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Il ritornello mediatico del bel gioco

Ogni occasione sembra valida per svilire il calcio italiano e il difensivismo, ma i risultati ci dicono un’altra cosa
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Ci risiamo, sembra che non aspettino altro. Dall’eliminazione della Juventus - e di tutte le italiane - dall’Europa, hanno riattaccato i soliti soloni con i processi del giorno dopo. E i salotti sportivi si sono trasformati nelle arene politiche post-voto, in cui si snocciolano dati e si forniscono interpretazioni sull’accaduto.

La più in voga, soprattutto dopo il crollo bianconero contro gli sfrontati ragazzi dell’Ajax, è stata una tesi che ad intervalli regolari occupa la narrazione pallonara: In Europa vanno avanti le squadre che propongono, non quelle che rinunciano. Così si sono riaffacciate le solite frasi fatte, il solito “si dice” intorno al bel gioco, questa entità metafisica che viene richiamata sempre più spesso in mancanza di argomentazioni più approfondite. Perché in Europa bisogna avere un’identità di gioco offensiva, che consenta di proporre calcio! Questo è il vero salto di qualità, in una narrazione “sacchiana” - colui che sostanzialmente importò nel nostro Paese il calcio totale, ancora, ajacide - che liquida il dibattito in quattro e quattr’otto.

Peccato che i numeri dicano tutt’altro.

Prendiamo le ultime cinque edizioni della Champions League: quattro volte hanno trionfato i blancos del Real Madrid e una volta i catalani del Barcellona.

Semplicemente le squadre più forti in circolazione, dall’alto di Cristiano Ronaldo e Messi ma anche dei vari Modric, Kroos, Sergio Ramos, Marcelo oppure Iniesta, Suarez, Neymar, Piquè e via discorrendo. Ben quattro volte su cinque, tuttavia, ha raggiunto la finale una squadra che non aveva certo fatto del calcio offensivo una sua bandiera: due volte la Juventus, due volte i colchoneros dell’Atletico Madrid, tra le big europee la formazione più catenacciara che esista, secondo alcuni addirittura l’“anti-calcio”, un undici che “fa schifo”, per citare le parole di un noto giornalista sportivo di stanza a Sky.

Questo dimostra come, sotto i più forti del mondo – che spesso hanno solo dovuto gestire insieme tutte le stelle presenti in squadra –

si siano proposti club che facevano della compattezza e dell’attenzione difensiva i propri pilastri.

Nessuna traccia del bel gioco, nessuna traccia dei vari Ajax, Manchester City, Napoli e chi più ne ha più ne metta.

Tuttavia sembra che ciò non sia sufficiente; si perché ci vuole quel bel gioco, quel calcio propositivo, in un mantra che si ripete continuamente e anche in modo piuttosto stucchevole, lasciatecelo dire. Il soggetto dell’eliminazione della Juventus, tra l’altro, non è stato in primis il “bel gioco” dell’Ajax bensì la condizione fisica totalmente insufficiente della Vecchia Signora, che si è palesata tra i secondi tempi di andata e ritorno con calciatori piegati sulle ginocchia, incapaci di accompagnare l’azione offensiva e di accorciare gli spazi, difensivamente, tra il centrocampo e la difesa.

D’altronde generalizzare è semplice ma la complessità sta nel particolare: nell’analisi della singola partita, del periodo specifico, di tanti altri fattori che non si lasciano ingabbiare nella chiacchiera o nelle prese di posizione ideologiche.

Anche perché noi Italiani, a copiare dagli altri, non siamo poi tanto bravi.

E già ce lo diciamo sempre in politica o in economia che dovremmo prendere spunto dai più virtuosi di noi (anche se lì ci basiamo su dei dati, e comunque finisce sempre tutto in un nulla di fatto): almeno nel calcio evitiamo la propaganda, e tentiamo di analizzare le cose nella loro irriducibile singolarità.

Ricordandoci chi siamo e da dove veniamo, o se proprio non vogliamo essere catenacciari, difensivisti, reazionari, provando almeno a ragionare sui dati: anche perché negli ultimi anni, quando l’Europa doveva incoronare i suoi campioni, del “bel gioco” non ne abbiamo visto neanche l’ombra.

Il tutto mentre i difensivisti, conservatori e trogloditi, che imperterriti continuano ad ostacolare il ritmo incessante del progresso calcistico, erano lì a lottare per il trionfo finale.