tutti gli esponenti della dottrina guardano positivamente alla figura del litisconsorzio nel processo tributario in quanto viene considerato un ostacolo alla “ragionevole durata del processo”.

A questa affermazione obiettano gli esponenti della dottrina maggioritaria, secondo i quali “la ragionevole durata del processo” è funzionale nella misura in cui non cozzi con i principi che trovano garanzia costituzionale negli artt. 3 e 53 della Costituzione.[7]

È proprio il principio attinente al rispetto della capacità contributiva a costituire il valore di riferimento normativo che la disciplina sul litisconsorzio necessario vuole garantire e tutelare: infatti ogniqualvolta l’atto impositivo includa elementi comuni ad una pluralità di soggetti obbligati, è necessario un unico accertamento giudiziale in quanto pronunce distinte e configgenti sulla fattispecie costitutiva dell’obbligazione falsificherebbero in maniera significativa il rapporto tra imposizione e capacità contributiva dell’obbligato.[8]

Molte ancora sono le titubanze in merito alla corretta individuazione dei casi concreti di litisconsorzio necessario poiché alcuni studiosi[9] attribuiscono alla normativa in esame un “mero valore teorico”, sostenendo che nel processo tributario non vi sono casi di litisconsorzio necessario; sono di avviso contrario, un’altra parte della dottrina e della giurisprudenza in quanto individuano, pur con motivazioni discordanti tra loro, specifiche ipotesi di litisconsorzio necessario nel processo tributario.

La dottrina prevalente ha individuato tre ipotesi in cui si ravvisa la necessaria presenza di più soggetti in giudizio:

a) nei casi in cui si rileva in giudizio un rapporto plurisoggettivo tale da ritenere necessaria ed obbligatoria la partecipazione nel processo di ciascun soggetto titolare di tale rapporto (in queste ipotesi si parla comunemente di “litisconsorzio necessario per ragioni sostanziali”)

b) nei casi in cui un terzo interviene in giudizio per far valere un diritto altrui; in queste ipotesi tassativamente indicate dalla legge, accanto alla legittimazione del terzo si rende necessaria anche la presenza del soggetto titolare del diritto dedotto in giudizio (“litisconsorzio necessario per motivi processuali”)

c) nei casi in cui, pur non deducendosi in giudizio ragioni processuali e sostanziali che impongono la necessaria partecipazione di più soggetti, il giudice procede all’integrazione del contraddittorio per ragioni di mera opportunità (litisconsorzio necessario “propter opportunitatem”).

A titolo esemplificativo, una ipotesi di litisconsorzio necessario confermata in molte pronunce della giurisprudenza di legittimità[10] risiede nelle controversie promosse dal sostituto di imposta nei confronti del sostituto al fine di pretendere il pagamento di quella parte del suo credito che il convenuto ha trattenuto e versato a titolo di ritenuta d’imposta.[11]

Alcuni rappresentanti della dottrina[12]riconducono fra le ipotesi di litisconsorzio necessario le controversie catastali, in cui si dibatte in merito alla proprietà dell’immobile in una situazione di compossesso tra più soggetti.[13]

4. I problemi nascenti dalla mancata integrazione del contraddittorio nel litisconsorzio necessario.

Una tematica strettamente attinente all’istituto del litisconsorzio necessario è quella dell’integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti assenti.

In presenza di litisconsorzio necessario, quando cioè il ricorso non viene proposto da o nei confronti di tutti i soggetti, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio mediante la chiamata in causa dei litisconsorti assenti, entro un determinato termine stabilito a pena di decadenza.

Secondo quanto disposto dall’articolo 14, secondo comma, del D.Lgs. 546/1992, “Se il ricorso non è stato proposto da o nei confronti di tutti i soggetti indicati nel comma 1 è ordinata l’integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza”.

Stante la genericità della disposizione contenuta nella norma, appare opportuno effettuare una serie di precisazioni.

Innanzitutto la “vocatio in ius” si sostanzia, concretamente, in un invito a comparire nei confronti del litisconsorte necessario assente in modo tale che questi possa essere messo nella condizione di presentarsi in giudizio facendo valere le proprie ragioni ed eccezioni.

Il difetto di integrità del contraddittorio può essere rilevato d’ufficio o su istanza di parte, in ogni stato e grado del processo, salvo che ciò non sia precluso da un giudicato, esplicito e implicito, formatosi sul punto.[14]

Inoltre la mancata integrazione del contraddittorio può essere denunciata in ogni stato e grado del processo e rilevata d’ufficio anche dal giudice di legittimità.

Il mancato rispetto del termine comporta l’estinzione del giudizio con condanna alle spese della parte che non ha provveduto all’incombente cui era onerata.

Tale estinzione, però, non è automatica ma deve essere dichiarata con sentenza da parte del giudice che ha rilevato in giudizio la mancata integrazione del contraddittorio.

Per queste ragioni, il difetto di integrità del contraddittorio comporta la nullità della sentenza a causa della invalida costituzione in giudizio del rapporto processuale.

Il vizio di mancata integrazione del contraddittorio, che investe negativamente l’efficacia del procedimento, può essere sanato o per iniziativa dello stesso litisconsorte pretermesso che interviene spontaneamente nel processo notificando a tutte le parti presenti in giudizio un atto di intervento da lui stesso sottoscritto, oppure a seguito della rilevazione da parte del giudice (ex officio o su eccezione di parte).

Se, invece, la chiamata del litisconsorte assente è rilevata ex officio, sarà il giudice a verificare se è necessaria o meno l’integrazione del contraddittorio; per fare ciò dovrà avere riguardo della domanda che costituisce oggetto della controversia, in quanto è questa che ne delimita l’ambito e quindi la portata e il contenuto della pronunzia.

Se, invece, la chiamata del litisconsorte pretermesso è rilevata su istanza di parte, spetterà al richiedente dimostrare non solo quali sono i soggetti che devono partecipare necessariamente al processo, in quanto litisconsorti necessari, ma soprattutto quali sono i presupposti di fatto che giustificano l’integrazione stessa del contraddittorio.

Il vizio di non integrità del contraddittorio può, invece, non essere sanato quando la parte interessata alla prosecuzione del processo non ha ottemperato all’ordine emesso dalla Commissione,[15] oppure quando il vizio stesso non è stato rilevato dalla Commissione ex officio né su eccezione di parte, oppure ancora quando il vizio, seppur sollevato su eccezione di parte, sia stato ritenuto insussistente dalla Commissione.

Può anche accadere che l’ordine di integrazione del contraddittorio non venga rilevato dalla Commissione tributaria, né eccepito da alcune delle parti in causa: in questo caso, la sentenza emessa a contraddittorio non integro si considera inutiliter data, ovverosia inefficace non soltanto nei confronti del litisconsorti pretermessi ma anche nei confronti di coloro che hanno preso parte al giudizio.

La Corte di Cassazione, con sentenza del 18/1/2007, n. 1052, ha specificato che “ogni qual volta che per effetto della norma tributaria o per l’azione esercitata dall’amministrazione finanziaria (oggi l’Agenzia delle Entrate) l’atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione una pluralità di soggetti, e il ricorso proposto da uno o più degli obbligati abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del ricorrente, ma la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario nel processo tributario ai sensi dell’art. 14, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992”.

4.1. Mancata integrazione del contraddittorio nelle liti tra soci e società di persone: Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza del 04/06/2008, n. 14815.

Le argomentazioni che ruotano attorno alla problematica concernente l’obbligo di integrazione del contraddittorio (art. 14, comma 2, D.Lgs n. 546/1992) nei confronti del litisconsorte necessario assente, sono state nuovamente e recentemente prese in considerazione dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite, nella sentenza del 04/06/2008, n. 14815.

La Corte Suprema ha individuato una specifica ipotesi di litisconsorzio necessario nelle liti tra soci e società che, nel caso di specie, hanno ad oggetto l’accertamento del maggior reddito della società medesima.

Nella controversia in esame, i giudici della Corte Suprema hanno stabilito che non può essere valida la pronuncia emessa dal giudice a contraddittorio non integro in quanto tra la causa della società e quella dei soci sussiste un vincolo di inscindibilità tale da ritenere necessaria la partecipazione al processo tributario non solo dei soci ma anche della società.

Infatti, le Sezioni Unite, nella sentenza n. 14815 del 2008, hanno sostenuto che tra società di persone e singoli soci “ricorra una ipotesi di litisconsorzio tributario necessario ed originario, la cui violazione comporta la nullità ab imis del rapporto processuale, che assorbe ogni possibile questione relativa alla successiva applicazione di altre norme che disciplinano i rapporti tra procedimenti connessi (sospensione ex art. 295 c.p.c.), salvo quella sulla riunione dei ricorsi D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 29. In altri termini, se tutti gli interessati, litisconsorti necessari (società e soci), impugnano gli avvisi di accertamento loro notificati, i relativi ricorsi, se pendenti dinanzi allo stesso giudice, vanno riuniti ai sensi del citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 29, oppure, come si dirà, dinanzi al giudice preventivamente adito. Altrimenti, soccorre l’obbligo della integrazione del contraddittorio, ai sensi del D. Lgs. n. 546 del 1992, art. 14”.

Considerato quanto sopra stabilito dalla Corte, si ricava che l’imputazione dei redditi della società a ciascun socio, in proporzione alla partecipazione della quota agli utili, comporta che il ricorso tributario proposto debba necessariamente riguardare tanto la società quanto i soci, a meno che questi ultimi non adducano in giudizio questioni meramente personali.

Se tutte le parti hanno proposto autonomamente ricorso, il giudice ne deve ordinare la riunione, in base all’articolo 29 del D.Lgs. n. 546/1992, sempre se pendenti innanzi alla stessa Commissione tributaria.

Pertanto, le controversie tra soci e società inerenti l’accertamento del maggior reddito sociale devono essere trattate congiuntamente con annessa dichiarazione di nullità di tutti quei procedimenti in cui non si sia pervenuti all’integrazione del contraddittorio.

In base alle valutazioni finora formulate, la Cassazione statuisce che il giudizio svolto senza la partecipazione dei litisconsorti necessari sia nullo a seguito di violazione del principio di contraddittorio (art. 14, comma 2 del D.Lgs. n. 546/1992 e articolo 101 del c.p.c.).

Tra l’altro i giudici della Corte Suprema affermano che “l’annullamento dell’avviso di accertamento notificato alla società, sancito con sentenza passata in giudicato, spiega i suoi effetti a favore di tutti i soci, i quali possono apporlo all’Amministrazione finanziaria, che è stata parte in causa nel relativo processo (esercitando quindi, senza limitazioni di sorta il diritto di difesa)”.

Bisogna comunque considerare che il giudicato del giudice non sortirà effetti vincolanti per tutti i soci nei confronti dei quali “l’annullamento non sia stato pronunciato per tardiva notifica dell’atto impositivo (decadenza), o per altra causa non rapportabile ai soci ( ad esempio, nullità della notifica, vizi di motivazione dell’atto notificato alla società che non ricorra anche nell’avviso notificato ai soci)”.

Inoltre, nella suddetta sentenza, in relazione alla questione inerente l’avviso di accertamento unico, ai sensi dell’art. 40 del D.P.R. n. 600/1973, si afferma il principio secondo cui:

“ l’attività di accertamento svolta nei confronti della società non può essere disgiunta da quella relativa ai soci:

a) unica è la materia imponibile, seppure soggetta a diversa disciplina, in ragione del carattere reale dell’imposta locale, rispetto al carattere personale dell’imposta statale;

b) unico è il risultato dell’accertamento, sia che lo si consideri nel suo complesso in capo alla società, sia che lo si consideri come la somma dei redditi imputati ai singoli soci in conseguenza dell’accertamento societario.

La norma non impone che all’attività di accertamento segua necessariamente la notifica dei relativi avvisi a tutti i soggetti interessati. Ragioni di buon andamento (inteso come economia e proficuità dell’azione amministrativa) e di imparzialità della pubblica amministrazione e di pari trattamento dei contribuenti (artt. 3 e 97 Cost.), fanno ritenere, però, che sarebbe buona regola ottimizzare gli effetti dell’impegno profuso nella attività, di accertamento, notificando i conseguenti avvisi a tutti i destinatari naturali e necessari, società e soci. A parte la considerazione che, come si dirà, l’eventuale giudicato favorevole all’amministrazione finanziaria, nei confronti del socio chiamato in giudizio come litisconsorte necessario, potrà essere eseguito soltanto se quel socio è stato destinatario del relativo avviso di accertamento (prodromico a qualsiasi atto di esecuzione). La stessa amministrazione finanziaria, del resto,….rileva che pur non essendo espressamente prescritto un obbligo specifico in tal senso ... l’Amministrazione finanziaria deve notificare l’avviso di accertamento unitario anche ai singoli soci o associati, e tale estensione della notifica è nell’interesse della medesima Amministrazione, in quanto semplifica il contenzioso e le successive procedure di accertamento. Questa risoluzione, nel vigore della disciplina del contenzioso tributario abrogata (D.P.R. n. 636 del 1972, che, come già è stato rilevato, non conteneva una disciplina autonoma della figura del litisconsorzio necessario) è stata intesa come espressione del principio secondo cui non si possono estendere al socio gli effetti di un atto relativo alla società, se non coinvolgendolo direttamente nel relativo procedimento, mediante notifica dello stesso, confondendo il piano processuale con quello sostanziale del rapporto tributario. In realtà, osserva il Collegio, l’obbligo dell’accertamento unitario è conseguenza della configurazione di un rapporto tributario sostanzialmente unico con pluralità di soggetti passivi, che trova poi la sua corretta collocazione processuale. nell’ambito dell’istituto del litisconsorzio necessario originario”.

In ordine alle ragioni pocanzi sancite dalla Corte di Cassazione, si desume con estrema chiarezza che il reddito sociale e quello dei soci devono essere oggetto di un unico giudizio poiché unico è l’avviso di accertamento in capo alla società e ai soci.

Ergo, il ricorso presentato o da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società sia tutti i soci, in quanto la controversia non ha per oggetto la singola posizione debitoria del ricorrente ma quella comune dei soci e della società.

Nonostante le considerazioni suesposte, è opportuno rilevare che non vi è nessuna disposizione normativa in cui si prescrive che tra soci e società di persone sussista un vincolo di inscindibilità tale da ritenere necessaria e obbligatoria la partecipazione al processo di tutti questi soggetti.

Le Sezioni Unite, nel caso specifico, per giustificare l’applicazione dell’articolo 14 del D.Lgs. n. 546/1992 nelle liti tra soci e società di persone aventi a oggetto l’accertamento del maggior reddito, hanno fatto ricorso a principi di rango costituzionale.

Un esempio, in tal senso, è certamente contenuto nell’articolo 111, secondo comma, della Costituzione che se da un lato meramente teorico afferma il principio della ragionevole durata del processo, dall’altro, più specificamente pratico, denota che attualmente la durata dei processi si notevolmente incrementata rispetto al passato.

In conclusione, i principi cardine della giusta imposizione e della capacità contributiva debbono fungere da linee guida, in modo tale che le controversie concernenti o i soci di società o la medesima società, non debbano essere necessariamente ricondotte a fattispecie litisconsortili tali da richiedere la contestuale e necessaria partecipazione al processo di tutti i soggetti inscindibilmente collegati.[16]

4.2. Sentenza motivabile per relationem ed inscindibilità delle cause: Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza del 04/06/2008, n. 14814.

Merita un approfondito richiamo la pronuncia emessa dalla Corte di Cassazione che, con sentenza del 04/06/2008, n. 14814 , ha affermato "nel contenzioso tributario il problema della decisione nella medesima udienza da parte del medesimo giudice di controversie relative a questioni legate tra loro da vincolo di consequenzialita’ necessaria (come nella specie: controversia concernente l’obbligazione tributaria per reddito da capitale derivante: da fondi all’estero non dichiarati e controversia concernente le sanzioni previste per la violazione dell’obbligo di dichiarazione in relazione ai suddetti fondi) si e’ posto piu’ volte (soprattutto in relazione alle ipotesi in cui il giudizio relativo al reddito di partecipazione di un socio sia stato instaurato e deciso separatamente rispetto al giudizio concernente l’accertamento del reddito della societa’), sotto differenti profili, ed e’ stata variamente affrontata da questa Corte, dando vita ad uno specifico contrasto in relazione alla questione dei contenuti della motivazione della seconda decisione assunta, contrasto che, peraltro, si inserisce in un piu’ ampio e frastagliato panorama giurisprudenziale nel quale possono cogliersi ulteriori dissonanze in ragione delle diverse prospettive da cui volta a volta la questione viene affrontata in relazione alle differenti sollecitazioni censorie (soprattutto con riguardo alla sussistenza o meno, nei casi in esame, di un’ipotesi di sospensione necessaria e/o con riguardo alla possibilita’ di riforma della decisione alla quale e’ stata operato il rinvio) ".

Le Sezioni Unite hanno cercato, con questa sentenza, di risolvere concretamente una diatriba interpretativa che vedeva contrapporsi due linee di pensiero: una prima riteneva legittima la motivazione per relationem in presenza di un vincolo di consequenzialità necessaria tra due cause, affermando che la decisione per una delle due cause dovesse comportare necessariamente l’identica soluzione delle altre; una seconda, invece, sottolinea che la sentenza motivata per relationem deve necessariamente contenere tutti gli elementi essenziali in ordine allo svolgimento del processo, in quanto sarebbe privo di validità il comportamento del giudice che si limita ad un semplice rinvio ad altra decisione non definitiva .

La Corte ha sposato questo secondo orientamento ritenendo che “secondo altre pronunce, invece, nella ipotesi in cui il giudizio relativo al reddito di partecipazione di un socio sia stato separatamente instaurato e trattato rispetto al giudizio attinente all’accertamento del reddito della societa’, l’indipendenza dei due processi rende necessario che la sentenza pronunciata nel giudizio concernente il reddito del socio, pur se legata da un nesso di consequenzialita’ a quella inerente al ricorso proposto dalla societa’, contenga tutti gli elementi essenziali in ordine allo svolgimento del processo ed ai motivi in fatto e in diritto della decisione, senza che il giudice possa limitarsi ad un mero rinvio alla motivazione della sentenza relativa alla societa’" (Cass. 11677/2002; conf. 13990/2003, 15951/2003, 11167/2006,19606/2007). Ritiene il Collegio che sia da preferire questa seconda linea interpretativa, nei limiti in cui la motivazione per relationem possa essere ammessa; vale a dire, quando non sia il sintomo della violazione di norme che di per se’ comportano la nullita’ delle attivita’ processuali. Come nel caso del contenzioso avente ad oggetto l’accertamento del reddito delle societa’ di persone, in relazione al quale la nullita’ delle sentenze pronunciate in separati processi, motivate con rinvii reciproci, deriva dalla violazione del principio del litisconsorzio necessario di cui al Decreto Legislativo n. 546 del 1992 articolo 14 (Cass. 14815/08 - 14816/08). Lo stesso dicasi nelle ipotesi in cui la motivazione per relationem sia la conseguenza della violazione dell’articolo 295 c.p.c.”.

La Corte di Cassazione con sentenza n. 14814 del 04/06/2008 ha stabilito che la sussistenza di una sentenza motivata per relationem, contenente un richiamo ad altra motivazione, è valida purchè nella motivazione stessa il giudice si limiti ad indicare non solo fonte di riferimento ma soprattutto le ragioni di fatto e di diritto a sostegno del dispositivo.

In ultimo la Corte afferma che la sentenza supportata da motivazione per relationem non è mai consentita nel caso in cui si richiami una decisione che invece avrebbe dovuto essere pronunciata in un unico processo.

In tali circostanze, infatti, la sentenza supportata da motivazione per relationem, sarà nulla perché pronunciata in un processo in violazione dell’articolo 14 del D.Lgs. n. 546/1992[17] ("La motivazione di una sentenza puo’ essere redatta per relationem rispetto ad altra sentenza, purche’ la motivazione stessa non si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento: occorre che vengano riprodotti i contenuti mutuati, e che questi diventino oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa (anche se connessa) causa sub iudice, in maniera da consentire poi anche la verifica della compatibilita’ logico-giuridica dell’innesto".

In ogni caso, giova ribadirlo, la tecnica del rinvio ad altro decisum non e’ mai consentita quando dissimuli un vizio di procedura piu’ radicale, al quale si tenti di porre rimedio con questo "artificio", come, ad esempio, nel caso in cui si richiami una decisione che invece avrebbe dovuto essere pronunciata in un processo unico (in ipotesi di litisconsorzio necessario), ovvero nel caso in cui il processo avrebbe dovuto essere sospeso in attesa della decisione connessa (in ipotesi di pregiudiziale obbligatoria). In questi casi, la sentenza supportata da motivazione per relationem è nulla per una violazione antecedente, perché pronunciata in un processo celebrato in violazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992 articolo 14 (Cass. 14815/08, 14816/08), o per violazione dell’articolo 295 c.p.c., (Cass. 2638/2006, 13082/2006, 9203/2007). A nulla vale il tentativo di ricucire la unicita’ della controversia, attraverso reciproci rinvii delle sentenze, o di ristabilire il rapporto di subordinazione tra gli esiti dei processi, dichiarando espressamente quale debba essere la progressione della decisione complessiva (trattandosi di variabili di cui non si ha certezza se non con il passaggio in giudicato delle relative sentenze”).

5. Cenni disciplinari in merito alla figura del litisconsorzio facoltativo nel processo tributario.

Il litisconsorzio può essere necessario o facoltativo.

Il litisconsorzio facoltativo nel nuovo processo tributario trova applicazione in virtù del richiamo contenuto nell’articolo 103 del codice di procedura civile.

Nella previgente disciplina sul contenzioso tributario contenuta nel D.P.R. n. 636/1972, gli esponenti della dottrina dominante e della giurisprudenza prevalente, pur consapevoli del fatto che non vi fosse una disposizione normativa in fieri che disciplinasse l’istituto del litisconsorzio facoltativo, ritenevano applicabile nel processo tributario tale istituto richiamando appositamente l’articolo 103 del c.p.c..

Infatti ai sensi dell’articolo 103 del c.p.c. “Più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo, quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l’oggetto o per il titolo dal quale dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni”.

La ratio della norma è volta a garantire una economia processuale tesa ad evitare che nello stesso giudizio più azioni, seppure diverse ma comunque connesse per oggetto o per titolo, possano dare vita a giudicati contrastanti perché esaminate separatamente e con esiti diversi tra loro.

Pertanto, si ha litisconsorzio facoltativo quando più soggetti agiscono o sono chiamati in causa per motivi di connessione di domande (comunemente detto litisconsorzio facoltativo “proprio”) oppure quando le diverse decisioni che devono essere adottate dal giudice dipendono dalla risoluzione di identiche questioni di fatto o di diritto (litisconsorzio facoltativo “improprio”).

Nel litisconsorzio facoltativo, a differenza di quanto sopra affermato per il litisconsorzio necessario, la presenza di più parti, indispensabili affinchè il processo sorga, rappresenta una condizione meramente eventuale ed opportunamente garantita dalla struttura dei rapporti sostanziali dedotti in giudizio.

È proprio per questo motivo che è considerata valida e vincolante la decisione emessa dal giudice in mancanza di alcune delle parti in quanto la loro presenza non è necessaria ma meramente facoltativa.

Il litisconsorzio facoltativo è “originario” quando fin dall’inizio del processo è rinvenibile una pluralità di parti (così come formulato dagli artt. 103 e 104 del c.p.c.).

Il litisconsorzio facoltativo si definisce, invece, “successivo” quando ai sensi del D.Lgs. n. 546/1992, articolo 14, terzo comma, "Possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso".

È proprio grazie all’interpretazione e allo studio della suesposta normativa che è possibile individuare la fattispecie litisconsortile facoltativa in tre distinte ipotese

a) intervento volontario del terzo litisconsorte;[18]

b) chiamata in causa del terzo su richiesta delle parti oppure su ordine del giudice;

c) in seguito a riunione dei ricorsi ( ex articolo 29 del D.Lgs. n. 546/1992).[19]

La dottrina dominante ha ritenuto applicabile l’istituto litisconsortile facoltativo nelle ipotesi di coobligazione solidale, che trovano una sicura conferma nell’articolo 29 del D.Lgs. n. 546 del 1992, il quale prevede la possibilità di procedere alla riunione dei ricorsi aventi lo stesso oggetto o che sono tra loro connessi logicamente.

6. Considerazioni conclusive.

A termine dell’analisi sull’istituto del “litisconsorzio in materia tributaria” emerge con estrema chiarezza che attualmente l’individuazione delle fattispecie plurisoggettive inscindibili che giustificano una necessaria comunanza di lite, rappresenta un tema di profondo contrasto tra gli studiosi di diritto tributario.

Questo contrasto è, evidentemente, una conseguenza diretta della lacunosa disciplina prevista dal Legislatore delegato il quale, nella disciplina in esame, ha chiaramente lasciato grossi vuoti di tutela normativa. Sarebbe, pertanto, auspicabile un intervento concreto in materia litisconsortile allo scopo non solo di dirimere i vari e numerosi contrasti interpretativi ancora oggi presenti tra gli studiosi di diritto tributario in merito all’applicabilità o meno di tale istituto nel diritto tributario, ma anche con la finalità specifica di creare un valido supporto normativo per una migliore e pronta applicazione dell’istituto da parte delle Commissioni tributarie. Tutto questo, per garantire al meglio la difesa del contribuente e per rendere effettiva l’applicazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione.



[1] Il D.P.R. n. 636 del 1972, nonostante le numerose ed importanti innovazioni processuali, in esso contenute, non prevedeva la possibilità che più soggetti potessero intervenire congiuntamente in un unico giudizio avverso l’Amministrazione Finanziaria. Riconosceva alle parti la sola ed unica facoltà di proporre ricorso collettivo, ovverosia, il ricorso presentato da più soggetti con identità totale o parziale di causa petendi e di petitum nei confronti di uno stesso atto emanato dall’Amministrazione Finanziaria, e ricorso cumulativo, cioè ricorso compiuto da un solo soggetto contro più atti dell’Amministrazione finanziaria

[2] Trovato, Lineamenti del nuovo processo tributario, Padova, 1996, pp. 136 e ss.

[3] I sostenitori di tale orientamento, per avallare la loro posizione, prendevano come legittimo riferimento normativo l’art. 1 del D.Lgs. n. 546/1992 che così statuiva: “I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”. Dall’analisi della norma suddetta si può constatare come il legislatore attribuisca al giudice tributario, nei casi o di vuoti di tutela normativa o di difficoltà interpretativa di disposizioni normative, il potere-dovere di applicare la norma di riferimento contenuta nel codice del rito.

[4] In merito alla definizione di litisconsorzio nel processo civile si è espressa anche la Cassazione Civile, Sez.III, con sentenza n. 11765 del 2002, che asserisce “Il litisconsorzio necessario ricorre, oltre nei casi espressamente previsti dalla legge anche quando la situazione sostanziale plurisoggettiva dedotta in giudizio, debba essere necessariamente decisa in maniera unitaria nei confronti di ogni soggetto che ne sia partecipe onde privare la decisione dell’utilità connessa con l’esperimento dell’azione proposta”.

[5] Randazzo, Litisconsorzio necessario tra condebitori d’imposta su atti di divisione, sentenza n. 1052 del 2007, in Corriere Tributario, 2007

[6] Per alcuni esponenti della dottrina, la necessità del litisconsorzio si ravvisa non in base alla causa petendi, ovvero considerando gli elementi costitutivi della fattispecie, ma in base al petitum, ossia al risultato giuridico perseguito in giudizio.

[7] L’articolo 3 della Costituzione sancisce il principio cardine dell’equo trattamento tra i cittadini-contribuenti in conformità con il principio di uguaglianza formale e sostanziale riconosciuto e garantito per ogni cittadino, l’articolo 53 della Costituzione afferma, invece, il principio secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.

[8] Vedi sentenza Cassazione civlie, Sezioni Unite, 18/01/2007, n. 1052.

[9] Si veda per esempio Bellagamba, Il contenzioso tributario dopo il Decreto Legge del 16 maggio 1996 n. 259, p. 87.

[10] Si vedano le seguenti sentenze: Cassazione, SS.UU., 16/12/1990, n. 12008, in Corriere Tributario, 1990, p. 4062; cassazione. SS.UU., 25/02/1992, n. 2304, in Mass.Giust. Civ.,1992; Cassazione, SS.UU., 17/07/1992, n. 8683, in Mass. Giust. Civ., 1992,;Cassazione, SS.UU., 27/101993, n. 10685, in Giur. imp.,1994, p. 505; Cassazione, SS.UU., 10/10/1994, n. 8277, in Mass. Giur. lav., 1994, p. 635; Cassazione; SS.UU., 11/08/2000, n. 10613, in Giur. imp., 2001, p. 35 e Cassazione 27/09/2000, n. 12814, in Boll. Trib., 2000, p. 1765, con nota di De Mita.

[11] Non sempre, però, la giurisprudenza riconosce nelle liti promosse dal sostituto d’imposta nei confronti del sostituto una ipotesi tipica di litisconsorzio necessario. Ci sono state, infatti, alcune pronunce della Corte di Cassazione che non hanno ravvisato nelle liti suddette ipotesi di litisconsorzio necessario ( Cass9 febbraio 2000, n. 1433; Cass. 27 settembre 2000, n. 21814, Cass. 4 ottobre 2000, n. 13182). Ultimamente le Sezioni Unite (Cass. SU 15 novembre 2005 n, 23019) hanno riconfermato l’ipotesi di litisconsorzio necessario.

[12] Vedi per esempio Bafile, Il nuovo processo tributario, Cedam, 1994, e Drigani-Lunelli, Guida al nuovo processo tributario, IPSOA, 1996.

[13]La dottrina dominante rileva altre ipotesi di litisconsorzio necessario nei casi, ad esempio, di morte del ricorrente con conseguente trasferimento della legittimazione processuale agli eredi che si trovano a succedere nella posizione processuale del de cuis in situazione di litisconsorzio necessario (Alberti, Castaldi), oppure nei casi di controversie promosse dal lavoratore sostituto d’imposta volte a chiedere il pagamento anche di quella parte del credito che quest’ultimo ha trattenuto e versato in più a titolo di ritenuta sulla paga o sullo stipendio

[14] Il difetto d’integrità del contraddittorio può essere denunciato la prima volta con ricorso in Cassazione, purchè la prova relativa risulti da atti e da documenti acquisiti nel giudizio del merito, in modo tale che la Cassazione possa esaminare con cognizione piena eventuali errores in procedendo e che sulla questione non si sia formato giudicato (Cassazione Civile, sezione II, 20 dicembre 1994, n. 10968).

[15] Il mancato rispetto dell’ordine giudiziale sia per assoluto che per tardivo inadempimento rispetto al termine fissato da giudice, determina l’estinzione del giudizio per mancata attività delle parti.

[16] Glendi, Le SS.UU. della Suprema Corte s’immergono ancora nel gorgo del litisconsorzio necessario, in Rivista di Giurisprudenza tributaria, 2008, pp. 933 e ss.

[17] Antico, Sentenze motivate per relationem, ne “La Settimana Fiscale”, ed. n. 38 del 16 Ottobre 2008, p. 38

[18]È bene sottolineare come nel processo tributario l’intervento possa essere “volontario” oppure possa realizzarsi mediante la “chiamata in causa”. Il Legislatore della riforma, con l’istituto dell’ “intervento volontario”, fa esclusivamente riferimento all’iniziativa di un terzo che, spontaneamente, interviene in giudizio perché interessato allo svolgimento e all’esito del processo medesimo.

L’istituto dell’intervento per “chiamata in causa” trova applicazione nel processo tributario tramite rinvio alle norme del codice di procedura civile, per le quali la chiamata in causa può essere richiesta o su mera iniziativa di parte oppure su specifico ordine del giudice.

[19] Consolo,Glendi,Commentario breve alle leggi del processo tributario, Padova, 2001, pp. 126 e ss.

Sommario:

1. Considerazioni introduttive.

2. La disciplina normativa del litisconsorzio nel processo tributario.

3. Il litisconsorzio necessario: considerazioni di carattere generale e confronto con la disciplina contenuta nel codice del rito.

4. I problemi nascenti dalla mancata integrazione del contraddittorio nel litisconsorzio necessario.

4.1. Mancata integrazione del contraddittorio nelle liti tra soci e società di persone: Cassazione Civile, Sez. Unite, sentenza del 04/06/2008, n. 14815.

4.2. Sentenza motivabile per relationem ed inscindibilità delle cause: Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza del 04/06/2008, n. 14814.

5. Cenni disciplinari in merito alla figura del litisconsorzio facoltativo nel processo tributario.

6. Considerazioni conclusive.

1.Considerazioni introduttive

Una delle novità più importanti e considerevoli in merito al contenzioso tributario attiene senza dubbio alla normativa sul processo litisconsortile, altrimenti detto “processo con pluralità di parti”.

È con l’istituto in esame che il Legislatore ha per la prima volta disciplinato la obbligatoria partecipazione al processo di tutti quei soggetti che sono inscindibilmente legati alla questione dibattuta e congiuntamente interessati alla soluzione della controversia.

È proprio grazie all’introduzione del litisconsorzio che nel processo tributario si attribuisce una valenza processuale maggiore alla comunione di interessi sostanziali facenti capo ad una pluralità di parti.

Nel presente scritto l’attenzione sarà dapprima rivolta all’esame e allo studio della disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 546/1992, art. 14, che, in via del tutto innovativa rispetto al passato, regolamenta l’istituto in esame.

Successivamente si analizzerà, nel merito e nel contenuto, l’attività di riforma compiuta dal Legislatore del 1992, attorno alla quale sussiste, ancora oggi, una "querelle" tra i vari esponenti di spicco della dottrina maggioritaria.

Ci si soffermerà, in seguito, sul punto essenziale della controversia che risiede nella diversa valutazione, formulata da rappresentanti di rilievo della dottrina prevalente, in merito alla riforma sulla fattispecie litisconsortile.

Infatti, mentre alcuni esponenti della dottrina esaltano gli sforzi compiuti dal Legislatore che, nella riforma dell’istituto in esame, ha cercato di essere quanto più puntuale e preciso possibile, altri studiosi, invece, ne sottolineano il pedissequo rifacimento alla normativa contenuta nel codice di procedura civile.

Il costante richiamo alla normativa contenuta nel codice del rito se da un lato, molto probabilmente, denota la volontà del Legislatore di non voler lasciare istituti processuali, non disciplinati nel diritto tributario da solide disposizioni normative (è, per esempio, il caso della disciplina litisconsortile), alla libera e discrezionale valutazione dell’interprete, dall’altro evidenza una grande lacuna normativa vista l’assenza, nel D.Lgs n.546/1992, art. 14, di caratteri spiccatamente innovativi e di aspetti particolarmente originali.

Come chiaramente emergerà nel corso della trattazione dell’istituto in esame, la problematica legata alla mancata integrazione del contraddittorio delle parti necessariamente collegate alla soluzione della controversia risulta essere oggetto di recenti spunti giurisprudenziali e dottrinali.

Si analizzeranno, in particolare, le ultime pronunce emesse dalla Corte di Cassazione che disaminano, in maniera precisa e meticolosa, le varie fattispecie di litisconsorzio necessario e le problematiche risultanti dalla mancata integrazione del contraddittorio dei soggetti inscindibilmente interessati alla soluzione congiunta della questione dibattuta.

Nonostante tutte le difficoltà incontrate e le diverse critiche affrontate, il Legislatore della riforma ha provveduto a disciplinare concretamente sia il litisconsorzio necessario, nell’articolo 14, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992, sia il litisconsorzio facoltativo, tramite gli istituti dell’intervento e della chiamata in causa, articolo 14, comma 3.

2. La disciplina normativa del litisconsorzio nel processo tributario

Il Legislatore, nella previgente disciplina sul contenzioso tributario, contenuta nel D.P.R. del 1972 n. 636, non aveva previsto una disposizione normativa ad hoc che regolamentasse giuridicamente il litisconsorzio nel processo tributario.[1]

Nello specifico, le difficoltà applicative riscontrate dalle Commissioni Tributarie volte a gestire e a regolare rapporti tributari plurisoggettivi sono la diretta conseguenza del fatto che in passato non fosse presente una specifica disciplina normativa atta a regolamentare l’istituto in esame.

Molti studiosi di diritto tributario, infatti, si sono soffermati sul motivo per cui il Legislatore del 1992 abbia voluto disciplinare ex novo il litisconsorzio, istituto allora estraneo al panorama “processualtributario”.

La risposta a tale interrogativo risiede, molto probabilmente, nel fatto che il Legislatore volesse garantire nel processo tributario, in maniera certa ed efficace, principi di “equità” sostanziale tra le parti processuali in modo tale che più fatti rilevanti a fini tributari e riguardanti più contribuenti ai fini fiscali, ricevessero un unico esame ed omogenea valutazione.

Entrando, poi, nell’analisi dell’articolo 14 del D.Lgs. n. 546/1992, emerge che la norma in esame costituisce l’attuazione del principio contenuto nella legge delega n. 413 /1991, lettera g), n. 2, che rende necessaria “la previsione e la disciplina dell’intervento e della chiamata in giudizio di soggetti che hanno lo stesso interesse, in quanto, insieme al ricorrente, destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso”.[2]

Il legislatore del 1992, nella relazione ministeriale, pur ammettendo la natura “embrionale” dell’istituto, cerca di mettere in luce gli aspetti più significativi e caratteristici della normativa in vigore, utilizzando sì una terminologia tipicamente “processualcivilistica” ma con lo specifico intento di rendere la materia conforme ai rapporti meramente tributari.

Ma nonostante gli sforzi compiuti nel formulare correttamente e definitivamente la fattispecie litisconsortile, è tuttora in corso un dibattito che anima molti rappresentanti della dottrina prevalente.

La controversia, che ha per oggetto la formulazione dell’art. 14 del D.Lgs del 1992 n. 546, vede contrapporsi due linee di pensiero: la prima si basa sull’osservazione che, nell’elaborazione del suddetto articolo, il Legislatore tributario si sia pedissequamente rifatto alla normativa “processualcivilistica” creando così una sorta di sovrapponibilità di disciplina[3], la seconda, invece, elogia gli apprezzabili, seppur limitati, passi in avanti compiuti dal Legislatore stesso, sottolineando ed evidenziando gli aspetti contenutistici di grande innovazione e di massima originalità.

Se da un lato si può sicuramente attribuire un grande merito al Legislatore della riforma, il quale con molte difficoltà, ha cercato di rendere la materia litisconsortile chiara, precisa e autonoma rispetto a quella contenuta nel codice di procedura civile, bisogna, dall’altro lato, con altrettanta fermezza, sottolineare come tuttora siano molte le spinte dottrinali tese a spronare il Legislatore stesso verso una nuova e più esaustiva formulazione della materia, in quanto ritenuta ancora debole normativamente e mal formulata contenutisticamente.

Più specificamente, l’articolo 14 risulta essere suddiviso in sei comma ed illustra le condizioni processuali che comportano la formazione di un processo litisconsortile necessario o facoltativo, originario o successivo, volontario o coatto.

La norma così recita:

1. "Se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi".

2. "Se il ricorso non è stato proposto da o nei confronti di tutti i soggetti indicati nel comma 1 è ordinata l’integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza".

3. "Possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso".

4. "Le parti chiamate si costituiscono in giudizio nelle fatale prescritte per la parte resistente, in quanto applicabili".

5. "I soggetti indicati nei commi 1 e 3 intervengono nel processo notificando apposito atto a tutte le parti e costituendosi nelle forme di cui al comma precedente".

6. "Le parti chiamate in causa o intervenute volontariamente non possono impugnare autonomamente l’atto se per esse al momento della costituzione è già decorso il termine di decadenza".

3. Litisconsorzio necessario: considerazioni di carattere generale e confronto con la disciplina contenuta nel codice del rito.

L’articolo 14, comma 1, così recita "Se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi".

Nel primo comma dell’articolo 14, il Legislatore ha voluto esplicitare giuridicamente l’instaurazione di un processo complesso da una punto di vista soggettivo, procedendo così alla definizione di litisconsorzio necessario.

Questo ricorre ogni qualvolta si deduce in giudizio un unico ed inscindibile rapporto giuridico sostanziale che, riguardando contemporaneamente più soggetti, impone la presenza di tutti al fine di rendere effettiva ed efficace la tutela giurisdizionale.

Per questo motivo, quando cioè l’oggetto del ricorso riguarda più soggetti necessariamente collegati, è richiesta la partecipazione obbligatoria di tutte le parti al medesimo processo, in quanto la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi.

Per una maggiore chiarezza in materia, procedendo alla lettura dell’art. 102 del codice di procedura civile (“Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo”) emerge immediatamente un’apparente somiglianza di contenuti tra la disciplina contenuta nel codice di procedura civile[4] e quella contemplata dal Legislatore tributario nel D.Lgs. n. 546 del 1992, articolo 14.

In effetti se si opera, nel dettaglio, un raffronto tra le due disposizioni normative, se ne deduce una differenza più terminologica che semantica.

A tal proposito, si è espressa anche la Corte Suprema in una celebre pronuncia, (Cass., SS.UU., n. 1052 del 2007), che ha così disposto “Il litisconsorzio necessario debba essere considerato come fattispecie autonoma rispetto a quella contenuta e disciplinata nel codice del rito, di cui all’art. 102, in quanto la norma che regolamenta la fattispecie litisconsortile necessaria non può essere considerata, come quella processualcivilistica, “una mera norma in bianco”, ma debba essere collegata a presupposti tipici del processo tributario: l’inscindibilità della causa tra una pluralità di soggetti specificata dall’oggetto del ricorso”.[5]

Nel processo tributario, quindi, sarà la domanda giudiziale a determinare l’oggetto del processo e a costituire riferimento funzionale per valutare l’inscindibilità della causa tra soggetti.[6]

Ergo, in presenza di una situazione plurilaterale, desunta dalla domanda giudiziale che determina l’oggetto del ricorso, il giudice dovrà emettere una decisione valida e vincolante nei confronti di tutti i soggetti incontrovertibilmente collegati, pena l’inefficacia della decisione medesima.

Certamente non tutti gli esponenti della dottrina guardano positivamente alla figura del litisconsorzio nel processo tributario in quanto viene considerato un ostacolo alla “ragionevole durata del processo”.

A questa affermazione obiettano gli esponenti della dottrina maggioritaria, secondo i quali “la ragionevole durata del processo” è funzionale nella misura in cui non cozzi con i principi che trovano garanzia costituzionale negli artt. 3 e 53 della Costituzione.[7]

È proprio il principio attinente al rispetto della capacità contributiva a costituire il valore di riferimento normativo che la disciplina sul litisconsorzio necessario vuole garantire e tutelare: infatti ogniqualvolta l’atto impositivo includa elementi comuni ad una pluralità di soggetti obbligati, è necessario un unico accertamento giudiziale in quanto pronunce distinte e configgenti sulla fattispecie costitutiva dell’obbligazione falsificherebbero in maniera significativa il rapporto tra imposizione e capacità contributiva dell’obbligato.[8]

Molte ancora sono le titubanze in merito alla corretta individuazione dei casi concreti di litisconsorzio necessario poiché alcuni studiosi[9] attribuiscono alla normativa in esame un “mero valore teorico”, sostenendo che nel processo tributario non vi sono casi di litisconsorzio necessario; sono di avviso contrario, un’altra parte della dottrina e della giurisprudenza in quanto individuano, pur con motivazioni discordanti tra loro, specifiche ipotesi di litisconsorzio necessario nel processo tributario.

La dottrina prevalente ha individuato tre ipotesi in cui si ravvisa la necessaria presenza di più soggetti in giudizio:

a) nei casi in cui si rileva in giudizio un rapporto plurisoggettivo tale da ritenere necessaria ed obbligatoria la partecipazione nel processo di ciascun soggetto titolare di tale rapporto (in queste ipotesi si parla comunemente di “litisconsorzio necessario per ragioni sostanziali”)

b) nei casi in cui un terzo interviene in giudizio per far valere un diritto altrui; in queste ipotesi tassativamente indicate dalla legge, accanto alla legittimazione del terzo si rende necessaria anche la presenza del soggetto titolare del diritto dedotto in giudizio (“litisconsorzio necessario per motivi processuali”)

c) nei casi in cui, pur non deducendosi in giudizio ragioni processuali e sostanziali che impongono la necessaria partecipazione di più soggetti, il giudice procede all’integrazione del contraddittorio per ragioni di mera opportunità (litisconsorzio necessario “propter opportunitatem”).

A titolo esemplificativo, una ipotesi di litisconsorzio necessario confermata in molte pronunce della giurisprudenza di legittimità[10] risiede nelle controversie promosse dal sostituto di imposta nei confronti del sostituto al fine di pretendere il pagamento di quella parte del suo credito che il convenuto ha trattenuto e versato a titolo di ritenuta d’imposta.[11]

Alcuni rappresentanti della dottrina[12]riconducono fra le ipotesi di litisconsorzio necessario le controversie catastali, in cui si dibatte in merito alla proprietà dell’immobile in una situazione di compossesso tra più soggetti.[13]

4. I problemi nascenti dalla mancata integrazione del contraddittorio nel litisconsorzio necessario.

Una tematica strettamente attinente all’istituto del litisconsorzio necessario è quella dell’integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti assenti.

In presenza di litisconsorzio necessario, quando cioè il ricorso non viene proposto da o nei confronti di tutti i soggetti, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio mediante la chiamata in causa dei litisconsorti assenti, entro un determinato termine stabilito a pena di decadenza.

Secondo quanto disposto dall’articolo 14, secondo comma, del D.Lgs. 546/1992, “Se il ricorso non è stato proposto da o nei confronti di tutti i soggetti indicati nel comma 1 è ordinata l’integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza”.

Stante la genericità della disposizione contenuta nella norma, appare opportuno effettuare una serie di precisazioni.

Innanzitutto la “vocatio in ius” si sostanzia, concretamente, in un invito a comparire nei confronti del litisconsorte necessario assente in modo tale che questi possa essere messo nella condizione di presentarsi in giudizio facendo valere le proprie ragioni ed eccezioni.

Il difetto di integrità del contraddittorio può essere rilevato d’ufficio o su istanza di parte, in ogni stato e grado del processo, salvo che ciò non sia precluso da un giudicato, esplicito e implicito, formatosi sul punto.[14]

Inoltre la mancata integrazione del contraddittorio può essere denunciata in ogni stato e grado del processo e rilevata d’ufficio anche dal giudice di legittimità.

Il mancato rispetto del termine comporta l’estinzione del giudizio con condanna alle spese della parte che non ha provveduto all’incombente cui era onerata.

Tale estinzione, però, non è automatica ma deve essere dichiarata con sentenza da parte del giudice che ha rilevato in giudizio la mancata integrazione del contraddittorio.

Per queste ragioni, il difetto di integrità del contraddittorio comporta la nullità della sentenza a causa della invalida costituzione in giudizio del rapporto processuale.

Il vizio di mancata integrazione del contraddittorio, che investe negativamente l’efficacia del procedimento, può essere sanato o per iniziativa dello stesso litisconsorte pretermesso che interviene spontaneamente nel processo notificando a tutte le parti presenti in giudizio un atto di intervento da lui stesso sottoscritto, oppure a seguito della rilevazione da parte del giudice (ex officio o su eccezione di parte).

Se, invece, la chiamata del litisconsorte assente è rilevata ex officio, sarà il giudice a verificare se è necessaria o meno l’integrazione del contraddittorio; per fare ciò dovrà avere riguardo della domanda che costituisce oggetto della controversia, in quanto è questa che ne delimita l’ambito e quindi la portata e il contenuto della pronunzia.

Se, invece, la chiamata del litisconsorte pretermesso è rilevata su istanza di parte, spetterà al richiedente dimostrare non solo quali sono i soggetti che devono partecipare necessariamente al processo, in quanto litisconsorti necessari, ma soprattutto quali sono i presupposti di fatto che giustificano l’integrazione stessa del contraddittorio.

Il vizio di non integrità del contraddittorio può, invece, non essere sanato quando la parte interessata alla prosecuzione del processo non ha ottemperato all’ordine emesso dalla Commissione,[15] oppure quando il vizio stesso non è stato rilevato dalla Commissione ex officio né su eccezione di parte, oppure ancora quando il vizio, seppur sollevato su eccezione di parte, sia stato ritenuto insussistente dalla Commissione.

Può anche accadere che l’ordine di integrazione del contraddittorio non venga rilevato dalla Commissione tributaria, né eccepito da alcune delle parti in causa: in questo caso, la sentenza emessa a contraddittorio non integro si considera inutiliter data, ovverosia inefficace non soltanto nei confronti del litisconsorti pretermessi ma anche nei confronti di coloro che hanno preso parte al giudizio.

La Corte di Cassazione, con sentenza del 18/1/2007, n. 1052, ha specificato che “ogni qual volta che per effetto della norma tributaria o per l’azione esercitata dall’amministrazione finanziaria (oggi l’Agenzia delle Entrate) l’atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione una pluralità di soggetti, e il ricorso proposto da uno o più degli obbligati abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del ricorrente, ma la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario nel processo tributario ai sensi dell’art. 14, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992”.

4.1. Mancata integrazione del contraddittorio nelle liti tra soci e società di persone: Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza del 04/06/2008, n. 14815.

Le argomentazioni che ruotano attorno alla problematica concernente l’obbligo di integrazione del contraddittorio (art. 14, comma 2, D.Lgs n. 546/1992) nei confronti del litisconsorte necessario assente, sono state nuovamente e recentemente prese in considerazione dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite, nella sentenza del 04/06/2008, n. 14815.

La Corte Suprema ha individuato una specifica ipotesi di litisconsorzio necessario nelle liti tra soci e società che, nel caso di specie, hanno ad oggetto l’accertamento del maggior reddito della società medesima.

Nella controversia in esame, i giudici della Corte Suprema hanno stabilito che non può essere valida la pronuncia emessa dal giudice a contraddittorio non integro in quanto tra la causa della società e quella dei soci sussiste un vincolo di inscindibilità tale da ritenere necessaria la partecipazione al processo tributario non solo dei soci ma anche della società.

Infatti, le Sezioni Unite, nella sentenza n. 14815 del 2008, hanno sostenuto che tra società di persone e singoli soci “ricorra una ipotesi di litisconsorzio tributario necessario ed originario, la cui violazione comporta la nullità ab imis del rapporto processuale, che assorbe ogni possibile questione relativa alla successiva applicazione di altre norme che disciplinano i rapporti tra procedimenti connessi (sospensione ex art. 295 c.p.c.), salvo quella sulla riunione dei ricorsi D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 29. In altri termini, se tutti gli interessati, litisconsorti necessari (società e soci), impugnano gli avvisi di accertamento loro notificati, i relativi ricorsi, se pendenti dinanzi allo stesso giudice, vanno riuniti ai sensi del citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 29, oppure, come si dirà, dinanzi al giudice preventivamente adito. Altrimenti, soccorre l’obbligo della integrazione del contraddittorio, ai sensi del D. Lgs. n. 546 del 1992, art. 14”.

Considerato quanto sopra stabilito dalla Corte, si ricava che l’imputazione dei redditi della società a ciascun socio, in proporzione alla partecipazione della quota agli utili, comporta che il ricorso tributario proposto debba necessariamente riguardare tanto la società quanto i soci, a meno che questi ultimi non adducano in giudizio questioni meramente personali.

Se tutte le parti hanno proposto autonomamente ricorso, il giudice ne deve ordinare la riunione, in base all’articolo 29 del D.Lgs. n. 546/1992, sempre se pendenti innanzi alla stessa Commissione tributaria.

Pertanto, le controversie tra soci e società inerenti l’accertamento del maggior reddito sociale devono essere trattate congiuntamente con annessa dichiarazione di nullità di tutti quei procedimenti in cui non si sia pervenuti all’integrazione del contraddittorio.

In base alle valutazioni finora formulate, la Cassazione statuisce che il giudizio svolto senza la partecipazione dei litisconsorti necessari sia nullo a seguito di violazione del principio di contraddittorio (art. 14, comma 2 del D.Lgs. n. 546/1992 e articolo 101 del c.p.c.).

Tra l’altro i giudici della Corte Suprema affermano che “l’annullamento dell’avviso di accertamento notificato alla società, sancito con sentenza passata in giudicato, spiega i suoi effetti a favore di tutti i soci, i quali possono apporlo all’Amministrazione finanziaria, che è stata parte in causa nel relativo processo (esercitando quindi, senza limitazioni di sorta il diritto di difesa)”.

Bisogna comunque considerare che il giudicato del giudice non sortirà effetti vincolanti per tutti i soci nei confronti dei quali “l’annullamento non sia stato pronunciato per tardiva notifica dell’atto impositivo (decadenza), o per altra causa non rapportabile ai soci ( ad esempio, nullità della notifica, vizi di motivazione dell’atto notificato alla società che non ricorra anche nell’avviso notificato ai soci)”.

Inoltre, nella suddetta sentenza, in relazione alla questione inerente l’avviso di accertamento unico, ai sensi dell’art. 40 del D.P.R. n. 600/1973, si afferma il principio secondo cui:

“ l’attività di accertamento svolta nei confronti della società non può essere disgiunta da quella relativa ai soci:

a) unica è la materia imponibile, seppure soggetta a diversa disciplina, in ragione del carattere reale dell’imposta locale, rispetto al carattere personale dell’imposta statale;

b) unico è il risultato dell’accertamento, sia che lo si consideri nel suo complesso in capo alla società, sia che lo si consideri come la somma dei redditi imputati ai singoli soci in conseguenza dell’accertamento societario.

La norma non impone che all’attività di accertamento segua necessariamente la notifica dei relativi avvisi a tutti i soggetti interessati. Ragioni di buon andamento (inteso come economia e proficuità dell’azione amministrativa) e di imparzialità della pubblica amministrazione e di pari trattamento dei contribuenti (artt. 3 e 97 Cost.), fanno ritenere, però, che sarebbe buona regola ottimizzare gli effetti dell’impegno profuso nella attività, di accertamento, notificando i conseguenti avvisi a tutti i destinatari naturali e necessari, società e soci. A parte la considerazione che, come si dirà, l’eventuale giudicato favorevole all’amministrazione finanziaria, nei confronti del socio chiamato in giudizio come litisconsorte necessario, potrà essere eseguito soltanto se quel socio è stato destinatario del relativo avviso di accertamento (prodromico a qualsiasi atto di esecuzione). La stessa amministrazione finanziaria, del resto,….rileva che pur non essendo espressamente prescritto un obbligo specifico in tal senso ... l’Amministrazione finanziaria deve notificare l’avviso di accertamento unitario anche ai singoli soci o associati, e tale estensione della notifica è nell’interesse della medesima Amministrazione, in quanto semplifica il contenzioso e le successive procedure di accertamento. Questa risoluzione, nel vigore della disciplina del contenzioso tributario abrogata (D.P.R. n. 636 del 1972, che, come già è stato rilevato, non conteneva una disciplina autonoma della figura del litisconsorzio necessario) è stata intesa come espressione del principio secondo cui non si possono estendere al socio gli effetti di un atto relativo alla società, se non coinvolgendolo direttamente nel relativo procedimento, mediante notifica dello stesso, confondendo il piano processuale con quello sostanziale del rapporto tributario. In realtà, osserva il Collegio, l’obbligo dell’accertamento unitario è conseguenza della configurazione di un rapporto tributario sostanzialmente unico con pluralità di soggetti passivi, che trova poi la sua corretta collocazione processuale. nell’ambito dell’istituto del litisconsorzio necessario originario”.

In ordine alle ragioni pocanzi sancite dalla Corte di Cassazione, si desume con estrema chiarezza che il reddito sociale e quello dei soci devono essere oggetto di un unico giudizio poiché unico è l’avviso di accertamento in capo alla società e ai soci.

Ergo, il ricorso presentato o da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società sia tutti i soci, in quanto la controversia non ha per oggetto la singola posizione debitoria del ricorrente ma quella comune dei soci e della società.

Nonostante le considerazioni suesposte, è opportuno rilevare che non vi è nessuna disposizione normativa in cui si prescrive che tra soci e società di persone sussista un vincolo di inscindibilità tale da ritenere necessaria e obbligatoria la partecipazione al processo di tutti questi soggetti.

Le Sezioni Unite, nel caso specifico, per giustificare l’applicazione dell’articolo 14 del D.Lgs. n. 546/1992 nelle liti tra soci e società di persone aventi a oggetto l’accertamento del maggior reddito, hanno fatto ricorso a principi di rango costituzionale.

Un esempio, in tal senso, è certamente contenuto nell’articolo 111, secondo comma, della Costituzione che se da un lato meramente teorico afferma il principio della ragionevole durata del processo, dall’altro, più specificamente pratico, denota che attualmente la durata dei processi si notevolmente incrementata rispetto al passato.

In conclusione, i principi cardine della giusta imposizione e della capacità contributiva debbono fungere da linee guida, in modo tale che le controversie concernenti o i soci di società o la medesima società, non debbano essere necessariamente ricondotte a fattispecie litisconsortili tali da richiedere la contestuale e necessaria partecipazione al processo di tutti i soggetti inscindibilmente collegati.[16]

4.2. Sentenza motivabile per relationem ed inscindibilità delle cause: Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza del 04/06/2008, n. 14814.

Merita un approfondito richiamo la pronuncia emessa dalla Corte di Cassazione che, con sentenza del 04/06/2008, n. 14814 , ha affermato "nel contenzioso tributario il problema della decisione nella medesima udienza da parte del medesimo giudice di controversie relative a questioni legate tra loro da vincolo di consequenzialita’ necessaria (come nella specie: controversia concernente l’obbligazione tributaria per reddito da capitale derivante: da fondi all’estero non dichiarati e controversia concernente le sanzioni previste per la violazione dell’obbligo di dichiarazione in relazione ai suddetti fondi) si e’ posto piu’ volte (soprattutto in relazione alle ipotesi in cui il giudizio relativo al reddito di partecipazione di un socio sia stato instaurato e deciso separatamente rispetto al giudizio concernente l’accertamento del reddito della societa’), sotto differenti profili, ed e’ stata variamente affrontata da questa Corte, dando vita ad uno specifico contrasto in relazione alla questione dei contenuti della motivazione della seconda decisione assunta, contrasto che, peraltro, si inserisce in un piu’ ampio e frastagliato panorama giurisprudenziale nel quale possono cogliersi ulteriori dissonanze in ragione delle diverse prospettive da cui volta a volta la questione viene affrontata in relazione alle differenti sollecitazioni censorie (soprattutto con riguardo alla sussistenza o meno, nei casi in esame, di un’ipotesi di sospensione necessaria e/o con riguardo alla possibilita’ di riforma della decisione alla quale e’ stata operato il rinvio) ".

Le Sezioni Unite hanno cercato, con questa sentenza, di risolvere concretamente una diatriba interpretativa che vedeva contrapporsi due linee di pensiero: una prima riteneva legittima la motivazione per relationem in presenza di un vincolo di consequenzialità necessaria tra due cause, affermando che la decisione per una delle due cause dovesse comportare necessariamente l’identica soluzione delle altre; una seconda, invece, sottolinea che la sentenza motivata per relationem deve necessariamente contenere tutti gli elementi essenziali in ordine allo svolgimento del processo, in quanto sarebbe privo di validità il comportamento del giudice che si limita ad un semplice rinvio ad altra decisione non definitiva .

La Corte ha sposato questo secondo orientamento ritenendo che “secondo altre pronunce, invece, nella ipotesi in cui il giudizio relativo al reddito di partecipazione di un socio sia stato separatamente instaurato e trattato rispetto al giudizio attinente all’accertamento del reddito della societa’, l’indipendenza dei due processi rende necessario che la sentenza pronunciata nel giudizio concernente il reddito del socio, pur se legata da un nesso di consequenzialita’ a quella inerente al ricorso proposto dalla societa’, contenga tutti gli elementi essenziali in ordine allo svolgimento del processo ed ai motivi in fatto e in diritto della decisione, senza che il giudice possa limitarsi ad un mero rinvio alla motivazione della sentenza relativa alla societa’" (Cass. 11677/2002; conf. 13990/2003, 15951/2003, 11167/2006,19606/2007). Ritiene il Collegio che sia da preferire questa seconda linea interpretativa, nei limiti in cui la motivazione per relationem possa essere ammessa; vale a dire, quando non sia il sintomo della violazione di norme che di per se’ comportano la nullita’ delle attivita’ processuali. Come nel caso del contenzioso avente ad oggetto l’accertamento del reddito delle societa’ di persone, in relazione al quale la nullita’ delle sentenze pronunciate in separati processi, motivate con rinvii reciproci, deriva dalla violazione del principio del litisconsorzio necessario di cui al Decreto Legislativo n. 546 del 1992 articolo 14 (Cass. 14815/08 - 14816/08). Lo stesso dicasi nelle ipotesi in cui la motivazione per relationem sia la conseguenza della violazione dell’articolo 295 c.p.c.”.

La Corte di Cassazione con sentenza n. 14814 del 04/06/2008 ha stabilito che la sussistenza di una sentenza motivata per relationem, contenente un richiamo ad altra motivazione, è valida purchè nella motivazione stessa il giudice si limiti ad indicare non solo fonte di riferimento ma soprattutto le ragioni di fatto e di diritto a sostegno del dispositivo.

In ultimo la Corte afferma che la sentenza supportata da motivazione per relationem non è mai consentita nel caso in cui si richiami una decisione che invece avrebbe dovuto essere pronunciata in un unico processo.

In tali circostanze, infatti, la sentenza supportata da motivazione per relationem, sarà nulla perché pronunciata in un processo in violazione dell’articolo 14 del D.Lgs. n. 546/1992[17] ("La motivazione di una sentenza puo’ essere redatta per relationem rispetto ad altra sentenza, purche’ la motivazione stessa non si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento: occorre che vengano riprodotti i contenuti mutuati, e che questi diventino oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa (anche se connessa) causa sub iudice, in maniera da consentire poi anche la verifica della compatibilita’ logico-giuridica dell’innesto".

In ogni caso, giova ribadirlo, la tecnica del rinvio ad altro decisum non e’ mai consentita quando dissimuli un vizio di procedura piu’ radicale, al quale si tenti di porre rimedio con questo "artificio", come, ad esempio, nel caso in cui si richiami una decisione che invece avrebbe dovuto essere pronunciata in un processo unico (in ipotesi di litisconsorzio necessario), ovvero nel caso in cui il processo avrebbe dovuto essere sospeso in attesa della decisione connessa (in ipotesi di pregiudiziale obbligatoria). In questi casi, la sentenza supportata da motivazione per relationem è nulla per una violazione antecedente, perché pronunciata in un processo celebrato in violazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992 articolo 14 (Cass. 14815/08, 14816/08), o per violazione dell’articolo 295 c.p.c., (Cass. 2638/2006, 13082/2006, 9203/2007). A nulla vale il tentativo di ricucire la unicita’ della controversia, attraverso reciproci rinvii delle sentenze, o di ristabilire il rapporto di subordinazione tra gli esiti dei processi, dichiarando espressamente quale debba essere la progressione della decisione complessiva (trattandosi di variabili di cui non si ha certezza se non con il passaggio in giudicato delle relative sentenze”).

5. Cenni disciplinari in merito alla figura del litisconsorzio facoltativo nel processo tributario.

Il litisconsorzio può essere necessario o facoltativo.

Il litisconsorzio facoltativo nel nuovo processo tributario trova applicazione in virtù del richiamo contenuto nell’articolo 103 del codice di procedura civile.

Nella previgente disciplina sul contenzioso tributario contenuta nel D.P.R. n. 636/1972, gli esponenti della dottrina dominante e della giurisprudenza prevalente, pur consapevoli del fatto che non vi fosse una disposizione normativa in fieri che disciplinasse l’istituto del litisconsorzio facoltativo, ritenevano applicabile nel processo tributario tale istituto richiamando appositamente l’articolo 103 del c.p.c..

Infatti ai sensi dell’articolo 103 del c.p.c. “Più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo, quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l’oggetto o per il titolo dal quale dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni”.

La ratio della norma è volta a garantire una economia processuale tesa ad evitare che nello stesso giudizio più azioni, seppure diverse ma comunque connesse per oggetto o per titolo, possano dare vita a giudicati contrastanti perché esaminate separatamente e con esiti diversi tra loro.

Pertanto, si ha litisconsorzio facoltativo quando più soggetti agiscono o sono chiamati in causa per motivi di connessione di domande (comunemente detto litisconsorzio facoltativo “proprio”) oppure quando le diverse decisioni che devono essere adottate dal giudice dipendono dalla risoluzione di identiche questioni di fatto o di diritto (litisconsorzio facoltativo “improprio”).

Nel litisconsorzio facoltativo, a differenza di quanto sopra affermato per il litisconsorzio necessario, la presenza di più parti, indispensabili affinchè il processo sorga, rappresenta una condizione meramente eventuale ed opportunamente garantita dalla struttura dei rapporti sostanziali dedotti in giudizio.

È proprio per questo motivo che è considerata valida e vincolante la decisione emessa dal giudice in mancanza di alcune delle parti in quanto la loro presenza non è necessaria ma meramente facoltativa.

Il litisconsorzio facoltativo è “originario” quando fin dall’inizio del processo è rinvenibile una pluralità di parti (così come formulato dagli artt. 103 e 104 del c.p.c.).

Il litisconsorzio facoltativo si definisce, invece, “successivo” quando ai sensi del D.Lgs. n. 546/1992, articolo 14, terzo comma, "Possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso".

È proprio grazie all’interpretazione e allo studio della suesposta normativa che è possibile individuare la fattispecie litisconsortile facoltativa in tre distinte ipotese

a) intervento volontario del terzo litisconsorte;[18]

b) chiamata in causa del terzo su richiesta delle parti oppure su ordine del giudice;

c) in seguito a riunione dei ricorsi ( ex articolo 29 del D.Lgs. n. 546/1992).[19]

La dottrina dominante ha ritenuto applicabile l’istituto litisconsortile facoltativo nelle ipotesi di coobligazione solidale, che trovano una sicura conferma nell’articolo 29 del D.Lgs. n. 546 del 1992, il quale prevede la possibilità di procedere alla riunione dei ricorsi aventi lo stesso oggetto o che sono tra loro connessi logicamente.

6. Considerazioni conclusive.

A termine dell’analisi sull’istituto del “litisconsorzio in materia tributaria” emerge con estrema chiarezza che attualmente l’individuazione delle fattispecie plurisoggettive inscindibili che giustificano una necessaria comunanza di lite, rappresenta un tema di profondo contrasto tra gli studiosi di diritto tributario.

Questo contrasto è, evidentemente, una conseguenza diretta della lacunosa disciplina prevista dal Legislatore delegato il quale, nella disciplina in esame, ha chiaramente lasciato grossi vuoti di tutela normativa. Sarebbe, pertanto, auspicabile un intervento concreto in materia litisconsortile allo scopo non solo di dirimere i vari e numerosi contrasti interpretativi ancora oggi presenti tra gli studiosi di diritto tributario in merito all’applicabilità o meno di tale istituto nel diritto tributario, ma anche con la finalità specifica di creare un valido supporto normativo per una migliore e pronta applicazione dell’istituto da parte delle Commissioni tributarie. Tutto questo, per garantire al meglio la difesa del contribuente e per rendere effettiva l’applicazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione.



[1] Il D.P.R. n. 636 del 1972, nonostante le numerose ed importanti innovazioni processuali, in esso contenute, non prevedeva la possibilità che più soggetti potessero intervenire congiuntamente in un unico giudizio avverso l’Amministrazione Finanziaria. Riconosceva alle parti la sola ed unica facoltà di proporre ricorso collettivo, ovverosia, il ricorso presentato da più soggetti con identità totale o parziale di causa petendi e di petitum nei confronti di uno stesso atto emanato dall’Amministrazione Finanziaria, e ricorso cumulativo, cioè ricorso compiuto da un solo soggetto contro più atti dell’Amministrazione finanziaria

[2] Trovato, Lineamenti del nuovo processo tributario, Padova, 1996, pp. 136 e ss.

[3] I sostenitori di tale orientamento, per avallare la loro posizione, prendevano come legittimo riferimento normativo l’art. 1 del D.Lgs. n. 546/1992 che così statuiva: “I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”. Dall’analisi della norma suddetta si può constatare come il legislatore attribuisca al giudice tributario, nei casi o di vuoti di tutela normativa o di difficoltà interpretativa di disposizioni normative, il potere-dovere di applicare la norma di riferimento contenuta nel codice del rito.

[4] In merito alla definizione di litisconsorzio nel processo civile si è espressa anche la Cassazione Civile, Sez.III, con sentenza n. 11765 del 2002, che asserisce “Il litisconsorzio necessario ricorre, oltre nei casi espressamente previsti dalla legge anche quando la situazione sostanziale plurisoggettiva dedotta in giudizio, debba essere necessariamente decisa in maniera unitaria nei confronti di ogni soggetto che ne sia partecipe onde privare la decisione dell’utilità connessa con l’esperimento dell’azione proposta”.

[5] Randazzo, Litisconsorzio necessario tra condebitori d’imposta su atti di divisione, sentenza n. 1052 del 2007, in Corriere Tributario, 2007

[6] Per alcuni esponenti della dottrina, la necessità del litisconsorzio si ravvisa non in base alla causa petendi, ovvero considerando gli elementi costitutivi della fattispecie, ma in base al petitum, ossia al risultato giuridico perseguito in giudizio.

[7] L’articolo 3 della Costituzione sancisce il principio cardine dell’equo trattamento tra i cittadini-contribuenti in conformità con il principio di uguaglianza formale e sostanziale riconosciuto e garantito per ogni cittadino, l’articolo 53 della Costituzione afferma, invece, il principio secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.

[8] Vedi sentenza Cassazione civlie, Sezioni Unite, 18/01/2007, n. 1052.

[9] Si veda per esempio Bellagamba, Il contenzioso tributario dopo il Decreto Legge del 16 maggio 1996 n. 259, p. 87.

[10] Si vedano le seguenti sentenze: Cassazione, SS.UU., 16/12/1990, n. 12008, in Corriere Tributario, 1990, p. 4062; cassazione. SS.UU., 25/02/1992, n. 2304, in Mass.Giust. Civ.,1992; Cassazione, SS.UU., 17/07/1992, n. 8683, in Mass. Giust. Civ., 1992,;Cassazione, SS.UU., 27/101993, n. 10685, in Giur. imp.,1994, p. 505; Cassazione, SS.UU., 10/10/1994, n. 8277, in Mass. Giur. lav., 1994, p. 635; Cassazione; SS.UU., 11/08/2000, n. 10613, in Giur. imp., 2001, p. 35 e Cassazione 27/09/2000, n. 12814, in Boll. Trib., 2000, p. 1765, con nota di De Mita.

[11] Non sempre, però, la giurisprudenza riconosce nelle liti promosse dal sostituto d’imposta nei confronti del sostituto una ipotesi tipica di litisconsorzio necessario. Ci sono state, infatti, alcune pronunce della Corte di Cassazione che non hanno ravvisato nelle liti suddette ipotesi di litisconsorzio necessario ( Cass9 febbraio 2000, n. 1433; Cass. 27 settembre 2000, n. 21814, Cass. 4 ottobre 2000, n. 13182). Ultimamente le Sezioni Unite (Cass. SU 15 novembre 2005 n, 23019) hanno riconfermato l’ipotesi di litisconsorzio necessario.

[12] Vedi per esempio Bafile, Il nuovo processo tributario, Cedam, 1994, e Drigani-Lunelli, Guida al nuovo processo tributario, IPSOA, 1996.

[13]La dottrina dominante rileva altre ipotesi di litisconsorzio necessario nei casi, ad esempio, di morte del ricorrente con conseguente trasferimento della legittimazione processuale agli eredi che si trovano a succedere nella posizione processuale del de cuis in situazione di litisconsorzio necessario (Alberti, Castaldi), oppure nei casi di controversie promosse dal lavoratore sostituto d’imposta volte a chiedere il pagamento anche di quella parte del credito che quest’ultimo ha trattenuto e versato in più a titolo di ritenuta sulla paga o sullo stipendio

[14] Il difetto d’integrità del contraddittorio può essere denunciato la prima volta con ricorso in Cassazione, purchè la prova relativa risulti da atti e da documenti acquisiti nel giudizio del merito, in modo tale che la Cassazione possa esaminare con cognizione piena eventuali errores in procedendo e che sulla questione non si sia formato giudicato (Cassazione Civile, sezione II, 20 dicembre 1994, n. 10968).

[15] Il mancato rispetto dell’ordine giudiziale sia per assoluto che per tardivo inadempimento rispetto al termine fissato da giudice, determina l’estinzione del giudizio per mancata attività delle parti.

[16] Glendi, Le SS.UU. della Suprema Corte s’immergono ancora nel gorgo del litisconsorzio necessario, in Rivista di Giurisprudenza tributaria, 2008, pp. 933 e ss.

[17] Antico, Sentenze motivate per relationem, ne “La Settimana Fiscale”, ed. n. 38 del 16 Ottobre 2008, p. 38

[18]È bene sottolineare come nel processo tributario l’intervento possa essere “volontario” oppure possa realizzarsi mediante la “chiamata in causa”. Il Legislatore della riforma, con l’istituto dell’ “intervento volontario”, fa esclusivamente riferimento all’iniziativa di un terzo che, spontaneamente, interviene in giudizio perché interessato allo svolgimento e all’esito del processo medesimo.

L’istituto dell’intervento per “chiamata in causa” trova applicazione nel processo tributario tramite rinvio alle norme del codice di procedura civile, per le quali la chiamata in causa può essere richiesta o su mera iniziativa di parte oppure su specifico ordine del giudice.

[19] Consolo,Glendi,Commentario breve alle leggi del processo tributario, Padova, 2001, pp. 126 e ss.