“A la futura gente”
O somma luce che tanto ti levi
dà concetti mortali, a la mia mente
ripresta un poco di quel che parevi,
e fa la lingua mia tanto possente,
ch’una favilla sol de la tua gloria
possa lasciare a la futura gente
Divina Commedia, Paradiso, canto XXXIII, vv. 67-72
Quel verso luminosissimo e pieno di speranza ma anche di disperazione, con cui il Poeta, al cospetto del mistero divino, sembra chiamarci a essere suoi interlocutori, con cui prega che gli sia fatto dono di un linguaggio «tanto possente» da raggiungere tutta l’umanità che verrà dopo, rappresenta il punto di contatto fra noi e Dante, che si rivolge oggi a noi. E sembra non solo esprimere il desiderio, del poeta, di continuare a vivere attraverso i suoi versi ma anche di trasmetterci un’assunzione di responsabilità verso chi verrà dopo di noi.
Chiuse le celebrazioni per il settecentenario della morte di Dante Alighieri, siamo a pochi giorni dal 25 marzo, data che gli studiosi riconoscono come inizio del viaggio nell’aldilà della Divina Commedia e noi partecipiamo alla celebrazione del Dantedì mostrandovi alcuni documenti preziosamente conservati nell’Archivio di Reggio Calabria.
L’arco della vita di Dante si sviluppa per intero durante il regno dei primi tre angioini
“L’arco della vita di Dante si sviluppa per intero durante il regno dei primi tre angioini, Carlo I, Carlo II, Roberto, che ereditano lo stato normanno-svevo con il complesso delle sue risorse, della sua organizzazione amministrativa e delle sue possibilità di sviluppo politico-economico”.
Di questo periodo storico, dal XIII al XIV secolo, così come per il periodo normanno-svevo, non esistono presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria documenti originali bensì documenti in copia, che per la paziente opera dell’archivista Salvatore Blasco, incaricato con delibera del 3 giugno 1899 del Consiglio Provinciale di Reggio Calabria di raccogliere e trascrivere i documenti “antichi e preziosi” della provincia conservati presso il Grande Archivio di Napoli e per la lungimiranza dell’Amministrazione Provinciale del tempo, sono stati trascritti dagli Archivi di Stato di Napoli e Catanzaro e che fanno parte oggi di quella documentazione che è definita atipica in quanto non riconducibile alla relativa istituzione. Questa documentazione ha nell’Archivio di Stato di Reggio Calabria la segnatura RACCOLTE E MISCELLANEE.
Periodo Angioino e Aragonese
La città di Reggio sia per la sua condizione di terra di frontiera sia per la sua posizione geografica fondamentale per il controllo del Mediterraneo è a lungo interlocutrice costante e riferimento obbligato sia degli Angioini che degli Aragonesi i quali si alternano per lungo tempo nel governo della città senza che mai una delle due parti avverse trionfi sull’altra. Ostilità che, contrariamente a quanto stabilito nel trattato di pace di Caltabellotta del 1302 e nel concordato tra Giovanna I d’Angiò e Federico IV d’Aragona del 1372, non vengono mai a cessare.
La necessità di mantenere buoni rapporti con i reggini riservando loro un trattamento di favore attuando una politica protezionistica, è elemento comune alle opposte fazioni.
Con l’avvento del regime angioino(1265-1442), caratterizzato da un equilibrio estremamente precario sia interno che esterno (la politica guelfa dei sovrani, il novantennale conflitto con la Sicilia e le guerre di successione al trono) Reggio, città posta a capo del Distretto meridionale del Giustizierato di Calabria (doc. 2,16), assume come è evidenziato dal gran numero di castelli reali disposti nel territorio tra Catona e “Santo Niceto”, il ruolo di nodo strategico del sistema difensivo sia interno che esterno.
Statuto dei castelli della Calabria e della Val di Crati e Terra Giordana con il numero dei castellani addetti alla custodia dei castelli di Reggio, Calanna, Catona, Sant’Agata, Santo Niceto, Misiani, Tropea, Monteleone, Nicastro, Bovalino, San Roseto, Pietra Roseto, Cosenza e Cassano
La classe baronale
Essenziale supporto militare del Regno è la classe baronale solidamente radicata nei posti di comando. Tuttavia la litigiosità dei baroni, unitamente al loro sostanziale antagonismo con la monarchia (le periodiche rivolte ed agitazioni feudali), rende coscienti i sovrani dell'impossibilità di contare su di loro nonostante la distribuzione di cariche, privilegi ed appannaggi con quali la feudalità, talora, costituì veri e propri stati indipendenti. Per questo la sedimentazione del baronaggio è molto precaria nel corso del tempo e repentini mutamenti di fronte spiegano le alterne fortune nel giro di due o tre generazioni delle famiglie feudali e l’avvicendarsi dei titolari dei feudi.
Del 1313-1314, NAPOLI
Roberto (d’Angiò) duca di Calabria invia a Giovanni conte di Gravina l’elenco dei baroni feudatari calabresi che hanno combattuto al suo fianco contro Federico d’Aragona perché venga esaminato e corretto.
In questo contesto la città di Reggio riceve, per la devozione di cui dà prova ai sovrani angioini, innumerevoli privilegi e concessioni rivolte all’amministrazione dell’Università, alla libertà di trasporto di frumento, all’esenzione da dazi e gabelle, alla protezione da molestie e rappresaglie e al commercio in contrasto con il rigido ed oppressivo sistema fiscale cui era solitamente improntata la politica economica dello Stato.
In questo contesto la città di Reggio riceve, per la devozione di cui dà prova ai sovrani angioini, innumerevoli privilegi e concessioni rivolte all’amministrazione dell’Università, alla libertà di trasporto di frumento, all’esenzione da dazi e gabelle, alla protezione da molestie e rappresaglie e al commercio in contrasto con il rigido ed oppressivo sistema fiscale cui era solitamente improntata la politica economica dello Stato.
2 novembre 1323, Napoli
Roberto d’Angiò avendo saputo che nel castello di Gerace si cospirava con i ribelli siciliani, ordina a Guglielmo Ruffo “consiliario e familiare” di recarsi sul luogo con Marino Cossa “milite justiziario calabria” per informarsi su ciò che accade in modo da poter agire immediatamente.
Alla morte di Giovanna II d’Angiò, con il prevalere nella guerra di successione al tono di Napoli di Alfonso I d’Aragona, si apre un’epoca (1442-1504), se pur caratterizzata dall’ostilità dei baroni verso la politica accentratrice ed autoritaria della monarchia (la rivolta del 1459-1464, la congiura dei baroni 1484-1486) e dall'avanzata dei ceti medi, di grandi riforme: l'istituzione dei Parlamenti Generalila ristrutturazione dell’apparato giudiziario amministrativo e l’istituzionalizzazione della compravendita dei titoli nobiliari e feudi con la connessa smilitarizzazione dell’obbligo feudale (adhoa) trasformato in semplice obbligo contributivo, modificando così la natura del feudo da strumento per l’esercizio del potere politico ad una specie di grande azienda economicamente redditizia e socialmente prestigiosa, e non ultima la riforma fiscale.
Nonostante Reggio viva inizialmente un periodo di infeudazione ad Alfonso de Cardona (1443-1465), Alfonso e i suoi successori attuano, manifestando così l’interesse di avere un vasto consenso sul territorio reggino, una politica di piena disponibilità offrendo ai nobili, al mondo ecclesiastico ed alla città di Reggio concessioni e privilegi, esenzioni dal pagamento di tributi e soprattutto concedendo alla città di Reggio i Capitoli che regolano l’amministrazione dell’Università.