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Riflessi dei romanzi cortesi nella Divina Commedia

Miniatura con scena di battaglia tra cavalieri inglesi e francesi. Questi ultimi sono guidati da “roy Luis” (presumibilmente Luigi IX il Santo, 1214-1270). Particolare ASMo, Manoscritti della Biblioteca, Frammenti, b. 11/a, fr. 18 (Grandes Chroniques de France).
Miniatura con scena di battaglia tra cavalieri inglesi e francesi. Questi ultimi sono guidati da “roy Luis” (presumibilmente Luigi IX il Santo, 1214-1270). Particolare ASMo, Manoscritti della Biblioteca, Frammenti, b. 11/a, fr. 18 (Grandes Chroniques de France).

Quale fosse la “biblioteca” personale di Dante Alighieri costituisce, ancora oggi, un mistero. L’esilio, le permanenze presso le corti veronese e ravvenate, i frequenti viaggi e le missioni per conto dei suoi protettori: tutti questi elementi concorsero a complicare il lascito del Poeta, al quale, peraltro, non è possibile ricondurre alcun manoscritto autografo.

Possiamo certo desumere le sue conoscenze, nei vari ambiti del sapere tipico dell’epoca, in parte grazie alla tradizione di alcune opere ritenute imprescindibili, in parte per tramite degli stessi scritti di Dante; sono nomi che risuonano nelle pagine della Commedia e che ci raccontano dei grandi autori ereditati dal mondo classico o trasmessi come maestri del sapere cristiano: s. Tommaso d’Aquino, Stazio, s. Pier Damiani, Orazio, Cicerone, Lucano, Ovidio e, certo, Virgilio…

ASMo, A.S.E., Cancelleria, Archivio per materie – Letterati, b. 17b (Dante Alighieri, Commedia, Purgatorio, c. XXIII 70-133, c. XXIV 1-15). Dante, in compagnia di Virgilio e Stazio, parla con il penitente Forese Donati.
ASMo, A.S.E., Cancelleria, Archivio per materieLetterati, b. 17b (Dante Alighieri, Commedia, Purgatorio, c. XXIII 70-133, c. XXIV 1-15). Dante, in compagnia di Virgilio e Stazio, parla con il penitente Forese Donati
Particolare ASMo, Manoscritti della Biblioteca, Frammenti, b. 2, fasc. 1, fr. 10 (Publio Virgilio Marone, Georgiche, libro IV).
Particolare ASMo, Manoscritti della Biblioteca, Frammenti, b. 2, fasc. 1, fr. 10 (Publio Virgilio Marone, Georgiche, libro IV)
ASMo, Manoscritti della Biblioteca, Frammenti, b. 16, fr. 13 (Publio Papinio Stazio, Tebaide, libro IV).
ASMo, Manoscritti della Biblioteca, Frammenti, b. 16, fr. 13 (Publio Papinio Stazio, Tebaide, libro IV)

Inoltre, la cerchia degli stilnovisti, in cui Dante aveva mosso i suoi primi passi poetici, non era a digiuno di una letteratura forse meno celebrata, ma ormai altrettanto diffusa, trasmessa a partire dalle corti oiltane di Francia fino al resto di Europa. Si trattava di quei romanzi cortesi che tramandavano la cosiddetta materia di Bretagna.

La materia di Bretagna narra, è cosa nota, le imprese del ciclo arturiano, arricchite da episodi originariamente spuri come la vicenda di Tristano e Isotta. Costruito sulla scia della poesia provenzale trobadorica e delle epiche chanson de geste, il complesso e multiforme corpus arturiano si modellò, originariamente, sull’affabulazione narrativa derivata da fonti disparate, originarie della Britannia insulare: il De excidio et conquestu Britanniae di s. Gildas di Rhuys (VI secolo); la Historia ecclesiastica gentis Anglorum di Beda il Venerabile (731 ca.); l’Historia Bretonum dello pseudo-Nennio (828 ca.); gli Annales Cambriae (950 ca:.); il Mabinogion gallese; la celeberrima Historia regum Britanniae di Geoffrey di Monmouth (1136-1147).

Particolare ASMo, Manoscritti della Biblioteca, Frammenti, b. 11/a, fr. 7 (Wauchier de Denain, Histoire ancienne jusq’à César).
Particolare ASMo, Manoscritti della Biblioteca, Frammenti, b. 11/a, fr. 7 (Wauchier de Denain, Histoire ancienne jusq’à César)

Sulla scorta di questa ricca messe di racconti, spesso interpretati come vere e proprie cronache, si giunse poi alla massima espressione della lirica francese medievale, i cinque romanzi composti da Chrétien de Troyes per le colte corti dello Champagne e di Fiandra (1170-1190 ca.). L’opera di Chrètien, spesso infarcita di una visione letteraria quasi moderna, arricchì la materia di alcuni elementi divenuti poi fondamentali: in special modo, la relazione adulterina tra Lancillotto e Ginevra e la cerca del Santo Graal.

Con un’espressione tanto cara alla nostra epoca, le vicende narrate nel ciclo arturiano faticarono a trovare un preciso canone: frutto di rielaborazioni ed aggiunte, costruite anche sul dialogo tra autori diffusi nel tempo e nello spazio, gli avvenimenti ruotanti attorno alla Tavola Rotonda divennero, in breve tempo, i protagonisti di innumerevoli opere, trasmesse dalla Germania al sud della Francia, dall’Inghilterra normanna alla penisola italiana.

Una sorta di stabilità venne raggiunta solo nel ciclo vulgato del Lancelot-Graal, un vasto affresco narrativo suddiviso in cinque parti, composto tra il 1215 ed il 1235. Sorta di modello per la più ampia diffusione europea, il Lancelot-Graal forma la base del Lancelot en prose, trattando delle vicende amorose tra l’eponimo Lancillotto del Lago e la regina Ginevra con una dovizia di attenzione destinata ad influenzare anche i poeti del Dolce Stil Novo.

ASMo, Manoscritti della Biblioteca, Frammenti, b. 11/a, fr. 16 (Lancelot en prose)
ASMo, Manoscritti della Biblioteca, Frammenti, b. 11/a, fr. 16 (Lancelot en prose)

La riverenza verso la donna amata, gli sguardi indegni, certi passaggi vagamente licenziosi, la ricerca costante di una fin’amor al servizio di una dama capace di elevare il rimatore: la poesia italiana del XIII secolo – soprattutto se palermitana e fiorentina – subì un innegabile fascino dalle tematiche del corpus arturiano, grazie anche ad espressioni letterarie locali quali il Tristano Riccardiano.

Dante stesso non fu immune a questa influenza: il De vulgari eloquentia ci informa esplicitamente sulle letture svolte dall’Alighieri delle vicende arturiane scritte in lingua d’oïl. Un’influenza potente ed indubbia, generata nel circolo di letterati amici e compagni di Dante, ma rappresentante una forma di poetica non più accettabile ai tempi della Commedia.

Liberato da quella mondanità carnale e peccaminosa caratteristica del periodo fiorentino, che lo aveva sottoposto ad un giogo instabile e pericoloso, l’Autore, ormai indirizzato dall’esempio quasi sacrificale di Beatrice, quando varca allegoricamente il Cancello dell’Inferno si trova a dover rigettare l’attrazione per i testi arturiani, così caratterizzati da passioni umane vorticose. Tanto vorticose da essere esemplate nelle figure, dannate e commiserate, di Paolo e Francesca, sballottati senza requie da un vento incessante, a memento espiatorio delle debolezze mostrate in vita.

Paolo e Francesca sono i primi veri dannati con cui Dante si confronta una volta disceso agli Inferi; superate le ombre senza colpa del Limbo, il Poeta dialoga con Francesca da Rimini, novella Isotta, che lo impietosisce con un racconto vicino al cuore dell’Alighieri. La vicenda, per i coevi, doveva essere ben nota, anche se la Storia ne ha lasciata poca traccia: l’uxoricidio di Francesca, moglie fedifraga, da parte del marito Gianciotto Malatesta era certo meno importante del compromesso politico tra le nobili famiglie dei due sposi, tanto da non rintuzzare le antiche rivalità, sopite proprie da quella sfortunata unione.

Dante lancia uno sfuggente strale all’assassino, ma la sua vera attenzione si focalizza sulla colpa degli amanti: per quanto egli possa provare pietà nei loro confronti, l’Alighieri, in uno dei passaggi più celebri della letteratura mondiale, evoca le passioni dell’amore, mettendo alla gogna i peccati scaturiti da esso. Non più legato alla poetica della materia di Bretagna, Dante ne ripercorre la sostanza, creando anche una delle metafore più imperiture – e spesso poco comprese – nella storia della poesia: Galeotto fu il libro, e chi lo scrisse.

Lasciandosi alle spalle l’hortus conclusus idilliaco delle vicende adulterine, proscenio degli amori arturiani ed in cui colloca anche gli stessi amanti romagnoli, l’Alighieri libera sé stesso dalle tentazioni, ricordando la figura del mezzano che, nel Lancelot en prose, sospinge al peccato l’incerto Lancillotto: quel Galehaut, figlio della Bella Gigantessa e principe delle Terre Lontane, che incarna, al contempo, le tentazioni dell’amore ed il potere della parola scritta.

La fine luttuosa della vicenda umana di Paolo e Francesca, nelle parole della sua protagonista, consegna così Dante ad un oblio che rappresenta una cesura tematica definitiva, mentre i lettori restano ammutoliti, sconcertati da una fine che, in fondo, riverbera la stessa tragedia di Tristano con Isotta o di Lancillotto con Ginevra.

Dante, nei suoi scritti, non tratterà mai più la materia di Bretagna, che pur, fluida e mutevole, continuerà a scorrere tra le pagine dei più grandi autori di ogni epoca.

 

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D. Alighieri, La Divina Commedia

C. de Troyes, I romanzi cortesi, a cura di G. Agrati e L. M. Magini, Mondadori, Milano, 1983

T. Malory, Storia di re Artù e dei suoi cavalieri, a cura di G. Agrati e L. M. Magini, Mondadori, Milano, 1985

I romanzi della tavola rotonda, a cura di J. Buolenger, ed. italiana a cura di G. Agrati e L. M. Magini, Mondadori, Milano, 1982

V. Sermonti, L’inferno di Dante, supervisione di G. Contini, Garzanti, Milano, 2021

A. Viscardi, Storia delle letterature d’oc e d’oïl, 3° ed., Nuova Accademia Editrice, Milano, 1962