La recidiva rientra tra le aggravanti ad effetto speciale dell’articolo 649-bis c.p.
Abstract:
Le Sezione Un. nel 1987, hanno sostenuto che poiché la recidiva incide sui connotati personalistici del reato, non va annoverata tra le aggravanti in grado di rendere procedibile d’ufficio un delitto che sarebbe altrimenti procedibile a querela. Nel 2018 viene introdotto l’articolo 649-bis Codice Penale, che mette in crisi questo orientamento giurisprudenziale. La sentenza in esame ne è un chiaro esempio: la recidiva rientra tra le aggravanti che consentono la procedibilità d’ufficio di alcuni reati.
The Supreme Court in 1987 argued that since recidivism affects the personal characteristics of the crime, it should not be counted among the aggravating circumstances capable of making a crime that would otherwise be prosecuted on the basis of a complaint, prosecutable ex officio. Since 2018, the new articolo 649-bis undermines this orientation. The sentence in question is a clear example of this: recidivism is one of the aggravating circumstances that make some crimes prosecutable ex officio.
1. Il caso in esame e la rimessione della Sezione seconda
All’imputato si contestava il reato di appropriazione indebita (articolo 646 Codice Penale) continuata e aggravata dall’abuso di relazioni di prestazione d’opera (articolo 61 n. 11 Codice Penale) e dalla recidiva reiterata specifica infraquinquennale (articolo 99 Codice Penale), per essersi appropriato della merce di campionario della Blu Industries s.r.l., in qualità del suo ruolo come sub-agente.
Il Tribunale di Cosenza ha dichiarato non doversi procedere per estinzione del reato a seguito di remissione di querela, accettata dall’imputato. Infatti a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo 36/2018 è stato modificato il regime di procedibilità: per procedere d’ufficio nei confronti dei reati di cui agli artt. 640 co. 3, 640-ter co. 4 e dei fatti previsti dall’646 co. 2 Codice Penale (truffa, frode informatica e appropriazione indebita) o se sussiste l’aggravante di cui all’articolo 61 co. 1 n. 11 Codice Penale devono ricorrere tra le varie ipotesi, ai sensi dell’articolo 649-bis Codice Penale, delle circostanze aggravanti ad effetto speciale. Il Tribunale di Cosenza ha ritenuto che la recidiva qualificata non rientrasse tra tali aggravanti, sulla scorta di una parte della giurisprudenza di legittimità.
Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello ha proposto ricorso per Cassazione lamentando la violazione del combinato disposto degli articoli 646 e 649-bis Codice Penale: per il ricorrente, infatti, la sussistenza della recidiva reiterata infraquinquennale configura un’aggravante ad effetto speciale poiché prevede un aumento della pena superiore ad un terzo.
Il ricorso giunge alla Sezione seconda che, con ordinanza 5555/2020, rimette la questione alle Sezioni Unite, poiché ravvisa la possibilità che sorga un contrasto giurisprudenziale sulla riconducibilità della recidiva alle aggravanti ad effetto speciale.
La Sezione seconda rileva che la recidiva qualificata configura una circostanza aggravante ad effetto speciale, come stabilito dalla Corte Costituzionale e dalle Sezioni Unite (Corte Costituzione, sentenza 185/2015 e Cass. Pen., Sezione Un., 20798/2011) nella disamina delle ipotesi di applicazione dell’articolo 63 Codice Penale
Già in passato si sono avute pronunce divergenti sul punto, e in una pronuncia delle Sezioni Unite del 1987 (n. 3152, Paolini), la Corte ha statuito che «la recidiva non è compresa nelle circostanze aggravanti che rendono il reato di truffa perseguibile d’ufficio, in quanto essa, inerendo esclusivamente alla persona del colpevole, non incide sul fatto-reato». Tale principio è stato per lungo tempo avallato (Sezione II, sentt. 1876/1999; 26029/2014; 29529/2015), anche a seguito della riforma della recidiva, che ne ha acuito i connotati personalistici. Tali pronunce si basano sulla connotazione soggettivistica della recidiva, in quanto quest’ultima, non incidendo sul fatto-reato, non rende procedibile d’ufficio un reato procedibile a querela nella sua forma semplice.
La Sezione seconda dubita della validità del principio enucleato dalla Corte nel 1987 alla luce sia delle modifiche introdotte al codice penale con il Decreto Legislativo 36/2018 (che ha introdotto fra gli altri l’articolo 649-bis Codice Penale) sia delle pronunce più recenti.
La corretta interpretazione della recidiva nei casi previsti dall’articolo 649-bis Codice Penale risulta essenziale per l’avvio e la giusta prosecuzione del processo: il pubblico ministero, infatti, se la recidiva fosse considerata un’aggravante a effetto speciale, potrebbe avviare l’azione penale d’ufficio e non essere legato alla querela di parte. Starebbe poi al giudice valutare la sussistenza della recidiva nel dibattimento. Invece nella situazione che si prospetta dinanzi alla Corte, la recidiva è stata esclusa ab origine dal Tribunale di Cosenza.
La Sezione seconda rileva che si è formato un dibattito giurisprudenziale in seno alla Corte di Cassazione a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo 36/2018. Alcune pronunce, infatti, hanno sostenuto il principio enucleato nel 1987 (Sezione V, sentenza 34802/2019); altre erano inerenti a ipotesi di recidiva semplice, irrilevante ai fini dell’articolo 649-bis (Sezione II, sentenza 37801/2019); altre ancora sostenevano che la recidiva fosse un’aggravante a effetto speciale ai fini dell’articolo 649-bis (Sezione II, sentenza 17281/2019).
La rimessione alle Sezioni Unite risulta essenziale per appianare il contrasto e per fornire agli organi inquirenti un iter certo nella scelta relativa all’esercizio dell’azione penale in presenza di reati procedibili a querela ma commessi in circostanza di recidiva qualificata.
Il quesito posto alle Sezioni Unite è «se il riferimento alle aggravanti ad effetto speciale contenuto nell’articolo 649 bis cod. pen., ai fini della procedibilità di ufficio per taluni reati contro il patrimonio (…) vada inteso come riguardante anche la recidiva qualificata di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell’articolo 99».
2. La risposta delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite nella pronuncia riprendono le argomentazioni da cui muove il ricorso e che sono avallate dall’ordinanza di rimessione della Sezione seconda: la recidiva costituirebbe un’aggravante ad effetto speciale da ricomprendere nell’articolo 649-bis Codice Penale, come sancito già dalla sentenza Indelicato (Sezione Un., sentenza 20798/2011).
Il Collegio, prima di giungere al nucleo della propria pronuncia, espone le oscillazioni della giurisprudenza di legittimità, già richiamate in parte dall’ordinanza della Sezione seconda.
Esordisce citando la sentenza Paolini, che affermò che la recidiva non fosse una circostanza aggravante che rende il reato di truffa perseguibile d’ufficio poiché inerisce alla persona del colpevole e non incide sul fatto-reato.
Questa motivazione si basava sia sulla modifica dell’articolo 640 Codice Penale operata con Legge 689/1981, sia sul fatto che la recidiva fosse inclusa tra le circostanze inerenti al reo e non il fatto tipico. Inoltre, secondo tale pronuncia, il legislatore del 1930 aveva escluso la recidiva dal bilanciamento di circostanze previsto dall’articolo 69 Codice Penale poiché le circostanze inerenti al reo (imputabilità e recidiva) erano «eterogenee rispetto alle altre circostanze comuni e speciali». Si noti che la riforma del 2005 ha poi modificato l’articolo 69, ammettendo nel bilanciamento la recidiva – salvo che per i casi di recidiva reiterata di cui al co. 4. Per la sentenza Paolini la recidiva era una «“circostanza aggravante” sui generis» che incide solo sulla commisurazione della pena e non sulla quantità del fatto-reato.
La sentenza, facendo riferimento anche alla Corte Costituzionale (sentenza 294/1987), sottolineò anche come con la riforma effettuata con Legge 689/1981 il legislatore avesse voluto escludere dalla punibilità a querela il reato di truffa aggravato (articolo 640 co. 2), e che invece questo avesse voluto «includere solo le circostanze che […] indicono sulla quantità del fatto», escludendo dunque la recidiva.
Il Collegio procede la sua disamina citando la sentenza Aliberto (Sezione II, sentenza 1876/1999), che confermava l’orientamento enunciato in Paolini, secondo il quale la recidiva rientrava tra le circostanze inerenti la persona autrice del fatto e non si estendeva ai compartecipi. La Corte cita anche la sentenza Folgori (Sezione II, sentenza 26029/2014), in cui si statuiva che la recidiva fosse sì una circostanza “speciale” poiché idonea a qualificare in termini di maggior disvalore il fatto-reato, ma anche che, essendo facoltativa, «mal si presti a “giustificare” (sul piano non soltanto logico ma anche sistematico) la trasformazione della procedibilità in quella officiosa».
Le pronunce più recenti (Sezione VII, ordinanza 11440/2019; Sezione II sentenza 17281/2019) si pongono in contrasto con questo orientamento poiché hanno ritenuto che l’applicazione della recidiva determini la procedibilità d’ufficio dei reati di appropriazione indebita e di truffa.
Il quarto punto della pronuncia prende in considerazione la costruzione che della recidiva fa la Corte di Cassazione nelle pronunce più recenti. Questa giurisprudenza, ritenuta dalle Sezioni Unite oggi consolidata, muove dall’assunto che, in linea con l’interpretazione della Corte Costituzionale, la concezione della recidiva come status soggettivo desumibile dal solo certificato penale dell’imputato non possa ritenersi conforme ai principi di ragionevolezza, proporzione e funzione rieducativa della pena. È compito del giudice verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità dell’autore, e se sono presenti tutti gli altri elementi rilevanti per il giudizio sulla sussistenza della recidiva. Solo se la recidiva sussiste secondo questa analisi approfondita, essa produrrà “tutti” i suoi effetti (Sezione Un., sentenza 35738/2010).
Anche la Corte Costituzionale (sentenza 192/2007) ha sancito che la recidiva non si basi su forme di automatismo ma vada valutata dal giudice del caso concreto e messa in relazione con l’articolo 133 Codice Penale.
La sentenza Indelicato del 2011 ha ricondotto la recidiva qualificata alle ipotesi di aggravante ad effetto speciale e ha confutato la concezione dell’istituto come status formale del soggetto: la recidiva produce effetto se il giudice riscontra la “più accentuata colpevolezza” e la “maggiore pericolosità” dal punto di vista sostanziale (Sezione Un., sentenza 5859/2011).
La recidiva pertanto richiede un accertamento della relazione tra status di recidivo, fatto-reato, fatti pregressi e psiche dell’autore.
La pronuncia annovera la recidiva tra le circostanze che possono essere inserite nel bilanciamento di cui all’articolo 69 Codice Penale. Questa deve produrre un effetto ulteriore a quello di aggravamento della pena: deve anche paralizzare un’attenuante (Sezione Un., sentenza 17/1991). Dunque se la recidiva viene considerata nel bilanciamento significa che la stessa è stata già prima ritenuta sussistente ed applicata, altrimenti il bilanciamento non sarebbe necessario (Sezione Un., sentenza 31669/2016).
La Corte prosegue affermando che riguardo all’articolo 649-bis Codice Penale, considerando l’articolo 12 delle preleggi, la locuzione «circostanze aggravanti ad effetto speciale» comprende anche la recidiva, poiché su questa si è formato un diritto vivente secondo il quale la recidiva è un’aggravante che non differisce nei meccanismi applicativi dalle altre circostanze e che la recidiva qualificata è ad effetto speciale.
Pertanto qualora il giudice consideri nel giudizio di bilanciamento delle circostanze anche la recidiva, questa è stata già ritenuta sussistente e dunque anche qualora non venga ritenuta prevalente comunque essa non rende il reato nuovamente procedibile a querela di parte, ove questa sia prevista per l’ipotesi non circostanziata (Sezione II, sentenza 37482/2019).
La Corte sottolinea che la dottrina ha criticato la possibilità che un reato cambi di procedibilità in base alla sussistenza o meno della recidiva, rischiando di provocare una procedibilità officiosa provvisoria e sub iudice.
Il fatto che ad es. il pubblico ministero dovrebbe effettuare un giudizio prognostico se l’esistenza di precedenti penali sia per il giudice un indice di maggiore colpevolezza o di più accentuata pericolosità è ritenuto incompatibile con l’articolo 112 Costituzione poiché provocherebbe incertezza nel diritto e nell’azione penale. In verità tale ragionamento, sebbene possa essere ritenuto fondato, andrebbe comunque esteso a tutte quelle aggravanti in grado di incidere sulla procedibilità.
La soluzione a tale problema è costituita dall’articolo 129 Codice Procedura Penale, che consente in ogni stato e grado del procedimento di dichiarare la presenza una causa di non punibilità, tra cui rientra anche la mancanza di una condizione di procedibilità.
Inoltre se durante il processo viene emessa una sentenza di non doversi procedere per mancanza di querela, sarebbero comunque venute meno le esigenze deflative del carico processuale che hanno ispirato la riforma del sistema penale della Legge 103/2017, poiché tale evento si pone alla fine del processo, e non previene il suo avvio e il suo parziale o pieno sviluppo. Si creerebbe un pregiudizio al diritto di difesa dell’autore del reato, provocato dalla possibilità che la procedibilità cambi in base ad un mero fatto, cioè l’essere stato precedentemente condannato. L’autore potrebbe riuscire a modificare la procedibilità, dimostrando non sussistente la recidiva e dunque ottenendo una sentenza di non doversi procedere, solo all’esito del processo e a seguito di un esborso, spesso ingente, di denaro per la difesa durante tutto il processo.
In realtà la posizione per cui vengano pregiudicate le finalità deflative del procedimento può venire smentita considerando la Relazione illustrativa del Decreto Legislativo 36/2018 (pp. 4-5), che afferma che l’articolo 11 conserva la procedibilità d’ufficio per quei reati aggravati da una circostanza ad effetto speciale, come la recidiva qualificata.
Infine la Corte sancisce che il riconoscimento giudiziale della sussistenza della recidiva come circostanza aggravante ad effetto speciale incide sulla procedibilità dei reati annoverati nell’articolo 649-bis Codice Penale, rendendola d’ufficio.
Il principio qui affermato costituisce certamente un aiuto per il corretto esercizio dell’azione penale ma si rischia di aggravare il carico processuale dei tribunali, poiché vi sarebbero molte cause in cui manca un interesse del soggetto leso alla punizione dell’autore e, in caso di dimostrazione dell’insussistenza della recidiva all’esito de processo, sarebbero vanificate le esigenze deflative che hanno ispirato la riforma Orlando.