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Intervista all'artista Daniele Cabri

Ad lunam presso la galleria Studio Cenacchi di Bologna
Daniele Cabri Quando eravamo selvaggi secondo il cinghiale 2018 pelle incisa a fuoco e cucita, 89  x 156 cm
Ph. Daniele Cabri / Daniele Cabri Quando eravamo selvaggi secondo il cinghiale 2018 pelle incisa a fuoco e cucita, 89 x 156 cm

La galleria Studio Cenacchi di Bologna ospita fino al 20 novembre Ad lunam, personale di Daniele Cabri.

L’artista, rispondendo alle mie domande, ci introduce al suo universo immaginario e all’esposizione in corso.

Daniele Cabri Quando eravamo amabili selvaggi secondo Lucio,  2017, pelle incisa a fucoco e carteggiata, 109  x 208 cm
Daniele Cabri Quando eravamo amabili selvaggi secondo Lucio, 2017, pelle incisa a fuoco e carteggiata, 109 x 208 cm

 

Daniele, Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

Sinceramente non saprei, io faccio liberamente anche in età adulta ciò che facevo da bambino. Vedendo poi che il mio vivere appena trascorreva diventava poetico, o avevo bisogno impellente che prendesse forme cosiddette poetiche o artistiche, e questo mi riempiva totalmente per gran parte della giornata sia fisica che psicologica, pensai che potevo farci una professione per provare a viverci; anche perché vedevo conclusa la mia vita fatta di lavori di sopravvivenza che non mi davano più nessun piacere e soddisfazione per il futuro e non mi rappresentavano più.

 

Se potessi incontrare un artista del passato, chi vorresti conoscere?

Oggi sono lunatico come non mai e, rispetto ad altri artisti che ho citato in passato (Van Gogh e altri) ti dico che forse vorrei incontrare il misterioso e cupo Theodore Gericault, il creatore della zattera, per l’incredibile suo impeto romantico che sento molto vicino a me e al furore del mio “fratello” Antonio Ligabue. Per la sua oscurità! Io nella mia zattera personale ho messo quasi tutto il mio paese d’origine [Rocchetta, comune di Guiglia, MO]. L’ho rappresentato in una grande tela per sconfiggere la corrosione del tempo!!

 

Da circa sei anni hai scelto come supporto per le tue opere le pelli animali. Come è nata questa scelta?

Fu una scelta di pura istintività, una risposta di budella sconvolte dall’incontro con la moda milanese dell’arte contemporanea. Solo, bastonato nell’intimo tanto da veder una vita intera creativa buttata al macero mi nacque la folgorazione della pelle che avrei potuto lavorare con il fuoco. Dal primo approccio ho riconosciuto il mio materiale dell’anima!

 

La tua profonda e intensa indagine sulla memoria di Rocchetta e dei suoi ultimi abitanti come nasce?

Io cerco e ho sempre cercato una terra primigenia, sia nella creazione che nella vita reale. Sono come un primitivo che rielabora la propria origine, si chiede da dove viene. Cerco un inizio, un Big Bang. Ho sempre cercato a livello psichico l’origine in una mia nonna paterna che era nata in una casa al margine del bosco e questa cosa mi legava alla mia parte selvatica e poi a mio nonno dalla parte materna che era nato sotto a i sassi di Rocca Malatina. A livello psichico avevo un immaginario arcaico e selvaggio popolato di uomini chiusi e animali secchi spelacchiati e selvaggi con pochi domestici ammaestrati. Io ho sempre cercato una terra western primitiva appena fuori l’uscio di casa mia e la cerco tutt’ora in questa età matura volta al tramonto.

 

Importantissimo per la tua vita, indissolubilmente legata al tuo fare arte, è l’approfondimento delle pratiche sciamaniche. Cosa vuoi dirci a riguardo?

A volte facevo cose che andavano oltre il fare artistico, mi accorsi che la mia energia interiore voleva canalizzarsi non solo in un’opera, ma spesso voleva andare molto oltre. L’opera non era sufficiente. Mi piaceva espormi di persona con la mia pelle nel mondo, anzi, ne sentivo l’impellenza fisica. Le stesse rappresentazioni di quando ero bambino erano come riti, performance che sembravano proprio i riti sciamanici delle tribù animistiche. Da questa constatazione ad intraprendere la strada della performance artistica e rituale sciamanico sposati insieme il passo fu brevissimo.

 

Arriviamo dunque a parlare di Ad lunam, [qui una selezione di opere: Link] la mostra in corso curata da Elisabetta Roncati e Maria Chiara Wang.

Il testo critico di Maria Chiara mi descrive benissimo, anzi chiarisce a me stesso la mostra che è nata. Credo che il periodo di attesa e raccoglimento del lockdown mi abbia portato a rivisitare il concetto di protezione e casa, il calore e il tatto e il nostro intenso odore di animali, quali siamo. La Latebra nome dato da Maria Chiara alla cupola indiana di pelli, rappresenta la cupola interna della nostra intimità, dove risiede la nostra anima rivestita da tutte le persone incontrate nella nostra vita di bambini e di adulti dopo.

Le lune sono nate grazie a mia moglie Nadia, che durante questo periodo ha aumentato di molto le panificazioni casalinghe. Avendole sempre sotto occhio, queste impronte hanno affascinato il mio immaginario visivo; ci ho visto tutte le lune dell’universo che gestiscono tutte le nostre manifestazioni umane con le loro rotte celesti. Ci ho visto inoltre una giostra mobile dove le lune possono stare racchiuse al suo interno, circoscritto da quattro pali fatti di canne di bambù che disegnano di nuovo la capanna indiana sopra una ruota rossa che messa in orizzontale gira su un asse del mondo.

Dunque nella mostra si trovano la terra con il suo humus fatto di foglie, pelli incise con figura umane, racchiuse nella circolarità della Latebra che ricorda sia frontalmente che dall’alto le Lune dell’ultimo piano. La Latebra è al piano sotterraneo da dove nascono tutti i semi riposti durante l’inverno, poi al piano terra, da dove si entra, si trovano una parte delle persone di pelli facenti parte del ciclo di Quando eravamo amabili selvaggi che si incamminano verso il sotterraneo per entrare nella Latebra e poi, dopo il rito all’interno di essa, ci si trasfigura all’ultimo piano, già purificati pronti a godersi la cosmogonia dell’intero universo con le Lune.

 

Daniele Cabri Quando eravamo amabili selvaggi secondo la monta cosmica,, 2017, pelli cucite con spago incise a fuoco, 100  x 200 cm
Daniele Cabri Quando eravamo amabili selvaggi secondo la monta cosmica, 2017, pelli cucite con spago incise a fuoco, 100 x 200 cm

www.studiocenacchi.com/adlunam/