Ambiente e paesaggio convergono nella tutela penale del patrimonio culturale: riflessi sulla responsabilità degli enti

Toscana
Ph. Antonio Zama / Toscana

Ambiente e paesaggio convergono nella tutela penale del patrimonio culturale: riflessi sulla responsabilità degli enti

 

Con la legge 9 marzo 2022, n. 22[1] il legislatore ha introdotto un nuovo titolo all’interno del codice penale dedicato ai delitti contro il patrimonio culturale, inasprendo così la tutela penale dei beni culturali e del paesaggio e prevedendo nuove ipotesi di reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del d.lgs. 231/2001. La riforma dei reati contro il patrimonio culturale si può leggere come il tentativo di fornire la più ampia tutela giuridica all’ambiente in tutte le sue declinazioni. Al contempo, la riforma dà seguito al progressivo ampliamento della sfera di competenza del diritto penale nel settore ambientale e dei riflessi di questo sulla responsabilità delle società.

 

1. Origini della riforma legislativa  

La profonda riforma della tutela penale del patrimonio culturale e paesaggistico attuata con la legge 9 marzo 2022, n. 22 affonda le proprie radici negli obblighi assunti dall’Italia con la firma della Convenzione del Consiglio d’Europa sulle infrazioni relative ai beni culturali, sottoscritta a Nicosia il 19 maggio 2017.[2]

Ratificata dall’Italia solamente nel gennaio 2022,[3] la Convenzione di Nicosia ha come obiettivi la prevenzione e repressione dei fenomeni di distruzione, danno e tratta dei beni culturali, rafforzando al contempo la reazione della giustizia penale ai reati riguardanti i beni culturali. In particolare, in relazione alla rimodulazione del diritto penale sostanziale, la Convenzione di Nicosia prevede specifici obblighi di criminalizzazione, onerando i paesi firmatari all’introduzione di specifici reati: furto e altre forme di illecita appropriazione dei beni culturali, scavo e rimozione illegali, importazione ed esportazione illegali di beni culturali, acquisto ricezione e commercializzazione dei beni ottenuti attraverso tali condotte illecite, distruzione e danneggiamento dei beni culturali. Al contempo, la Convenzione prevede interventi di natura procedurale finalizzati a rafforzare l’attività di prevenzione e l’attività investigativa, nonché, in maniera alquanto innovativa, anche espressamente la responsabilità delle persone giuridiche per i reati commessi a loro vantaggio in danno di beni culturali.

L’attuazione di tali obblighi di criminalizzazione da parte del legislatore interno tramite la promulgazione della legge di riforma dei reati contro il patrimonio culturale risponde non solo alla preoccupazione avvertita a livello internazionale per la tutela dei beni culturali,[4] ma anche alla necessità di assicurare una sistemazione organica alla materia, sino a questo momento fortemente carente, disomogenea e in parte contraddittoria,[5] nonché inadeguata secondo alcuni rispetto all’importanza attribuita alla tutela dei beni culturali nella Costituzione.[6]

A fronte di una denunciata incoerenza e frammentarietà, non assistiamo tuttavia ad una semplice riorganizzazione della materia ma ad una forte espansione della tutela di matrice penale, con buona pace della natura di extrema ratio del diritto terribile. Eppure, in una prospettiva de iure condendo pre-riforma, la dottrina si era già sbilanciata sulle prospettive utili a porre rimedio alla frammentarietà nella tutela del patrimonio culturale, prospettive convergenti verso la necessità di dare coerenza[7] alla tutela del bene “ambiente” in tutte le sue declinazioni: paesaggio, matrici ambientali singolarmente intese (aria, acqua, suolo), assetto del territorio (edilizia e urbanistica) e beni culturali. La riforma, tuttavia, non è incentrata esclusivamente sul principio di riserva di legge e, quindi, sul trasferimento delle disposizioni sanzionatorie contenute prevalentemente nel Codice dei beni culturali (d.lgs. n. 42 del 2004) all’interno del codice penale, ma anche sul feroce inasprimento delle pene edittali e sulla previsione di nuove fattispecie incriminatrici. Severità che incide fortemente anche sulla responsabilità amministrativa derivante da reato delle Società.

 

2. Interferenze tra beni culturali, paesaggio e ambiente

2.1. Convergenza di tutela

Per comprendere fino a che punto la riforma in parola abbia colto l’auspicata globalità[8] nella tutela penale di beni giuridici assimilabili (ambiente, paesaggio, territorio e beni culturali), è utile ripercorrere brevemente il significato di patrimonio culturale sia quale bene giuridico autonomo sia in rapporto alla disciplina ambientale e urbanistica. Rispetto a tale convergenza di tutela sarà quindi possibile cogliere gli effetti della riforma sulle imprese che operano nel settore dei beni culturali intesi in un’accezione ampia perché integrata con paesaggio, territorio e ambiente.[9]

Secondo una definizione risalente, il patrimonio culturale è parte del concetto di ambiente inteso come ambiente creato dall’uomo (in contrapposizione all’ambiente naturale) e partecipa al benessere e al godimento dei diritti umani fondamentali delle persone.[10] Più di recente è stato affermato che il patrimonio culturale è un bene giuridico collettivo sia istituzionale sia a titolarità diffusa giacché, a prescindere dalla natura pubblica o privata del rapporto proprietario sulla singola cosa, si tratta di beni che soddisfano bisogni di natura collettiva.[11]

Proprio alla luce del valore super individuale del patrimonio culturale, questo è stato anche elevato a principio fondamentale dell’ordinamento secondo il perimetro definito dall’articolo 9 della Carta Costituzionale.[12] La giurisprudenza costituzionale ha ravvisato nella formulazione dell’articolo 9 l’espressione di un principio fondamentale unitario che fonda i compiti di tutela dello Stato e delle sue articolazioni in materia sia culturale, sia paesaggistica, sia ambientale.[13] Il rilievo costituzionale del patrimonio culturale giustifica allora l’adozione della sanzione penale secondo forme di tutela dinamiche, in grado di valorizzare la funzione di promozione della persona umana del patrimonio culturale.[14]

Già nell’ambito della norma costituzionale, si coglie l’accostamento tra beni paesaggistici (paesaggio) e beni culturali (patrimonio storico e artistico della Nazione) come se la tutela dell’uno non potesse prescindere dalla tutela dell’altro. Tale permeabilità tra beni paesaggistici e beni culturali, riconosciuta dalla Costituzione e dagli interpreti, ha consentito di formalizzare l’unitarietà di tutela con un terzo pilastro: biodiversità ed ecosistemi. La tutela di tali beni ambientali è stata espressamente elevata a principio fondamentale dell’ordinamento attraverso l’introduzione del comma 2 del medesimo articolo 9 della Costituzione con la legge costituzionale n. 1 dell’11 febbraio 2022. L’inserimento del riferimento alla tutela dell’ambiente (e degli animali) nella Costituzione porta a compimento il raccordo tra la tutela delle matrici ecologiche costitutive dell’ambiente e la tutela dei beni culturali e paesaggistici. Queste grandezze equipollenti, dunque, possono trovare il proprio riferimento nella nozione complessa di ambiente. Trovano al contempo il proprio bilanciamento nella libertà di iniziativa economica di cui all’articolo 41 della Costituzione, parimenti riformato con la legge costituzionale n. 1/2022: l'iniziativa economica non può svolgersi in modo da recare danno alla salute e all'ambiente ed è la legge a determinare i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini ambientali.

La direzione del legislatore, anche costituzionale, appare ora più nitida: da un lato si tracciano le connessioni tra le diverse discipline sul versante dei precetti e delle sanzioni così da superare una visione settoriale in favore di un’unitarietà funzionale;[15] dall’altro, il disegno di tutela del bene ambiente va ad incidere proporzionalmente sulla libertà di iniziativa economica e sulla parallela responsabilità delle imprese derivante dai reati latu sensu ambientali commessi nel loro interesse o vantaggio.[16]

Alcuni esempi potranno chiarire tale impatto più esteso.

Anzitutto, già prima della riforma in questione, la legge 22 maggio 2015, n. 68 (c.d. Legge sugli ecoreati), introducendo i delitti di inquinamento ambientale e disastro ambientale nel codice penale, aveva previsto una circostanza aggravante ad effetto comune in caso di offesa arrecata al patrimonio culturale. Quando l’inquinamento[17] o il disastro[18] è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico la pena è aumentata di un terzo.

Anche in materia urbanistica, il Testo unico edilizia, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 prevede che gli abusi edilizi -tecnicamente definiti come interventi in variazione essenziale, totale difformità o in assenza del permesso di costruire- realizzati nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico o ambientale siano puniti più severamente di un ordinario abuso edilizio.[19]

Quanto all’intervento legislativo in commento, gli elementi di interferenza si colgono in particolare nei delitti contro il patrimonio culturale che contemplano anche i beni paesaggistici e nei corrispondenti illeciti amministrativi inseriti nel d.lgs. 231/2001: delitto di distruzione, dispersione, deterioramento, di beni culturali e paesaggistici di cui al neo-introdotto art. 518 duodecies, comma 1, c.p., e il delitto deturpamento, imbrattamento o uso illecito di beni culturali o paesaggistici di cui al comma 2 del medesimo articolo; illecito amministrativo relativo alla commissione dei delitti predetti di cui all’art. 25 septiesdecies d.lgs. 231/2001. Si tratta di fattispecie suscettibili di essere integrate da persone fisiche e giuridiche per il solo fatto di esercitare un’attività imprenditoriale in prossimità ovvero in corrispondenza di beni culturali o beni paesaggistici, a prescindere dall’attinenza dell’oggetto sociale al patrimonio culturale.

In questa prospettiva è possibile mettere a fuoco gli effetti complessivi della riforma dei reati contro il patrimonio culturale sugli enti: l’intervento legislativo va oltre la mera sistemazione della disciplina settoriale per inserirsi in un disegno più ampio di repressione dei reati e degli illeciti amministrativi contro il bene ambiente. I riflessi sulle imprese, dunque, dovranno essere valutati non solo in relazione alle realtà aziendali che operano specificamente nel settore dei beni culturali (monumenti, beni archeologici, beni museali, etc.) ma anche in relazione alle attività incidenti sul bene ambiente nella sua accezione integrata.

 

2.2. La definizione del bene giuridico tutelato

A fronte di tale impatto trasversale, i primi commentatori della riforma hanno criticato la scelta del legislatore di non prevedere una definizione agli effetti penali di patrimonio culturale, né di beni culturali ovvero di beni paesaggistici, in spregio al principio della riserva di codice che ha ispirato lo stesso intervento legislativo.[20] Per recuperarne il significato occorre allora attingere alla normativa settoriale.

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 definisce anzitutto il patrimonio culturale come il connubio di beni culturali e beni paesaggistici. I beni culturali sono quindi individuati tra le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose definite dalla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà (art. 2 commi 1 e 2). Nello specifico, è possibile distinguere tra:[21] (i) beni assistiti da una presunzione assoluta di culturalità[22] ossia quei beni pubblici qualificati ex lege come beni culturali per i quali non è richiesto alcun accertamento circa la sussistenza dell’interesse culturale, né un procedimento amministrativo potrebbe escluderlo (art. 10, comma 2, d.lgs. 42/2004[23]); (ii) beni assistiti da una presunzione relativa di culturalità, nel senso che la natura di bene culturale può essere esclusa quando il procedimento di verifica dell’interesse culturale si è concluso in senso negativo (artt. 10, commi 1 e 4, e 12 d.lgs. 42/2004[24]); (iii) beni privati non assistiti da presunzione di culturalità ossia quei beni che acquisiscono rilievo unicamente se interviene una formale dichiarazione di interesse culturale (artt. 10, comma 3, e 13 d.lgs. 42/2004[25]); (iv) beni pubblici o privati che acquisiscono rilievo unicamente se interviene una formale dichiarazione di interesse culturale, intesa come categoria residuale rispetto alle precedenti (art. 10, comma 3, lett. d), d-bis), e) del Codice[26]).

I beni paesaggistici sono invece definiti come gli immobili e le aree costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge (art. 2 comma 3[27]). In questo caso la distinzione non è assistita da presunzioni, assolute o relative, di rilevanza paesaggistica, rientrando nella relativa definizione tutti e soli i beni indicati nelle norme di riferimento ossia (i) gli immobili e le aree di notevole interesse pubblico (artt. 134 lett. a) e 136 d.lgs. 42/2004); (ii) le aree tutelate (artt. 134 lett. b) e 142 d.lgs. 42/2004); (iii) gli ulteriori immobili ed aree specificamente individuati tra gli immobili e aree di notevole interesse pubblico e tutelati dai piani paesaggistici (artt. 134 lett. c), 136, 143 e 156 d.lgs. 42/2004); (iv) gli elementi naturali considerati in ogni caso di interesse paesaggistico (art. 142 d.lgs. 42/2004).

La scelta legislativa di inserire nei reati contro il patrimonio culturale i beni culturali e paesaggistici come elementi normativi extra penali può avere il pregio di evitare il rischio di confusione tra definizione diverse o sovrapponibili, lasciando al sistema integrato del Codice dei beni culturali e paesaggistici la disciplina definitoria. In questo senso, si è detto che quella del legislatore sembra essere una scelta consapevole, volta a fornire all’interprete della norma penale una logica semplice perché fondata sul binomio tra presunzione di culturalità (assoluta o relativa) dei beni di proprietà pubblica e necessità della dichiarazione di interesse culturale per i beni appartenenti ai privati,[28] mentre i beni paesaggistici sono unicamente quelli presunti tale dalla normativa settoriale. D’altra parte però non si tratta di una mera scelta di stile poiché, ai fini della responsabilità penale, le nozioni di bene culturale e di bene paesaggistico sono essenziali, tanto ai fini dell’individuazione dell’oggetto di tutela quanto della sussistenza dell’elemento soggettivo. Sicché un sistema fondato su una presunzione di interesse culturale o paesaggistico stride con il principio di offensività in tutti quei casi in cui la condotta per cui si procede abbia ad oggetto un bene formalmente assistito dalla presunzione di interesse ma concretamente privo di un valore culturale o paesaggistico.[29] Alla tensione con la materialità della condotta, si intreccia la questione dell’elemento soggettivo poiché l’atto dell’amministrazione ovvero del legislatore che dichiara il valore culturale o paesaggistico esplica una funzione di conoscibilità e di conseguente rimproverabilità della condotta.

Inoltre, occorre tenere in considerazione l’estensione delle suddette definizioni e, in particolare, dei beni paesaggistici: il territorio italiano è costellato di aree tutelate in maniera privilegiata perché assistite da un interesse paesaggistico. Tale diffusione estende inevitabilmente i propri riflessi sulle imprese, dal momento che rende particolarmente esteso l’oggetto di tutela e quindi la possibilità che un proprio soggetto apicale commetta uno dei reati presupposto introdotti dalla riforma. Non vanno esenti da tale rischio le imprese che operano solo incidentalmente nell’ambito del patrimonio culturale. Sono frequenti infatti i casi in cui ad accertamenti di natura strettamente ambientale, per esempio in materia di gestione dei rifiuti o di scarichi idrici, conseguano approfondimenti in materia urbanistica o edilizia e paesaggistica. L’introduzione di tali reati dunque aumenta il rischio anche per le imprese che non sono del settore.

 

3. Principali effetti della riforma

Nel contesto sopra delineato, la riforma dei reati contro il patrimonio culturale si muove secondo quattro linee direttrici:

1) l’introduzione nel codice penale, nell’ottica di una piena valorizzazione del patrimonio culturale quale oggettività giuridica autonoma,[30] di un inedito Titolo VIII-bis rubricato «Delitti contro il patrimonio culturale» al cui interno si collocano tredici incriminazioni, alcune di nuova formulazione ed altre  corrispondenti alle figure delittuose già inserite nel codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (artt. 170, 173, 174, 176, 177, 178 e 179), contestualmente abrogate;[31]

2) l’inasprimento del trattamento sanzionatorio attraverso l’aumento delle pene edittali dei reati aventi ad oggetto beni culturali rispetto alle corrispondenti fattispecie comuni e dei reati prima inclusi nella legislazione speciale e ora trasfusi nel codice;[32] l’introduzione di circostanze aggravanti -ma anche attenuanti speciali-[33] e l’estensione dell’istituto della confisca, obbligatoria, per equivalente, e allargata o per sproporzione[34];

3) sotto un profilo più strettamente legato all’attività di indagine, l’estensione dell’istituto delle “operazioni sotto copertura” ai reati contro il patrimonio;[35]

4)  l’estensione della responsabilità amministrativa dell’ente in relazione alla commissione dei reati-presupposto contemplati nel nuovo Titolo VIII-bis.

Esemplificativa della permeabilità tra la tutela del bene ambiente e del patrimonio culturale, oltre che dell’estensione e inasprimento della risposta sanzionatoria penale, è l’interpolazione apportata al reato di uso illecito dei beni culturali, trasferito nel codice penale all’art. 518 duodecies, comma 2, con la contestuale abrogazione dell’art. 170 d.lgs. 42/2004. Sebbene i primi commentatori abbiano rilevato una piena continuità normativa tra le due fattispecie (salvo il fatto che la precedente era punita meno severamente ed a titolo contravvenzionale) e tra queste e quella dell’abrogato Testo unico dei beni culturali e ambientali (art. 119 d.lgs. n. 490 del 1999),[36] non si può non notare che alla stessa è stato affiancato il reato di deturpamento e imbrattamento dei beni culturali e paesaggistici, propri e altrui.[37]

Il reato di uso illecito dei beni culturali, prima tipizzato nella forma di una contravvenzione punita con la pena congiunta di arresto e ammenda,[38] è oggi confluito nella disposizione di cui all’art. 518 duodecies del codice penale nella più grave forma del delitto punito con la pena congiunta di reclusione e multa.[39] Alla stessa pena soggiace chi deturpa o imbratta beni culturali e paesaggistici. Sicché mentre il reato di uso illecito continua ad essere riferito esclusivamente ai beni culturali, il reato di deturpamento o imbrattamento si riferisce sia ai beni culturali sia ai beni paesaggistici.

Il delitto di uso illecito è una fattispecie di pericolo la cui integrazione lede l’interesse alla pubblica fruizione dei beni culturali, esprimendo cioè un’anticipazione di tutela rispetto alla vera e propria lesione all’integrità del bene, che è invece richiesta dalle condotte di deturpamento e di imbrattamento. Si tratta quindi di una fattispecie che può essere integrata con una certa facilità, considerato che destinare ad un uso incompatibile significa impedire che il bene culturale svolga la propria funzione di interesse pubblico. Sicché rileva ai fini di tale reato l’uso del bene mediante condotte idonee a determinarne una mera distorsione rispetto alla finalità di godimento che gli è propria ovvero di studio, ricerca o piacere estetico complessivo[40] attraverso interventi incompatibili con la sua natura storico-artistica ovvero pregiudizievoli per la sua conservazione od integrità,[41] ove gli stessi non siano finalizzati a valorizzarne la natura storica od a garantirne un migliore utilizzo quanto, piuttosto, a soddisfare beni ed interessi privi di relazione con tale natura e con la destinazione pubblica.[42]

Quanto invece al delitto di deturpamento o imbrattamento di beni culturali o paesaggistici, pur costituendo un reato di danno, può essere integrato da condotte anche molto lievi. Infatti, affinché possa considerarsi deturpato o imbrattato, il bene non deve essere stato distrutto, disperso, deteriorato o reso in tutto o in parte inservibile.[43] Conseguentemente, è possibile integrare tale fattispecie con condotte i cui effetti sono emendabili senza particolari difficoltà, ripristinando l’aspetto e il valore originari.[44] Nonostante la reversibilità, almeno potenziale delle condotte, non sono state previste dal legislatore della riforma cause di estinzione del reato ovvero cause di non punibilità: ai sensi dell’art. 518 duodecies, comma 3, il ripristino dello stato dei luoghi ovvero l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato costituiscono unicamente circostanze cui è subordinata la sospensione condizionale della pena.

L’ambito di applicazione della norma, almeno in astratto, è quindi molto vasto. Tale trasferimento con il contestuale ampliamento del perimetro applicativo, tuttavia, non è il solo effetto della riforma. Ad esso, infatti, si accompagnano ulteriori conseguenze.

Anzitutto, l’inserimento nel nuovo Titolo VIII-bis implica l’applicabilità delle circostanze aggravanti e attenuanti ivi previste. Nello specifico, l’art. 518 sexiesdecies c.p. prevede che la pena sia aumentata da un terzo alla metà quando il reato è commesso nell’esercizio di un’attività professionale o commerciale. In tal caso, inoltre, è prevista la pena accessoria della interdizione dalla professione -qualora sia prevista un’abilitazione, autorizzazione, licenza o permesso- e della pubblicazione della sentenza di condanna.

Al contempo, l’art. 518 septiesdecies, comma 2, c.p. prevede che la pena sia diminuita da un terzo a due terzi nei confronti di chi si adoperi efficacemente per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori. Rispetto a tale circostanza attenuante, potranno essere valorizzate le condotte di rimozione dei manufatti lesivi dei beni culturali o paesaggistici ovvero di sanatoria degli stessi in presenza dei requisiti di legge. E ancora, in caso di condanna o patteggiamento, l’art. 518 duodevicies, comma 2, c.p. prevede la confisca obbligatoria del mezzo di commissione del reato e, al comma 3, la confisca anche per equivalente del prezzo, prodotto o profitto del reato.

Tale fattispecie incriminatrice appare di particolare interesse dal momento che, sebbene in passato non sia stata caratterizzata da un’elevata frequenza applicativa, è potenzialmente destinata ad assumere sempre maggiore rilevanza ora che trova una legittimazione codicistica. In quest’ottica, dunque, il reato in parola -rectius i reati di uso illecito dei beni culturali e di deturpamento o imbrattamento dei beni culturali o paesaggistici- troveranno il proprio campo d’elezione in tutte quelle attività che si svolgono in contesti paesaggistici tutelati ovvero in prossimità di beni culturali. Tale delitto, infatti, è suscettibile di avere ad oggetto anche beni immobili e di incidere sulle attività di soggetti che non sono necessariamente possessori, gestori o proprietari di beni appartenenti al patrimonio culturale.

Si pensi ad esempio ad un’attività imprenditoriale che si svolge in uno stabilimento situato all’interno di un territorio sottoposto a tutela paesaggistica ovvero al posizionamento, anche temporaneo, di manufatti pubblicitari nelle aree tutelate o in prossimità di beni culturali. In questi casi, la disciplina autorizzativa dell’attività imprenditoriale si estende non solo alle disposizioni del Testo Unico Ambiente (d.lgs. 152/2006) ma anche alle disposizioni del Codice dei beni culturali e paesaggistici (d.lgs. 42/2004). Inoltre, l’attività condotta in tali aree, pur debitamente autorizzata, è suscettibile di integrare i delitti di uso illecito dei beni culturali e di deturpamento e imbrattamento dei beni culturali e paesaggistici con conseguenze pregiudizievoli sia per la persona fisica autrice del reato, sia per la persona giuridica incolpata dell’illecito amministrativo derivante dal reato commesso nel suo interesse o vantaggio.

Ad ogni buon conto, sotto il profilo della successione di leggi nel tempo, vale il principio di irretroattività della pena (artt. 25, comma 2, Cost. e 7 CEDU; 1 c.p.) in relazione alle nuove sanzioni abbinate ai delitti di uso illecito dei beni culturali e di deturpamento o imbrattamento di beni culturali e paesaggistici, incluse le circostanze aggravanti e la confisca obbligatoria. Per i reati, invece, vi è continuità normativa del tipo di illecito, già punito secondo la legge complementare previgente ovvero secondo l’aggravante codicistica oggi abrogata, che conservano rilevanza penale anche sotto la nuova disciplina codicistica.[45]

 

4. Riflessi sulla responsabilità degli enti

Sempre in attuazione della Convenzione di Nicosia, la legge n. 22/2022 ha previsto l’estensione della responsabilità alle persone giuridiche quando uno degli illeciti contro il patrimonio culturale previsto dalla riforma sia commesso nell’interesse o vantaggio dell’ente da una persona fisica che abbia agito per proprio conto o in qualità di organo dell’ente.

4.1. nuovi illeciti amministrativi derivanti dai reati contro il patrimonio culturale

A far data dal 23 marzo 2022, la riforma ha quindi introdotto gli articoli 25 septiesdecies[46] e 25 duodevicies[47] al d.lgs. 231/2001, prevedendo sanzioni pecuniarie modulari a seconda della gravità del delitto presupposto. Inoltre, in caso di condanna per uno dei delitti contro il patrimonio culturale di cui all’art. 25 septiesdecies è stata altresì prevista l’applicazione, per una durata non superiore a due anni, delle sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, d.lgs. 231/2001 (interdizione dall’esercizio dell’attività, sospensione o revoca dei titoli autorizzativi o abilitativi funzionali alla commissione dell’illecito, divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, esclusione o revoca di agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi, e divieto di pubblicizzare beni o servizi). Diversamente, con riferimento ai delitti di cui al successivo art. 25 duodevicies è prevista l’applicazione della sanzione della interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività -e non di altre sanzioni interdittive- unicamente se l’ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzata allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dell’illecito.

Le considerazioni sopra svolte in ordine alla definizione del bene giuridico tutelato e al campo applicativo dei nuovi reati contro il patrimonio culturale, ci consentono di affermare che la relativa inclusione tra i reati presupposto della responsabilità degli enti ha un impatto sia per le imprese direttamente coinvolte nella gestione e circolazione dei beni culturali, sia per tutti quegli enti che pur non operando specificamente nel settore dei beni di interesse storico o artistico svolgono la propria attività in contesti rilevanti dal punto di vista ambientale o paesaggistico, ora perché possiedono ovvero operano in immobili sottoposti al vincolo della Soprintendenza, ora perché dispongono, utilizzano, gestiscono, beni di interesse culturale o paesaggistico.

In tali casi, l’interesse o vantaggio dell’ente potrà individuarsi nell’ipotesi in cui la gestione dei beni culturali o paesaggistici ovvero l’impatto dell’attività imprenditoriale su di essi sia complessivamente antieconomica, tanto da renderne conveniente la distruzione o il deturpamento ovvero ancora un uso illecito. In altri termini, più che un interesse si potrà configurare un vantaggio in capo all’ente,[48] agevolmente individuabile nel risparmio di spesa ottenuto grazie al mancato compimento dei lavori o nel mancato ottenimento dei titoli autorizzativi necessari ad evitare il deterioramento degli immobili (ad esempio il monumento o l’area naturale protetta su cui insiste l’attività imprenditoriale). Il vantaggio potrà altresì consistere nel risparmio di spesa e di tempo ricavato dalla differenza tra i lavori effettivamente realizzati e quelli che invece sarebbero stati necessari secondo le regole dell’arte.[49]

In quest’ottica, è possibile un coinvolgimento più immediato e diretto da parte delle imprese in questa tipologia di reati che rende quindi necessario l’adeguamento dei Modelli di organizzazione e gestione ex d.lgs. 231/2001 già adottati con la previsione dei nuovi rischi ovvero l’adozione ex novo dei Modelli stessi.

Prima di addentrarci nelle considerazioni pratiche sottese al necessario aggiornamento o adozione dei Modelli, sembra opportuno stilare alcune considerazioni critiche in ordine all’espansione della responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato.

4.2. Prime riflessioni critiche

Sebbene non manchi chi ha salutato con estremo favore l’irrigidimento della risposta sanzionatoria in relazione alle fattispecie contro il patrimonio culturale e l’affinamento degli strumenti di contrasto verso i fenomeni imprenditoriali che aggrediscono il patrimonio storico, artistico e paesaggistico dello Stato,[50] pare doveroso manifestare alcune perplessità, in adesione alle prime note critiche alla riforma.

Con specifico riferimento all’inserimento di tali illeciti nel novero dei reati da cui discende la responsabilità dell’ente, alcuni autori hanno rilevato un’incoerenza normativa dovuta al fatto che la responsabilità dell’ente presuppone che vi sia un interesse o vantaggio per lo stesso, in assenza del quale non sussiste alcuna forma di responsabilità. In questo senso è stato ritenuto fantasioso[51] ipotizzare che una persona giuridica possa ottenere un vantaggio, anche in termini di mero risparmio di spesa, qualora uno dei soggetti in posizione apicale o sottoposti all’altrui direzione commetta il reato di riciclaggio di opere d’arte o quello di devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici.[52] Sicché l’inserimento dei reati contro il patrimonio culturale nell’elenco dei reati presupposto ex d.lgs. 231/2001 parrebbe non comportare importanti novità nel panorama della responsabilità delle persone giuridiche e sarebbe destinato a produrre scarsi risultati sul piano concreto.[53]

Al contempo, oltre al requisito dell’interesse o vantaggio, la responsabilità amministrativa degli enti scatta quando il reato presupposto è stato commesso da specifici autori ossia da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, direzione o amministrazione dell’ente  -i soggetti apicali di cui agli artt. 5, comma 1, lett. a) e 6 d.lgs. 231/2001- ovvero da persone sottoposte alla direzione o vigilanza di uno dei soggetti in posizione apicale -i soggetti sottoposti di cui agli artt. 5, comma 1, lett. b) e 7 d.lgs. 231/2001. In entrambi i casi, tuttavia, l’ente può andare esente da responsabilità se prova di aver adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione gestione e controllo idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi. Qui si insinua un’ulteriore criticità della riforma: l’inserimento dei reati contro il patrimonio culturale nel catalogo dei reati presupposto ex d.lgs. 231/2001 presuppone la possibilità di introdurre ovvero di aggiornare agevolmente il Modello di organizzazione e gestione. Tuttavia, il legislatore sembra non aver considerato che nel settore dei beni culturali operano non solo enti e società direttamente coinvolti nella gestione dei beni culturali e paesaggistici, ma anche persone giuridiche la cui attività interseca solo eventualmente questo comparto; enti cioè solo potenzialmente interessati dal pericolo di imbattersi nella commissione dei delitti contro il patrimonio culturale. Come già evidenziato, infatti, a rischio sono anche le realtà imprenditoriali che svolgono la propria impresa in contesti ambientali di pregio ovvero paesaggisticamente tutelati.[54] Conseguentemente, alcune imprese potrebbero trovarsi coinvolte in una responsabilità amministrativa per la commissione di un reato presupposto contro il patrimonio culturale per non aver effettuato una valutazione dei rischi in questo senso, e non essersi quindi dotata di un efficace modello organizzativo, pur se il proprio ambito di operatività sia lontano da quello tutelato dai reati in questione.

A parere di chi scrive e dei primi commentatori,[55] quindi, la riforma non è destinata a rimanere un intervento settoriale poiché molti enti dovranno effettuare un nuovo risk assessment per scongiurare la propria responsabilità, anche in considerazione delle sanzioni pecuniarie e amministrative piuttosto pervasive.

 

5. Aggiornamento o adozione dei modelli di gestione e organizzazione

Per le ragioni sopra esposte appare quindi prudente che tutti gli enti operanti direttamente o indirettamente nel settore dei beni culturali e paesaggistici verifichino, alla luce della nuova normativa, la propria attività per comprendere se la stessa sia anche solo potenzialmente esposta al rischio di commissione dei nuovi reati contro il patrimonio culturale.

Sia le Società che hanno già adottato un Modello di organizzazione e di gestione ex d.lgs. 231/2001 sia quelle che intendono adottarlo, saranno quindi costrette a considerare il nuovo catalogo di reati presupposto e la possibile rilevanza di questi in rispetto alla propria attività aziendale. A tal fine, occorrerà procedere alla redazione di un censimento o inventario di tutti i beni mobili o immobili nella disponibilità (intesa anche come utilizzo indiretto) dell’ente che possono rientrare nella definizione di beni culturali ovvero di beni paesaggistici.[56] Inoltre, sarà necessario individuare tutte le funzioni aziendali o le unità organizzative coinvolte nella gestione dei beni culturali o paesaggistici, con specificazione dei relativi poteri e responsabilità, escludendo concentrazioni di potere che esporrebbero eccessivamente il titolare della funzione debitrice di tutela. Per esempio, nelle imprese che non operano direttamente nel settore dei beni culturali o paesaggistici, ma più in generale nel settore ambientale, tale funzione potrà essere assunta da colui che ha già assunto la qualifica di gestore ambientale della Società ovvero di un determinato stabilimento, previa adeguata formazione.

Una volta censiti i beni culturali e paesaggistici e i soggetti incaricati della relativa gestione, occorrerà associare i nuovi rischi-reato alle attività più esposte. In linea generale, potrà essere utile verificare se e quali controlli vengono svolti dalla Società  per assicurare il rispetto della normativa di settore dei beni culturali, l’idoneità di questi presidi, l’adeguatezza della loro formalizzazione e l’efficacia degli stessi. In alcuni casi potrà altresì essere valutato il rapporto con la Pubblica Amministrazione, sia rispetto alla necessità di adottare eventuali titoli autorizzativi o abilitativi sia per l’esistenza di titoli o accordi già in essere. Con particolare riferimento ai delitti di cui all’art. 518 duodecies c.p., inoltre, appare opportuno monitorare il budget di spesa destinato alla salvaguardia degli immobili tutelati, inteso anche come rispetto della normativa settoriale di riferimento, così da evitare indebiti risparmi di costo, ma anche controllare eventuali contratti precedentemente sottoscritti ovvero il rispetto delle prescrizioni impartite dall’Autorità (per esempio la Soprintendenza) al fine di evitare che l’incuria possa deturpare l’immobile ovvero fare in modo che sia destinato ad un uso incompatibile con la sua finalità culturale.[57]

Conseguentemente possono essere predisposti dei protocolli relativi all’uso dei beni culturali o paesaggistici censiti e procedure di controllo.

Per le Società che non operano direttamente nel settore dei beni culturali e paesaggistici, l’attività più complessa potrebbe essere quella di individuare le attività sensibili ossia quei segmenti aziendali esposti al rischio di reati contro il patrimonio culturale. Tra queste potrebbero rientrare:

  • valutazione in ordine all’interesse culturale o paesaggistico di un bene, mobile o immobile, appartenente all’ente (inclusa l’area in cui sorge uno stabilimento o impianto);
  • esercizio dell’attività d’impresa o di un segmento di essa nel contesto di un bene culturale o paesaggistico (su di esso o in prossimità dello stesso);
  • istruttoria relativa al procedimento di verifica ex art. 12 D.lgs 42/2004 in ordine alla esistenza o meno dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico dei beni appartenenti all’ente;
  • interventi in materia di edilizia su immobili che costituiscono beni culturali o paesaggistici;
  • esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali o paesaggistici;
  • affissione di cartelli o altri mezzi di pubblicità sugli edifici e nelle aree tutelate come beni culturali o paesaggistici;
  • organizzazione di mostre, eventi o iniziative culturali nell’ambito di beni culturali o paesaggistici;
  • partecipazione ad appalti pubblici che abbiano ad oggetto beni o attività da eseguirsi nell’ambito di beni culturali o paesaggistici.

 

6. Disegno di legge sugli “ecovandali”: un abuso dello strumento penale e para-penale?

Preme, infine, fare cenno al disegno di legge n. 693 del 2023[58] presentato dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della cultura, che introduce ulteriori disposizioni sanzionatorie in materia di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici.

6.1. sanzioni triplicate per gli enti

Secondo l’Analisi di impatto della regolamentazione, il disegno di legge si propone di rafforzare il contrasto al fenomeno di deturpamento di beni culturali o paesaggistici con sanzioni ulteriori rispetto a quelle già previste dal delitto recentemente introdotto all’art. 518 duodecies c.p. dalla legge n. 22/2022. Il disegno di legge, infatti, mira ad introdurre nell’ordinamento una sanzione amministrativa per punire le stesse condotte già punite con la sanzione pecuniaria e detentiva penale. Nello specifico, in caso di approvazione della legge, sarebbero introdotte una sanzione amministrativa compresa tra 20.000 e 60.000 euro per chi distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali o paesaggistici propri o altrui (condotte identiche a quelle punite dal comma 1 dell’art. 518 duodecies c.p.), e una sanzione amministrativa tra 10.000 e 40.000 euro per chi deturpa, imbratta o destina i beni culturali a un uso pregiudizievole o incompatibile con il loro carattere storico o artistico (condotte identiche a quelle punite dal comma 2 dell’art. 518 duodecies c.p.).[59]

Lo scopo dichiarato della riforma è quello di accelerare la punibilità delle condotte poste in essere contro il patrimonio culturale e paesaggistico, anche nell’ottica di scoraggiare il compimento di atti vandalici nei confronti dei richiamati beni, attraverso la previsione di una sanzione amministrativa particolarmente elevata.[60] La proposta è stata infatti battezzata come disegno di legge contro gli “ecovandali”, espressione riferita agli attivisti che utilizzano forme di disobbedienza civile per manifestare contro l’inerzia delle istituzioni nell’adottare efficaci strumenti di contrasto al cambiamento climatico. Il ministro proponente ha costellato la propria analisi di impatto con riferimenti agli episodi di vandalismo, senza considerare che le condotte suscettibili di essere punite per l’effetto di tali illeciti non sono unicamente quelle poste in essere da chi imbratta i monumenti come strumento di protesta civile, ma anche da piccole medie e grandi imprese che operano latu sensu nel settore del patrimonio culturale e paesaggistico. Lungi dal non determinare effetti svantaggiosi per la micro, piccola e media imprenditoria,[61] quindi, il disegno di legge impone gravosissime sanzioni pecuniarie su chiunque deteriori o renda in parte non fruibile beni culturali o paesaggistici, ovvero destini un bene culturale e paesaggistico ad un uso incompatibile con il carattere storico o artistico ovvero pregiudizievole per la loro conservazione o integrità. E ciò, come visto, può accadere anche ad un’impresa il cui stabilimento o impianto è situato in un contesto tutelato paesisticamente, per esempio, oppure in caso di affissione di cartelli o altri mezzi di pubblicità sugli edifici e nelle aree tutelate come beni culturali o paesaggistici, o ancora a seguito di esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali o paesaggistici.

Sebbene gli illeciti amministrativi in fase di discussione non siano suscettibili di attivare la responsabilità dell’ente ai sensi del d.lgs. 231/2001, gli stessi concorrono a triplicare l’effetto sanzionatorio a carico dell’impresa, responsabile in solido con il soggetto apicale autore dei reati. La stessa condotta infatti integra, rectius integrerebbe qualora il disegno di legge fosse approvato (i) il delitto di cui all’art. 518 duodecies c.p. con applicazione della relativa sanzione pecuniaria da 2.500 a 15.000 euro (comma 1) ovvero da 1.500 a 10.000 euro (comma 2), (ii) l’illecito amministrativo imputabile all’ente di cui all’art. 25 septiesdecies, comma 3, d.lgs. 231/2001 con applicazione della relativa sanzione pecuniaria da 300 a 700 quote, e (iii) l’illecito amministrativo attribuibile alla stessa persona fisica autrice del delitto presupposto con applicazione della sanzione pecuniaria da 20.000 a 60.000 euro ovvero da 10.000 a 40.000 euro.

6.2. violazione del diritto al ne bis in idem?

Che il disegno di legge sia volto all’introduzione di una sanzione amministrativa che duplica quella penale già prevista dall’art. 518 duodecies c.p. è espressamente indicato nella stessa relazione accompagnatoria: «il presente disegno di legge intende introdurre una ipotesi di sanzione amministrativa che «doppia» quella già prevista nell’articolo 518-duodecies del codice penale, introdotto dall’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 9 marzo 2022, n. 22, che ha inserito l’intero titolo VIII-bis del predetto codice penale, in vigore a decorrere dal 23 marzo 2022. Essa, pertanto, fa salve espressamente le ulteriori e diverse sanzioni penali previste dall’articolo 518-duodecies del codice penale, ove applicabili, oltre che, naturalmente, gli eventuali e conseguenti risarcimenti dei danni.».[62] Al contempo, però, il ministro proponente ha previsto un coordinamento nei casi di applicazione concorrente di sanzioni penali e amministrative, tenuto conto della giurisprudenza in materia di divieto del «ne bis in idem». Il meccanismo di coordinamento prevede che quando, per lo stesso fatto, è stata già applicata la sanzione amministrativa pecuniaria ovvero la sanzione penale, l’autorità giudiziaria o l’autorità amministrativa tengono conto, al momento dell’irrogazione delle sanzioni di propria competenza, delle misure punitive già irrogate, limitandosi all’esazione della parte eccedente quella già riscossa. Tale circostanza però merita un breve approfondimento.

La coerenza del principio del ne bis in idem[63] ossia il diritto a non essere giudicati -e sanzionati- due volte per lo stesso fatto, con le previsioni nazionali che introducono, a fronte di medesimi fatti, doppi regimi sanzionatori, ossia pene in senso stretto e sanzioni formalmente amministrative, ha innescato un complesso dibattito in seno alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, i cui approdi sono poi confluiti nelle sentenze delle Corti nazionali, inclusa la Corte Costituzionale. I campi di elezione dei doppi regimi sanzionatori sono quei settori disciplinari che, alla scopo di garantire una più efficace risposta repressiva prevedono, in caso di commissione di un illecito, un doppio binario che implica la contestuale applicazione sia di una sanzione penale, comminata all’esito di un giudizio, sia di una sanzione amministrativa, irrogata al termine di un procedimento demandato alla pubblica autorità.[64] La Corte EDU ha progressivamente elaborato dei criteri ai fini della individuazione del carattere sostanzialmente penale di un istituto previsto dal diritto interno: (i) lo scopo afflittivo e non riparatorio della misura; (ii) la gravità della misura, tanto nella cornice edittale prevista dalla disposizione astratta, quanto nella concreta applicazione giudiziale; (iii) la rilevanza attribuita dalla disposizione alla gravità del fatto e alla colpevolezza dell’autore e non, invece, all’offesa o al danno patito dalla persona offesa o danneggiata dal reato; e (iv) la connessione della misura ad un illecito formalmente qualificato come penale nell’ordinamento dello Stato Membro.[65] Tramite questi criteri, i giudici di Strasburgo sono pervenuti all’attribuzione del carattere penale a misure non considerate formalmente tali nell’ordinamento nazionale. Ciò è accaduto, per esempio con le misure di sicurezza, con la confisca e più di recente proprio con le sanzioni amministrative.

In riferimento alle sanzioni amministrative, a seguito di una prima pronuncia che aveva ritenuto totalmente incompatibile il sistema italiano del doppio binario sanzionatorio con il principio del ne bis idem,[66] la Corte EDU ha sostenuto che non viola il ne bis in idem la celebrazione di un processo penale nei confronti di chi sia già stato sanzionato in via definitiva dall’amministrazione pubblica, purché (i) tra i due procedimenti sussista una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta e (ii) vi siano meccanismi in grado di assicurare risposte sanzionatorie proporzionate e dunque prevedibili.[67] In particolare, secondo i giudici di Strasburgo, nel verificare che sussista la connessione sostanziale tra i due procedimenti, occorre accertare ulteriori elementi: a) che i procedimenti previsti per la violazione abbiano scopi diversi ed abbiano ad oggetto profili diversi della medesima condotta antisociale; b) che la duplicità dei procedimenti sia una conseguenza prevedibile della condotta; c) che i due procedimenti siano condotti in modo da evitare per quanto possibile ogni duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova; e d) che la sanzione imposta nel procedimento che si concluda per primo sia tenuta in considerazione nell’altro procedimento e che comunque sia assicurata la proporzione complessiva della pena. In altre parole, per assicurare la legittimità dei sistemi sanzionatori che seguono il doppio binario occorre che i procedimenti volti all’applicazione delle due tipologie di sanzioni (quella formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale alla stregua dei criteri Engel e quella penale in senso stretto) siano strettamente connessi dal punto di vista cronologico e sostanziale e portino ad una risposta sanzionatoria complessivamente proporzionata.

Anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha salvato il doppio binario in materia di reati tributari con tre sentenze del 2018.[68] Tuttavia, proprio sulla scorta di tali sentenze, e di quelle della Corte EDU, la giurisprudenza interna si è mostrata propensa ad estendere agli illeciti formalmente amministrativi, ma sostanzialmente penali sulla base dei criteri Engel, l’ambito applicativo di alcuni principi tradizionalmente elaborati in riferimento ai reati e alle pene, tra cui anche il divieto di bis in idem. Per esempio, Cass. pen., sez. V, 27 settembre 2019, n. 39999 si è rivelata sensibile al principio di proporzionalità, prescrivendo al giudice di merito di accertare che la sanzione complessivamente irrogata risulti proporzionata al disvalore del fatto, ipotizzando in caso contrario la possibilità di disapplicare o rimodulare la sanzione penale irrogata per seconda.

Alla luce del quadro così delineato dalla giurisprudenza nazionale e sovranazionale, occorre chiedersi se le sanzioni formalmente amministrative in fase di introduzione nel nostro ordinamento tramite il disegno di legge sugli “ecovandali” possano dirsi sostanzialmente penali sulla scorta dei criteri Engel e, costituendo un doppio binario sanzionatorio, consentano di rispettare il divieto di bis in idem aggiungendosi alle sanzioni penali già previste dalla Legge n. 22/2022.

La risposta alla prima domanda è, a parere di chi scrive, senz’altro positiva: una sanzione amministrativa da 20.000 a 60.000 euro ovvero da 10.000 a 40.000 euro ha sicuramente uno scopo afflittivo (e non meramente restitutorio) e appare una misura particolarmente grave, risultando al contempo incentrata esclusivamente sul disvalore del fatto e connessa all’illecito penale (cfr. i quattro criteri Engel).

La risposta al secondo quesito è invece più complessa. Se da un lato, infatti, la proporzionalità potrebbe -almeno in astratto- essere assicurata dalla disposizione che impone all’autorità giudiziaria e all’autorità amministrativa di tenere in considerazione le misure punitive già irrogate, limitandosi all’esazione della parte eccedente alla sanzione già riscossa, dall’altro non sembrano essere presenti tutti gli indicatori di una connessione cronologica e sostanziale dei procedimenti applicativi. Infatti, i procedimenti previsti per la violazione non avrebbero ad oggetto profili diversi della medesima condotta antisociale ma andrebbero a colpire le stesse identiche condotte di fatto. Inoltre, i due procedimenti non potrebbero essere condotti sempre e in assoluto in tempi ravvicinati e in modo da evitare la duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova: la sanzione amministrativa sarebbe irrogata a seguito del procedimento disciplinato dalla Legge n. 689/1981 che solitamente si chiude nel giro di poche settimane ovvero mesi, mentre la sanzione penale sarebbe irrogata a seguito di un processo destinato a durare molto di più.

Del resto, proprio sulla base di queste ragioni, la Corte Costituzionale si è pronunciata di recente in relazione alle violazioni in materia di diritto d’autore, dichiarando costituzionalmente illegittimo l’art. 649 del codice penale nella parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per uno dei delitti previsti dall’art. 171 ter Legge n. 633/1941 che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento, definitivamente conclusosi, per l’illecito amministrativo di cui all’art. 174 bis della medesima Legge (cfr. Corte Cost. n. 149/2022).[69] Secondo la Consulta, il sistema di doppio binario sanzionatorio previsto in materia di protezione del diritto d’autore dagli artt. 171 ter e 174 bis -che puniscono le medesime condotte con una sanzione strettamente penale e con una sanzione formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale alla luce dei criteri Engel- viola il diritto al ne bis in idem, secondo i criteri enucleati dalla Corte EDU, in quanto tra il procedimento penale e quello amministrativo non è ravvisabile una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta, in modo che essi possano ritenersi preordinati ad una risposta coerente e unitaria alla tipologia di illeciti in esame. I due procedimenti, sostiene la Consulta, perseguono una funzione dissuasiva sovrapponibile e, benché originino dalla stessa condotta, non sono in alcun modo coordinati sotto il profilo probatorio e temporale. D’altra parte, anche il legislatore della protezione del diritto d’autore, come nel caso di specie, aveva dichiarato espressamente che lo scopo dell’introduzione della sanzione amministrativa era quello di garantire una riposta punitiva più celere. Inoltre, anche in quel caso, la sanzione penale non è limitata ai fatti che presentino una particolare gravità o che superano una determinata soglia di rilevanza. L’unica differenza tra l’apparato sanzionatorio considerato dalla Corte Costituzionale con sentenza 149 del 2022 e l’apparato sanzionatorio esaminato nel caso di specie è che l’ideatore del disegno di legge in materia di protezione del patrimonio culturale ha introdotto un meccanismo di raccordo per cui l’autorità che irroga la sanzione deve tenere in considerazione eventuali sanzioni, amministrative o penali, precedentemente comminate. Elemento necessario ma non sufficiente a scongiurare la violazione del diritto al ne bis in idem.

In definitiva, se il disegno di legge n. 693 contenente disposizioni sanzionatorie in materia di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici, fosse approvato nel testo attualmente presentato dal Ministro della Cultura, introdurrebbe una sanzione formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale secondo i criteri Engel che andrebbe a doppiare la sanzione strettamente penale già prevista dal neo-introdotto art. 518 duodecies del codice penale e, in caso di commissione dell’illecito a vantaggio o nell’interesse di un ente, a triplicare l’esborso da parte della Società. Al contempo, la possibilità che la persona fisica subisca sia il procedimento amministrativo sia il procedimento penale appare in netto contrasto con i principi costituzionali, convenzionali e unionali in materia di divieto di bis in idem e, in un ultima istanza, in violazione al diritto ad un equo processo.

Pur dovendo rimettere ogni considerazione più approfondita e definitiva ad un momento successivo la pubblicazione della novella, il disegno di legge appare sin d’ora sintomatico di una sproporzionata sovrapposizione di sanzioni per la medesima condotta contro il patrimonio culturale, ancorché suscettibile di ripristino. Sanzioni che hanno sicuramente un impatto considerevole nei bilanci delle imprese laddove gli illeciti siano commessi nel loro interesse o vantaggio.

 

7. conclusioni

In conclusione, ad un anno dall’introduzione di un intero nuovo titolo VIII-bis nel codice penale, dedicato ai delitti contro il patrimonio culturale, e di nuovi reati presupposto della responsabilità degli enti nel d.lgs. 231/2001, sembra che il legislatore sia intenzionato a proseguire la strada dell’inasprimento sanzionatorio nei confronti delle condotte lesive, o solo potenzialmente tali, dei beni culturali e paesaggistici, a discapito dei principi costituzionali e convenzionali di proporzionalità, legalità, oltre che del diritto al ne bis idem.

L’afflittività della riforma attuata con la Legge n. 22/2022 e del disegno di legge n. 693 del 2023 denotano un abuso degli strumenti sanzionatori penali a discapito di soluzioni concretamente efficaci alla protezione del patrimonio culturale e dell’ambiente complessivamente inteso. Invero, autorevoli studiosi del diritto penale hanno affermato che il raggiungimento dello scopo di maggior tutela dell’ambiente, nel rispetto delle garanzie dell’imputato, può essere raggiunto tramite diversi fattori sia legislativi sia extralegislativi.[70]

Sotto il primo profilo, potrebbero essere ampliate le cause di estinzione del reato o più in generale forme di non punibilità condizionata a forme di reintegrazione dell’offesa ambientale. Allo stesso tempo, le cause di estinzione del reato valevoli per le persone fisiche potrebbero essere estese agli enti giacché, allo stato attuale, è la Società a sostenere i costi di sanzioni, risarcimenti e ripristini dei quali beneficiano i propri rappresentanti legali, mentre per l’ente non è prevista alcuna causa di estinzione dell’illecito.[71] Peraltro, nell’ambito dei delitti contro il patrimonio culturale non sono previste cause di estinzione del reato nemmeno per le persone fisiche. Con particolare riferimento all’art. 518 duodecies c.p., per esempio, il ripristino dello stato dei luoghi non solo non costituisce una causa di non punibilità ovvero una causa di estinzione del reato ma, per espressa previsione del terzo comma, è unicamente condizione per la concessione della sospensione condizionale della pena. Questo determina l’applicabilità di un trattamento sanzionatorio complessivamente molto gravoso per le persone fisiche e per l’ente, anche a fronte di condotte pienamente reversibili.

In aggiunta, sempre in una prospettiva de jure condendo, potrebbe essere aggiornato il sistema sanzionatorio con la previsione di pene principali reintegratorie come il lavoro di pubblica utilità, obblighi di ripristino oppure sanzioni interdittive, anche per gli enti, con corrispondente riduzione del ricorso alle pene detentive.

Quanto alla prospettiva extralegislativa, possono concorrere ulteriori fattori ad assicurare maggiore tutela al bene ambiente: le risorse umane e finanziarie investite negli apparati amministrativi, investigativi e giurisdizionali; la professionalità e la cultura giuridica delle parti; la sensibilità dei cittadini, delle associazioni ma soprattutto delle istituzioni nella promozione del rispetto dell’ambiente e, nello specifico, del patrimonio culturale.[72]

In attesa che tali prospettive possano trovare ingresso nella strategia politico-criminale in materia ambientale, possiamo limitarci a monitorare l’applicazione in concreto dei nuovi reati contro il patrimonio culturale al fine di valutarne concretamente l’efficacia nella tutela integrata dell’ambiente e gli impatti sull’operatività delle imprese.

 

Note:

 

[1] Legge 9 marzo 2022, n. 22, Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 68 Serie Generale del 22.3.2022, entrata in vigore il giorno successivo 23 marzo 2022 in forza della clausola di immediata operatività contenuta nell’art. 7 della stessa legge.

[2] Council of Europe, Convention on Offences relating to Cultural Property, Treaty Series n. 221, Nicosia, 19.V.2017. D’ora in avanti Convenzione di Nicosia.

[3] Legge 21 gennaio 2022, n. 6, Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulle infrazioni relative ai beni culturali, fatta a Nicosia il 19 maggio 2017, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 31 Serie Generale del 7.2.2022, entrata in vigore l’8.2.2022.

[4] Dal Preambolo della Convenzione del Consiglio d'Europa sulle infrazioni relative ai beni culturali: «Gli Stati membri del Consiglio d'Europa e gli altri firmatari della presente Convenzione, essendo convinti che i beni culturali appartenenti ai popoli costituiscano una testimonianza unica e importante della cultura e dell'identità di tali popoli e che formino il loro patrimonio culturale; preoccupati che i reati connessi ai beni culturali siano in crescita e che tali reati, in misura crescente, conducano alla distruzione del patrimonio culturale mondiale; […] Considerando che lo scopo della presente Convenzione è quello di proteggere i beni culturali attraverso la prevenzione e la lotta contro i reati di natura culturale; […]».

[5] Ex plurimis D’Agostino L., Dalla “vittoria di Nicosia” alla “navetta” legislativa: i nuovi orizzonti normativi nel contrasto ai traffici illeciti di beni culturali, in Diritto penale contemporaneo – Rivista trimestrale, vol. n. 1, 2018, pag. 84; Perini, Itinerari di riforma per la tutela penale del patrimonio culturale, in Legislazione penale <www.lalegislazionepenale.eu>, 19/2/2018, pagg. 21-22; Visconti A., Diritto penale dei beni culturali, in Diritto online Treccani - Approfondimenti enciclopedici, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, 2019, online (DOI 10.7394/DOL-741).

[6] Demuro G.P., I delitti contro il patrimonio culturale nel codice penale: prime riflessioni sul nuovo Titolo VIII-bis, in Diritto penale contemporaneo, vol. 1, 2022, pagg. 2-3.

[7] Perini C., Itinerari di riforma per la tutela penale del patrimonio culturale, in Legislazione penale, <www.lalegislazionepenale.eu>, 19/2/2018, p. 1 citando Predieri, Paesaggio, 1981

[8] Ivi, pp. 14-15

[9] Storicamente, molti autori si sono interrogati sul concetto di ambiente nel tentativo di ricondurre ad unità tutte le discipline che si occupano della materia. Ex multis Crosetti A., Ferrara R., Fracchia F., e Olivetti Rason N., Introduzione al diritto dell’ambiente, Edizioni Laterza, 2018, pp. 62-63: «Agli inizi degli anni Settanta l’esigenza di dare una connotazione giuridica alla parola ‘ambiente’ fu oggetto di importanti contributi dottrinali. Davvero determinante quello di Massimo Severo Giannini, secondo il quale il diritto dell’ambiente era riconducibile a tre gruppi di istituti: l’ambiente a cui fanno riferimento la normativa e il movimento di idee relativi al paesaggio; l’ambiente a cui fanno riferimento la normativa e il movimento di idee relativi alla difesa del suolo, dell’aria, dell’acqua; l’ambiente a cui si fa riferimento negli studi dell’urbanistica […]. Questa impostazione dottrinale di Giannini ha offerto spunti per successivi sviluppi. Si è notato (Morbidelli) che, al giorno d’oggi, i gruppi di istituti che compongono l’ambiente dalla prospettiva del giurista sono molto più numerosi. Tuttavia, la tripartizione gianniniana merita d’essere rivisitata al fine di individuare le prime pietre miliari che segnano il percorso dell’ambiente nel diritto costituzionale».

[10] Preambolo della Dichiarazione della Nazioni Unite sull’ambiente umano, Stoccolma, 1972: «I due elementi del suo ambiente, l'elemento naturale e quello da lui stesso creato, sono essenziali al suo benessere e al pieno godimento dei suoi fondamentali diritti, ivi compreso il diritto alla vita.»

[11] Perini C., Itinerari di riforma, cit. p. 12

[12] I commi 2 e 3, prima parte, dell’articolo 9 della Costituzione, così recitano: «[La Repubblica] Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni.»

[13] Corte Costituzionale, sentenza n. 378 del 2000: «Riguardo alla sfera degli interessi coinvolti e delle esigenze relative al territorio, giova sottolineare che la tutela del bene culturale è nel testo costituzionale contemplata insieme a quella del paesaggio e dell’ambiente come espressione di principio fondamentale unitario dell'ambito territoriale in cui si svolge la vita dell'uomo (sentenza n. 85 del 1998) e tali forme di tutela costituiscono una endiadi unitaria. Detta tutela costituisce compito dell’intero apparato della Repubblica, nelle sue diverse articolazioni ed in primo luogo dello Stato (art. 9 della Costituzione), oltre che delle regioni e degli enti locali.»

[14] Cfr. Visconti A., Diritto penale dei beni culturali, in Diritto online Treccani - Approfondimenti enciclopedici, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, 2019, online (DOI 10.7394/DOL-741)

[15] Nel panorama pre-riforma questo raccordo di discipline inteso quale condizione essenziale per l’effettività della tutela era stato auspicato da Perini C., Itinerari di riforma, cit. p. 19-21

[16] Del resto si è autorevolmente sostenuto che non basterebbe nemmeno una tutela integrata dell’ambiente, ma sarebbe necessario un bilanciamento di tutti i valori costituzionali in gioco. Così Crosetti A. et al., Introduzione al diritto dell’ambiente, cit. p. 71: «La qualificazione dell’ambiente -nelle parole del giudice delle leggi- come valore primario si fonda su una complessa operazione interpretativa. L’ambiente, proprio in quanto valore, ‘costituisce […] uno degli elementi fondamentali che caratterizzano una società in un dato periodo della storia e sul quale una società fonda la sua legittimazione’ (Caravita). Ciò rende necessaria la salvaguardia, che peraltro non può svolgersi rifacendosi alla ‘sommatoria di singoli fattori […] da tutelare’ (Cecchetti). Non è neppure sufficiente che le varie forme di protezione (dell’aria, dell’acqua, del suolo) siamo integrate e coordinate. Si ritiene che il criterio da adottare sia quello del bilanciamento dei valori che concorrono allo svolgimento della dinamica costituzionale.»

[17] Articolo 452 bis, comma 2, codice penale

[18] Articolo 452 quater, comma 2, codice penale

[19] Articolo 44, comma 1, lett. c), ultimo periodo, DPR 380/2001

[20] Cfr. Ponzoni L. e Di Maggio F., I reati contro il patrimonio culturale e l’aggiornamento dei Modelli 231, in Giurisprudenza Penale Web, 2023, n. 4, pp. 7-9; e in misura più cauta Demuro G.P., I delitti contro il patrimonio culturale, cit. pp. 21-22 che, pur non condividendo la rinuncia definitoria del legislatore della riforma osserva: «è vero da un lato che è opportuno (o doveroso) che il legislatore penale, quando fa uso di termini suscettibili di molteplici interpretazioni, ne fornisca una definizione, per evitare il trasferimento di scelte politico-criminali dal legislatore al singolo giudice; d’altra parte, data la struttura tecnica della legge di riforma, con una interdipendenza di diverse nuove fattispecie da precetti posti nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, dove già esiste una definizione di beni culturali e paesaggistici, si sarebbe corso il rischio di confusione.»

[21] Cfr. la dettagliata ricostruzione sistematica di Ponzoni L. e Di Maggio F., I reati contro il patrimonio culturale, cit. pp. 7-16.

[22] Eloquente espressione riferibile a Ponzoni L. e Di Maggio F., I reati contro il patrimonio culturale, cit. pp. 7 ss.

[23] Tra questi vi sono le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi; gli archivi e i singoli documenti; le raccolte librarie delle biblioteche; purché appartenenti allo Stato o di enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico.

[24] Tra questi vi sono le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà; le cose di interesse numismatico che abbiano carattere di rarità o di pregio; i manoscritti, gli autografi, i carteggi, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe e le incisioni, con relative matrici, aventi carattere di rarità e di pregio; le carte geografiche e gli spartiti musicali aventi carattere di rarità e di pregio; le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico; le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico; i siti minerari, le navi e i galleggianti, le architetture rurali aventi interesse artistico, storico od etnoantropologico; se appartenenti a soggetti diversi dallo Stato e dagli enti pubblici territoriali o istituti pubblici.

[25] Se è intervenuta la dichiarazione dell’interesse culturale di cui all’art. 13 sono tali le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti privati; gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolarmente importante; le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale.

[26] Sono tali le cose, a chiunque appartenenti, che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione; le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose; le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che non siano ricomprese fra quelle indicate al comma 2 e che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come complesso un eccezionale interesse.

[27] Gli articoli 134 e seguenti d.lgs. 42/2004 individuano in maniera puntuale i beni paesaggistici. Tra questi rientrano a titolo esemplificativo le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale, singolarità geologica o memoria storica, ivi compresi gli alberi monumentali; le ville, i giardini e i parchi (che non costituiscono già un bene culturale) che si distinguono per la loro non comune bellezza; i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici; le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze; i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare; i fiumi, i torrenti, i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti RD 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna;

le montagne per la parte eccedente 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole; i ghiacciai e i circhi glaciali; i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi; i territori coperti da foreste e da boschi; le zone umide incluse nell'elenco previsto dal d.P.R. 13 marzo 1976, n. 448; i vulcani; le zone di interesse archeologico.

[28] Ponzoni L. e Di Maggio F., I reati contro il patrimonio culturale, cit. p. 17

[29] Ivi, p. 18

[30] Così la Relazione del Massimario della Cassazione n. 34/22 a p. 2

[31] Il Titolo VIII-bis del codice penale include i seguenti articoli: 518 bis, Furto di beni culturali; 518 ter, Appropriazione indebita di beni  culturali; 518 quater, Ricettazione di beni culturali; 518 quinquies, Impiego di beni culturali provenienti da delitto; 518 sexies, Riciclaggio di beni culturali; 518 septies, Autoriciclaggio di beni culturali; 518 octies, Falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali; 518 novies, Violazioni in materia di alienazione di beni culturali; 518 decies, Importazione illecita di beni culturali; 518 undecies, Uscita o esportazione illecite di beni culturali; 518 duodecies, Distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici; 518 terdecies, Devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici; 518 quaterdecies, Contraffazione di opere d’arte; 518 quinquiesdecies, Casi di non punibilità; 518 sexiesdecies, Circostanze aggravanti; 518 septiesdecies, Circostanze attenuanti; 518 duodevicies, Confisca; 518 undevicies, Fatto commesso all’estero. È stata inoltre introdotta una nuova contravvenzione concernente la prevenzione dei delitti contro il patrimonio all’art. 707 bis c.p., Possesso ingiustificato di strumenti per il sondaggio del terreno o di apparecchiature per la rilevazione dei metalli.

[32] V. infra il reato di uso illecito di beni culturali.

[33] L’art. 518 sexiesdecies c.p. prevede tra le circostanze aggravanti ad effetto speciale (aumento da un terzo alla metà) la commissione di un reato contro il patrimonio culturale nell’esercizio di un’attività professionale o commerciale ovvero la causazione di un danno di rilevante gravità. Al contempo, l’art. 518 septiesdecies c.p. prevede tra le circostanze attenuanti ad effetto comune la causazione di un danno di speciale tenuità ovvero un lucro di speciale tenuità quando anche il danno sia tale; mentre include tra le circostanze attenuanti ad effetto speciale (diminuzione da un terzo a due terzi) la collaborazione con l’autorità giudiziaria nella individuazione dei correi o nell’assicurare le prove del reato o ancora nel recuperare i beni culturali oggetto del delitto.

[34] Ai sensi dell’art. 518 duodevicies c.p. il giudice dispone in ogni caso la confisca delle cose che hanno costituito l’oggetto del reato, salvo che queste siano di proprietà di una persona estranea al reato; ordina inoltre la confisca delle cose che servirono a commettere il reato e del prodotto, profitto o prezzo del reato, salvo che appartengono a terzi, in ogni caso di condanna o patteggiamento (confisca obbligatoria); nei casi in cui non è possibile procedere alla confisca, il giudice ordina la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore corrispondente al profitto o al prodotto del reato (confisca per equivalente).

Inoltre, ai sensi del novellato art. 240 bis c.p., in caso di condanna o patteggiamento per i reati di cui agli articoli 518 quater, Ricettazione di beni culturali; 518 quinquies, Impiego di beni culturali provenienti da delitto; 518 sexies, Riciclaggio di beni culturali; 518 septies, Autoriciclaggio di beni culturali; è sempre disposta la confisca del danaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona, fisica o giuridica, risulta averne a qualsiasi titolo la disponibilità in valore sproporzionato al proprio reddito o alla propria attività economica (confisca allargata o per sproporzione).

[35] Ai sensi della neo-introdotta lettera b-bis) dell’art. 9 Legge 16 marzo 2006, n. 146 in materia di operazioni sotto copertura, gli ufficiali di polizia giudiziaria degli organismi specializzati nel settore dei beni culturali, nelle attività di contrasto dei soli delitti di cui agli articoli 518 sexies, Riciclaggio di beni culturali, e 518 septies, Autoriciclaggio di beni culturali, possono compiere operazioni sotto copertura, e quindi non sono punibili, incluse attività di assistenza alle persone indagate, acquisto o ricezione di denaro o altra utilità, armi, documenti, beni ovvero cose che sono oggetto prodotto profitto prezzo o mezzo per commettere il reato.

[36] Relazione del Massimario della Cassazione n. 34/22, pp. 48-49

[37] Ipotesi delittuosa invero già prevista come aggravante del delitto di deturpamento o imbrattamento di cose altrui dall’art. 639, comma 2, secondo periodo, c.p. abrogato dall’art. 5, comma 2, della legge n. 22 del 2022.

[38] Articolo 170 d.lgs. 42/2004 (abrogato dalla L. 22/2022): Uso illecito. 1. E' punito con l'arresto da sei mesi ad un anno e con l'ammenda da euro 775 a euro 38.734,50 chiunque destina i beni culturali indicati nell'articolo 10 ad uso incompatibile con il loro carattere storico od artistico o pregiudizievole per la loro conservazione o integrità.

[39] Art. 518 duodecies c.p.: Distruzione dispersione deterioramento deturpamento imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici. […] 2. Chiunque, fuori dei casi di cui al primo comma, deturpa o imbratta beni culturali o paesaggistici propri o altrui, ovvero destina beni culturali a un uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico ovvero pregiudizievole per la loro conservazione o integrità, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 1.500 a euro 10.000.

[40] Cass. pen., Sez. III, Sent. del 19.4.2005, n. 14377 Rv. 231072-01

[41] Cass. pen., Sez. VI, Sent. del 18.9.2012, n. 35786, Rv. 254393-01

[42] Cass. pen., Sez. III, Sent. del 16.11.2011 n. 42065, Rv. 251423-01

[43] Cass. pen., Sez. II, Sent. dell’1.7.2010 n. 24739

[44] Cass. pen., Sez. II, Sent. del 9.1.2013 n. 845, conf. Cass. pen., Sez. VI, Sent. del 3.11.2000 n. 11756; per l’ipotesi in cui il bene sia stato sporcato o deturpato sotto l’aspetto dell’estetica o della nettezza, nella specie con scritte in vernice realizzate con bombolette spray, senza che lo stesso abbia perduto la sua integrità o funzionalità, tanto che un semplice intervento superficiale sia idoneo a ripristinarlo nel suo aspetto e nel suo valore; anche quando la ripulitura abbia richiesto una ritinteggiatura completa e per quanto costoso sia risultato l’intervento di restauro, v. anche Cass. pen., Sez. II, sent. del 20.3.2003 n. 12973).

[45] Qualora la commissione del reato ossia la consumazione dello stesso sia databile in un momento antecedente il 23 marzo 2022, data di entrata in vigore della riforma normativa, sarà applicabile la pena precedentemente prevista per la fattispecie contravvenzionale (nel caso di uso illecito di beni culturali) ovvero per la fattispecie delittuosa aggravata (per deturpamento o imbrattamento di beni culturali o paesaggistici). Diversamente, laddove la consumazione sia avvenuta o permanga successivamente al 23 marzo 2022, si applicheranno le più gravi conseguenze sanzionatorie delle neo-introdotte fattispecie delittuose.

[46] L’articolo 25-septiesdecies d.lgs. 231/2001 “Delitti contro il patrimonio culturale” prevede le seguenti sanzioni: in relazione alla commissione del delitto di cui all’art. 518 novies c.p. (violazioni in materia di alienazione di beni culturali) la sanzione da 100 a 400 quote; in relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 518 ter c.p. (appropriazione indebita di beni culturali), 518 decies c.p. (importazione illecita di beni culturali) e 518 undecies c.p. (uscita o esportazione illecite di beni culturali) la sanzione da 200 a 500 quote; in relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 518 duodecies c.p. (distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici) e 518 quaterdecies c.p. (contraffazione di opere d’arte) la sanzione da 300 a 700 quote; in relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 518 bis c.p. (furto di beni culturali), 518 quater c.p. (ricettazione di beni culturali) e 518 octies c.p. (falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali) la sanzione da 400 a 900 quote.

[47] L’articolo 25-duodevicies d.lgs. 231/2001 “Riciclaggio di beni culturali e devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici” prevede la sanzione pecuniaria da 500 a 1.000 quote in relazione alla commissione dei delitti previsti dagli articoli 518 sexies (riciclaggio di beni culturali) e 518 terdecies (devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici) c.p.

[48] Secondo la giurisprudenza ormai consolidata, i requisiti dell’illecito amministrativo imputabile all’ente ai sensi del d.lgs. 231/2001 sono alternativi e concorrenti tra loro: è sufficiente il solo interesse dell’ente, inteso quale valutazione teleologica del reato apprezzabile ex ante ossia al momento del fatto, ovvero il solo vantaggio, riferibile invece ad un giudizio di natura oggettiva valutabile ex post sulla scorta degli effetti derivati dall’illecito (cfr. di recente ed ex plurimis Cass. pen., sez. IV, sentenza n. 17006 del 21.4.2023).

[49] Cfr. Ponzoni L. e Di Maggio F., I reati contro il patrimonio culturale, cit. pp. 21-22

[50] In questo senso Scarcella A., Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale: la legge 22/2022 apre alla responsabilità 231, in La responsabilità amministrativa delle Società e degli Enti, vol. 3, 2022, pp. 44-45, il quale non solo manifesta un plauso ai compilatori della novella del 2022, ma addirittura rimpiange la mancata introduzione del delitto di attività organizzate finalizzate al traffico di beni culturali.

[51] Così Martin F., La responsabilità dell’ente per reati contro il patrimonio culturale, in Giurisprudenza Penale Web, 2022, n. 3, p. 11

[52] Cfr. Martin F., La responsabilità dell’ente, cit., pp. 11-12 e Piccinni M. L., Lo scardinamento del principio del societas delinquere non potest anche rispetto alla responsabilità dell’ente per reati contro il patrimonio culturale, in La responsabilità amministrativa delle società e degli Enti, vol. 3, 2022, p. 58

[53] Ibidem

[54] Tali potrebbero essere attività di gestione (trattamento o recupero) di rifiuti il cui impianto confina o insiste su un’area tutelata paesaggisticamente e nella quale dunque sono svolte attività potenzialmente in contrasto con l’interesse paesaggistico. Analogamente ogni impresa che gestisce un’attività industriale con possibile impatto sul paesaggio potrebbe astrattamente integrare le condotte di deterioramento dei beni paesaggistici tutelati idonee a far scattare la responsabilità amministrativa dell’ente.

[55] Piccinni M. L., Lo scardinamento del principio, cit. pp. 60-61

[56] Cfr. Ponzoni L. e Di Maggio F., I reati contro il patrimonio culturale, cit. pp. 22-26 e Artusi M. F. e Vernero P., Tutela dei beni culturali, cit., p. 304

[57] Ibidem

[58] Disegno di legge presentato dal Ministro della cultura (Sangiuliano), comunicato alla presidenza l’11 maggio 2023, Disposizioni sanzionatorie in materia di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/426425.pdf

[59] Così si legge anche nel Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 28 dell’11 Aprile 2023 https://www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-28/22332#:~:text=TUTELA%20DEI%20BENI%20CULTURALI%20E%20PAESAGGISTICI

[60] Disegno di legge presentato dal Ministro della cultura (Sangiuliano), comunicato alla presidenza l’11 maggio 2023, Disposizioni sanzionatorie in materia di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici, ANALISI DI IMPATTO DELLA REGOLAMENTAZIONE (AIR), p. 4

[61] Ivi, p. 6

[62] Disegno di legge n. 693 cit., p. 3 in cui si legge: «il presente disegno di legge intende introdurre una ipotesi di sanzione amministrativa che «doppia» quella già prevista nell’articolo 518-duode­cies del codice penale, introdotto dall’arti­colo 1, comma 1, lettera b), della legge 9 marzo 2022, n. 22, che ha inserito l’intero titolo VIII-bis del predetto codice penale, in vigore a decorrere dal 23 marzo 2022. Essa, pertanto, fa salve espressamente le ulteriori e diverse sanzioni penali previste dall’articolo 518-duodecies del codice penale, ove applicabili, oltre che, naturalmente, gli eventuali e conseguenti risarcimenti dei danni.»

[63] Nell’ordinamento sovranazionale il diritto a non essere giudicati o puniti due volte per lo stesso fatto è riconosciuto dall’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU a tenore del quale nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di Stato.

Nell’ordinamento dell’Unione Europea, il principio del ne bis in idem è sancito dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (c.d. Carta di Nizza), che ai sensi dell’art. 6 TUE ha lo stesso valore giuridico dei Trattati per cui produce effetti diretti negli ordinamenti degli Stati Membri.

Nell’ordinamento nazionale il divieto di bis in idem è sancito in primo luogo dall’art. 649 c.p.p. volto a prevenire la moltiplicazione di procedimenti aventi ad oggetto il medesimo fatto. Ai sensi dell’art. 649 comma 1 c.p.p., l’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze. Il principio in questione era stato tuttavia applicato allo scopo di scongiurare la plurima instaurazione di processi penali, senza precludere il contemporaneo corso di procedimenti tesi a irrogare al medesimo fatto sanzioni di diversa natura.

[64] La questione si è posta prevalentemente con riferimento agli illeciti in materia di intermediazione finanziaria e a quelli tributari.

[65] Si tratta dei c.d. criteri Engel, così denominati a seguito della storica sentenza Engel c. Paesi Bassi dell’8 giugno 1976 ed elaborati dai Giudici della Corte EDU per desumere la natura effettiva delle disposizioni nazionali, al fine di estendere le garanzie CEDU all’intera materia sostanzialmente penale, a prescindere dal nomen iuris.

[66] Corte EDU, 4 marzo 2014, Stevens c. Italia. La Corte era chiamata a valutare la coerenza del sistema sanzionatorio italiano in materia di abusi di mercato (articolo 185 quanto alla fattispecie penale e articolo 187 ter quanto all’illecito amministrativo, del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58) con il diritto a non essere giudicati o puniti due volte per lo stesso fatto (art. 4 Protocollo n. 7 CEDU), in un caso in cui i ricorrenti, dopo essere stati sanzionati per l’illecito amministrativo a conclusione del procedimento svoltosi dinnanzi alla CONSOB, erano stati rinviati a giudizio nell’ambito del procedimento penale per lo speculare illecito penale e condannati in appello. In applicazione dei criteri Engel, i Giudici hanno riconosciuto al natura sostanzialmente penale delle sanzioni comminate da CONSOB e hanno concluso per la sostanziale incompatibilità del sistema italiano di “doppio binario” sanzionatorio con l’art. 4 Protocollo n. 7 CEDU ossia con il divieto di bis in idem.

[67] Corte Edu, Grande Camera, 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia, secondo la quale il principio di ne bis in idem non impedisce agli ordinamenti nazionali l’adozione di un sistema sanzionatorio integrato, ma ammette la coerenza con il principio dei regimi “doppio binario” se questi superano la verifica in concreto di un duplice test: proporzionalità e interconnessione sostanziale e temporale.

[68] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, sentenze 20 marzo 2018 C-524/15 (causa Menci), C-537/16 (causa Garlsson Real Estate e a.), C-596-16 e C-597/16 (cause Di Puma e Zecca). La soluzione fornita dai giudice unionali, tuttavia, non ricalca pedissequamente quella dei giudici EDU e prevede che, affinché le limitazioni del diritto al ne bis in idem di cui all’art. 50 Carta di Nizza siano conformi al diritto dell’Unione, è necessario che esse rispettino congiuntamente i seguenti requisiti: (i) principio di proporzionalità della pena complessivamente risultante dal cumulo; (ii) principio di prevedibilità della sanzione complessiva; (iii) garanzia di coordinamento tra i due procedimenti relativi allo stesso fatto; (iv) finalità di interesse generale tale da giustificare il cumulo.

[69] L’art. 171 ter Legge 2 aprile 1941, n. 633, in materia di Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, punisce con la pena congiunta della multa e della reclusione una serie di condotte correlate alla abusiva duplicazione, riproduzione, trasmissione o  diffusione opere dell’ingegno di natura musicale, cinematografica, letteraria etc. Ai sensi del successivo art. 174 bis, ferme le sanzioni penali applicabili, le medesime condotte sono punite anche con la sanzione amministrativa pecuniaria pari al doppio del prezzo di mercato dell'opera o del supporto oggetto della violazione, in misura comunque non inferiore a euro 103,00 oppure, se il prezzo non è facilmente determinabile, con la sanzione amministrativa da euro 103,00 a euro 1032,00. per ogni violazione e per ogni esemplare abusivamente duplicato o riprodotto.

[70] Su tutti v. Ruga Riva C., Diritto penale dell’ambiente, Giappichelli, 2021, pp. 82-88.

[71] Ibidem

[72] Ibidem

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