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Le agevolazioni prima casa e la decadenza da esse

La nota II bis all’articolo 1 della tariffa parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro approvato con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 26 aprile 1986, riconosce, a tutti coloro che hanno determinati requisiti, la possibilità di richiedere, le cosiddette agevolazioni “prima casa”.

Tale trattamento di favore è stato introdotto per la prima volta nel 1982 con l’articolo 1 della Legge n. 168, probabilmente, allo scopo di incentivare gli italiani nell’acquisizione dell’abitazione; dopo vari rimaneggiamenti normativi si è giunti alla formulazione attuale secondo la quale gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di abitazioni non di lusso (secondo i criteri di cui al Decreto Ministeriale 2 agosto 1969) e gli atti traslativi della nuda proprietà, di usufrutto, uso e abitazione sono assoggettabili alle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura ridotta o all’IVA agevolata, sempreché gli acquirenti siano nelle seguenti condizioni:

- risiedano o intendano trasferire la residenza nel comune in cui si trova l’immobile acquistato;

- non siano titolari di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione, né a titolo esclusivo, né in comunione con il coniuge, su un’altra casa sita nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare;

- non siano titolari, neppure per quote, in tutto il territorio nazionale di diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata richiedendo le agevolazioni di cui all’art. 1 della tariffa parte prima allegata al Testo Unico sull’imposta di registro.

I requisiti di cui sopra spettano, per l’acquisto, anche con atto separato, delle pertinenze dell’immobile ubicato nel comune in cui l’acquirente ha la propria residenza o intenda trasferirla. Si considerano pertinenze, le unità immobiliari classificate nelle categorie catastali C/2 (cantina, deposito o magazzino), C/6 (box o posto auto) e C/7 (tettoia), atte a “servire” l’alloggio che contemporaneamente si acquista o che si è precedentemente acquisito.

Di conseguenza chi compra una casa e una pertinenza oppure solo una casa da un soggetto privato, ha diritto di versare all’erario il 3% di imposta di registro (contro il normale 7%) da calcolarsi sul valore catastale dell’immobile, oltre alle imposte ipotecarie e catastali ammontanti a 168 euro l’una (rispettivamente contro il 2 e l’1%), mentre chi acquista i medesimi immobili da una società costruttrice paga l’Iva nella misura ridotta del 4% (anziché l’aliquota del 10%).

Una volta attribuito il beneficio, il legislatore si è preoccupato di far sì che venisse “rispettato”, così con la Legge n. 549 del 28 dicembre 1995, ha aggiunto il comma 4 alla nota II bis dell’articolo 1, prevedendo i casi in cui lo sconto d’imposta si può revocare a tutti i contribuenti “ingrati”. Pertanto, si decade dall’agevolazione per aver acquistato una casa che in seguito ad accertamenti tecnici presenta le caratteristiche delle abitazioni di lusso, per aver reso dichiarazioni mendaci nell’atto di acquisto, relativamente alla residenza, alla non titolarità di diritti reali su altri immobili nel territorio del comune in cui si trova quello acquistato e al non aver mai richiesto prima l’agevolazione in discorso.

Per quanto riguarda la residenza, se l’acquirente risiede già nel comune in cui è situato l’immobile che intende acquistare, il primo requisito è soddisfatto; se, al contrario, il cessionario risiede in un territorio comunale diverso da quello in cui si trova l’immobile, deve rendere una dichiarazione di intento, peraltro l’unica da manifestare nell’atto di acquisto a pena di decadenza, consistente nella volontà di stabilire la residenza, entro diciotto mesi dalla data dell’atto, nel comune in cui si trova l’alloggio oggetto di acquisto. La legge di conversione n. 243 del 19 luglio 1993 del decreto legge n. 155 del 22 maggio 1993 ha poi innovato la norma precisando che il comune in cui si trova l’immobile deve coincidere con il comune in cui l’acquirente risiede già o presta la propria attività o, se trasferito all’estero, quello in cui ha sede il datore di lavoro da cui dipende, o, se si tratta di cittadino italiano emigrato all’estero, deve essere la prima casa sul territorio italiano. Ad esempio, se il signor Tizio vive nel comune A, lavora nel comune B e compra casa nel comune C, è costretto a trasferire la propria residenza nel comune in cui ha acquistato l’immobile, ma deve sapere che per l’Agenzia delle Entrate il requisito della residenza è soddisfatto dalla semplice presentazione della dichiarazione di trasferimento presentata dall’interessato al comune (e fa fede la data riportata su tale modulo), senza sentirsi obbligato ad adibire l’immobile acquistato ad abitazione principale e che la Corte di Cassazione ha già più volte dichiarato la prevalenza della residenza anagrafica su quella effettiva.

A tutto ciò è prevista un’eccezione, infatti il mancato trasferimento della residenza è giustificato solo da una causa di “forza maggiore”, ossia dal verificarsi di un evento oggettivo, non prevedibile, tale da non poter essere evitato e non imputabile alla parte obbligata. A riguardo, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che la causa di forza maggiore deve realizzarsi quando il termine (18 mesi) per dimostrare il possesso dei requisiti è ancora pendente e tale momento deve essere successivo a quello in cui è stato registrato l’atto di acquisto; inoltre l’avvenimento che impedisce il cambio di residenza non deve rientrare nella sfera soggettiva della parte acquirente e non deve essere conoscibile da questi al momento del rogito, altrimenti la dichiarazione resa è mendace sin dall’inizio. Anche la Corte di Cassazione riconosce l’importanza della “forza maggiore” quale evento imprevedibile e inevitabile e così grave da impedire all’obbligato di stabilire la propria residenza anagrafica nell’immobile acquistato, per tutto il periodo di diciotto mesi previsto dalla legge, come risulta dalla recentissima sentenza n. 1392 del 26 gennaio 2010.

Inoltre, si decade dall’agevolazione in discorso qualora si sia già proprietari di un altro alloggio per cui si è beneficiato dell’imposta ridotta, salvo che l’acquirente dimostri di essere in possesso di un appartamento inidoneo alle esigenze della famiglia e pertanto di volerne comprare uno più adatto; infatti, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 100 dell’8 gennaio 2010, ha accolto il ricorso di una signora che chiedeva di essere rimborsata dell’imposta ordinaria pagata per l’acquisto di un secondo e più grande alloggio, che meglio si prestava al soddisfacimento dei bisogni famigliari rispetto a quello di cui era già titolare.

Uscendo dalla sfera soggettiva del contribuente, la rivendita dell’immobile prima che siano decorsi cinque anni dall’acquisto costituisce causa di decadenza. Nella fattispecie, alla base del potere sanzionatorio, c’è la presunzione di un intento speculativo che viene punito dall’Amministrazione finanziaria ogni qualvolta l’acquirente “agevolato” trasferisce a titolo gratuito od oneroso un immobile prima del decorso di cinque anni dall’acquisto, salvo il riacquisto di un altro immobile, entro un anno dall’alienazione.

Il riacquisto di cui sopra deve avvenire con un atto di trasferimento di diritti reali a titolo oneroso, non deve necessariamente riguardare il medesimo diritto di cui si era titolari (può essere piena proprietà, nuda proprietà, usufrutto, uso, abitazione), può essere effettuato anche senza richiedere nuovamente le agevolazioni e ad un prezzo inferiore o superiore in modo assolutamente indifferente.

L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 44/E del 16 marzo 2004, ha riconosciuto un’ulteriore eccezione e, pertanto non si decade dai benefici se entro un anno dall’alienazione dell’alloggio, venduto prima che siano decorsi cinque anni, il titolare acquisisce nella propria sfera patrimoniale un terreno su cui edificare la propria abitazione principale. E’ sufficiente che la nuova dimora non abbia le caratteristiche che identificano gli immobili di lusso, che sia in corso di costruzione, con le mura perimetrali delle singole unità e la copertura.

Fortunatamente, il quarto comma dell’art. 1 della nota II bis della tariffa parte prima allegata al T.U. 131/1986 nel prevedere la decadenza dalle agevolazioni in caso di cessione dell’immobile prima del decorso di cinque anni dall’atto di acquisto, salvo il riacquisto entro un anno dall’alienazione, non segnala dove deve avvenire il riacquisto; poiché, sul tema la prassi amministrativa e la giurisprudenza tacciono, si può ritenere che si possa ricomprare casa ovunque in Italia e all’estero senza incorrere in un accertamento tributario.

Come già spiegato, il 3° comma dell’articolo 1 della nota II bis stabilisce che l’agevolazione prima casa spetta anche per l’acquisto delle pertinenze dell’abitazione, l’acquirente di un magazzino o cantina (C/2) o di un’autorimessa o posto auto (C/6) o di una tettoia (C/7) può, anche con atto separato, dichiararne la pertinenzialità rispetto all’alloggio e beneficiare delle imposte ridotte, ma secondo l’amministrazione finanziaria, qualora venga alienata solo la pertinenza prima che sia trascorso il termine di cinque anni dall’acquisto, si decade dall’agevolazione richiesta per la parte di valore imputabile al bene aggiuntivo. Questo è quanto emerge dalle risposte fornite dall’amministrazione stessa ai quesiti posti a più riprese dai contribuenti. Le risoluzioni n. 31 del 16 febbraio 2006 e n. 30 del 1 febbraio 2008 affermano che la cessione a qualsiasi titolo di un bene pertinenziale prima che sia trascorso il termine di cinque anni dall’atto di acquisto, comporta la decadenza del regime più favorevole, in virtù del fatto che l’eccezione concernente il riacquisto riguarda solo gli immobili abitativi da adibire ad abitazione principale. A sostegno di tale orientamento, la Corte di Cassazione, sez. I, nella sentenza n. 12737 del 21 dicembre 1998, afferma che lo scopo del legislatore è quello di far convogliare il risparmio individuale nell’acquisto della prima casa e di favorire attuali e concrete utilizzazioni degli immobili acquistati come abitazioni da parte di acquirenti che ne siano privi o non abbiano case idonee.

Da ultimo un avviso a tutte le coppie di coniugi che intendono separarsi all’indomani dell’acquisto della casa, nell’Amministrazione finanziaria si è fatta strada l’idea secondo la quale si decade dai benefici prima casa quando uno dei due è costretto dagli eventi a trasferire all’altro coniuge o a terzi la quota di proprietà dell’immobile acquistato con le agevolazioni.

In conclusione coloro che rischiano di perdere le agevolazioni prima casa, a prescindere dalla causa che l’ha determinata, vanno incontro ad un accertamento tributario da parte dell’Agenzia delle Entrate formato dalle seguenti voci:

- l’imposta (registro, ipotecaria e catastale, o IVA) nella misura ordinaria;

- la sanzione pecuniaria nella misura del 30% dell’imposta di cui sopra;

- gli interessi di mora in forza del comma 4 dell’art. 55 del Testo Unico Imposta di Registro.

Più precisamente il contribuente è chiamato a versare la differenza tra le imposte (registro, ipotecaria e catastale) dovute in misura ordinaria e quelle applicate in forza dell’aliquota più favorevole, e pertanto viene richiesto il 4% di imposta di registro e il 3% di imposte ipotecarie e catastali, detratto quanto già versato in misura fissa, oltre alla sanzione, quantificabile nel 30% della differenza appena ottenuta e agli interessi di mora; in relazione invece, alle cessioni soggette ad IVA, la differenza d’imposta è data dall’IVA calcolata in base all’aliquota priva di agevolazioni e quella calcolata usando l’aliquota più vantaggiosa, incrementata del 30%.

La nota II bis all’articolo 1 della tariffa parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro approvato con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 26 aprile 1986, riconosce, a tutti coloro che hanno determinati requisiti, la possibilità di richiedere, le cosiddette agevolazioni “prima casa”.

Tale trattamento di favore è stato introdotto per la prima volta nel 1982 con l’articolo 1 della Legge n. 168, probabilmente, allo scopo di incentivare gli italiani nell’acquisizione dell’abitazione; dopo vari rimaneggiamenti normativi si è giunti alla formulazione attuale secondo la quale gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di abitazioni non di lusso (secondo i criteri di cui al Decreto Ministeriale 2 agosto 1969) e gli atti traslativi della nuda proprietà, di usufrutto, uso e abitazione sono assoggettabili alle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura ridotta o all’IVA agevolata, sempreché gli acquirenti siano nelle seguenti condizioni:

- risiedano o intendano trasferire la residenza nel comune in cui si trova l’immobile acquistato;

- non siano titolari di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione, né a titolo esclusivo, né in comunione con il coniuge, su un’altra casa sita nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare;

- non siano titolari, neppure per quote, in tutto il territorio nazionale di diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata richiedendo le agevolazioni di cui all’art. 1 della tariffa parte prima allegata al Testo Unico sull’imposta di registro.

I requisiti di cui sopra spettano, per l’acquisto, anche con atto separato, delle pertinenze dell’immobile ubicato nel comune in cui l’acquirente ha la propria residenza o intenda trasferirla. Si considerano pertinenze, le unità immobiliari classificate nelle categorie catastali C/2 (cantina, deposito o magazzino), C/6 (box o posto auto) e C/7 (tettoia), atte a “servire” l’alloggio che contemporaneamente si acquista o che si è precedentemente acquisito.

Di conseguenza chi compra una casa e una pertinenza oppure solo una casa da un soggetto privato, ha diritto di versare all’erario il 3% di imposta di registro (contro il normale 7%) da calcolarsi sul valore catastale dell’immobile, oltre alle imposte ipotecarie e catastali ammontanti a 168 euro l’una (rispettivamente contro il 2 e l’1%), mentre chi acquista i medesimi immobili da una società costruttrice paga l’Iva nella misura ridotta del 4% (anziché l’aliquota del 10%).

Una volta attribuito il beneficio, il legislatore si è preoccupato di far sì che venisse “rispettato”, così con la Legge n. 549 del 28 dicembre 1995, ha aggiunto il comma 4 alla nota II bis dell’articolo 1, prevedendo i casi in cui lo sconto d’imposta si può revocare a tutti i contribuenti “ingrati”. Pertanto, si decade dall’agevolazione per aver acquistato una casa che in seguito ad accertamenti tecnici presenta le caratteristiche delle abitazioni di lusso, per aver reso dichiarazioni mendaci nell’atto di acquisto, relativamente alla residenza, alla non titolarità di diritti reali su altri immobili nel territorio del comune in cui si trova quello acquistato e al non aver mai richiesto prima l’agevolazione in discorso.

Per quanto riguarda la residenza, se l’acquirente risiede già nel comune in cui è situato l’immobile che intende acquistare, il primo requisito è soddisfatto; se, al contrario, il cessionario risiede in un territorio comunale diverso da quello in cui si trova l’immobile, deve rendere una dichiarazione di intento, peraltro l’unica da manifestare nell’atto di acquisto a pena di decadenza, consistente nella volontà di stabilire la residenza, entro diciotto mesi dalla data dell’atto, nel comune in cui si trova l’alloggio oggetto di acquisto. La legge di conversione n. 243 del 19 luglio 1993 del decreto legge n. 155 del 22 maggio 1993 ha poi innovato la norma precisando che il comune in cui si trova l’immobile deve coincidere con il comune in cui l’acquirente risiede già o presta la propria attività o, se trasferito all’estero, quello in cui ha sede il datore di lavoro da cui dipende, o, se si tratta di cittadino italiano emigrato all’estero, deve essere la prima casa sul territorio italiano. Ad esempio, se il signor Tizio vive nel comune A, lavora nel comune B e compra casa nel comune C, è costretto a trasferire la propria residenza nel comune in cui ha acquistato l’immobile, ma deve sapere che per l’Agenzia delle Entrate il requisito della residenza è soddisfatto dalla semplice presentazione della dichiarazione di trasferimento presentata dall’interessato al comune (e fa fede la data riportata su tale modulo), senza sentirsi obbligato ad adibire l’immobile acquistato ad abitazione principale e che la Corte di Cassazione ha già più volte dichiarato la prevalenza della residenza anagrafica su quella effettiva.

A tutto ciò è prevista un’eccezione, infatti il mancato trasferimento della residenza è giustificato solo da una causa di “forza maggiore”, ossia dal verificarsi di un evento oggettivo, non prevedibile, tale da non poter essere evitato e non imputabile alla parte obbligata. A riguardo, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che la causa di forza maggiore deve realizzarsi quando il termine (18 mesi) per dimostrare il possesso dei requisiti è ancora pendente e tale momento deve essere successivo a quello in cui è stato registrato l’atto di acquisto; inoltre l’avvenimento che impedisce il cambio di residenza non deve rientrare nella sfera soggettiva della parte acquirente e non deve essere conoscibile da questi al momento del rogito, altrimenti la dichiarazione resa è mendace sin dall’inizio. Anche la Corte di Cassazione riconosce l’importanza della “forza maggiore” quale evento imprevedibile e inevitabile e così grave da impedire all’obbligato di stabilire la propria residenza anagrafica nell’immobile acquistato, per tutto il periodo di diciotto mesi previsto dalla legge, come risulta dalla recentissima sentenza n. 1392 del 26 gennaio 2010.

Inoltre, si decade dall’agevolazione in discorso qualora si sia già proprietari di un altro alloggio per cui si è beneficiato dell’imposta ridotta, salvo che l’acquirente dimostri di essere in possesso di un appartamento inidoneo alle esigenze della famiglia e pertanto di volerne comprare uno più adatto; infatti, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 100 dell’8 gennaio 2010, ha accolto il ricorso di una signora che chiedeva di essere rimborsata dell’imposta ordinaria pagata per l’acquisto di un secondo e più grande alloggio, che meglio si prestava al soddisfacimento dei bisogni famigliari rispetto a quello di cui era già titolare.

Uscendo dalla sfera soggettiva del contribuente, la rivendita dell’immobile prima che siano decorsi cinque anni dall’acquisto costituisce causa di decadenza. Nella fattispecie, alla base del potere sanzionatorio, c’è la presunzione di un intento speculativo che viene punito dall’Amministrazione finanziaria ogni qualvolta l’acquirente “agevolato” trasferisce a titolo gratuito od oneroso un immobile prima del decorso di cinque anni dall’acquisto, salvo il riacquisto di un altro immobile, entro un anno dall’alienazione.

Il riacquisto di cui sopra deve avvenire con un atto di trasferimento di diritti reali a titolo oneroso, non deve necessariamente riguardare il medesimo diritto di cui si era titolari (può essere piena proprietà, nuda proprietà, usufrutto, uso, abitazione), può essere effettuato anche senza richiedere nuovamente le agevolazioni e ad un prezzo inferiore o superiore in modo assolutamente indifferente.

L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 44/E del 16 marzo 2004, ha riconosciuto un’ulteriore eccezione e, pertanto non si decade dai benefici se entro un anno dall’alienazione dell’alloggio, venduto prima che siano decorsi cinque anni, il titolare acquisisce nella propria sfera patrimoniale un terreno su cui edificare la propria abitazione principale. E’ sufficiente che la nuova dimora non abbia le caratteristiche che identificano gli immobili di lusso, che sia in corso di costruzione, con le mura perimetrali delle singole unità e la copertura.

Fortunatamente, il quarto comma dell’art. 1 della nota II bis della tariffa parte prima allegata al T.U. 131/1986 nel prevedere la decadenza dalle agevolazioni in caso di cessione dell’immobile prima del decorso di cinque anni dall’atto di acquisto, salvo il riacquisto entro un anno dall’alienazione, non segnala dove deve avvenire il riacquisto; poiché, sul tema la prassi amministrativa e la giurisprudenza tacciono, si può ritenere che si possa ricomprare casa ovunque in Italia e all’estero senza incorrere in un accertamento tributario.

Come già spiegato, il 3° comma dell’articolo 1 della nota II bis stabilisce che l’agevolazione prima casa spetta anche per l’acquisto delle pertinenze dell’abitazione, l’acquirente di un magazzino o cantina (C/2) o di un’autorimessa o posto auto (C/6) o di una tettoia (C/7) può, anche con atto separato, dichiararne la pertinenzialità rispetto all’alloggio e beneficiare delle imposte ridotte, ma secondo l’amministrazione finanziaria, qualora venga alienata solo la pertinenza prima che sia trascorso il termine di cinque anni dall’acquisto, si decade dall’agevolazione richiesta per la parte di valore imputabile al bene aggiuntivo. Questo è quanto emerge dalle risposte fornite dall’amministrazione stessa ai quesiti posti a più riprese dai contribuenti. Le risoluzioni n. 31 del 16 febbraio 2006 e n. 30 del 1 febbraio 2008 affermano che la cessione a qualsiasi titolo di un bene pertinenziale prima che sia trascorso il termine di cinque anni dall’atto di acquisto, comporta la decadenza del regime più favorevole, in virtù del fatto che l’eccezione concernente il riacquisto riguarda solo gli immobili abitativi da adibire ad abitazione principale. A sostegno di tale orientamento, la Corte di Cassazione, sez. I, nella sentenza n. 12737 del 21 dicembre 1998, afferma che lo scopo del legislatore è quello di far convogliare il risparmio individuale nell’acquisto della prima casa e di favorire attuali e concrete utilizzazioni degli immobili acquistati come abitazioni da parte di acquirenti che ne siano privi o non abbiano case idonee.

Da ultimo un avviso a tutte le coppie di coniugi che intendono separarsi all’indomani dell’acquisto della casa, nell’Amministrazione finanziaria si è fatta strada l’idea secondo la quale si decade dai benefici prima casa quando uno dei due è costretto dagli eventi a trasferire all’altro coniuge o a terzi la quota di proprietà dell’immobile acquistato con le agevolazioni.

In conclusione coloro che rischiano di perdere le agevolazioni prima casa, a prescindere dalla causa che l’ha determinata, vanno incontro ad un accertamento tributario da parte dell’Agenzia delle Entrate formato dalle seguenti voci:

- l’imposta (registro, ipotecaria e catastale, o IVA) nella misura ordinaria;

- la sanzione pecuniaria nella misura del 30% dell’imposta di cui sopra;

- gli interessi di mora in forza del comma 4 dell’art. 55 del Testo Unico Imposta di Registro.

Più precisamente il contribuente è chiamato a versare la differenza tra le imposte (registro, ipotecaria e catastale) dovute in misura ordinaria e quelle applicate in forza dell’aliquota più favorevole, e pertanto viene richiesto il 4% di imposta di registro e il 3% di imposte ipotecarie e catastali, detratto quanto già versato in misura fissa, oltre alla sanzione, quantificabile nel 30% della differenza appena ottenuta e agli interessi di mora; in relazione invece, alle cessioni soggette ad IVA, la differenza d’imposta è data dall’IVA calcolata in base all’aliquota priva di agevolazioni e quella calcolata usando l’aliquota più vantaggiosa, incrementata del 30%.