La tassazione delle transazioni in materia di lavoro

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Il trattamento fiscale delle somme erogate in occasione di transazioni, sia stragiudiziali che giudiziali, per la definizione delle controversie in materia di lavoro, è un problema che affligge costantemente gli operatori del settore.

Il presente articolo cerca di fare il punto sulla normativa applicabile alle diverse tipologie di transazione analizzando il trattamento fiscale conseguente.

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La trattazione che ci prefiggiamo di compiere non può preliminarmente prescindere da una rapida analisi del quadro normativo di riferimento costituito dagli articoli 6, 17, 49 e 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (“TUIR”) approvato con il Decreto Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nell’ultima versione vigente.

L’articolo 49 del TUIR contiene la nozione di reddito di lavoro dipendente, stabilendo che sono considerati tali i redditi derivanti da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro subordinato prestato con qualsiasi qualifica, compreso il lavoro a domicilio quando considerato tale secondo le norme sulla legislazione del lavoro.

La norma inoltre include nella definizione, equiparandoli al reddito di lavoro dipendente:

 

 

 

 

 

 

 

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    le pensioni e gli assegni ad esse equiparati, intendendo per tali anche gli emolumenti dovuti dopo la cessazione di un’attività che trovano la loro causa in un rapporto diverso da quello di lavoro dipendente, come ad esempio le pensioni ai professionisti o agli autonomi nonché le pensioni di reversibilità (Messaggio Inps 29 marzo 2006, n. 9706);

     

  •  

     

    le somme di denaro per crediti di lavoro, comprensive degli interessi legali (articolo 429 c.p.c. ultimo comma).

     

 

In linea generale, poi, secondo le disposizioni di cui all’articolo 6 comma 2 del TUIR, le somme percepite in sostituzione di redditi e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti; pertanto tutte le indennità e le somme o i valori percepiti in sostituzione della retribuzione per lavoro dipendente o equiparati, quali ad esempio: l’indennità di cassa integrazione, l’indennità di disoccupazione, l’indennità di mobilità, l’indennità di malattia o maternità, l’indennità di TBC e post-tubercolare, l’indennità per la donazione di sangue, l’indennità per congedo matrimoniale, sono assoggettati a tassazione come redditi di lavoro dipendente (Messaggio Inps 29 marzo 2006, n. 9706), così come, a seguito della modifica operata alla medesima norma dall’articolo 1 comma 1 lett. a) del Decreto Legge n.557/1993 (convertito nella Legge n. 133/1994), gli interessi moratori e quelli per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati.

La determinazione del reddito di lavoro dipendente è poi effettuata secondo le disposizioni previste dall’articolo 51 del TUIR, concorrendovi tutte le somme e i valori (beni e servizi) che il dipendente percepisce nel periodo d’imposta, a qualunque titolo, anche sotto forma di erogazioni liberali, e quindi, tutte quelle somme che siano in qualunque modo riconducibili al rapporto di lavoro, anche se non provenienti direttamente dal datore di lavoro.

A titolo meramente esemplificativo, concorrono quindi alla formazione del reddito di lavoro dipendente le somme e i valori percepiti a titolo di:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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    stipendio, salario, superminimo, cottimo, pensione;

     

  •  

     

    I trattamenti accessori quali: straordinario, mensilità aggiuntive, gratifiche e comunque tutti quei compensi che adempiono a tali funzioni;

     

  •  

     

    I premi una tantum e periodici, i compensi incentivanti, i compensi in natura, le erogazioni liberali in denaro e in natura;

     

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    Le altre indennità comunque denominate, come quelle di cassa o di maneggio denaro, di residenza, alloggio, vestiario, per lavori nocivi e pericolosi, sostitutive del servizio di trasporto, di contingenza, di missione, di salvataggio, nonché tutte quelle connesse alle peculiari modalità di svolgimento della prestazione come quelle relative alla sede disagiata, al rischio, al luogo sempre variabile e diverso dell’attività, al volo o alla navigazione o ai trasferimenti della sede di lavoro, oltre alle più comuni ferie non godute e trasferte (salvo i limiti di non imponibilità), ecc.;

     

  •  

     

    I rimborsi di spese, nei limiti e alle condizioni previste dalla normativa vigente;

     

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    Le mance, che per i croupiers concorrono nella misura del 75% dell’ammontare percepito nel periodo d’imposta;

     

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    I premi per assicurazioni sanitarie, sulla vita e sugli infortuni extra professionali (quelli relativi ad assicurazioni per infortuni professionali sono, invece, esclusi da tassazione) pagati dal datore di lavoro e i rimborsi effettuati dal datore di lavoro a fronte di spese sanitarie che danno diritto alla detrazione (articolo 15 TUIR), sostenute dal lavoratore dipendente;

     

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    I premi per operazioni a premio che hanno origine nell’ambito della prestazione di lavoro dipendente e assegnati in funzione e nello svolgimento dell’attività (ad esempio perché connessi al raggiungimento di un determinato quantitativo di vendite), anche se erogati da soggetti diversi dal datore di lavoro (Agenzia delle Entrate - risoluzione n. 101/E del 27/07/2005);

     

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    Le indennità per licenziamento ingiustificato dei lavoratori dipendenti (che devono intendersi di natura retributiva o comunque tendenti a risarcire un lucro cessante);

     

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    Gli omaggi di beni effettuati dal datore di lavoro ai propri dipendenti che acquistano beni aziendali (Agenzia delle Entrate - risoluzione n. 202/E del 29/10/2003);

     

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    I compensi percepiti da soggetti (anche non lavoratori) impegnati in lavori socialmente utili (articolo 50 comma 1 lett. l) del TUIR);

     

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    La quota associativa versata unitamente ai contributi di assistenza sanitaria integrativa (Agenzia delle Entrate - risoluzione n. 96/E del 25/07/2005).

     

 

Volendo quindi completare lanalisi, anche se sicuramente in modo non esaustivo, rientrano inoltre nella determinazione dei redditi di lavoro dipendente:

 

 

 

 

 

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    le somme erogate discrezionalmente dal datore di lavoro, ai propri dipendenti, in occasione di infortuni professionali ed extra professionali (Articolo 23 Decreto Presidente della Repubblica 600/1973 e Agenzia delle Entrate - risoluzione n. 200/E/2001);

     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  •  

     

    le somme e valori percepiti sotto forma di partecipazione agli utili (quando la partecipazione sia parte della retribuzione);

     

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    le somme e i valori, comunque percepiti, a seguito di transazioni, anche novative, intervenute in costanza di rapporto di lavoro o alla cessazione dello stesso;

     

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    le somme percepite da un ex dipendente non residente, in seguito alla stipula di un "patto di non concorrenza", classificate come redditi di lavoro dipendente e, pertanto, imponibili nello Stato in cui è stata svolta l’attività da cui derivano i compensi (Agenzia delle entrate - Risoluzione n. 234/E/2008).

     

 

Quanto sopra ci è necessario al fine di inquadrare correttamente le somme che possono considerarsi reddito di lavoro dipendente, e quelle che invece possono considerarsi escluse da tale definizione.

L’articolo 6 del TUIR, nell’assimilare il risarcimento del danno per perdita di reddito al reddito sostituito, esclude dalla stessa nozione il risarcimento del danno per la parte destinata a reintegrare il patrimonio del percettore a seguito di perdite o spese sostenute, vale a dire il così detto danno emergente; mentre assoggetta ad imposta sul reddito delle persone fisiche, come redditi perduti, i risarcimenti, o meglio gli indennizzi risarcitori, del lucro cessante in quanto veri e propri emolumenti sostitutivi di un reddito che il danneggiato non ha potuto conseguire per effetto dell’evento lesivo, ponendo una eccezione solo per quei risarcimenti dipendenti da invalidità permanente o morte. Pertanto, a norma dell’articolo 6 2° comma del TUIR, non possono considerarsi reddito imponibile in capo al lavoratore, soltanto quelle somme che questi percepisce a titolo di risarcimento, ad esempio, di danni esistenziali, alla salute, sofferti a causa di infortuni sul lavoro o demansionamento ecc., per la stessa ragione per cui non possono farsi rientrare nella nozione di reddito di lavoro dipendente, quelle somme erogate dal datore di lavoro e dirette ad integrare perdite patrimoniali del lavoratore derivanti dallo svolgimento dell’attività lavorativa (ad esempio quelle corrisposte al dirigente al fine di mantenerlo indenne dalla responsabilità nei confronti dei terzi per atti o fatti compiuti nello svolgimento delle mansioni affidategli).

Appare innegabile, quindi, che sempre l’articolo 6 2° comma del TUIR detti un principio generale laddove distingue tra risarcimento del lucro cessante e risarcimento del danno emergente, escludendo quest’ultimo dall’imponibile conformemente al precetto di cui all’articolo 53 della Costituzione secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche”, in base al criterio di progressività, vale a direin ragione della loro capacità contributiva”.

In tal senso si è pronunciata la giurisprudenza affermando che l’articolo 32, primo comma, Decreto Legge 23/02/95 n. 41, conv. in Legge 22/03/95 n. 85, con cui era stata introdotta l’attuale formulazione dell’articolo 17, lett. a) TUIR, non ha apportato alcuna innovazione ai principi sanciti dall’articolo 6, secondo comma del TUIR in materia di esclusione dalla nozione di reddito delle somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno emergente, essendosi tale norma limitata a prevedere una particolare modalità di tassazione (separata) solo per quelle somme che costituiscono reddito imponibile secondo i principi generali.

In definitiva, eccezion fatta per le somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno emergente, le somme erogate a seguito di transazioni di controversie di lavoro costituiscono dunque reddito imponibile.

Posta questa premessa possiamo trattare brevemente delle modalità di tassazione delle somme percepite in sede transattiva quali “lucro cessante” e se esse siano tassate separatamente o in modo ordinario rispetto agli altri redditi percepiti nel medesimo periodo d’imposta. A tal proposito dobbiamo fare riferimento sia alla generale definizione dell’articolo 51 del TUIR, sia alla disposizione di all’articolo 17.

Partendo proprio da quest’ultima norma e operando quindi per esclusione, saranno assoggettate a tassazione separata unicamente i seguenti redditi, riconducibili all’area del rapporto di lavoro subordinato o assimilato:

- Le indennità e somme percepite in dipendenza dell’interruzione dei rapporti di lavoro dipendente;

- Gli emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro dipendente riferibili ad anni precedenti, percepiti per effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti (Agenzia delle entrate - risoluzione n. 377 del 2008);

- indennità e somme percepite in dipendenza dell’interruzione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa;

- indennità di mobilità e trattamento di integrazione salariale corrisposti anticipatamente;

In queste ipotesi il legislatore ha previsto, al fine di non penalizzare in contribuente, la non concorrenza delle suddette somme al reddito imponibile del medesimo periodo d’imposta in cui sono percepite tassato con le aliquote progressive.

Tale scelta appare legittimamente giustificata dalla circostanza che i redditi individuati rappresentano, di regola, fattispecie particolari a formazione pluriennale (come appunto il TFR che viene tassato separatamente con le modalità di cui all’articolo 19 TUIR), ossia dipendono da fatti economici che ricadono su più periodi d’imposta e che pertanto non sarebbe stato corretto imputare esclusivamente all’anno della loro percezione.

Sempre per il motivo sopra esposto, quindi, larticolo 17 lett. a) TUIR prevede lassoggettamento alla tassazione separata solo per quelle somme percepite in conseguenza della risoluzione del rapporto di lavoro, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive o come conseguenza di provvedimenti dellautorità giudiziaria, prevedendo inoltre ladeducibilità”, dalla determinazione della base imponibile, delle eventuali spese legali sostenute.

La giustificazione poi, della assoggettabilità a tassazione ordinaria delle somme erogate in occasioni diverse da quelle specificamente previste dalla lettera a), dellarticolo 17, può discendere, oltre che dallampia definizione dell’ 51, dallanalisi dalla lettera b) del medesimo articolo 17 dove troviamo che solo qualora venissero riconosciute al lavoratore, per effetto di legge, contratti collettivi, sentenze o atti amministrativi sopravvenuti o di altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti, somme per arretrati, potrebbe essere applicata la tassazione separata, con esclusione assoluta di tutti gli altri casi (tra cui possiamo annoverare le somme erogate a titolo di differenze retributive, in fase transattiva).

Ne discende quindi che le somme da erogare al lavoratore, a seguito di transazione, che non abbiano come causa, conseguenza o origine, la risoluzione del rapporto di lavoro debbono essere assoggettate a tassazione ordinaria.

É appena il caso di ricordare che ricade sul datore di lavoro l’obbligo dell’effettuazione della ritenuta d’acconto ai sensi dell’articolo 23 del Decreto Presidente della Repubblica 600/73, sia che si tratti di redditi da assoggettare a tassazione separata, sia che si tratti di redditi da assoggettare a tassazione ordinaria.

A questo punto appare però necessario affrontare la problematica relativa alle così dette transazioni novative.

Come è noto, la transazione è semplice quando il negozio transattivo si limita a modificare il rapporto controverso lasciandolo tuttavia come causa dei diritti e degli obblighi derivanti dalla transazione; ed è invece novativa quando le parti, volontariamente e facendosi reciproche concessioni o rinunce, sostituiscono al rapporto sottostante originario un diverso rapporto giuridico per cui la causa dei rispettivi diritti e obblighi non ha più nulla a che fare con il rapporto controverso, ma trova origine nel nuovo rapporto creato con la transazione medesima.

In giurisprudenza si è altresì rilevato che, mentre nella transazione semplice, o propria, il contratto di transazione è complementare rispetto al fatto causativo del rapporto originario ed è quindi fonte concorrente con tale rapporto di obblighi e diritti, nella transazione novativa il contratto di transazione rappresenta l’unica fonte di diritti ed obblighi delle parti.

Il carattere novativo o conservativo della transazione deve essere verificato e accertato quindi sulla base degli elementi interpretativi desunti dalla volontà delle parti e dal tenore letterario delle clausole contrattuali, valutando la compatibilità della transazione con le obbligazioni scaturenti dal precedente rapporto.

Partendo da tali considerazioni si è rilevato che, nel caso di transazione novativa, le somme non ricollegabili ai redditi di lavoro dipendente di cui all’articolo 51 TUIR rientrerebbero nella categoria dei redditi diversi ai sensi dell’articolo 67 lett. l) TUIR, laddove appartengono a tale categoria quelli derivanti, tra l’altro, dalla “assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”. Da ciò, discenderebbe da un lato, l’assoggettamento a tassazione ordinaria di tali somme e dall’altro, per effetto della modifica apportata dall’articolo 36 comma 24 del Decreto Legge n. 223/2006 all’articolo 25 del Decreto Presidente della Repubblica n. 600/73, l’insorgenza in capo all’erogante sostituto d’imposta, dell’obbligo di effettuare la ritenuta a titolo di acconto dell’Irpef.

Tale posizione, condivisibile a parere di chi scrive per le motivazioni che di seguito illustreremo, ha suscitato perplessità in considerazione alla onnicomprensiva nozione di reddito di lavoro dipendente delineata dall’articolo 51 TUIR che lascia poco spazio all’individuazione di emolumenti (aventi natura reddituale) non riconducibili al rapporto di lavoro e in quanto tali estranei alla nozione di reddito di lavoro dipendente.

Inoltre, com’è stato rilevato in giurisprudenza, con l’introduzione del disposto dell’articolo 17, lett. a), TUIR, il legislatore avrebbe inteso ricomprendere nel reddito di lavoro dipendente anche le somme (diverse dal risarcimento del danno emergente) percepite a seguito di qualsiasi transazione, prescindendo cioè dalla natura o meno novativa della stessa, purché relative al rapporto di lavoro subordinato.

Tuttavia, tale interpretazione onnicomprensiva appare in contrasto con la natura stessa della transazione novativa, che si vedrebbe pertanto attratta (fiscalmente) all’interno della transazione propria; nella sostanza appare difficilmente condivisibile la tesi secondo cui il legislatore tributario non accetterebbe una diversa configurazione di un reddito per effetto unicamente del fatto che all’origine di una controversia ci sia un rapporto di lavoro subordinato, al contrario quindi appare sostenibile la diversa tesi secondo cui, nel caso di transazione novativa, la somma erogata, proprio in virtù della natura della transazione stessa che tende a sostituire al rapporto sottostante un diverso rapporto giuridico per cui la causa dei rispettivi diritti e obblighi non ha più nulla a che fare con il rapporto controverso, perda la natura retributiva che legittimerebbe l’inclusione nella ampia definizione dell’articolo 51, non potendosi far discendere dal rapporto di lavoro ma da un nuovo e diverso rapporto sorto proprio con la transazione.

L’inclusione poi all’interno dell’articolo 17 lettera a) delle somme relative alle transazioni relative alla cessazione del rapporto, con conseguente tassazione separata, prevede necessariamente la sussistenza di un legame con il rapporto di lavoro estinto; è infatti difficoltoso classificare come relative alla cessazione del rapporto di lavoro le somme concesse, ad esempio, ad un lavoratore per la la rinuncia alla lite, dopo anni dalla effettiva risoluzione del rapporto che stava all’origine della controversia; in tal caso, appare molto più coerente che le somme costituiscano reddito diverso ai sensi dell’articolo 67, lett. l) TUIR.

Infine, una ulteriore conferma alla tesi sostenuta è data dalla modifica apportata dal legislatore all’articolo 25 del Decreto Presidente della Repubblica n. 600/73 dall’articolo 36, comma 24, del Decreto Legge n. 223/2006, che ha fatto sorgere l’obbligo, per i sostituti d’imposta, di effettuare la ritenuta a titolo di acconto dell’Irpef anche nei casi in cui vengano erogati compensi derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere, che ai sensi dell’articolo 67 comma 1 lettera l) del TUIR, vengono inclusi nella categoria dei redditi diversi, con ciò togliendo ogni dubbio sia sulla loro imponibilità (se ce ne fossero stati in relazione alle disposizioni dell’articolo 6 del TUIR) sia sulla loro qualità di redditi soggetti a tassazione ordinaria.

La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E del 4 agosto 2006 "sottolinea che il comma 24 in esame completa, anche sotto il profilo dellapplicazione delle ritenute, lequiparazione tra redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente e redditi derivanti dallassunzione di obblighi di fare, di non fare o di permettere, già esistente sotto il profilo della determinazione delle modalità di concorso al reddito nella categoria dei redditi diversi".

In conclusione, ad avviso di chi scrive, alle somme erogate a titolo transattivo novativo dovrà essere negata la natura retributiva e quindi la qualifica di reddito di lavoro dipendente con conseguente tassazione ordinaria e inclusione all’interno dell’articolo 67 lettera l) del TUIR.

Inoltre, è ricorrente la tesi secondo cui la transazione con la quale il datore di lavoro ed il lavoratore abbiano concordato l’erogazione di determinate somme non sia opponibile all’amministrazione finanziaria ai fini dell’accertamento del corretto adempimento delle obbligazioni tributarie delle parti e che, quindi, in caso di contestazioni dell’ufficio tributario, grava sulle parti stesse l’onere di fornire la prova dell’effettiva esistenza di tale danno, non potendo considerarsi sufficiente, a riguardo, il mero contenuto dell’accordo transattivo ancorché contenuto in un verbale di conciliazione sottoscritto innanzi al giudice del lavoro o in una delle sedi indicate dagli articoli 410 e 411 c.p.c.; tuttavia, se si escludono le transazioni contemplate nella lettera a) dell’articolo 17, la qualificazione della transazione novativa all’interno dell’articolo 51 o dell’articolo 67 del TUIR non comporta alcun danno per l’erario, modificandosi unicamente le modalità con cui viene effettuata la ritenuta d’acconto (progressiva nel primo caso e secca nel secondo).

Il vero problema riguarda, al contrario, la qualificazione delle somme quali risarcitorie di un danno emergente.

Considerati anche i rischi connessi ad un eventuale accertamento tributario che colpirebbe non solo il datore (per la omessa ritenuta di acconto) ma anche il lavoratore, quale obbligato tributario principale sul quale grava in ultima analisi l’obbligo dell’adempimento nonché della presentazione di una dichiarazione fedele, appare consigliabile operare con la massima prudenza, astenendosi dall’effettuare la ritenuta d’acconto soltanto in presenza di solidi elementi probatori quali ad esempio una certificazione medica, la documentazione di spese effettivamente sostenute, l’esistenza di documentazione attestante l’eventuale demansionamento o la diffusione di notizie che abbiano effettivamente leso l’immagine professionale del lavoratore, e così di seguito, in modo da poter dimostrare in sede contenziosa tributaria, attraverso documenti idonei, la corretta qualificazione delle somme a risarcimento di un danno emergente e non come ristoro di un lucro cessante.

In estrema sintesi se il datore di lavoro omette di effettuare la ritenuta, il lavoratore rimane dunque responsabile verso il fisco per il pagamento dell’imposta degli interessi e delle relative sanzioni anzi, gli articoli 23 e 25 primo comma Decreto Presidente della Repubblica 600/73, pongono a favore del sostituto d’imposta l’obbligo di rivalsa nei confronti del sostituito e, pertanto, qualora l’amministrazione finanziaria si limitasse ad agire nei confronti del solo datore di lavoro per ottenere il pagamento dell’imposta omessa, questi potrebbe agire di regresso nei confronti del lavoratore per recuperare la stessa.

In conclusione il datore, nei casi dubbi, al fine di evitare ogni rischio, potrebbe legittimamente decidere di applicare la ritenuta in ogni caso, lasciando poi al lavoratore il compito eventuale di attivarsi nei confronti dell’amministrazione finanziaria presentando – nel termine di 48 mesi dalla data in cui la ritenuta è stata operata – istanza di rimborso dell’imposta, ed eventualmente proponendo ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale avverso il rigetto dell’istanza ovvero il silenzio-rifiuto formatosi decorsi 90 giorni dal ricevimento dell’istanza senza che sia intervenuta la decisione, tutto ciò al al fine di dimostrare la non imponibilità delle somme erogate.

Infine, non possiamo esimerci dal trattare, seppur in modo conciso, della legittimità di eventuali transazioni che prevedano il pagamento di un determinato importo al netto delle ritenute fiscali di legge.

Dobbiamo preliminarmente rilevare che la prevalente giurisprudenza di legittimità ha precisato che qualora la transazione non preveda se le somme da erogare debbano intendersi al netto della ritenuta, il datore di lavoro, quale sostituto di imposta, può operare la ritenuta prelevandola direttamente dall’importo corrisposto al dipendente ovvero, qualora corrisponda al lavoratore la somma indicata nell’accordo transattivo e versando autonomamente quanto dovuto a titolo di acconto irpef, possa poi rivalersi nei confronti del lavoratore medesimo secondo quanto previsto dall’articolo 23, primo comma, (o 25) Decreto Presidente Repubblica n. 600/73, con ciò affermando che salvo pattuizione contraria la transazione deve necessariamente intendersi al lordo delle ritenute e quindi la pattuizione al netto deve essere (giustamente) esplicita.

Si è comunque affermato, in modo poco convincente, a nostro avviso, che la clausola di un accordo transattivo al netto sarebbe affetta da nullità per contrasto con la norma imperativa di legge (Presidente Repubblica 600/73) che obbliga il sostituto di imposta alla rivalsa nei confronti del sostituito, con la conseguenza che il datore di lavoro sarebbe comunque tenuto ad operare la ritenuta sulla somma erogata al lavoratore, nonostante la corresponsione della somma sia stata pattuita al netto in sede conciliativa. Tale tesi è al quanto “originale” considerando che con un semplice calcolo matematico è sempre possibile determinare il lordo sul quale è stata operata la ritenuta per ottenere il netto.

 

Il trattamento fiscale delle somme erogate in occasione di transazioni, sia stragiudiziali che giudiziali, per la definizione delle controversie in materia di lavoro, è un problema che affligge costantemente gli operatori del settore.

Il presente articolo cerca di fare il punto sulla normativa applicabile alle diverse tipologie di transazione analizzando il trattamento fiscale conseguente.

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La trattazione che ci prefiggiamo di compiere non può preliminarmente prescindere da una rapida analisi del quadro normativo di riferimento costituito dagli articoli 6, 17, 49 e 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (“TUIR”) approvato con il Decreto Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nell’ultima versione vigente.

L’articolo 49 del TUIR contiene la nozione di reddito di lavoro dipendente, stabilendo che sono considerati tali i redditi derivanti da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro subordinato prestato con qualsiasi qualifica, compreso il lavoro a domicilio quando considerato tale secondo le norme sulla legislazione del lavoro.

La norma inoltre include nella definizione, equiparandoli al reddito di lavoro dipendente:

 

 

 

 

 

 

 

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    le pensioni e gli assegni ad esse equiparati, intendendo per tali anche gli emolumenti dovuti dopo la cessazione di un’attività che trovano la loro causa in un rapporto diverso da quello di lavoro dipendente, come ad esempio le pensioni ai professionisti o agli autonomi nonché le pensioni di reversibilità (Messaggio Inps 29 marzo 2006, n. 9706);

     

  •  

     

    le somme di denaro per crediti di lavoro, comprensive degli interessi legali (articolo 429 c.p.c. ultimo comma).

     

 

In linea generale, poi, secondo le disposizioni di cui all’articolo 6 comma 2 del TUIR, le somme percepite in sostituzione di redditi e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti; pertanto tutte le indennità e le somme o i valori percepiti in sostituzione della retribuzione per lavoro dipendente o equiparati, quali ad esempio: l’indennità di cassa integrazione, l’indennità di disoccupazione, l’indennità di mobilità, l’indennità di malattia o maternità, l’indennità di TBC e post-tubercolare, l’indennità per la donazione di sangue, l’indennità per congedo matrimoniale, sono assoggettati a tassazione come redditi di lavoro dipendente (Messaggio Inps 29 marzo 2006, n. 9706), così come, a seguito della modifica operata alla medesima norma dall’articolo 1 comma 1 lett. a) del Decreto Legge n.557/1993 (convertito nella Legge n. 133/1994), gli interessi moratori e quelli per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati.

La determinazione del reddito di lavoro dipendente è poi effettuata secondo le disposizioni previste dall’articolo 51 del TUIR, concorrendovi tutte le somme e i valori (beni e servizi) che il dipendente percepisce nel periodo d’imposta, a qualunque titolo, anche sotto forma di erogazioni liberali, e quindi, tutte quelle somme che siano in qualunque modo riconducibili al rapporto di lavoro, anche se non provenienti direttamente dal datore di lavoro.

A titolo meramente esemplificativo, concorrono quindi alla formazione del reddito di lavoro dipendente le somme e i valori percepiti a titolo di:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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    stipendio, salario, superminimo, cottimo, pensione;

     

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    I trattamenti accessori quali: straordinario, mensilità aggiuntive, gratifiche e comunque tutti quei compensi che adempiono a tali funzioni;

     

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    I premi una tantum e periodici, i compensi incentivanti, i compensi in natura, le erogazioni liberali in denaro e in natura;

     

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    Le altre indennità comunque denominate, come quelle di cassa o di maneggio denaro, di residenza, alloggio, vestiario, per lavori nocivi e pericolosi, sostitutive del servizio di trasporto, di contingenza, di missione, di salvataggio, nonché tutte quelle connesse alle peculiari modalità di svolgimento della prestazione come quelle relative alla sede disagiata, al rischio, al luogo sempre variabile e diverso dell’attività, al volo o alla navigazione o ai trasferimenti della sede di lavoro, oltre alle più comuni ferie non godute e trasferte (salvo i limiti di non imponibilità), ecc.;

     

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    I rimborsi di spese, nei limiti e alle condizioni previste dalla normativa vigente;

     

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    Le mance, che per i croupiers concorrono nella misura del 75% dell’ammontare percepito nel periodo d’imposta;

     

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    I premi per assicurazioni sanitarie, sulla vita e sugli infortuni extra professionali (quelli relativi ad assicurazioni per infortuni professionali sono, invece, esclusi da tassazione) pagati dal datore di lavoro e i rimborsi effettuati dal datore di lavoro a fronte di spese sanitarie che danno diritto alla detrazione (articolo 15 TUIR), sostenute dal lavoratore dipendente;

     

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    I premi per operazioni a premio che hanno origine nell’ambito della prestazione di lavoro dipendente e assegnati in funzione e nello svolgimento dell’attività (ad esempio perché connessi al raggiungimento di un determinato quantitativo di vendite), anche se erogati da soggetti diversi dal datore di lavoro (Agenzia delle Entrate - risoluzione n. 101/E del 27/07/2005);

     

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    Le indennità per licenziamento ingiustificato dei lavoratori dipendenti (che devono intendersi di natura retributiva o comunque tendenti a risarcire un lucro cessante);

     

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    Gli omaggi di beni effettuati dal datore di lavoro ai propri dipendenti che acquistano beni aziendali (Agenzia delle Entrate - risoluzione n. 202/E del 29/10/2003);

     

  •  

     

    I compensi percepiti da soggetti (anche non lavoratori) impegnati in lavori socialmente utili (articolo 50 comma 1 lett. l) del TUIR);

     

  •  

     

    La quota associativa versata unitamente ai contributi di assistenza sanitaria integrativa (Agenzia delle Entrate - risoluzione n. 96/E del 25/07/2005).

     

 

Volendo quindi completare lanalisi, anche se sicuramente in modo non esaustivo, rientrano inoltre nella determinazione dei redditi di lavoro dipendente:

 

 

 

 

 

  •  

     

    le somme erogate discrezionalmente dal datore di lavoro, ai propri dipendenti, in occasione di infortuni professionali ed extra professionali (Articolo 23 Decreto Presidente della Repubblica 600/1973 e Agenzia delle Entrate - risoluzione n. 200/E/2001);

     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  •  

     

    le somme e valori percepiti sotto forma di partecipazione agli utili (quando la partecipazione sia parte della retribuzione);

     

  •  

     

    le somme e i valori, comunque percepiti, a seguito di transazioni, anche novative, intervenute in costanza di rapporto di lavoro o alla cessazione dello stesso;

     

  •  

     

    le somme percepite da un ex dipendente non residente, in seguito alla stipula di un "patto di non concorrenza", classificate come redditi di lavoro dipendente e, pertanto, imponibili nello Stato in cui è stata svolta l’attività da cui derivano i compensi (Agenzia delle entrate - Risoluzione n. 234/E/2008).

     

 

Quanto sopra ci è necessario al fine di inquadrare correttamente le somme che possono considerarsi reddito di lavoro dipendente, e quelle che invece possono considerarsi escluse da tale definizione.

L’articolo 6 del TUIR, nell’assimilare il risarcimento del danno per perdita di reddito al reddito sostituito, esclude dalla stessa nozione il risarcimento del danno per la parte destinata a reintegrare il patrimonio del percettore a seguito di perdite o spese sostenute, vale a dire il così detto danno emergente; mentre assoggetta ad imposta sul reddito delle persone fisiche, come redditi perduti, i risarcimenti, o meglio gli indennizzi risarcitori, del lucro cessante in quanto veri e propri emolumenti sostitutivi di un reddito che il danneggiato non ha potuto conseguire per effetto dell’evento lesivo, ponendo una eccezione solo per quei risarcimenti dipendenti da invalidità permanente o morte. Pertanto, a norma dell’articolo 6 2° comma del TUIR, non possono considerarsi reddito imponibile in capo al lavoratore, soltanto quelle somme che questi percepisce a titolo di risarcimento, ad esempio, di danni esistenziali, alla salute, sofferti a causa di infortuni sul lavoro o demansionamento ecc., per la stessa ragione per cui non possono farsi rientrare nella nozione di reddito di lavoro dipendente, quelle somme erogate dal datore di lavoro e dirette ad integrare perdite patrimoniali del lavoratore derivanti dallo svolgimento dell’attività lavorativa (ad esempio quelle corrisposte al dirigente al fine di mantenerlo indenne dalla responsabilità nei confronti dei terzi per atti o fatti compiuti nello svolgimento delle mansioni affidategli).

Appare innegabile, quindi, che sempre l’articolo 6 2° comma del TUIR detti un principio generale laddove distingue tra risarcimento del lucro cessante e risarcimento del danno emergente, escludendo quest’ultimo dall’imponibile conformemente al precetto di cui all’articolo 53 della Costituzione secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche”, in base al criterio di progressività, vale a direin ragione della loro capacità contributiva”.

In tal senso si è pronunciata la giurisprudenza affermando che l’articolo 32, primo comma, Decreto Legge 23/02/95 n. 41, conv. in Legge 22/03/95 n. 85, con cui era stata introdotta l’attuale formulazione dell’articolo 17, lett. a) TUIR, non ha apportato alcuna innovazione ai principi sanciti dall’articolo 6, secondo comma del TUIR in materia di esclusione dalla nozione di reddito delle somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno emergente, essendosi tale norma limitata a prevedere una particolare modalità di tassazione (separata) solo per quelle somme che costituiscono reddito imponibile secondo i principi generali.

In definitiva, eccezion fatta per le somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno emergente, le somme erogate a seguito di transazioni di controversie di lavoro costituiscono dunque reddito imponibile.

Posta questa premessa possiamo trattare brevemente delle modalità di tassazione delle somme percepite in sede transattiva quali “lucro cessante” e se esse siano tassate separatamente o in modo ordinario rispetto agli altri redditi percepiti nel medesimo periodo d’imposta. A tal proposito dobbiamo fare riferimento sia alla generale definizione dell’articolo 51 del TUIR, sia alla disposizione di all’articolo 17.

Partendo proprio da quest’ultima norma e operando quindi per esclusione, saranno assoggettate a tassazione separata unicamente i seguenti redditi, riconducibili all’area del rapporto di lavoro subordinato o assimilato:

- Le indennità e somme percepite in dipendenza dell’interruzione dei rapporti di lavoro dipendente;

- Gli emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro dipendente riferibili ad anni precedenti, percepiti per effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti (Agenzia delle entrate - risoluzione n. 377 del 2008);

- indennità e somme percepite in dipendenza dell’interruzione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa;

- indennità di mobilità e trattamento di integrazione salariale corrisposti anticipatamente;

In queste ipotesi il legislatore ha previsto, al fine di non penalizzare in contribuente, la non concorrenza delle suddette somme al reddito imponibile del medesimo periodo d’imposta in cui sono percepite tassato con le aliquote progressive.

Tale scelta appare legittimamente giustificata dalla circostanza che i redditi individuati rappresentano, di regola, fattispecie particolari a formazione pluriennale (come appunto il TFR che viene tassato separatamente con le modalità di cui all’articolo 19 TUIR), ossia dipendono da fatti economici che ricadono su più periodi d’imposta e che pertanto non sarebbe stato corretto imputare esclusivamente all’anno della loro percezione.

Sempre per il motivo sopra esposto, quindi, larticolo 17 lett. a) TUIR prevede lassoggettamento alla tassazione separata solo per quelle somme percepite in conseguenza della risoluzione del rapporto di lavoro, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive o come conseguenza di provvedimenti dellautorità giudiziaria, prevedendo inoltre ladeducibilità”, dalla determinazione della base imponibile, delle eventuali spese legali sostenute.

La giustificazione poi, della assoggettabilità a tassazione ordinaria delle somme erogate in occasioni diverse da quelle specificamente previste dalla lettera a), dellarticolo 17, può discendere, oltre che dallampia definizione dell’ 51, dallanalisi dalla lettera b) del medesimo articolo 17 dove troviamo che solo qualora venissero riconosciute al lavoratore, per effetto di legge, contratti collettivi, sentenze o atti amministrativi sopravvenuti o di altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti, somme per arretrati, potrebbe essere applicata la tassazione separata, con esclusione assoluta di tutti gli altri casi (tra cui possiamo annoverare le somme erogate a titolo di differenze retributive, in fase transattiva).

Ne discende quindi che le somme da erogare al lavoratore, a seguito di transazione, che non abbiano come causa, conseguenza o origine, la risoluzione del rapporto di lavoro debbono essere assoggettate a tassazione ordinaria.

É appena il caso di ricordare che ricade sul datore di lavoro l’obbligo dell’effettuazione della ritenuta d’acconto ai sensi dell’articolo 23 del Decreto Presidente della Repubblica 600/73, sia che si tratti di redditi da assoggettare a tassazione separata, sia che si tratti di redditi da assoggettare a tassazione ordinaria.

A questo punto appare però necessario affrontare la problematica relativa alle così dette transazioni novative.

Come è noto, la transazione è semplice quando il negozio transattivo si limita a modificare il rapporto controverso lasciandolo tuttavia come causa dei diritti e degli obblighi derivanti dalla transazione; ed è invece novativa quando le parti, volontariamente e facendosi reciproche concessioni o rinunce, sostituiscono al rapporto sottostante originario un diverso rapporto giuridico per cui la causa dei rispettivi diritti e obblighi non ha più nulla a che fare con il rapporto controverso, ma trova origine nel nuovo rapporto creato con la transazione medesima.

In giurisprudenza si è altresì rilevato che, mentre nella transazione semplice, o propria, il contratto di transazione è complementare rispetto al fatto causativo del rapporto originario ed è quindi fonte concorrente con tale rapporto di obblighi e diritti, nella transazione novativa il contratto di transazione rappresenta l’unica fonte di diritti ed obblighi delle parti.

Il carattere novativo o conservativo della transazione deve essere verificato e accertato quindi sulla base degli elementi interpretativi desunti dalla volontà delle parti e dal tenore letterario delle clausole contrattuali, valutando la compatibilità della transazione con le obbligazioni scaturenti dal precedente rapporto.

Partendo da tali considerazioni si è rilevato che, nel caso di transazione novativa, le somme non ricollegabili ai redditi di lavoro dipendente di cui all’articolo 51 TUIR rientrerebbero nella categoria dei redditi diversi ai sensi dell’articolo 67 lett. l) TUIR, laddove appartengono a tale categoria quelli derivanti, tra l’altro, dalla “assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”. Da ciò, discenderebbe da un lato, l’assoggettamento a tassazione ordinaria di tali somme e dall’altro, per effetto della modifica apportata dall’articolo 36 comma 24 del Decreto Legge n. 223/2006 all’articolo 25 del Decreto Presidente della Repubblica n. 600/73, l’insorgenza in capo all’erogante sostituto d’imposta, dell’obbligo di effettuare la ritenuta a titolo di acconto dell’Irpef.

Tale posizione, condivisibile a parere di chi scrive per le motivazioni che di seguito illustreremo, ha suscitato perplessità in considerazione alla onnicomprensiva nozione di reddito di lavoro dipendente delineata dall’articolo 51 TUIR che lascia poco spazio all’individuazione di emolumenti (aventi natura reddituale) non riconducibili al rapporto di lavoro e in quanto tali estranei alla nozione di reddito di lavoro dipendente.

Inoltre, com’è stato rilevato in giurisprudenza, con l’introduzione del disposto dell’articolo 17, lett. a), TUIR, il legislatore avrebbe inteso ricomprendere nel reddito di lavoro dipendente anche le somme (diverse dal risarcimento del danno emergente) percepite a seguito di qualsiasi transazione, prescindendo cioè dalla natura o meno novativa della stessa, purché relative al rapporto di lavoro subordinato.

Tuttavia, tale interpretazione onnicomprensiva appare in contrasto con la natura stessa della transazione novativa, che si vedrebbe pertanto attratta (fiscalmente) all’interno della transazione propria; nella sostanza appare difficilmente condivisibile la tesi secondo cui il legislatore tributario non accetterebbe una diversa configurazione di un reddito per effetto unicamente del fatto che all’origine di una controversia ci sia un rapporto di lavoro subordinato, al contrario quindi appare sostenibile la diversa tesi secondo cui, nel caso di transazione novativa, la somma erogata, proprio in virtù della natura della transazione stessa che tende a sostituire al rapporto sottostante un diverso rapporto giuridico per cui la causa dei rispettivi diritti e obblighi non ha più nulla a che fare con il rapporto controverso, perda la natura retributiva che legittimerebbe l’inclusione nella ampia definizione dell’articolo 51, non potendosi far discendere dal rapporto di lavoro ma da un nuovo e diverso rapporto sorto proprio con la transazione.

L’inclusione poi all’interno dell’articolo 17 lettera a) delle somme relative alle transazioni relative alla cessazione del rapporto, con conseguente tassazione separata, prevede necessariamente la sussistenza di un legame con il rapporto di lavoro estinto; è infatti difficoltoso classificare come relative alla cessazione del rapporto di lavoro le somme concesse, ad esempio, ad un lavoratore per la la rinuncia alla lite, dopo anni dalla effettiva risoluzione del rapporto che stava all’origine della controversia; in tal caso, appare molto più coerente che le somme costituiscano reddito diverso ai sensi dell’articolo 67, lett. l) TUIR.

Infine, una ulteriore conferma alla tesi sostenuta è data dalla modifica apportata dal legislatore all’articolo 25 del Decreto Presidente della Repubblica n. 600/73 dall’articolo 36, comma 24, del Decreto Legge n. 223/2006, che ha fatto sorgere l’obbligo, per i sostituti d’imposta, di effettuare la ritenuta a titolo di acconto dell’Irpef anche nei casi in cui vengano erogati compensi derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere, che ai sensi dell’articolo 67 comma 1 lettera l) del TUIR, vengono inclusi nella categoria dei redditi diversi, con ciò togliendo ogni dubbio sia sulla loro imponibilità (se ce ne fossero stati in relazione alle disposizioni dell’articolo 6 del TUIR) sia sulla loro qualità di redditi soggetti a tassazione ordinaria.

La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E del 4 agosto 2006 "sottolinea che il comma 24 in esame completa, anche sotto il profilo dellapplicazione delle ritenute, lequiparazione tra redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente e redditi derivanti dallassunzione di obblighi di fare, di non fare o di permettere, già esistente sotto il profilo della determinazione delle modalità di concorso al reddito nella categoria dei redditi diversi".

In conclusione, ad avviso di chi scrive, alle somme erogate a titolo transattivo novativo dovrà essere negata la natura retributiva e quindi la qualifica di reddito di lavoro dipendente con conseguente tassazione ordinaria e inclusione all’interno dell’articolo 67 lettera l) del TUIR.

Inoltre, è ricorrente la tesi secondo cui la transazione con la quale il datore di lavoro ed il lavoratore abbiano concordato l’erogazione di determinate somme non sia opponibile all’amministrazione finanziaria ai fini dell’accertamento del corretto adempimento delle obbligazioni tributarie delle parti e che, quindi, in caso di contestazioni dell’ufficio tributario, grava sulle parti stesse l’onere di fornire la prova dell’effettiva esistenza di tale danno, non potendo considerarsi sufficiente, a riguardo, il mero contenuto dell’accordo transattivo ancorché contenuto in un verbale di conciliazione sottoscritto innanzi al giudice del lavoro o in una delle sedi indicate dagli articoli 410 e 411 c.p.c.; tuttavia, se si escludono le transazioni contemplate nella lettera a) dell’articolo 17, la qualificazione della transazione novativa all’interno dell’articolo 51 o dell’articolo 67 del TUIR non comporta alcun danno per l’erario, modificandosi unicamente le modalità con cui viene effettuata la ritenuta d’acconto (progressiva nel primo caso e secca nel secondo).

Il vero problema riguarda, al contrario, la qualificazione delle somme quali risarcitorie di un danno emergente.

Considerati anche i rischi connessi ad un eventuale accertamento tributario che colpirebbe non solo il datore (per la omessa ritenuta di acconto) ma anche il lavoratore, quale obbligato tributario principale sul quale grava in ultima analisi l’obbligo dell’adempimento nonché della presentazione di una dichiarazione fedele, appare consigliabile operare con la massima prudenza, astenendosi dall’effettuare la ritenuta d’acconto soltanto in presenza di solidi elementi probatori quali ad esempio una certificazione medica, la documentazione di spese effettivamente sostenute, l’esistenza di documentazione attestante l’eventuale demansionamento o la diffusione di notizie che abbiano effettivamente leso l’immagine professionale del lavoratore, e così di seguito, in modo da poter dimostrare in sede contenziosa tributaria, attraverso documenti idonei, la corretta qualificazione delle somme a risarcimento di un danno emergente e non come ristoro di un lucro cessante.

In estrema sintesi se il datore di lavoro omette di effettuare la ritenuta, il lavoratore rimane dunque responsabile verso il fisco per il pagamento dell’imposta degli interessi e delle relative sanzioni anzi, gli articoli 23 e 25 primo comma Decreto Presidente della Repubblica 600/73, pongono a favore del sostituto d’imposta l’obbligo di rivalsa nei confronti del sostituito e, pertanto, qualora l’amministrazione finanziaria si limitasse ad agire nei confronti del solo datore di lavoro per ottenere il pagamento dell’imposta omessa, questi potrebbe agire di regresso nei confronti del lavoratore per recuperare la stessa.

In conclusione il datore, nei casi dubbi, al fine di evitare ogni rischio, potrebbe legittimamente decidere di applicare la ritenuta in ogni caso, lasciando poi al lavoratore il compito eventuale di attivarsi nei confronti dell’amministrazione finanziaria presentando – nel termine di 48 mesi dalla data in cui la ritenuta è stata operata – istanza di rimborso dell’imposta, ed eventualmente proponendo ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale avverso il rigetto dell’istanza ovvero il silenzio-rifiuto formatosi decorsi 90 giorni dal ricevimento dell’istanza senza che sia intervenuta la decisione, tutto ciò al al fine di dimostrare la non imponibilità delle somme erogate.

Infine, non possiamo esimerci dal trattare, seppur in modo conciso, della legittimità di eventuali transazioni che prevedano il pagamento di un determinato importo al netto delle ritenute fiscali di legge.

Dobbiamo preliminarmente rilevare che la prevalente giurisprudenza di legittimità ha precisato che qualora la transazione non preveda se le somme da erogare debbano intendersi al netto della ritenuta, il datore di lavoro, quale sostituto di imposta, può operare la ritenuta prelevandola direttamente dall’importo corrisposto al dipendente ovvero, qualora corrisponda al lavoratore la somma indicata nell’accordo transattivo e versando autonomamente quanto dovuto a titolo di acconto irpef, possa poi rivalersi nei confronti del lavoratore medesimo secondo quanto previsto dall’articolo 23, primo comma, (o 25) Decreto Presidente Repubblica n. 600/73, con ciò affermando che salvo pattuizione contraria la transazione deve necessariamente intendersi al lordo delle ritenute e quindi la pattuizione al netto deve essere (giustamente) esplicita.

Si è comunque affermato, in modo poco convincente, a nostro avviso, che la clausola di un accordo transattivo al netto sarebbe affetta da nullità per contrasto con la norma imperativa di legge (Presidente Repubblica 600/73) che obbliga il sostituto di imposta alla rivalsa nei confronti del sostituito, con la conseguenza che il datore di lavoro sarebbe comunque tenuto ad operare la ritenuta sulla somma erogata al lavoratore, nonostante la corresponsione della somma sia stata pattuita al netto in sede conciliativa. Tale tesi è al quanto “originale” considerando che con un semplice calcolo matematico è sempre possibile determinare il lordo sul quale è stata operata la ritenuta per ottenere il netto.