La via della neve
Su questa strada
Dove nessuno passa
Cade la neve[...]
R. Cerminara, Al vento delle altane
Il mare e la montagna, costituiscono due potenti riferimenti ambientali e culturali, sui quali si è innervata la storia del territorio calabrese così come quella del territorio Reggino, che ha tratto necessariamente le sue risorse economiche dal mare e dal monte.
Se il mare donava il pescato, accoglieva le navi e agevolava lo scambio delle merci, il monte elargiva una ulteriore risorsa, ritenuta fondamentale nei secoli scorsi: offriva la neve.
Neviere e vendita della neve nelle carte del passato
In passato l’uomo, per poter godere del privilegio del freddo così importante non solo per la conservazione dei cibi e il raffreddamento delle bevande ma anche quale coadiutore nelle cure mediche, come possibile antisettico, dovette necessariamente ingegnarsi utilizzando l’unica cosa che la natura metteva a disposizione: la neve.
L’autore seicentesco Bartoli scriveva: “Conserve […] ghiacciaie e neviere avevano anche gli antichi come noi le abbiamo”.
La raccolta della neve
Prima che la civiltà dei consumi fornisse i mezzi per confezionare il ghiaccio, si provvedeva con quanto ricavato dalle neviere, grandi fosse allestite sui monti per la raccolta e conservazione della neve caduta in inverno.
La neve, veniva raccolta nel mese di marzo e conservata nelle "Neviere", che erano semplici grotte o grandi fosse, scavate nelle zone montane. Nel nostro territorio, le neviere erano enormi cavità, costruite sotto le fitte pinete aspro montane, poco esposte alla calura estiva, le cui pareti erano rivestite di frascame e foglie. La neve, una volta raccolta, veniva battuta con bastoni ed ammassata fino a trasformarla in ghiaccio duro e compatto, quindi veniva rotolata dentro le neviere, da dove, gli affittuari di queste particolari fosse, i cosiddetti “nevaioli" (in genere vetturali, mulattieri) all'occorrenza, la prelevavano per trasportarla nei vari paesi, dopo averla opportunamente imballata con paglia. Nei centri urbani, i cittadini potevano comprarla in particolari botteghe e gli addetti alla vendita erano gli "appaltatori", coloro che avevano vinto all'incanto l'appalto per la vendita al minuto della neve.
La vendita della neve
La neve, in passato, era certamente considerata merce preziosissima di un commercio, ormai completamente dimenticato e desueto che, però, un tempo è stato tanto prospero quanto determinante per la sopravvivenza e il benessere dell’uomo. In passato gli inverni erano molto rigidi, per cui la neve cadeva abbondante, tanto che il suo commercio costituiva una buona fonte di profitto.
Come ha riferito Domenico Raso, in Messina, alla fine del XVI secolo, il commercio della neve era organizzato sulla base di appositi capitoli ("partitum venditionis nivis"), secondo le modalità di un "rituale giuridico di squisita tradizione mercantile italiana". Lo studioso ha citato un atto del 18 maggio 1595, rogato in Scilla dal notaio M. A. Oliva, in cui si dice che il Magnifico Adamo Coppola, erario della principessa di Scilla, donna Maria Ruffo, vendeva a tre soci in affari di Messina - i Magnifici Mariano Depotenza, Giuseppe Morabito e Simone Constabile - tutta la quantità di neve giornalmente da essi richiesta da maggio a ottobre. La neve sarebbe stata prelevata da carovane di vaticali ,mulattieri, nei boschi dell'Aspromonte e poi trasportata via mare tramite feluche nella città di Messina.
La vendita della neve e la principessa di Scilla, Giovanna Ruffo di Calabria
Numerose le merci che dalla Calabria venivano convogliate nel porto siciliano di Messina per poi essere esportate altrove, come per esempio la seta. Altre invece, la cittadinanza messinese, le riceveva per proprio uso. Tra queste oltre alle derrate cerealicole, un posto rilevante ero occupata dalla neve. A fornire tale prodotto erano i signori feudali cui appartenevano le montagne dove veniva conservata la neve, terreno montuoso che nella prima metà del Seicento era posseduto dalla principessa di Scilla, Giovanna Ruffo di Calabria.
Da testimonianze documentarie, dalla Camera della Sommaria di Napoli, apprendiamo grazie a Giuseppe Caridi che ‘’per la liquidazione del relevio presentato da Giovanna Ruffo alla morte della madre, risulta che, dal 1626 al 1647, la nobildonna calabrese aveva venduto la neve dei suoi feudi aspromontane alla città di Messina. Questa se ne approvvigionò infatti tramite locale Senato, fra le cui fila, Giovanna aveva come fiduciario un suo parente Francesco Cirino. Dopo aver acquistato la neve dalla Ruffo il Senato messinese era solito mettere nell’incanto l’appalto per la vendita al minuto sulla base d’asta di 1000 once annue e a determinate condizioni esposte nell’apposito capitolato.[…]Il prezzo della neve – 5 grana a rotolo nel contratto in vigore dal 1 gennaio 1639- era imposto al fittavolo che non poteva variarlo per alcun motivo. Per premunirsi di eventuali frodi e quindi da menomazioni del peso pattuito si stabiliva che i catapani, gli ufficiali preposti al peso e alle misure, avrebbero potuto sottoporlo a controllo nel raggio di 25 passi dalla bottega ma non oltre a garanzia dello stesso appaltatore ‘’poiché - era espressamente indicato nel capitolato - si trattava di neve la quale di momenti in momento va squagliando[…]’’.
Gli appaltatori e la vendita al minuto della neve
Per garantire una costante disponibilità di neve, nei menzionati atti, si prevedeva che fossero aperte nel territorio urbano varie botteghe, gestite da "appaltatori", ossia gli impresari vincitori della licenza pluriennale per la vendita al minuto della neve. L'appalto, concesso per mezzo di un'asta pubblica organizzata di solito dal senato messinese, imponeva agli appaltatori particolari condizioni, contemplate nell'apposito capitolo.
In Palmi, la bottega della neve era gestita da appaltatori, i quali, mediante la tradizionale asta comunale "ad estinto di candela vergine", si aggiudicavano l'affitto del cosiddetto “partito" della neve. Ne abbiamo chiara testimonianza in alcuni documenti del Settecento e dell'Ottocento, noti grazie a Vincenza Pipino.
Il 16 novembre 1767, Pasquale Celona, avendo vinto l'incanto nel mese precedente, mediante atto notarile, si impegnava a vendere la neve nella città di Palmi per un anno. Presenti alla stipulazione del contratto come rappresentanti dell'Università, i sindaci, i Magnifici Antonino Lo Jercio e Giuseppe Antonio Silvestri, nonché il cassiere comunale, il Magnifico Dottore Fisico Giuseppe Antonio Grio.
Diversi anni dopo, giorno 11 febbraio 1773, il maestro Domenico Cicala si obbligava a vendere "la neve che servir deve per commodo di questo pubblico, alla ragione di grano uno e piccioli sei il rotolo" del pubblico palmese.
Tra le carte del notaio Luigi Badolati, in alcuni rogiti del 1855 e del 1858, si legge che il vetturale Domenico Giordano, domiciliato in Pedargone, circondario di Calanna, su richiesta degli appaltatori - il vetturale Pasquale Tegano, il calzolaio Antonino Saffioti e l'industriante Salvatore Basile - prendeva l'impegno a trasportare a sue spese, dal primo maggio al trentuno ottobre di ogni anno, tutta la quantità di neve necessaria ai bisogni degli abitanti di Palmi. Nel contempo, i fornitori della neve, ossia gli appaltatori si obbligavano a prelevare nei mesi invernali la neve con proprie vetture nel cosiddetto "Scaro" oppure sui "Monti delle quarte" o sulle "Alture dell'acqua della Foce", senza pagare alcun compenso al Giordano. Secondo i contratti, che duravano in genere diversi anni, la neve doveva "essere della qualità bianca e più che pura, ed esente di ogni corpo estraneo". Nel caso ciò non si fosse il vetturale-nevaiolo il pagamento di una penale, sia come indennizzo verificato o se la consegna fosse avvenuta in ritardo, era previsto per "Autorità Amministrative" del comune di Palmi.
In un altro atto del 1861, riguardante sempre la compravendita della neve, i contraenti erano il vetturale Domenico Giordano e l’appaltatore Pasquale Tegano. Le modalità erano identiche ai precedenti contratti.
Ecco quanto scriveva un cronista nel mese di maggio del 1892, allorchè la carenza di neve nell’apposita rivendita aveva creato disagi fra i cittadini: "Giovedì passato non si potè sorbire un gelato né una granita qualsiasi, perché in paese v'era assoluto difetto di neve, e quindi lagnanze generali. Sappiamo che il sindaco ha multato il fornitore ed ha dato gli ordini opportuni per evitare la ripetizione di tale sconcio”.
Osservando i documenti più antichi, abbiamo appreso che le neviere appartenevano a famiglie nobiliari, ma, in un’ epoca a noi più vicina, nell'Ottocento, sembra che fossero di proprietà dei comuni, come viene testimoniato da un documento riguardante il Capitolato di oneri per il fitto della neviera della montagna Trepitò, un possedimento del comune di Terranova Sappio Minulio. Il documento è stato pubblicato da Agostino Formica, che ha riportato l'intero verbale della seduta comunale del 28 ottobre 1892, in cui veniva stabilito che il fitto della detta neviera sarebbe stato aggiudicato mediante asta pubblica. La durata del contratto era di 4 anni, il fittuario aveva l’obbligo di fornire nella stagione estiva quella quantità di neve necessaria ai bisogni della popolazione di Terranova a cominciare dal primo maggio a tutto ottobre di ciascun anno. Inoltre avrebbe potuto scavare altre due fosse, qualora quelle esistenti non fossero state sufficienti a contenere tutta la neve .
Fra le numerose vie che hanno navigato il bacino mediterraneo, possiamo dunque annoverare la suggestiva via della neve.