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L’affidamento congiunto

La modifica dell’articolo 155 del codice civile, a seguito dell’entrata in vigore della Legge 8 Febbraio 2006 n. 54, ha introdotto come principio cardine, in materia di affidamento dei minori a seguito di separazione personale dei coniugi, il cosiddetto “affidamento congiunto”.

La norma si riferisce espressamente alla valutazione prioritaria circa la possibilità di un affidamento condiviso, che il giudice deve effettuare al momento dell’emissione dei provvedimenti di cui al secondo comma dell’articolo 155 c.c.

Le lettera della legge circa la “valutazione prioritaria”, impone come antecedente necessario quello di determinare quali siano le situazione ostative ad un provvedimento di affidamento congiunto. In assenza di un’espressa codificazione legislativa, se non il generico riferimento “all’interesse morale e materiale della prole” il criterio giuda sarà certamente quello della maggiore tutela possibile del minore.

A differenza del vecchio testo dell’articolo 155 c.c. dove nessun sistema di preferenza era indicato dal legislatore in ordine all’emanazione del provvedimento di affidamento, il nuovo dettato normativo prevede un evidente criterio di scelta verso l’affidamento ad entrambi i genitori.

Peraltro sotto la vigenza del vecchio testo dell’articolo 155, pur non essendo previsto alcun criterio di priorità circa l’affidamento, l’ipotesi più diffusa era quella dell’affidamento esclusivo alla madre. Ciò non escludeva che in linea di principio il Giudice potesse far ricorso all’istituto dell’affido condiviso anche se nella prassi l’affidamento esclusivo era la soluzione maggiormente adottata.

Prima della riforma, l’istituto dell’affidamento congiunto pur non essendo previsto dalla normativa vigente in materia di separazione personale, era ammesso espressamente dall’articolo 6 della legge sul divorzio (898/1970) e la giurisprudenza di legittimità era già in passato intervenuta ammettendo l’applicazione analogica del suddetto articolo anche alle ipotesi di separazione personale (Cass. Civ. n. 2210 del 28.02.2000 et Cass. Civ. n. 127775 del 13.12.1995).

Sicuramente sia il nuovo che il vecchio testo della legge hanno e avevano come punto di riferimento preminente l’interesse morale e materiale della prole; ma ad essere mutato è l’orientamento del legislatore su cosa in realtà tuteli in misura maggiore l’interesse della prole. Se in passato si riteneva che non vi fosse un interesse preminente a che i figli fossero affidati ad entrambi i genitori, la nuova disciplina ha individuato come interesse primario della prole, quello della continuità nei rapporti con entrambi i genitori, preservando per quanto possibile lo stesso equilibrio di frequentazione tra entrambi i genitori.

Si faccia bene attenzione nel non intendere la norma sull’affidamento congiunto come una disposizione a tutela e salvaguardia dell’interesse, se pur affettivo, dei genitori, bensì ad interpretarla come uno spostamento, avvenuto a seguito di accesi dibattiti giurisprudenziali e dottrinali, dell’interesse dei figli, verso una soluzione di affidamento congiunto.

In linea teorica, se prima della riforma non esisteva di per se un genitore più idoneo ad ottenere l’affidamento di un figlio (anche se nella stragrande maggioranza dei casi finiva per essere la madre), a seguito della legge n. 54/2006 esiste una presunzione circa l’idoneità di entrambi i genitori a proseguire nei propri compiti di genitore “a tempo pieno”.

Con l’introduzione del nuovo testo dell’articolo 155 c.c. sarà l’organo giudicante, di volta in volta, a valutare se esistono elementi o situazioni specifiche che ostano all’affidamento congiunto, tenendo presenti una serie di elementi prognostici che sono già stati in passato indicati dalla giurisprudenza di legittimità, quali la capacità di relazione affettiva, di disponibilità ad un assiduo rapporto, alle consuetudini di vita e all’ambiente che è in grado di offrire al minore.

Le modalità attraverso le quali può esplicarsi l’affidamento congiunto sono sostanzialmente due e cioè: 1) l’affidamento a residenza alternata, caratterizzato dal fatto che il minore alterna periodi di convivenza presso l’uno e l’altro genitore o sono gli stessi genitori ad alternarsi nella casa dove i figli abitano stabilmente e 2) l’affidamento a residenza privilegiata, il quale prevede che il minore risieda prevalentemente presso l’abitazione del coniuge ritenuto più idoneo.

Nella scelta verrà sicuramente preso in considerazione l’interesse del minore a continuare a vivere nell’ambiente e nell’abitazione dove egli ha vissuto prima del dissolversi dell’unione affettiva dei genitori e questo ovviamente per ridurre al minimo i traumi derivanti dalla separazione.

La nuova disciplina pur non indicando le linee guida relative all’applicazione concreta dell’istituto dell’affidamento congiunto, esprime in pieno un principio di fondamentale importanza: quello della “bigenitorialità” e del relativo esercizio congiunto della potestà. La potestà spetta ad entrambi i genitori mentre in passato spettava esclusivamente al genitore al quale erano affidati i figli.

Il diritto / dovere di mantenere, istruire, educare la prole spetta ad entrambi i genitori i quali possono adottare liberamente le decisioni ritenute più opportune per il minore, durante il periodo in cui quest’ultimo coabita con il genitore. Ciò significa che nel periodo in cui il minore risiedere presso un genitore, sarà quest’ultimo ad adottare tutte le decisioni di “ordinaria amministrazione”, mentre per tutte quelle decisioni di maggiore importanza sarà necessario l’intervento di entrambi i genitori. Questo tipo di affidamento presuppone ovviamente che tra i genitori esista uno spirito collaborativo ed un senso di responsabilità che troppo spesso risulta essere carente nella pratica. In effetti una persistente e ostinata situazione di conflittualità tra i genitori non consentirebbe di adottare le più semplici e quotidiane decisioni nell’interesse nel figlio o ancor peggio quelle di maggior importanza, con il rischio di pregiudicare oltremodo la sfera psichica del figlio e di paralizzare l’attività dei Tribunali, attraverso ripetuti ricorsi al Giudice, diretti a dirimere ogni minimo conflitto e controversia dei genitori.

Ritengo che la lacuna normativa circa le modalità applicative dell’affidamento congiunto sia stata volutamente prevista dal legislatore al fine di consentire una maggiore elasticità da parte delle Corti di merito, in modo tale da adattare i singoli provvedimenti di affidamento congiunto ai casi specifici.

Solo l’esperienza applicativa potrà determinare la nascita di principi guida di natura giurisprudenziale e consentire un giudizio globale circa il successo o meno dell’istituto dell’affidamento congiunto.

Anche se la normativa pone come principio di scelta quello dell’affidamento condiviso, viene altresì contemplata l’ipotesi dell’affidamento esclusivo ad uno solo dei genitori, qualora il giudice ritenga che “l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore”.

Dalla lettura della norma risulta evidente che un eventuale provvedimento di affido esclusivo dovrebbe essere opportunamente motivato e dovrebbe soprattutto costituire l’eccezione alla regola dell’affidamento condiviso.

Il nocciolo della questione è quello di comprendere quali siano gli elementi contrari all’interesse del minore. Anche qui, in assenza di una codificazione legislativa, sarà il giudice, a valutare caso per caso ciò che è contrario agli interessi del minore.

Ci si chiede ad esempio se l’estrema conflittualità tra i genitori possa configurare un elemento contrario all’interesse del figlio.

Credo che ove la litigiosità dei genitori possa assurgere ad elemento ostativo ad un affidamento congiunto, il nuovo testo dell’articolo 155 c.c. sarebbe di fatto svuotato di ogni significato. Sarebbe infatti sufficiente per il singolo genitore addurre un’esasperata situazione di conflittualità con l’altro genitore al fine di evitare l’affidamento congiunto e indirizzare il giudice verso un provvedimento di affidamento esclusivo.

Pertanto alla luce della nuova normativa è da ritenersi superato il principio sulla base del quale l’accordo dei coniugi sarebbe presupposto imprescindibile per l’affidamento congiunto della prole. Così disponeva la Corte di Appello di Perugia in data 18-01-1992: “Atteso che l’accordo dei coniugi è presupposto imprescindibile per l’affidamento congiunto della prole, questo va revocato nel caso in cui, ancorchè concordato ed omologato in sede di separazione, sopravvenga tra le parti un aperto, grave dissenso, caratterizzato da aperta e accesa conflittualità e comportante serio pericolo di non lieve pregiudizio per la prole stessa ….”.

Sull’elemento della conflittualità tra i genitori, nel corso degli anni abbiamo assistito ad un vivace scontro dottrinale e giurisprudenziale e al formarsi di due contrapposte visioni: la prima che vedeva nella conflittualità esasperata dei genitori un elemento ostativo all’affidamento condiviso (Tribunale Varese, 11-07-2005); la seconda che considerava comunque l’affidamento condiviso e l’esercizio congiunto della potestà genitoriale come rispondente all’interesse primario della prole, garantendo la sopravvivenza dello schema educativo esistente in costanza di matrimonio. (Tribunale di Firenze, 14-06-2005, n. 2384), pur in presenza di conflittualità tra i genitori (Tribunale Napoli, 18-01-2005 - Tribunale Viterbo, 14-06-2004) purché ciò non fosse di ostacolo alla comune gestione della vita del figlio.

Peraltro è opportuno sottolineare che anche i per i sostenitori della seconda tesi, l’interesse preminente del minore rappresenta comunque l’elemento cardine per poter valutare l’opportunità di un affidamento congiunto; se un semplice e non patologico conflitto tra i genitori, non giustifica un provvedimento di diniego alla richiesta di affidamento congiunto, un conflitto esasperato che si traduca in completa incomunicabilità o in un clima tale da recare irreversibile pregiudizio ai figli è motivo sufficiente per disporre l’affidamento esclusivo.

Ritengo personalmente che la differenza sostanziale tra i due orientamenti risieda semplicemente nel fatto che mentre i primi affermano che l’affidamento esclusivo debba rappresentare la regola cardine, da derogare solo in ipotesi eccezionali ed in presenza di condizioni di assoluto accordo ed armonia tra i coniugi, i secondi, al contrario, sostengono che l’affidamento congiunto debba rappresentare la regola di base sul presupposto che tale forma tuteli maggiormente l’interesse dei figli,.

E’ agevole intuire come prima della riforma dell’articolo 155 del codice civile, la prima tesi fosse quella prevalente, in considerazione del fatto che le ipotesi di affidamento congiunto nella pratica rappresentavano una eccezione.

Oggi con la riforma le cose dovrebbero cambiare e gli elementi ostativi ad un provvedimento di affidamento congiunto dovrebbero risiedere in situazioni eccezionali, tali da sconsigliare, nell’interesse primario del figlio, il ricorso ad un affidamento congiunto. Ad esempio il trasferimento di un genitore all’estero, il sopraggiungere di una malattia mentale, una situazione di estrema conflittualità tra il figlio ed un genitore, potrebbero essere quegli elementi eccezionali tali da giustificare, con provvedimento motivato, il ricorso all’affidamento esclusivo. Altrimenti la riforma dell’articolo 155 del codice civile resterebbe una lettera morta.



Si riporta il nuovo testo dell’articolo 155 del codice civile

Art. 155 - Provvedimenti riguardo ai figli

[1] Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

[2] Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole.

[3] La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente.

[4] Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:

1) le attuali esigenze del figlio;

2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;

3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;

4) le risorse economiche di entrambi i genitori;

5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

[5] L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.

[6] Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi

La modifica dell’articolo 155 del codice civile, a seguito dell’entrata in vigore della Legge 8 Febbraio 2006 n. 54, ha introdotto come principio cardine, in materia di affidamento dei minori a seguito di separazione personale dei coniugi, il cosiddetto “affidamento congiunto”.

La norma si riferisce espressamente alla valutazione prioritaria circa la possibilità di un affidamento condiviso, che il giudice deve effettuare al momento dell’emissione dei provvedimenti di cui al secondo comma dell’articolo 155 c.c.

Le lettera della legge circa la “valutazione prioritaria”, impone come antecedente necessario quello di determinare quali siano le situazione ostative ad un provvedimento di affidamento congiunto. In assenza di un’espressa codificazione legislativa, se non il generico riferimento “all’interesse morale e materiale della prole” il criterio giuda sarà certamente quello della maggiore tutela possibile del minore.

A differenza del vecchio testo dell’articolo 155 c.c. dove nessun sistema di preferenza era indicato dal legislatore in ordine all’emanazione del provvedimento di affidamento, il nuovo dettato normativo prevede un evidente criterio di scelta verso l’affidamento ad entrambi i genitori.

Peraltro sotto la vigenza del vecchio testo dell’articolo 155, pur non essendo previsto alcun criterio di priorità circa l’affidamento, l’ipotesi più diffusa era quella dell’affidamento esclusivo alla madre. Ciò non escludeva che in linea di principio il Giudice potesse far ricorso all’istituto dell’affido condiviso anche se nella prassi l’affidamento esclusivo era la soluzione maggiormente adottata.

Prima della riforma, l’istituto dell’affidamento congiunto pur non essendo previsto dalla normativa vigente in materia di separazione personale, era ammesso espressamente dall’articolo 6 della legge sul divorzio (898/1970) e la giurisprudenza di legittimità era già in passato intervenuta ammettendo l’applicazione analogica del suddetto articolo anche alle ipotesi di separazione personale (Cass. Civ. n. 2210 del 28.02.2000 et Cass. Civ. n. 127775 del 13.12.1995).

Sicuramente sia il nuovo che il vecchio testo della legge hanno e avevano come punto di riferimento preminente l’interesse morale e materiale della prole; ma ad essere mutato è l’orientamento del legislatore su cosa in realtà tuteli in misura maggiore l’interesse della prole. Se in passato si riteneva che non vi fosse un interesse preminente a che i figli fossero affidati ad entrambi i genitori, la nuova disciplina ha individuato come interesse primario della prole, quello della continuità nei rapporti con entrambi i genitori, preservando per quanto possibile lo stesso equilibrio di frequentazione tra entrambi i genitori.

Si faccia bene attenzione nel non intendere la norma sull’affidamento congiunto come una disposizione a tutela e salvaguardia dell’interesse, se pur affettivo, dei genitori, bensì ad interpretarla come uno spostamento, avvenuto a seguito di accesi dibattiti giurisprudenziali e dottrinali, dell’interesse dei figli, verso una soluzione di affidamento congiunto.

In linea teorica, se prima della riforma non esisteva di per se un genitore più idoneo ad ottenere l’affidamento di un figlio (anche se nella stragrande maggioranza dei casi finiva per essere la madre), a seguito della legge n. 54/2006 esiste una presunzione circa l’idoneità di entrambi i genitori a proseguire nei propri compiti di genitore “a tempo pieno”.

Con l’introduzione del nuovo testo dell’articolo 155 c.c. sarà l’organo giudicante, di volta in volta, a valutare se esistono elementi o situazioni specifiche che ostano all’affidamento congiunto, tenendo presenti una serie di elementi prognostici che sono già stati in passato indicati dalla giurisprudenza di legittimità, quali la capacità di relazione affettiva, di disponibilità ad un assiduo rapporto, alle consuetudini di vita e all’ambiente che è in grado di offrire al minore.

Le modalità attraverso le quali può esplicarsi l’affidamento congiunto sono sostanzialmente due e cioè: 1) l’affidamento a residenza alternata, caratterizzato dal fatto che il minore alterna periodi di convivenza presso l’uno e l’altro genitore o sono gli stessi genitori ad alternarsi nella casa dove i figli abitano stabilmente e 2) l’affidamento a residenza privilegiata, il quale prevede che il minore risieda prevalentemente presso l’abitazione del coniuge ritenuto più idoneo.

Nella scelta verrà sicuramente preso in considerazione l’interesse del minore a continuare a vivere nell’ambiente e nell’abitazione dove egli ha vissuto prima del dissolversi dell’unione affettiva dei genitori e questo ovviamente per ridurre al minimo i traumi derivanti dalla separazione.

La nuova disciplina pur non indicando le linee guida relative all’applicazione concreta dell’istituto dell’affidamento congiunto, esprime in pieno un principio di fondamentale importanza: quello della “bigenitorialità” e del relativo esercizio congiunto della potestà. La potestà spetta ad entrambi i genitori mentre in passato spettava esclusivamente al genitore al quale erano affidati i figli.

Il diritto / dovere di mantenere, istruire, educare la prole spetta ad entrambi i genitori i quali possono adottare liberamente le decisioni ritenute più opportune per il minore, durante il periodo in cui quest’ultimo coabita con il genitore. Ciò significa che nel periodo in cui il minore risiedere presso un genitore, sarà quest’ultimo ad adottare tutte le decisioni di “ordinaria amministrazione”, mentre per tutte quelle decisioni di maggiore importanza sarà necessario l’intervento di entrambi i genitori. Questo tipo di affidamento presuppone ovviamente che tra i genitori esista uno spirito collaborativo ed un senso di responsabilità che troppo spesso risulta essere carente nella pratica. In effetti una persistente e ostinata situazione di conflittualità tra i genitori non consentirebbe di adottare le più semplici e quotidiane decisioni nell’interesse nel figlio o ancor peggio quelle di maggior importanza, con il rischio di pregiudicare oltremodo la sfera psichica del figlio e di paralizzare l’attività dei Tribunali, attraverso ripetuti ricorsi al Giudice, diretti a dirimere ogni minimo conflitto e controversia dei genitori.

Ritengo che la lacuna normativa circa le modalità applicative dell’affidamento congiunto sia stata volutamente prevista dal legislatore al fine di consentire una maggiore elasticità da parte delle Corti di merito, in modo tale da adattare i singoli provvedimenti di affidamento congiunto ai casi specifici.

Solo l’esperienza applicativa potrà determinare la nascita di principi guida di natura giurisprudenziale e consentire un giudizio globale circa il successo o meno dell’istituto dell’affidamento congiunto.

Anche se la normativa pone come principio di scelta quello dell’affidamento condiviso, viene altresì contemplata l’ipotesi dell’affidamento esclusivo ad uno solo dei genitori, qualora il giudice ritenga che “l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore”.

Dalla lettura della norma risulta evidente che un eventuale provvedimento di affido esclusivo dovrebbe essere opportunamente motivato e dovrebbe soprattutto costituire l’eccezione alla regola dell’affidamento condiviso.

Il nocciolo della questione è quello di comprendere quali siano gli elementi contrari all’interesse del minore. Anche qui, in assenza di una codificazione legislativa, sarà il giudice, a valutare caso per caso ciò che è contrario agli interessi del minore.

Ci si chiede ad esempio se l’estrema conflittualità tra i genitori possa configurare un elemento contrario all’interesse del figlio.

Credo che ove la litigiosità dei genitori possa assurgere ad elemento ostativo ad un affidamento congiunto, il nuovo testo dell’articolo 155 c.c. sarebbe di fatto svuotato di ogni significato. Sarebbe infatti sufficiente per il singolo genitore addurre un’esasperata situazione di conflittualità con l’altro genitore al fine di evitare l’affidamento congiunto e indirizzare il giudice verso un provvedimento di affidamento esclusivo.

Pertanto alla luce della nuova normativa è da ritenersi superato il principio sulla base del quale l’accordo dei coniugi sarebbe presupposto imprescindibile per l’affidamento congiunto della prole. Così disponeva la Corte di Appello di Perugia in data 18-01-1992: “Atteso che l’accordo dei coniugi è presupposto imprescindibile per l’affidamento congiunto della prole, questo va revocato nel caso in cui, ancorchè concordato ed omologato in sede di separazione, sopravvenga tra le parti un aperto, grave dissenso, caratterizzato da aperta e accesa conflittualità e comportante serio pericolo di non lieve pregiudizio per la prole stessa ….”.

Sull’elemento della conflittualità tra i genitori, nel corso degli anni abbiamo assistito ad un vivace scontro dottrinale e giurisprudenziale e al formarsi di due contrapposte visioni: la prima che vedeva nella conflittualità esasperata dei genitori un elemento ostativo all’affidamento condiviso (Tribunale Varese, 11-07-2005); la seconda che considerava comunque l’affidamento condiviso e l’esercizio congiunto della potestà genitoriale come rispondente all’interesse primario della prole, garantendo la sopravvivenza dello schema educativo esistente in costanza di matrimonio. (Tribunale di Firenze, 14-06-2005, n. 2384), pur in presenza di conflittualità tra i genitori (Tribunale Napoli, 18-01-2005 - Tribunale Viterbo, 14-06-2004) purché ciò non fosse di ostacolo alla comune gestione della vita del figlio.

Peraltro è opportuno sottolineare che anche i per i sostenitori della seconda tesi, l’interesse preminente del minore rappresenta comunque l’elemento cardine per poter valutare l’opportunità di un affidamento congiunto; se un semplice e non patologico conflitto tra i genitori, non giustifica un provvedimento di diniego alla richiesta di affidamento congiunto, un conflitto esasperato che si traduca in completa incomunicabilità o in un clima tale da recare irreversibile pregiudizio ai figli è motivo sufficiente per disporre l’affidamento esclusivo.

Ritengo personalmente che la differenza sostanziale tra i due orientamenti risieda semplicemente nel fatto che mentre i primi affermano che l’affidamento esclusivo debba rappresentare la regola cardine, da derogare solo in ipotesi eccezionali ed in presenza di condizioni di assoluto accordo ed armonia tra i coniugi, i secondi, al contrario, sostengono che l’affidamento congiunto debba rappresentare la regola di base sul presupposto che tale forma tuteli maggiormente l’interesse dei figli,.

E’ agevole intuire come prima della riforma dell’articolo 155 del codice civile, la prima tesi fosse quella prevalente, in considerazione del fatto che le ipotesi di affidamento congiunto nella pratica rappresentavano una eccezione.

Oggi con la riforma le cose dovrebbero cambiare e gli elementi ostativi ad un provvedimento di affidamento congiunto dovrebbero risiedere in situazioni eccezionali, tali da sconsigliare, nell’interesse primario del figlio, il ricorso ad un affidamento congiunto. Ad esempio il trasferimento di un genitore all’estero, il sopraggiungere di una malattia mentale, una situazione di estrema conflittualità tra il figlio ed un genitore, potrebbero essere quegli elementi eccezionali tali da giustificare, con provvedimento motivato, il ricorso all’affidamento esclusivo. Altrimenti la riforma dell’articolo 155 del codice civile resterebbe una lettera morta.



Si riporta il nuovo testo dell’articolo 155 del codice civile

Art. 155 - Provvedimenti riguardo ai figli

[1] Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

[2] Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole.

[3] La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente.

[4] Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:

1) le attuali esigenze del figlio;

2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;

3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;

4) le risorse economiche di entrambi i genitori;

5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

[5] L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.

[6] Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi