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Il più bel commento alla “commedia” sono le illustrazioni di Botticelli

Mappa dell'Inferno, La Divina commedia, Botticelli
Mappa dell'Inferno, La Divina commedia, Botticelli

Novantadue pergamene di notevole formato, 325 x 475 millimetri, è quanto ci resta di un’impresa che avrebbe potuto rappresentare un gioiello unico e particolare nella storia, pur ricca di capolavori, del Rinascimento: novantadue episodi della “Commedia” dantesca dipinti dal Botticelli, ma rimasti invece allo stadio di disegni seppure di una bellezza e di un interesse indicibili.

Proviamo a immaginare il raffinato pittore fiorentino che tra una pala d’altare e una allegoria pagana riceve da Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, cugino in secondo grado di Lorenzo il Magnifico, l’incarico d’illustrare la “Divina Commedia”.

Anche se le “botteghe” dei pittori, dal Medioevo e fino al Settecento, erano disponibili per le più svariate ordinazioni che potevano andare dalla decorazione di un palio, di uno stemma, un cassone da sposa, una pala d’altare o una decorazione murale, e quindi abituate alle richieste più impensate, la proposta del Medici deve aver fatto riflettere il Botticelli, sia per il caso, nuovo per lui, di dover commentare pittoricamente un poema come la “Commedia”, vuoi al pensiero che, se una richiesta del genere veniva fatta a lui vuol dire che ci si aspettava qualcosa di veramente notevole, di unico.

Tutto questo, se poteva da un lato lusingarlo, dall’altro gli prospettava il pensiero di un lavoro lungo e paziente, alle prese con un testo da leggere e rileggere per stabilire il soggetto da illustrare, ogni volta diverso eppur legato agli altri e chissà per quante volte.

Una commissione capace di destare in lui quel tipo di preoccupazione che per un artista rappresenta sempre una remora fastidiosa: la costrizione alla ripetizione; in questo caso, se non altro, la presenza costante delle due figure protagoniste, prima Virgilio e Dante, poi Dante e Beatrice in primo piano per ogni avvenimento e spesso replicate più volte nello stesso foglio.

Rimasto incompiuto, su questo lavoro non abbiamo notizie precise, sicuramente la voce della particolare commissione era circolata nell’ambiente artistico e letterario del tempo almeno quanto bastava per far scrivere al cosiddetto Anonimo Magliabechiano: <Dipinse e storiò un Dante in cartapecora a Lorenzo di Piero Francesco de’ Medici, che fu cosa meravigliosa tenuto>. Parole di elogi sentiti fare senza aver visto l’opera che di “dipinto”, in realtà, ha un foglio o poco più.

Si congettura molto su gli interrogativi che continua a sollevare quest’opera: dall’uso e destinazione, a come le pergamene sarebbero state legate al testo o se fossero nate per altra funzione.

Se il lavoro, così come oggi lo vediamo, venne donato dal Medici a Carlo VIII Re di Francia in occasione di uno dei loro possibili incontri in Francia o in Italia, 1483, 1494 o 1501, vorrebbe dire che Botticelli, essendo ancora vivo, aveva rinunciato a completarlo, perché? Cominciava a pesargli l’idea, dopo averli disegnati, di dover passare a dipingere oltre cento fogli?                          

In tal caso avrebbe ragione il Vasari quando, mettendo insieme questa commissione con l’edizione della “Commedia” uscita a stampa nel 1481 e per la quale Botticelli aveva fornito una ventina di disegni tradotti in incisione da Niccolò di Lorenzo, scriveva di un impegno <dietro al quale consumò dimolto tempo; per il che non lavorando, fu cagione di infiniti disordini alla sua vita>.                     

Niente di più probabile, anche perché l’artista aveva voluto restare fedelissimo al testo seguendolo con immagini in ogni avvenimento, evitando fredde ripetizioni e quasi non mostrando stanchezza.                                                                                                                                  

Botticelli non era un miniaturista, un illustratore o, come si direbbe oggi, un grafico dalla matita facile che improvvisa e ripete stereotipi da riproporsi in continuità, tipo fumetto, come manichini anonimi atteggiabili nelle diverse posizioni.

Per lui, seppure pensava al tutto come a una continuità narrativa, ogni foglio avrebbe dovuto rappresentare un caso pittorico, con una propria composizione, magari in scene simultanee, ma con una qualità alta da rinnovarsi di volta in volta; quasi scene di una predella con cento episodi.

Prima di pensare al colore, Botticelli disegnò gli oltre cento fogli, alternando la punta di piombo che traccia schizzi morbidi e vivissimi, allo stilo d’argento che delinea precisando, e quindi il tocco in penna che però qualche volta perde di forza e di stile rivelando l’intrusione di una mano diversa, probabilmente di un allievo, dal segno incerto, poco convincente, quasi frettoloso e comunque tanto diverso da quello sicuro, sempre elegante e leggero, che delinea figure, cavalli, rocce, piante, oggetti, come solo il grande maestro poteva fare.                                                                

La bellezza dei disegni è tale che forse è da ringraziare la sorte per il fatto che siano rimasti così; il colore ci avrebbe tolto la possibilità di ammirare questo primo passaggio dell’opera fermata nell’intimità creativa, né più né meno come accadde per l’“Adorazione dei Magi” o il “San Gerolamo” di Leonardo i quali, oltre al mirabile effetto, ci permettono di seguire dall’inizio la genesi del capolavoro.

Botticelli disegna, inventa e ripete ex nuovo mantenendo sempre una vivacità e un’atmosfera magica tra le figure che stupisce e incanta.

I personaggi dei suoi grandi dipinti prestano posizioni, atteggiamenti e panneggi a queste figure per la “Commedia”. Quante volte in Beatrice ritroviamo le donne della “Primavera” o della “Nascita di Venere” che di quelle richiamano la leggiadria, lo stile e l’eleganza! Figure piccole, ma con l’afflato della grandezza, che si muovono tra i gironi dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso in alternanza di antri oscuri, fiori e luce.

Una impresa enorme che indubbiamente finì per preoccupare il Botticelli. Il disegno era una fiaba raccontata a sé stesso su suggerimento dantesco ma dipingere gli oltre cento fogli sarebbe stata una fatica enorme, forse superflua e per lui ormai insopportabile.

Botticelli

Non è neppure provato che il foglio pressoché completo che abbiamo sia stato dipinto da lui e, certamente non è sua la mediocre sezione dell’Inferno. L’avrà suggerita, forse schizzata, ma non può essere suo il disegno conclusivo né tantomeno il colore. Che cosa hanno in comune i piccoli personaggi dei dannati risolti come bozzoli informi o i buffi gnomi che dovrebbero rappresentare Virgilio e Dante, tanto mal disegnati e peggio dipinti, confrontati con le stupende figure ricorrenti in tutti gli altri fogli? È probabile che questa sezione sia stata completata successivamente tanto per dare un frontespizio figurato alla raccolta.

Come eccezionale introduzione a questa insolita mostra troviamo i maggiori dipinti dell’artista provenienti da Bergamo, Firenze, Londra, Cambridge (USA), Monaco, Granada e Barcellona, oltre a un gran numero di manoscritti, codici, incunaboli e preziose edizioni commentate e illustrate da personaggi che vanno dal Boccaccio al Landino. Infine una scelta di disegni dal Verrocchio a Leonardo; una mostra nella mostra che i due volumi del catalogo Skira illustrano ottimamente.

Articolo uscito, il 26 ottobre 2000, sul Quotidiano “Libero”, Milano.

Per la mostra allestita a Roma, Scuderie Papali al Quirinale, fino al 3 dicembre del 2000. Si tratta di tutti i fogli in cartapecora rimasti della “Divina Commedia”, illustrata dal Botticelli, 85 appartenenti al Kupferstickabinett di Berlino e 7 alla Biblioteca Apostolica Vaticana.