La revisione della sentenza di condanna dell’ente a seguito di assoluzione dell’apicale per il reato presupposto

Ombre a colori
Ph. Sara Caliolo / Ombre a colori

Abstract

Questo contributo si prefigge di analizzare un’ipotesi peculiare relativa al Decreto Legislativo 231/2001, cioè se sia possibile chiedere la revisione nel caso in cui una controversia che coinvolge sia l’ente che gli apicali si risolva con due esiti differenti: condanna o patteggiamento per l’ente e assoluzione degli apicali per il reato-presupposto in un secondo momento. Si analizzano a tal fine l’articolo 8 del decreto e una sentenza della Corte d’Appello di Brescia.

The purpose of this article is to analyse a peculiar hypothesis relating to Legislative Decree 231/2001, namely whether it is possible to ask for a review in the event that a dispute involving both the company and the top managers is resolved with two different outcomes: conviction or plea bargaining for the company and acquittal of the top managers for the alleged offence at a later date. To this end, article 8 of the decree and a sentence of the Court of Appeal of Brescia are analyzed.

 

Prima dell’emanazione del Decreto Legislativo 231/2001 vigeva nell’ordinamento un orientamento ispirato dal brocardo latino societas delinquere non potest, traducibile in senso lato con “le persone giuridiche non possono essere soggetti attivi della commissione di un reato”. In seguito a varie spinte della comunità europea e del Parlamento, il governo emanò il Decreto Legislativo 231/2001, che introdusse una responsabilità amministrativa dell’ente il cui funzionario avesse commesso uno dei reati-presupposto individuati dal decreto[1].

Qualora venga commesso uno dei reati-presupposto da parte di persone organicamente inserite, a vario titolo, nella struttura dell’ente e nell’interesse o a vantaggio di questo, sorge un duplice profilo di responsabilità: alle conseguenze penali ascrivibili all’autore dell’illecito si aggiunge una sanzione, gravante sull’ente, di tipo pecuniario o interdittivo.

A fronte di tale disciplina è inevitabilmente sorta la questione circa la natura – amministrativa o penale – della responsabilità prevista per l’ente: il dato letterale non può che far propendere per una natura amministrativa della responsabilità in esame. D’altro canto, però, il decreto presenta degli elementi che richiamano lapalissianamente la responsabilità penale[2]. La Cassazione affermò, a seguito di un acceso dibattito, che si tratta di un tertium genus[3]: è dunque una responsabilità amministrativa con forte connotazione penalistica.

L’articolo 8 Decreto Legislativo 231/2001 prevede i criteri di attribuzione della responsabilità a carico dell’ente. Tale responsabilità deriva dalla commissione di un reato, chiamato reato-presupposto. Tale reato deve essere commesso da parte di una persona fisica appartenente all’ente e nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso. Questi sono i presupposti di tipo oggettivo, i quali sono tuttavia insufficienti al fine di attribuire la responsabilità all’ente. Esso, infatti, sarà sanzionabile solamente qualora sia rimproverabile di colpa d’organizzazione” – che costituisce il presupposto soggettivo – ovverosia se non abbia adottato modelli organizzati idonei a prevenire la commissione del reato[4].

Si noti che la responsabilità posta a carico dell’ente, anche se dipendente dalla commissione di un reato, si presenta come autonoma[5]. L’articolo 8 co. 1, infatti, delinea alcune situazioni in cui la responsabilità dell’ente permane anche se il collegato processo non può aver più corso: se l’autore non sia identificato o non sia imputabile ovvero se il reato è estinto per causa diversa dall’amnistia. La causa che rileva in quest’opera è la prima, cioè se «l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile».

Lincertezza in ordine allautore non può che compromettere la piena verifica dellelemento psicologico del reato. L’impossibilità di accertare l’elemento psicologico del reo-persona fisica appare una deroga” ai principi e non, al contrario, espressione di una regola. Pertanto quando il reo sia identificato la responsabilità amministrativa dell’ente sorgerà se il reato sia accertato in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi[6]. Dello stesso avviso è la giurisprudenza[7].

Dalla disposizione dell’articolo 8 si evince a contrario che in tutti i casi in cui non sia possibile ascrivere la responsabilità in capo ad un determinato soggetto, ma nondimeno venga accertata la commissione di un reato, l’ente ne dovrà rispondere sul piano amministrativo, a condizione che sia ad esso imputabile una colpa organizzativa consistente nella mancata adozione o nel carente funzionamento del modello preventivo[8]. La Corte di Cassazione ha inoltre specificato che le condanne all’autore del reato-presupposto e all’ente sono autonome sul piano processuale: «per la responsabilità amministrativa è necessario che venga compiuto un reato da parte del soggetto riconducibile all’ente, ma non è anche necessario che tale reato venga accertato con individuazione e condanna del responsabile»[9].

Parte della dottrina, invero, tende a ridimensionare l’ampiezza di questa autonomia, ritenendo che l’articolo 8 non operi sul piano sostanziale ma su quello processuale, non potendosi prescindere dall’accertamento incidenter tantum della commissione di un reato in tutti i suoi elementi, oggettivi e soggettivi[10]. Ciò che dunque è necessario per affermare la responsabilità dell’ente sono la commissione e l’accertamento di un reato in tutti i suoi elementi[11] e non anche l’individuazione e la condanna del responsabile[12].

Si prenda il caso – alquanto frequente – in cui la sentenza di condanna dell’ente passi in giudicato in un momento antecedente alla sentenza che abbia assolto con formula piena l’autore del reato-presupposto. L’unico rimedio prospettabile è costituito dalla revisione della sentenza, disciplinata dagli articoli 629 ss. Codice Procedura Penale e trasfusa nel Decreto Legislativo 231/2001 con l’articolo 73[13].

Più precisamente, l’articolo 630 prevede i casi in cui sia possibile chiedere la revisione: il co. 1 lett. a) di questo articolo dispone che la revisione possa essere chiesta «se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza (…) non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un’altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale».

Occorre ricordare che nel caso in esame, successivamente alla sentenza di condanna dell’ente, il giudizio nei confronti dell’apicale per il reato-presupposto è giunto all’esito più favorevole per l’imputato, ovverosia l’assoluzione con formula piena.

È interessante notare che con la locuzione ‘assoluzione con formula piena’ si intendono due dei casi di assoluzione dell’imputato previsti dall’articolo 530 co. 1 Codice Procedura Penale: se «il fatto non sussiste» e se «l’imputato non lo ha commesso». Nel primo caso non è stata posta in essere alcuna condotta ascrivibile ad una fattispecie di reato e, dunque, a mancare sono sia gli elementi oggettivi che soggettivi; nella seconda ipotesi il reato è sì stato posto in essere, ma non dall’imputato. Si può dunque stabilire che quantomeno l’elemento soggettivo integrante il reato-presupposto non sia stato accertato.

A seconda della formula assolutoria utilizzata dal giudice, le conseguenze per l’ente sarebbero differenti.

Nel primo caso – «il fatto non sussiste» – dato che nessuno degli elementi integrativi della fattispecie criminosa contestata risulta accertato e provato, manca il presupposto per attribuire una responsabilità all’ente collettivo. In tale ipotesi – e invero anche in quella per cui «il fatto non costituisce reato» –, come sancito dalla Corte d’Appello di Brescia[14], è senz’altro ammissibile la richiesta di revisione «a fronte di una pronuncia irrevocabile del giudice penale che escluda la sussistenza del reato presupposto (…)». Tale posizione è avallata, mutatis mutandis, dalla giurisprudenza di legittimità[15] e dalla dottrina[16].

In questa sentenza, infatti, l’ente aveva optato per l’applicazione della pena su richiesta, ai sensi degli articoli 63 Decreto Legislativo 231/2001 e 444 Codice Procedura Penale, in quanto il reato-presupposto contestato agli apicali era la truffa aggravata ai danni dell’Erario[17]. Successivamente costoro vennero assolti perché «il fatto non costituisce reato», in quanto il reato venne riqualificato, nelle more del giudizio di primo grado, nei reati tributari di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e indebita compensazione (ai sensi degli articoli 3 e 10-quater Decreto Legislativo 74/2000), allora non inseriti nel novero dei reati-presupposto del decreto[18].


La differenza di esito tra le due pronunce, a seguito della modifica dell’imputazione, intervenuta successivamente alla sentenza di patteggiamento dell’ente – divenuta irrevocabile – e che ha dato luogo alla sentenza di assoluzione degli apicali, costituisce un conflitto teorico di giudicati, idoneo ad avanzare la richiesta ai sensi dell’articolo 630 co. 1 lett. a Codice Procedura Penale «non apparendo conforme ai principi del nostro ordinamento in tema di revisione mantenere l’efficacia di una pronuncia di condanna, seppure per un illecito amministrativo, a fronte dell’esistenza di altra successiva sentenza che abbia accertato l’esistenza di reati diversi da quelli di cui alla Sezione III del Capo I Decreto Legislativo n. 231/2001 (e che non avrebbero potuto neppure consentire la contestazione di quell’illecito)»[19].


La decisione della Corte d’Appello verteva su due principi fondamentali del Decreto Legislativo 231: il principio di legalità, previsto all’articolo 2 del decreto, e il principio di autonomia di cui all’articolo 8.

È invece più arduo sostenere che una richiesta di revisione possa essere accolta qualora l’assoluzione dipenda dal fatto che l’imputato non ha commesso il reato-presupposto: ciò implica infatti che il reato-presupposto sia stato effettivamente posto in essere, ma non dall’apicale assolto. In tale ipotesi, in base al dettato dell’articolo 8 Decreto Legislativo 231/2001 e alla giurisprudenza che ritiene che la responsabilità dell’ente sia autonoma[20], quest’ultima sussisterebbe a prescindere dall’assoluzione dell’apicale, qualora venga dimostrato che vi sia una correlazione tra la commissione del reato-presupposto e un dipendente della società[21]. In caso contrario anche la sussistenza della responsabilità dell’ente verrebbe meno.

In conclusione, sebbene il mezzo di impugnazione straordinario della revisione della sentenza sia inserito nel decreto all’articolo 73, esso rinvia al codice di rito, senza introdurre alcuna innovazione relativa al caso frequente di assoluzione dell’apicale dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna dell’ente. È auspicabile un intervento del Legislatore che introduca una specifica disposizione sulla revisione in questa ipotesi peculiare.

 

[1] Inizialmente i reati-presupposto erano solo tre: corruzione, concussione e truffa ai danni dello Stato, ma il novero venne ampliato più volte a seguito degli interventi del Legislatore.

[2] Vi sono elementi che riconducono infatti a profili penalistici: commissione di un reato; il giudice penale ha la funzione di accertamento della responsabilità; presenza della colpevolezza.

[3] Cass. Pen. Sez. II, sentenza n. 3615, 30 gennaio 2006.

[4] N. Mazzacuva, E. Amati, “Diritto penale dell’economia”, V ed., CEDAM, 2020, pp. 39-40.

[5] A. Manna, “La c.d. responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: un primo sguardo d’insieme”, Riv. trim. dir. pen. econ., 2002, p. 507.

[6] cfr. E.M. Ambrosetti, E. Mezzetti, M. Ronco, “Diritto penale dell’impresa, Quarta edizione, Zanichelli, 2016, pp. 68 ss.; D. Pulitanò, “La responsabilità «da reato» degli enti nellordinamento italiano”, in Cass. pen., 2003, supplemento al n. 6/2003, p. 19.

[7] ex multis Cass. Pen. Sez. VI, sentenza n. 14973, 14 luglio 2009; Cass. Sez. Un., sentenza n. 26654, 2 luglio 2008; Trib. Milano Sez. X, 20 marzo 2007.

[8] cfr. Relazione illustrativa del Decreto Legislativo 231/2001, disponibile qui: https://www.governo.it/sites/governo.it/files/relazione_illustrativa_86.pdf.

[9] Cass. Pen. Sez. V, sentenza n. 20060, 9 maggio 2013.

[10] v. E. Amodio, “Prevenzione del rischio penale dimpresa e modelli integrati di responsabilità degli enti”, Cass. pen., 2005, p. 330; D. Pulitanò, cit.

[11] Tale posizione è espressione del modello di accessorietà c.d. estrema, condivisa dalla Relazione illustrativa del decreto e da parte della dottrina. Per quest’ultima v. G. De Vero, “La responsabilità penale delle persone giuridiche”, in Aa.Vv., “Trattato di diritto penale”, diretto da Grosso, Padovani, Pagliaro, Milano, Giuffrè, 2008, pp. 204 ss.

La dottrina contraria, che condivide il modello dell’accessorietà c.d. minima, è rappresentata ad es. da O. Di Giovine, “Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo”, in Aa.Vv., “Reati e responsabilità degli enti. Guida al Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231”, Milano, Giuffrè, 2010, pp. 139 ss.; R. Pascarelli, “sub articolo 8”, in Aa.Vv., “Enti e responsabilità da reato”, a cura di Cadoppi, Garuti, Veneziani, Torino, Utet, 2010, pp. 149 ss., secondo cui il modello di accessorietà estrema renderebbe superfluo l’articolo 8 Decreto Legislativo 231/2001.

[12] R. La Terra, “Responsabilità degli enti: lassoluzione della persona fisica imputata del reato presupposto non esclude automaticamente la responsabilità dellente – Cass. Pen. 20060/2013, Giurisprudenza Penale, 2013.

[13] Esso dispone che «[a]lle sentenze pronunciate nei confronti dell’ente si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del titolo IV del libro nono del codice di procedura penale ad eccezione degli articoli 643, 644, 645, 646 e 647».

[14] App. Brescia Sez. II, sentenza n. 3507, 18 dicembre 2013.

[15] cfr. Cass. Pen. Sez. I, sentenza n. 15088, 8 gennaio 2021; Cass. Sez. Un., sentenza n. 26654, 2 luglio 2008. Quest’ultima sentenza stabilisce che «[p]ur se la responsabilità dell’ente ha una sua autonomia, tanto che sussiste anche quando l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile [...] è imprescindibile il suo collegamento alla oggettiva realizzazione del reato, integro in tutti gli elementi strutturali che ne fondano lo specifico disvalore, da parte di un soggetto fisico qualificato».

[16] F. Mazzacuva, “La revisione della sentenza di patteggiamento emessa nei confronti dell’ente a seguito dell’assoluzione dell’imputato”, Giurisprudenza Commerciale, fasc. 5, 2015, pp. 992 ss.

[17] Trib. Milano, Sez. G.u.p., 20 aprile 2009.

[18] Trib. Milano, sent. 18 aprile 2011. Si noti che il D.L. 124/2019, convertito con modificazioni in L. 157/2019, ha inserito nel decreto l’articolo 25-quinquiesdecies, che ha introdotto i reati tributari nell’elenco dei reati-presupposto.

[19] App. Brescia, cit.

[20] v. nota 7.

[21] Si noti infatti che il giudice, nel dichiarare che un imputato non ha commesso il fatto, non approfondisce il tema indicando il soggetto che lo ha posto in essere.