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Diritti umani e cambiamento climatico

Quello a un ambiente sostenibile è un diritto umano fondamentale?
cambiamento climatico
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Diritti umani e cambiamento climatico

 

Abstract:

La protezione dall’innalzamento delle temperature è un diritto umano fondamentale? Nel presente contributo ci si chiede se i 47 Stati membri del Consiglio D’Europa debbano limitare le emissioni in maniera più incisiva e rapida onde rispondere a un obbligo di protezione del diritto alla vita dei cittadini. La Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo è chiamata a rispondere al detto quesito. Un gruppo di ragazzi portoghesi e l’associazione KlimaSeniorinnen possono pretendere una correzione della politica climatica per tutelare la loro salute?
 

Introduzione

Né la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo né la più recente Convenzione di Copenaghen del 12 aprile 2018 sanciscono il diritto ad un ambiente sano.

Eppure, poiché il cambiamento climatico e, in particolare, l’innalzamento della temperatura media globale comportano l’esposizione dei singoli a fattori di elevato rischio per la salute, molto spesso l’esercizio di taluni diritti fondamentali, universalmente garantiti, viene pregiudicato.

La giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, esprimendosi su temi quali attività industriali pericolose (Öneryıldız v. Turkey – 30 November 2004) e disastri naturali (Özel and Others v. Turkey – 17 November 2015) ha, di fatto, individuato una correlazione tra l’esistenza di danni all’ambiente e la violazione di diritti quali quello alla vita, alla proprietà, al rispetto della vita privata e familiare. Ma è davvero così? E, soprattutto, è possibile estendere tale giurisprudenza ai casi che riguardano specificamente il cambiamento climatico?  

La domanda, in effetti, sorge spontanea considerato che, come emerge dall’analisi di Coldiretti, in Italia, nei primi cinque mesi dell’anno, si sono verificati 500 eventi estremi (+64% rispetto all’anno precedente) e la drammatica alluvione che ha colpito la Romagna nel mese di maggio rappresenta solo la punta dell’iceberg.

 

L’Accordo di Parigi

È evidente che il legislatore si trova a dover fronteggiare una tra le più grandi sfide del nostro tempo: quella del cambiamento climatico. Nel novembre del 2015, i leader di 197 paesi si sono incontrati con l’obiettivo di muovere azioni concrete per mitigare i cambiamenti climatici e garantire un futuro vivibile per tutti. Il prodotto di questa conferenza è conosciuto con il nome di “Accordo di Parigi”.
L’Accordo di Parigi ha tre obiettivi chiave: il primo, a lungo termine, è quello di mantenere l'aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2°C in più rispetto ai livelli preindustriali e di proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5°C; il secondo, quello di incrementare meccanismi di resilienza e sviluppare tecnologie onde ridurre le emissioni di gas serra, senza però compromettere la produzione alimentare; ultimo, quello di allocare efficacemente le risorse per raggiungere gli obiettivi prefissati.Di fatto, l’Accordo di Parigi permette alle Parti di stabilire, a livello nazionale, con un approccio dall’alto verso il basso, le azioni più opportune per ridurre le emissioni; non è invece richiesto di incontrare l’obiettivo target con meccanismi predeterminati.
In sostanza, ciascun firmatario dell’Accordo deve pubblicare rapporti periodici individuando, in maniera dettagliata, obiettivi perseguiti e progressi fatti. Il concetto alla base di questo meccanismo riguarda l’attribuzione, ai firmatari dell’accordo, di responsabilità comuni ma differenziate, a seconda delle capacità dei diversi paesi di affrontare il cambiamento climatico.

In questo contesto, l'UE ha presentato, prima della fine del 2020, la sua strategia a lungo termine per la riduzione delle emissioni e i suoi piani aggiornati in materia di clima, impegnandosi a ridurre le sue emissioni di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, con il fine ultimo di diventare la prima economia e società a impatto climatico zero entro il 2050.


La tutela giurisdizionale

Stando così le cose, ci si chiede se esista un qualche tipo di tutela giurisdizionale laddove gli obiettivi prefissati non vengano incontrati, le scadenze non vengano rispettare e, in generale, la salute dei singoli cittadini risenta della mancata azione dei governi rispetto al traguardo del Net Zero.

Gli studiosi e gli esperti del settore stanno rivolgendo la loro attenzione alla Corte di Strasburgo che, per la prima volta, dovrà chiarire se danni causati dal cambiamento climatico – e, nello specifico, i danni causati dalla mancata iniziativa dei governi nell’intraprendere azioni sufficienti a combattere l’innalzamento delle temperature – violi, o meno, i diritti umani. Il riferimento è, in particolare, ai seguenti casi: Verein KlimaSeniorinnen Schweiz and Others v. Switzerland (application no. 53600/20), Carême v. France (application no. 7189/21) e Duarte Agostinho and Others v. Portugal and 32 Others (application no. 39371/20).

Duarte Agostinho and Others v. Portugal and 32 Others:

L’ultimo dei casi citati indicati riguarda, da vicino, anche l’Italia, chiamata a rispondere, insieme con altri 32 Stati (Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Germania, Grecia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Croazia, Ungheria, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Svezia, oltre che Norvegia, Russia, Svizzera, Turchia, Ucraina e Regno Unito), della violazione degli articoli 2, 8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che proteggono il diritto alla vita, alla privacy e a non sperimentare discriminazioni di alcuna specie. I ricorrenti, sei giovani ragazzi portoghesi, sostengono, in particolare, che: a) il loro diritto alla vita è ogni giorno minacciato dagli effetti del cambiamento climatico in Portogallo – effetti che si manifestano, concretamente, con indomabili incendi boschivi; b) che il loro diritto alla privacy – che include benessere fisico e mentale – è minacciato dalle ondate di caldo che li costringono a trascorrere più tempo al chiuso; e c) che, in quanto giovani, risentiranno più a lungo degli effetti del cambiamento climatico. Alla base del ricorso vi è l’accusa, mossa ai sopra citati Stati, di non aver rispettato gli obblighi presi con l’Accordo di Parigi per garantire la riduzione delle emissioni al fine di mantenere l'aumento della temperatura entro il limite di 1,5 gradi Celsius.

KlimaSeniorinnen Schweiz and Others v. Switzerland:

Nel caso KlimaSeniorinnen v. Switzerland, i ricorrenti – un’associazione di donne senior insieme con quattro donne over 80 – sostengono che l'aumento delle temperature dovuto al cambiamento climatico comporti gravi rischi per la salute e un aumento della mortalità, in particolare per le donne anziane, tra cui le ricorrenti stesse. Come nel caso portoghese, vengono evidenziati gli effetti negativi sulla salute e sulla vita privata e familiare dei singoli e viene contestato alla Svizzera di rimanere inerte davanti all’aumento della temperatura globale, così venendo meno agli obblighi positivi imposti dalla CEDU.  Le Corti svizzere hanno rigettato il ricorso rilevando, in ultima istanza, che, ai sensi dell’art. 25a della Legge federale sulla procedura amministrativa che garantisce la protezione dei diritti del singolo individuo, è inammissibile una cd. actio popularis o azione collettiva.

La Corte Federale ha chiarito che questioni come quelle rappresentate dall’associazione KlimaSeniorinnen devono essere trattate non in sede giurisdizionale, ma con mezzi politici, per i quali il sistema svizzero, con i suoi strumenti democratici, offre sufficienti opportunità. Inoltre, rispetto all’invocata violazione dell’art. 13 CEDU secondo cui, qualora vengano violati i diritti e le libertà riconosciuti nella Convenzione, si ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, l’autorità giudiziaria ha sostenuto che i ricorrenti non fossero stati lesi in modo giuridicamente rilevante dalle presunte omissioni, né nel loro diritto alla vita ai sensi dell'art. 2 CEDU né nel loro diritto al rispetto della vita privata e familiare ai sensi dell'art. 8 CEDU.

È qui opportuno sottolineare che i ricorrenti hanno provato che, statisticamente, le donne più anziane risento dell’innalzamento delle temperature molto più che altri gruppi (uomini nella stessa fascia di età e giovani). Se ciò è vero, allora la Svizzera, negando una lesione giuridicamente rilevante, ha come affermato che il non singolo non può davvero risentire del cambiamento climatico, poiché il limite di 1.5 gradi stabilito dalla Convenzione di Parigi non è stato oltrepassato, quasi a significare l’esistenza di un confine, oltrepassato il quale è possibile che l’individuo soffra per l’innalzamento delle temperature.

I casi sopra illustrati pendono, oggi, avanti la Corte di Strasburgo. I ricorsi poggiano le loro basi sull’art. 2 della Convenzione, secondo cui “Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena”. Tale articolo è nato in un contesto, quella del post Seconda Guerra Mondiale, in cui le atrocità commesse dal Terzo Reich avevano indotto gli Stati ad affermare, tanto a livello nazionale che internazionale, il diritto fondamentale a non essere privati della vita a causa di azioni violente di gruppi dittatoriali. I ricorsi dei giovani portoghesi e dell’associazione KlimaSeniorinnen hanno, invece, l’obiettivo di estendere l’applicabilità dell’art. 2 CEDU ad un contesto diverso, quello del cambiamento climatico. Ciò è, in astratto, possibile perché la Convenzione è uno strumento vivente, che continua a cambiare nel corso del tempo, adattandosi alle evoluzioni sociali del concetto di moralità e adeguandosi all’innovazione scientifica.

Per vero, come anticipato, in ambito europeo esiste già un filone giurisprudenziale ben sviluppato in materia di ambiente, soprattutto rispetto a inquinamento e rifiuti. Si tratta di un orientamento elaborato a tal punto che, facendo leva proprio su questo, la Suprema Corte olandese ha confermato le pronunce delle Corti di merito che, nei precedenti gradi di giudizio, avevano imposto al governo di limitare le emissioni di gas.

Rispetto a tale decisione, pare interessante fornire un retroterra del caso.

 

Urgenda Foundation v. State of the Netherlands:

Nel 2015, un gruppo di ambientalisti olandesi (Urgenda Foundation) insieme con 900 cittadini hanno citato il governo dei Paesi Bassi per richiedere un intervento pregnante circa il problema del cambiamento climatico. La Corte ha imposto al governo di limitare le emissioni di gas serra al 25% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020, sostenendo che l’impegno di ridurre le emissioni del 17% fosse insufficiente rispetto all’impegno preso con l’Accordi di Parigi. Il Tribunale ha concluso che lo Stato ha il dovere di adottare misure di mitigazione del cambiamento climatico per arginarne la gravità delle conseguenze. Nel giungere a questa conclusione, è stato citato l'articolo 21 della Costituzione olandese (secondo il quale “I poteri pubblici provvedono a tutelare l'abitabilità del Paese e a proteggere e migliorare l'ambiente”), è stato fatto riferimento agli obiettivi di riduzione delle emissioni dell'UE e al principio del “no harm”, oltreché ai principi di equità, di precauzione e di sostenibilità sanciti dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
Il 20 dicembre del 2019, la Corte Suprema olandese ha confermato la decisione richiamando gli articoli 2 e 8 della CEDU e ha rifiutato la difesa dello Stato secondo cui il contributo dei Paesi Bassi al cambiamento climatico era relativamente piccolo rispetto a quello globale.

 

Conclusioni

Sui ricorsi portoghese, svizzero e francese pendenti avanti la Corte di Strasburgo, si attende una decisione tra la fine del corrente anno e i primi mesi del prossimo. Per quanto sia difficile prevedere l'esito della decisione della Corte, ciò che è certo è che, indipendentemente dal fatto che venga rilevata o meno una violazione, vi sarà una nuova comprensione della materia della protezione dall’ambiente rispetto ai cambiamenti climatici, in relazione ai diritti fondamentali previsti dalla CEDU. Poiché, infatti, la Corte EDU ha influenza globale, il suo giudizio avrà influenza globale.

Indubbiamente, se la Corte si pronunciasse contro ai ricorsi, potrebbe ipotizzarsi un grosso rischio di regressione sul tema, anche rispetto a decisioni già prese (come quella olandese). Una decisione positiva, d’altro canto, potrebbe non comportare alcuna differenza rispetto all’azione dei singoli, come pure potrebbe portare a pretendere più che la semplice riduzione delle emissioni (potrebbero essere richiesti comportamenti proattivi come il finanziamento di progetti rinnovabili o la piantumazione di nuove foreste).

In merito a quest’ultima considerazione, a conclusione del presente contributo si intendono presentare due opposte visioni circa la possibilità che la Corte imponga, con il proprio intervento, nuovi obblighi agli Stati. Da un lato, l’intervento della Commissione Europea che, nell’inviare le proprie considerazioni in merito al caso Duarte Agostinho and others v. Portugal and 32 other States alla Corte EDU,  ha constatato che il crescente numero di ricorsi relativi ai cambiamenti climatici offre alla Corte un'opportunità unica per continuare a forgiare il percorso legale verso un'attuazione più completa della Convenzione e per dare protezione, nella vita reale, alle persone colpite dal degrado ambientale e dai cambiamenti climatici. Dall’altro lato, a fare da contraltare a quanto rappresentato dalla Commissione, Róbert Spanó, ex presidente della Corte Europea dei Diritti Umani, che si è detto preoccupato dall’idea che la Corte possa intervenire massivamente con vincoli pressanti per gli Stati: nella sua visione il cambiamento climatico è un problema che deve essere gestito di governi e cittadini e non può essere risolto con il susseguirsi di interventi giurisprudenziali.

I latini direbbero in medio stat virtus: ciò che sarebbe davvero auspicabile è un’azione coordinata. Il diritto a un ambiente sano può diventare una realtà solo attraverso buona fede e impegno democratico di tutte le parti rilevanti, governi e cittadini, con la supervisione delle Corti, a garanzia della tutela dei diritti fondamentali dell’uomo.

Nel frattanto, restiamo in attesa della decisione della Corte EDU.