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Art. 63 - Applicazione della sanzione su richiesta

1. L’applicazione all’ente della sanzione su richiesta è ammessa se il giudizio nei confronti dell’imputato è definito ovvero definibile a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale nonché in tutti i casi in cui per l’illecito amministrativo è prevista la sola sanzione pecuniaria. Si osservano le disposizioni di cui al titolo II del libro sesto del codice di procedura penale, in quanto applicabili.

2. Nei casi in cui è applicabile la sanzione su richiesta, la riduzione di cui all’articolo 444, comma 1, del codice di procedura penale è operata sulla durata della sanzione interdittiva e sull’ammontare della sanzione pecuniaria.

3. Il giudice, se ritiene che debba essere applicata una sanzione interdittiva in via definitiva, rigetta la richiesta.

Stralcio della relazione ministeriale di accompagnamento al D. Lgs. 231/2001

Più complessa la disciplina dettata per l’applicazione all’ente della sanzione su richiesta (art. 63) istituto modellato, con gli opportuni adattamenti che si andranno ad evidenziare, sulla falsariga del procedimento di cui all’art. 444 c.p.p.

Nel regolare i presupposti di ammissibilità, si sono dovute considerare talune peculiarità.

Anzitutto si è ritenuto di consentire la definizione attraverso il rito alternativo in tutti i casi in cui l’illecito dipendente da reato risulti, in concreto, sanzionato solo in via pecuniaria.

Trattasi dei casi di che non rivestono maggiore gravità e, d’altro canto, l’applicazione della pena su richiesta è consentita senza limiti nei casi della sola pena della multa o dell’ammenda.

Viceversa, non è sembrato possibile trasporre automaticamente il limite edittale di pena detentiva che consente la definizione del processo nei confronti dell’imputato tramite il patteggiamento (due anni di reclusione) in un analogo limite di sanzione interdittiva prevista per l’illecito di cui risponde l’ente.

Ne sarebbe derivato un sistema macchinoso e poco coerente, specie se si considera che nel processo penale il limite dei due anni di pena detentiva individua una categoria di reati, la cui modesta gravità è manifestata dalla possibilità di concedere per essi la sospensione condizionale della pena inflitta.

Si è, invece, percorsa una strada diversa. Infatti, al di fuori dei casi di illecito amministrativo per il quale è prevista la sola sanzione pecuniaria, la richiesta di applicazione è comunque ammessa se il procedimento penale avente ad oggetto il reato presupposto dell’illecito è definito o definibile attraverso il patteggiamento.

Dunque tanto nell’ipotesi in cui, in concreto, il giudizio nei confronti dell’imputato è stato definito a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale; quanto nell’ipotesi in cui  pur non addivenendosi, per le più varie ragioni, ivi compresa la celebrazione del giudizio solo a carico dell’ente, al patteggiamento  per il reato da cui dipende l’illecito amministrativo il giudice (sulla base degli elementi allegati dall’ente stesso) ritenga che non via sarebbero ragioni per rigettare la richiesta ex art. 444 c.p.p.

In tal modo, da un lato si àncora l’ammissibilità al rito alternativo ad un dato oggettivo (la ridotta gravità del reato presupposto, che si riflette in una concreta minore gravità dell’illecito dallo stesso dipendente) derivante dalla disciplina positiva, dall’altro lato, si incentiva la definizione cumulativa (del reato e dell’illecito amministrativo) attraverso la contestuale applicazione concordata della pena e della sanzione amministrativa.

Per il resto, si osservano le disposizioni del codice di procedura penale, in quanto applicabili. In particolare, restano immutati i termini per la presentazione della richiesta (diversi se è celebrata l’udienza preliminare ovvero questa manca), nonché i poteri del giudice in ordine alla richiesta concordata.

Dunque, se dagli atti risulta che non sussiste l’illecito contestato all’ente, il giudice dovrà pronuncerà la relativa sentenza. Peraltro, il giudice laddove ritenga applicabile la sanzione interdittiva in via definitiva dovrà rigettare la richiesta, che può avere dunque ad oggetto, oltre a sanzioni pecuniarie, solo sanzioni interdittive temporanee.

Allo scopo di evitare possibili dubbi interpretativi, è sembrato opportuno chiarire che in caso di applicazione della sanzione, la diminuente processuale di cui all’articolo 444 comma 1 del codice di procedura penale dovrà operare sulla durata della sanzione interdittiva e sull’ammontare della sanzione pecuniaria, concretamente irrogate.

Un importante profilo premiale del rito (che omologa il nuovo istituto al patteggiamento disciplinato nel codice processuale penale) è la non iscrizione della sentenza nel certificato rilasciato dall’anagrafe nazionale delle sanzioni amministrative su richiesta dell’ente (v. art. 81 comma 4).”

 

Rassegna di giurisprudenza

Nell’ipotesi in cui l’accesso alla definizione concordata della sanzione consegua al “patteggiamento” ovvero alla “patteggiabilità” del reato presupposto, qualora si tratti di un illecito amministrativo, per il quale va applicata, oltre alla pena pecuniaria, una sanzione interdittiva temporanea, anche quest’ultima deve formare oggetto dell’accordo delle parti, risultando riducibile la sua durata “fino a un terzo” a mente del combinato disposto degli artt. 63, comma 2 e 444 comma 1 CPP.

Ciò è coerente con l’enucleazione di un sistema sanzionatorio, che, coniugando – come si legge nella relazione accompagnatoria – “il passato” e “il presente” delle sanzioni amministrative, risulta “essenzialmente binario”, in quanto prevede accanto alla tradizionale sanzione pecuniaria, strumenti rivelatisi ben più efficaci nella lotta contro la criminalità di impresa, completando, quindi, “l’arsenale sanzionatorio”, a mente dell’art. 9, con la sanzione della confisca e con quella della pubblicazione della sentenza.

In tal modo all’interno del “sistema binario” viene individuata una triade di risposte punitive, distinguendosi la sanzione pecuniaria, le sanzioni interdittive e la confisca – che sono, tutte, “sanzioni principali”, perché applicabili autonomamente – dalla “sanzione accessoria” della pubblicazione della sentenza, la quale viene affiancata alle sanzioni di natura interdittiva, anche se è fuor dubbio che non ne condivide la natura, così che nel decreto riceve un ‘autonoma disciplina” (così nella relazione accompagnatoria).

Più esattamente le sanzioni interdittive, individuate dall’art. 9, comma 2, lettere da a) ad e) costituiscono “sanzioni principali”, con funzione prevalentemente general-preventiva, potendo, in ragione del tipo prescelto, paralizzare l’attività dell’ente oppure condizionarne l’operatività, attraverso la limitazione della sua capacità giuridica o la sottrazione di risorse finanziarie; (...) sono, infine, “sanzioni obbligatorie”, posto che, in presenza di una delle fattispecie tipicamente previste e di almeno una delle condizioni previste dall’art. 13, comma 1, lett. a) e b), il giudice ha l’obbligo – e non la facoltà – di disporne l’applicazione, salva, evidentemente, la discrezionalità della scelta secondo i criteri di cui al combinato disposto degli artt. 11 e 14 (Sez. 2, 45130/2008).

Va quindi ribadito il principio, consolidato in materia di “patteggiamento”, e dunque valido anche nel corrispondente rito alternativo previsto, per la responsabilità amministrativa degli enti, dall’art. 63, secondo cui, nel procedimento di applicazione di pena su richiesta, le parti non possono vincolare il giudice con un accordo avente ad oggetto anche le pene accessorie, le misure di sicurezza o la confisca, essendo dette misure fuori dalla loro disponibilità; ne consegue che, nel caso in cui il consenso si riferisca anche ad esse, il giudice non è obbligato a recepire o non recepire per intero l’accordo, rimanendo vincolato soltanto ai punti concordati riguardanti elementi nella disponibilità delle parti (Sez. 2, 1934/2016).

Pertanto, poiché le sanzioni interdittive sono “sanzioni principali”, non già “accessorie”, come altresì desumibile dall’art. 14, che ne definisce i criteri di commisurazione e di scelta, richiamando il corrispondente art. 11 sulle sanzioni pecuniarie, esse devono essere oggetto di un espresso accordo processuale tra le parti in ordine al “tipo” e alla “durata (Sez. 3, 45472/2016).

La giurisprudenza di legittimità ha rilevato come l’ente possa patteggiare la sanzione per illeciti per i quali sia contemplata la sanzione interdittiva in via temporanea (Sez. 2, 45130/2008; Sez. 3, 45472/2016). L’applicazione della sanzione su richiesta di cui all’art. 63 è, infatti, consentita in tutti i casi in cui l’illecito dipendente da reato risulti in concreto sanzionato con la sola sanzione pecuniaria.

Al di fuori di questi casi l’applicazione della pena è, comunque, ammessa se il procedimento penale avente ad oggetto il reato presupposto dell’illecito è definito o “definibile” a norma dell’art. 444 CPP; in tali casi l’ente potrà “patteggiare” la sanzione anche se l’illecito sia astrattamente punibile con la misura interdittiva temporanea e la riduzione di pena di cui all’art. 444, comma 1, CPP sarà operata “sulla durata della sanzione interdittiva e sull’ammontare della sanzione pecuniaria” (art. 63, comma 2); mentre nel caso in cui il giudice ritenga che “debba essere applicata una sanzione interdittiva in via definitiva, rigetta la richiesta” (art. 63, comma 3) (Sez. 6, 18736/2018).