Quando la selva non è oscura
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
Inf. I 1-6
La plurifunzionalità del bosco
ll topos della selva è da sempre uno dei più mutevoli, nella letteratura così come nell’immaginario comune: nel concetto di bosco convergono spunti e suggestioni divergenti, che si muovono da un’idea positiva dell’ambiente in quanto idilliaco, lontano dalla vita cittadina, ad una negativa di luogo spaventoso, oscuro. Spazio archetipo di miti e fiabe, il bosco è anche il paesaggio in cui hanno inizio le avventure cavalleresche, dove i prodi cavalieri entrano per superare prove e ritrovare se stessi.
Il tempo ha segnato una innegabile espansione dei contorni delle molteplici funzioni del bosco. Fin dalle prime riflessioni dottrinali si è andata immediatamente evidenziando una sorta di plurifunzionalità del bosco come bene non solo produttivo, ma anche naturalmente strumentale alla difesa idrogeologica.
Oggi, al bosco è riservata una posizione strategica nella attuale dimensione della tutela ambientale, non più soltanto come elemento di rilievo all'interno delle aree montane, ma come componente di spicco della biodiversità e argine alle conseguenze che derivano dai cambiamenti climatici. La pluralità del bosco si è via via andata colorandosi di una nuova dimensione che travalica il profilo della difesa idrogeologica e si orienta verso quella ambientale e paesaggistica. In questa direzione, nella variegata plurifunzionalità del bosco, si innesta un diverso peculiare profilo: il bosco concorre con la sua essenza naturalistica, insieme agli elementi che sono frutto dell'intervento dell'uomo o della interrelazione tra l'uomo e la natura, a comporre quel particolare paesaggio, che è elemento identitario di un territorio.
La legislazione forestale pre-unitaria: L’Amministrazione dei boschi e delle selve
Gli Stati preunitari erano dotati, dal punto di vista legislativo, di disposizioni di carattere vincolistico per la tutela boschiva e di propri servizi di sorveglianza e custodia dei boschi. La tutela era ispirata a esigenze economiche o di difesa idrogeologica, facendo una netta distinzione tra i boschi appartenenti ai demani e i boschi appartenenti a privati per i quali erano previste limitazioni solo per urgenti casi interessanti di pubblica utilità. I divieti e i limiti d’uso riguardavano, con modalità più o meno restrittive, i disboscamenti, i dissodamenti e la messa a coltura dei terreni saldi, le estirpazioni e il ‘dicioccamento’ di macchie e arbusti. Pertanto, nella generalità della legislazione forestale pre-unitaria, il principio ispiratore era quello di salvaguardare la stabilità del suolo e il buon regime delle acque e di difendere gli abitati da frane, alluvioni e valanghe, imponendo restrizioni nelle coltivazioni e nell’uso in genere dei terreni maggiormente esposti a eventi dannosi.
A queste condizioni di fondo si rifaceva anche la legislazione nel Regno delle due Sicilie, dove con la legge del 20 gennaio 1811, fu istituita l'Amministrazione generale delle acque e foreste, dipendente dal Ministero delle Finanze, col compito di amministrare e conservare tutti i boschi e le foreste del Regno e di regolare i dissodamenti, i diboscamenti, i tagli delle selve e tutta l'economia silvana.
L'amministrazione generale dei boschi era affidata ad un direttore generale, che nel disporre le istruzioni necessarie per una buona ed uniforme amministrazione, aveva il compito di determinare ogni anno i tagli da effettuare nelle varie ispezioni in cui erano stati divisi i boschi. Erano istituiti, inoltre, tre ispettori generali con il compito di ispezionare i boschi e verificare sul loro stato di conservazione e sui tagli che vi venivano effettuati. Alle dipendenze di ogni ispettore era addetto un numero di sotto-ispettori, incaricati di procedere all'operazione di marcare con il martello gli alberi da tagliare ed assistiti nei loro giri dalle guardie generali. Infine, in ogni circondario silvano, vi erano le guardie particolari e quelle a cavallo che vigilavano continuamente per evitare che fossero arrecati danni.
Il martello forestale era lo strumento con il quale veniva apposto il marchio governativo su tutte le piante destinate al taglio, costituendo così la prova che il taglio stesso era stato debitamente autorizzato. Nella sua forma classica il martello forestale ha da un’estremità una lama affilata a sezione cuneiforme per sfaccettare la pianta, dall’altra, un punzone a sigillo. Nel 1800 quasi tutte le amministrazioni forestali dei vari stati italiani avevano leggi e regolamenti che fissavano l’uso e le caratteristiche del martello forestale poi con l’Unità italiana, con il Regio Decreto del 21 gennaio 1864 n. 1688, furono rinnovati e ridotti ad una forma identica per tutto il Regno.
Il suddetto Regio Decreto ne fissava le caratteristiche e all’art. 1 si stabiliva che: «I martelli governativi a guisa d’accetta in uso nelle diverse Amministrazioni forestali dello Stato e destinati secondo i casi al marchio delle piante da atterrarsi o conservarsi sono rinnovati e ridotti ad una forma sola e identica per tutto il Regno. I caratteri e le impronte dei medesimi nonché le loro dimensioni e qualità sono determinati e stabiliti nel qui annesso modello vidimato d’ordine Nostro predetto Ministro di Agricoltura Industria e commercio». Da questo articolo si comprende che le piante marcate potevano essere non solo quelle destinate all’abbattimento ma anche quelle che si intendevano conservare.
A questa prima legge forestale seguirono, le leggi borboniche del 1819 e del 1826. Con la prima si creò una nuova amministrazione delle acque e foreste unita al demanio, a cui fu affidato il compito di regolare, amministrare e tutelare tutti i boschi e le selve di proprietà dello Stato, e di vigilare, inoltre, sulle selve e sui boschi di proprietà dei privati.
Con la nuova legge forestale del 21 agosto 1826 fu disciplinata in maniera nuova tutta la materia forestale ed in particolare fu posta grande attenzione alle problematiche relative alla conservazione dei boschi, delle selve e delle terre salde che furono divise in tre classi in base alla loro appartenenza: al pubblico demanio, ai comuni o altri enti e corpi morali laicali, e ai privati. Era prevista, inoltre, la misurazione di tutti i boschi e le selve esistenti che permettesse di avere un quadro generale del patrimonio boschivo.
Verso l’unificazione della legislazione forestale: L’Amministrazione forestale del Regno italiano
All’indomani dell’unificazione italiana, con la proclamazione del Regno d’Italia fu avviato il processo di unificazione della legislazione in materia forestale vigente negli Stati pre-unitari. Il Regio decreto n. 1013 del 19 ottobre 1862 approvò il regolamento per le uniformi degli Agenti delle Amministrazioni forestali, stabilendo di adottare una sola uniforme nelle diverse province del Regno e descrivendo minuziosamente le diverse divise spettanti agli ispettori generali, agli ispettori di 1° classe, alle guardie generali, agli alunni forestali, ai brigadieri ed ai guardaboschi.
A seguito del Regio Decreto del 23 settembre 1863 si divise il servizio attivo forestale del Regno in Dipartimenti, Distretti, Circoli e Raggi. A ogni Dipartimento era destinato un Ispettore, ad ogni Distretto una Guardia generale, ad ogni Circolo un Capo-guardia, ad ogni Raggio un Guardaboschi.
La prima legge forestale del nuovo Stato, la n. 3917 approvata il 20 giugno 1877, destinata a costituire lo strumento cardine della disciplina giuridica in materia boschiva per oltre un trentennio, disciplinava la tutela dei territori boschivi ed il personale ad essa preposta. Tale normativa pur essendo definita una legge forestale, in realtà fu più informata a criteri idrogeologici e il suo strumento principe fu quello del vincolo. A tale scopo fu ridefinita la suddivisione dei boschi in ‘vincolati’ e ‘liberi’, mediante la separazione del territorio nazionale in due zone: quella al di sopra del limite superiore della zona del castagno. La scelta, come limite, della zona del castagno non era causale, ma indicava il limite massimo oltre il quale la coltura agraria non era più redditizia, quando non possibile. Lo Stato aveva finalmente compreso l’importanza di attuare misure a tutela del territorio e capaci di prevenire possibili fenomeni di dissesto legati alla grande fragilità del suolo.