I documenti dell’Ospedale Psichiatrico di Reggio Calabria confluiti nel Fondo “Provincia”
I documenti dell’Ospedale Psichiatrico di Reggio Calabria confluiti nel Fondo “Provincia”
Il fondo “Amministrazione Provinciale”
Fra le attività sanitarie di prim'ordine della Provincia vi erano la custodia e la cura degli infermi di mente, pertanto oggetto di particolare attenzione da parte dell'Amministrazione era l'Ospedale Psichiatrico Provinciale, massimo istituto assistenziale.
I documenti relativi agli ospedali psichiatrici sono riconducibili alle categorie IX, Sanità Pubblica e X, Assistenza e beneficienza.
La Provincia garantiva prevenzione e cura di malattie sociali, vigilanza sugli alimenti, disinfezione e visite sanitarie in caso di epidemie o epizoozie, acquisto e distribuzione di vaccini, soprattutto per particolari malattie infettive come vaiolo, tubercolosi, malaria. Si occupava dell'acquisto di macchinari per il laboratorio di igiene e profilassi.
Le carte dell’Ospedale Psichiatrico Provinciale nel Fondo dell’Amministrazione Provinciale
Nel tentativo di ricostruzione storica delle motivazioni che hanno indotto l’Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria alla realizzazione di un ospedale psichiatrico, è stata effettuata una selezione della documentazione che testimonia l’istituzione, la progettazione, la costruzione e l’organizzazione interna della “cittadella” del nosocomio, presentando un percorso espositivo tra testimonianze per lo più inedite oggi visitabile presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria in una mostra dal titolo “Pel ricovero dei Folli”.
Le motivazioni che portano alla costruzione del nuovo Ospedale Psichiatrico sono di diversa natura: innanzitutto economica e politica, trovare cioè una soluzione alle richieste di assistenza ai malati psichiatrici della provincia e contenere le spese sostenute per le rette di degenze in altri istituti, ma anche la volontà di rispondere alle richieste delle famiglie desiderose di avere vicini i propri familiari ammalati.
Un altro fattore induce sicuramente all’ideazione di un nuovo Ospedale Psichiatrico: l’altrettanto nuova attenzione alla malattia mentale, che proprio in quegli anni emergeva dai nuovi paradigmi psichiatrici e che è possibile rintracciare nelle relazioni tecniche e nelle vicende politiche e amministrative che accompagnano la realizzazione del progetto.
L’Ospedale Psichiatrico non è un semplice presidio terapeutico, ma è esso stesso, in quanto luogo geografico e relazionale, la cura.
La scelta del luogo risponde ad una serie di criteri indispensabili, secondo la psichiatria moderna, ad espletare al meglio l’intervento sanitario sugli ammalati e al contempo garantirne il controllo, come richiesto dalla legge.
È la moderna psichiatria a dettare i criteri di costruzione degli impianti manicomiali: si ritengono fondamentali calma e silenzio, i complessi manicomiali nascono quindi ai margini delle città.
Secondo questi dettami, dopo il terremoto del 1908, in sostituzione della zona prescelta per il primo progetto dell’ingegner Uccelli ovvero l’attuale Caserma Borrace, viene scelta l’area collinare dei “Piani di Modena”.
Tutti questi fattori, in primis la volontà di una gestione autonoma dell’assistenza ai malati psichiatrici da parte della Provincia, portano all’idea dell’edificazione, ex novo, di un proprio manicomio ubicato nel capoluogo reggino.
Il 25 agosto 1906, in accoglimento della nuova legge organica sui manicomi, il consiglio provinciale di Reggio Calabria delibera a favore della costruzione di un Ospedale Psichiatrico.
La stesura di un primo progetto viene affidata al direttore dell’Ufficio Tecnico provinciale, l’ingegnere Uccelli, approvato dal Consiglio Provinciale il 4 settembre del 1908, ma che non verrà mai eseguito per la mancanza di norme tecniche e antisismiche che il terremoto di quell’anno renderà imprescindibili.
Nonostante le urgenze post-sismiche, il progetto del nuovo Ospedale Psichiatrico Provinciale resta però una priorità dell’Amministrazione provinciale, che appena pochi anni dopo il primo tentativo, affida l’ideazione di un nuovo progetto all’Ingegnere Vincenzo Negro.
Negro, specializzato nella progettazione di strutture ospedaliere, ha condotto studi sulle costruzioni antisismiche in cemento armato, per le quali ha brevettato il metodo detto dell’avvolgimento, in grado di dare una maggiore elasticità e resistenza agli edifici.
Il progetto, approvato dal Genio Civile il 18 maggio 1915, prevede la costruzione di 18 padiglioni a uno o due piani, su modello degli Ospedali di Bedburg e di Bergamo, che presenta una struttura detta anche “a villaggio” o a “padiglioni raggruppati”.
Con questo sistema, ogni mezzo di segregazione viene dissimulato per dare al “villaggio” la parvenza di luogo tranquillo, con i padiglioni immersi in ampi giardini non murato ma provvisto di rete metallica, in modo da dare un’immagine di serena tranquillità e non di reclusione, pur garantendo la separazione dei padiglioni per le diverse tipologie di ammalati.
Il progetto conserva una disposizione simmetrica degli edifici, quasi un quadrato, che si estende per 7 ettari e agevola la direzione e il servizio consentendo ai diversi fruitori il facile orientamento all’interno del complesso destinato ad accogliere 338 pazienti.
La disposizione dei padiglioni segue la logica di tenere distanti i locali di ricovero degli agitati dagli edifici amministrativi, in prossimità dei quali sono invece collocati i tranquilli, i paralitici e deboli e i reparti di osservazione.
Nella relazione che accompagna il progetto, l’impianto dei padiglioni viene descritto così: “il sistema scelto è chiamato tipo misto a padiglioni raggruppati con corridoio comunicante ed è il sistema più preferito modernamente perché rappresenta un vero progresso nella Tecnica Ospetaliera specialmente per ragioni di comodità ed economia. I padiglioni mentre sono convenientemente distanziati tra loro risultano così ben raggruppati da riuscire al contempo comunicanti e isolabili secondo occorre”.
I padiglioni sono distinti in “padiglione piccolo”, una sorta di dormitorio con verande per ricoverati; il “padiglione speciale” ad uso degli ammalati infettivi e tubercolotici.
Tra i reparti speciali previsti nel progetto, il padiglione maternità era destinato ad ospitare le partorienti sia sane che ammalate.
Il progetto però si presenta più oneroso del previsto fin dall’inizio dei lavori, nel 1915, quando il sopraggiungere della guerra ne comporta l’immediata sospensione.
L’inflazione dovuta alla crisi economica seguita agli eventi bellici costringe l’Amministrazione provinciale alla stipula di un secondo mutuo e a modificare e semplificare il progetto originario.
Nel 1930, viene nominato direttore il dottor Ernesto Ciarla, già primario dell’Ospedale psichiatrico di Milano, fatto che dà un’ulteriore svolta ai lavori di costruzione.
A lui si deve il progetto di ampliamento della colonia agricola pensata per produrre cibo per l’ospedale e destinata ad ospitare un progetto sperimentale di ergoterapia su pazienti scelti, i quali dovranno vivere in maniera autosufficiente.
L’estensione del progetto comprenderà il pollaio, dove sono allevati oltre 300 polli ed il porcile che accoglie due dozzine di suini.
Tra le testimonianze più interessanti emerse dallo scavo vi sono carte e fotografie relative alla progettazione degli interni e agli arredi. Ogni dettaglio nella progettazione dell’ospedale psichiatrico, che deva rispondere a requisiti di igiene, stabilità, efficienza, è curato nel minimo dettaglio dallo stesso Ciarla.
Il modello di letto in uso nei dormitori dell’Ospedale è infatti progettato direttamente dal prof Ciarla, che illustra in una serie di disegni e specifiche tecniche inviate alle ditte fornitrici, le modifiche da apportare.
È il direttore Ernesto Ciarla a proporre, in una relazione degli anni Trenta, le modifiche alla progettazione del letto-tipo per l’ospedale psichiatrico, secondo quelle che erano ritenute le caratteristiche necessarie alle esigenze peculiari della degenza dei pazienti psichiatrici con eventuale contenzione.
L’ospedale necessita di servizi indispensabili per mantenere l’impianto di “cittadella autonoma”, quindi lavanderia, cucina, panificio e pastificio, frigorifero, impianto caldaie e laboratori di cucito, rammendatura e stiratura della biancheria.
È stata reperita documentazione anche relativa agli altri ambienti: corrispondenza con le ditte per l’affidamento delle forniture, corredate talvolta da campioni fotografici, disegni e piante degli impianti di cucina, frigorifero, panificio e pastificio, lavanderia e autoclave per la disinfezione.
Alcuni documenti particolarmente toccanti riguardano drammatiche testimonianze di vita nel manicomio durante la II Guerra Mondiale, anni in cui proprio i malati psichiatrici, “gli ultimi”, più di tutti subivano le conseguenze del conflitto.
La carne, alimento presente nelle tabelle dietetiche diversi giorni a settimana e necessario al sostentamento dei pazienti, diventa fin da subito un bene irreperibile; l’impossibilità di accedere all’acquisto della farina condiziona la panificazione in proprio e si moltiplicano i furti alla colonia agricola fino ad includere gli animali allevati.
L’evento più tragico portato dalla guerra, è però la morte per denutrizione di un consistente numero di degenti; in una informativa riservata del 31 marzo 1944, L’Ospedale comunica alla Amministrazione Provinciale l’aumento allarmante dei decessi. Nel primo trimestre si registrano 31 decessi su 225 pazienti.
Le privazioni non riguarderanno soltanto il vitto ma anche altri beni di prima necessità, fino ai materiali per la riparazione delle scarpe.
Nel gennaio del 1942 viene richiesto all’Ospedale di conferire le pentole in rame in dotazione come contributo alla raccolta dei manufatti per lo sforzo bellico, con la promessa di provvedere allo loro sostituzione con altrettanti manufatti in alluminio; l’Istituto oltre a non ricevere in sostituzione le pentole in alluminio subisce anche una serie di furti delle stoviglie rimaste, condizionando la regolare preparazione dei pasti dei pazienti per un lungo periodo.
L’ospedale, che si trova vicino ad un deposito militare di esplosivi, viene bombardato nell’ agosto del 1943 riportando una serie di danni.
Il 12 novembre 1943, l’esplosione della polveriera sita nei vicini Piani di Modena danneggia la rete elettrica, interrompendo l’approvvigionamento energetico dell’Istituto; non possono funzionare i laboratori, la cucina, la lavanderia.
Il nucleo documentario reperito e studiato costituisce un punto di partenza per nuove ricerche in materia e non solo, considerando che il fondo dell’Amministrazione Provinciale, dopo la ricognizione e schedatura delle prime 1300 buste, è oggi in corso di riordino e inventariazione per poter essere correttamente consultato dall’utenza.