L’efficienza energetica nel settore dell’illuminazione pubblica: norme, contributi regionali e problematiche degli operatori
1. Introduzione: in breve cos’è l’efficienza energetica
Il termine “efficienza energetica” viene usato per indicare la capacità di ottenere un risparmio attraverso l’utilizzo di una quantità minore di energia a parità di rendimento e di comfort per l’utenza.
Da qualche anno, si parla spesso di efficienza energetica in vari ambiti, a cominciare dal settore immobiliare civile fino a quelli industriali e dei servizi, così come con riferimento al patrimonio pubblico (per quanto concerne sia il riscaldamento di edifici che gli impianti di pubblica illuminazione).
Nonostante ciò, fino ad ora la maggior parte degli sprechi energetici non è stata eliminata, non bastando evidentemente le norme nazionali e regionali introdotte già da qualche anno – sulla scorta di strategie e Direttive europee - né le agevolazioni offerte a livello locale (in particolare in Regione Lombardia).
In particolare, il recente finanziamento bandito dalla Regione Lombardia, come di seguito meglio descritto, dedicato alla pubblica illuminazione, sembra essere un importante strumento per le amministrazioni pubbliche affinché comprendano l’importanza e l’utilità – anche economica, non solo ambientale - di dotarsi di un patrimonio di beni che abbia nell’efficienza uno dei propri tratti distintivi.
2. Il quadro normativo
2.1 La normativa europea
A livello europeo, il tema dell’efficienza energetica è una priorità. Nell’ottobre del 2012 veniva pubblicata la quinta direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica, con la quale sono state modificate le precedenti direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abrogate le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE.
La direttiva ha l’obiettivo di definire un quadro comune di misure per la promozione dell’efficienza energetica nei paesi dell’Unione per ridurre il consumo energetico del 20% entro il 2020, oltre che gettare le basi per ulteriori miglioramenti dell’efficienza energetica che vadano oltre tale data (cfr. art. 1 direttiva 2012/27/UE).
Dalla lettura delle previsioni europee emerge che il sistema di norme si prefigge gli scopi di rimuovere gli ostacoli presenti sul mercato dell’energia e di superare le carenze del mercato che non rendono efficienti la fornitura e l’uso dell’energia, prevedendo altresì la fissazione di obiettivi nazionali per il 2020.
Tali obiettivi vanno intesi, stando a quanto si legge nell’articolato, quale risultato minimo da perseguire in tema di efficienza energetica, rispetto ai quali gli Stati membri non sono vincolati se non come minimo risultato, potendo mantenere o introdurre misure nazionali più ambiziose.
In tale contesto, il principale settore interessato dalle azioni è quello immobiliare, e al suo interno viene riconosciuto al patrimonio edilizio pubblico un ruolo esemplare per stimolare la trasformazione degli edifici verso modelli sempre più efficienti, così da indurre anche i cittadini e le imprese a modificare i propri comportamenti quando viene in gioco il consumo di energia e il risparmio energetico (cfr. art. 5 direttiva 2012/27/UE “Ruolo esemplare degli edifici degli enti pubblici”).
2.2. La normativa nazionale
La direttiva europea è stata recepita in Italia tramite il Decreto Legislativo n.102/2014 recante “Attuazione della direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE” che, appunto, introduce nell’ordinamento nazionale misure innovative finalizzate a promuovere l’efficienza energetica nella pubblica amministrazione, nelle imprese e nelle famiglie secondo gli obiettivi posti dall’Unione europea.
Ai sensi della normativa di recepimento, la pubblica amministrazione è obbligata, fino al 2020, a riqualificare ogni anno il 3% della superficie degli immobili della pubblica amministrazione centrale dello Stato (cfr. art. 5 D. Lgs. n.102/2014).
Inoltre, nel diverso settore delle forniture di prodotti e servizi della pubblica amministrazione, viene rafforzato il vincolo di acquisto di prodotti e servizi ad alta efficienza energetica (cfr. art. 6 D. Lgs. n.102/2014).
La norma nazionale ha anche istituito un fondo denominato “Fondo nazionale per l’efficienza energetica” per favorire gli interventi per la riqualificazione energetica degli edifici e degli impianti di illuminazione pubblica così come per la riduzione dei consumi di energia nei settori dell’industria e dei servizi (cfr. art. 15 D. Lgs. n.102/2014).
Pur se tale normativa fa riferimento alle amministrazioni centrali, va tuttavia evidenziato il collegamento con le Regioni rappresentato dalla previsione di cui all’articolo 3, comma 2, dove si legge infatti che “Le Regioni, in attuazione dei propri strumenti di programmazione energetica possono concorrere, con il coinvolgimento degli Enti Locali, al raggiungimento dell’obiettivo nazionale di cui al comma 1”.
Il ruolo centrale delle regioni e degli enti locali nelle politiche di efficienza energetica, seppur non regolato in via diretta, viene così riconosciuto dalla normativa nazionale per il raggiungimento degli obiettivi del paese di riduzione del consumo di energia primaria del 20% entro il 2020.
Degli interventi svolti dall’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 102/2014 ad oggi da parte delle pubbliche amministrazioni locali, la maggior parte sono stati dedicati agli impianti di pubblica illuminazione. Nei paragrafi che seguono vedremo infatti come, per esempio, in alcune Regioni come ad esempio la Lombardia, vi sono state leggi regionali ad hoc sul tema e come sono stati stanziati dei fondi per favorire gli interventi di efficientamento dell’illuminazione pubblica.
3.1 Le norme in materia di illuminazione pubblica
Il settore dell’illuminazione pubblica, interessato, come visto sopra, dalla disciplina in materia di efficienza energetica, è regolata in Italia da norme piuttosto vetuste che, innanzitutto, lo classificano come servizio pubblico di carattere locale, avente rilevanza economica. Innanzitutto, tale concetto è affermato dall’articolo 1 del R.D. n. 2578/1925 recante “Approvazione del testo unico della legge sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni e delle provincie”, ed anche confermato dalla giurisprudenza amministrativa più recente (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sent. 10 settembre 2010, n. 6529; Consiglio di Stato, sez. V, sent. 25 novembre 2010, n. 8231).
Come tale, il servizio di illuminazione pubblica deve essere affidato mediante procedure ad evidenza pubblica (secondo un processo di c.d. esternalizzazione), in conformità ai principi del diritto comunitario e del Codice dei Contratti Pubblici (oggi D.Lgs. 50/2016) attraverso l’appalto di lavori e/o servizi, la concessione di servizi con la componente lavori, il project financing ovvero il finanziamento tramite terzi (FTT).
Tradizionalmente, invece, tutto il sistema impiantistico comunale di illuminazione pubblica è stato detenuto e gestito da enti concessionari (come ad esempio Enel Sole S.p.A.) tramite affidamenti avvenuti spesso senza preventiva procedura ad evidenza pubblica diversi anni addietro, senza che mai i Comuni abbiano provveduto a garantirsi la proprietà degli impianti e delle relative infrastrutture, quali beni destinati all’espletamento del servizio.
Già nel 2012, tuttavia, l’Autorità Nazionale Anticorruzione aveva stabilito che “sono da escludere tutte le forme di proroga o di tacito rinnovo degli affidamenti in corso, se non per lo stretto tempo necessario all’espletamento di procedure ad evidenza pubblica” (cfr. Delibera ANAC n. 110 del 19 dicembre 2012). Conseguenza di tale affermazione è che i comuni avrebbero dovuto sin da allora procedere all’affidamento mediante selezione pubblica previa assunzione del titolo di proprietà degli impianti oggetto di concessione.
Tali considerazioni sono state ribadite nuovamente dall’Autorità Nazionale Anticorruzione con il recentissimo comunicato del Presidente del 14 settembre 2016 dove si legge che: “Pertanto, sono illegittimi sia gli affidamenti diretti in seno alle procedure di riscatto degli impianti di pubblica illuminazione, sia le proroghe tacite e/o i rinnovi degli affidamenti in corso” e che “in conclusione, per le gestioni in essere occorre che le Amministrazioni comunali procedano all’affidamento del servizio di pubblica illuminazione mediante procedure ad evidenza pubblica, previa determinazione del valore degli impianti e acquisizione del titolo di proprietà in capo alle rispettive Amministrazioni mediante riscatto degli impianti di pubblica illuminazione (disciplinata, ad oggi, dagli artt. 1, 24 e 25 del R.D. 2578/1925 e dagli artt. 8 e segg. del D.P.R. 902/1986); ciò anche al fine di scongiurare il mantenimento di posizioni di mercato anticoncorrenziali che potrebbero discendere dall’impiego, nel servizio di ammodernamento, di apparecchiature brevettate (i.e. “Archilede”) che possono successivamente incidere sulle gare di manutenzione degli stessi impianti”.
Alla luce di quanto sopra, le gestioni in essere dell’illuminazione pubblica - servizio pubblico locale avente natura economica - non possono in nessun caso essere prorogate o rinnovate tacitamente ma devono invece essere affidate necessariamente tramite procedura ad evidenza pubblica nel rispetto di quanto previsto dal Codice dei Contratti Pubblici, previa acquisizione del titolo della proprietà degli impianti da parte delle amministrazioni, mediante la procedura di riscatto.
3.2 La procedura di riscatto
Il riscatto degli impianti di illuminazione pubblica affidati in concessione è disciplinato dagli articoli 1, 24 e 25 del R.D. n. 2578/1925 e dagli articoli 8 e segg. del D.P.R. n. 902/1986, secondo la procedura che, sinteticamente, si riporta qui di seguito. Tale procedura consente ai Comuni di riacquisire la proprietà degli impianti destinati al servizio affidati a terzi mediante concessioni rivelatesi illegittime alla luce dei pronunciamenti richiamati nel precedente paragrafo 3.1., ovvero in scadenza, al fine di poter legittimamente bandire nuove gare per la selezione di nuovi operatori cui affidare la loro manutenzione ed esercizio.
Tipicamente queste nuove gare contengono una predominante parte dedicata all’efficientamento energetico di tali servizi richiesto dai Comuni proprietari in conformità alle priorità di settore e, non ultimo, per risparmiare sulla spesa pubblica. In particolare, la procedura, introdotta nel 1925, prende avvio da una deliberazione del Consiglio Comunale da notificarsi al concessionario, secondo una determinata tempistica. Quest’ultimo dovrà redigere il cd. “stato di consistenza dell’impianto” sulla base del quale si andrà a determinare il valore dell’indennità di riscatto da pagare da parte del Comune. La norma prevede anche una fase procedimentalizzata di negoziazione tra le parti (i.e. il Comune ed il concessionario) in merito al suddetto stato di consistenza e relativo valore dell’indennità al fine di trovare un accordo economico a tale riguardo. Ove non dovesse essere trovato un accordo, si dovrà fare ricorso ad un collegio arbitrale che notificherà alle parti la sua decisione finale.In ogni caso, anche in assenza di accordo, il Comune avrà sempre il potere di prendere possesso degli impianti (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sent. 28 settembre 2011, n. 5403; TAR Lombardia BS, sez. II, sent. 27 maggio 2010, n. 2165), mediante deliberazione di Giunta, in regime di autotutela, ordinando al gestore uscente il rilascio immediato degli impianti di illuminazione pubblica situati sul proprio territorio. Una volta entrato in possesso dell’impianto, il Comune dovrà provvedere all’avvio della gara per l’affidamento del servizio al nuovo gestore.
Con riferimento al regime di decadenza delle concessioni in essere, oltre ai pronunciamenti dell’Autorità Anticorruzione sopra richiamati, vale la pena ricordare anche che nel 2012, nell’ambito dell’emanazione delle misure urgenti per la crescita del Paese, con D.L. 179/2012 (convertito in L. 221/2012) è stato introdotto il seguente principio generale - applicabile dunque anche agli impianti di illuminazione – secondo cui: “Per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l’economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l’affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell’ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste” (cfr. art. 34, comma 20).
La norma richiamata prevedeva che tale relazione fosse applicabile anche agli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del decreto legge non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea.
Con le stesso provvedimento di legge è stato altresì introdotto un nuovo regime di decadenza.
Per tutti gli affidamenti che non sono stati effettuati in conformità ai principi comunitari e di rispetto dei criteri del Codice dei Contratti Pubblici, la normativa ha, infatti, introdotto un termine decadenziale di legge al 31 dicembre 2013, successivamente posticipato di 1 anno (i.e. 31 dicembre 2014).
Al contrario, la suddetta norma prevedeva che gli affidamenti diretti alla data del 31 dicembre 2014 a società a partecipazione pubblica, o controllate, già quotate in mercati regolamentati, decadranno alla scadenza prevista nel contratto mentre quelli che non prevedono una data di scadenza decadranno, improrogabilmente, il 31 dicembre 2020. Gli affidamenti diretti a società poste, successivamente al 31 dicembre 2004, sotto il controllo di società quotate decadranno, improrogabilmente, il 31 dicembre 2018 o alla scadenza prevista nel contratto, se anteriore.
3.3. Il quadro normativo della Regione Lombardia.
A livello regionale, in conformità alla citata direttiva 2012/27/UE e al Decreto Legislativo n. 102/2014, la Regione Lombardia ha perseguito l’obiettivo dell’efficienza energetica nel settore dell’illuminazione pubblica con la legge regionale del 5 ottobre 2015, n. 31. Il testo di legge in particolare persegue “l’efficientamento degli impianti di illuminazione esterna attraverso l’impiego di sorgenti luminose a ridotto consumo e a elevate prestazioni illuminotecniche, il risparmio energetico mediante il contenimento dell’illuminazione artificiale ai sensi dell’articolo 3 del d.lgs. 102/2014, la salvaguardia delle condizioni naturali nelle zone di particolare tutela dall’inquinamento luminoso e la riduzione dell’inquinamento luminoso sul territorio regionale, nell’interesse della tutela della salute umana dei cittadini, della biodiversità e degli equilibri ecologici” (cfr. art.1, comma 1).
La legge definisce altresì cosa debba essere inteso per impianto di illuminazione pubblica, all’art. 2 si trovano le definizioni stando alle quali l’impianto di illuminazione esterna è un “sistema complesso di elementi quali il quadro elettrico, le linee di alimentazione, i sostegni, gli apparecchi di illuminazione e le sorgenti luminose, con la funzione di fornire luce in ambito esterno, che presenta contiguità territoriale e che risulta costituito da uno o più apparecchi illuminanti o sorgenti luminose afferenti al medesimo quadro di alimentazione”. A sua volta distinto in:
“1) illuminazione pubblica: illuminazione di pubbliche vie e piazze, di luoghi pubblici in genere, comprese le aree di pertinenza, i cui costi energetici e manutentivi sono sostenuti direttamente o, tramite concessione, da enti locali, compresi gli impianti corredati da sistemi di rilevazione del fabbisogno d’illuminazione e conseguenti meccanismi di regolazione dell’intensità del flusso luminoso;
2) illuminazione privata: illuminazione di aree private quali giardini di proprietà, rampe di garage o di ambiti non ricadenti nella definizione di illuminazione pubblica;”
Per quanto attiene al riscatto degli impianti di illuminazione pubblica è prescritto che i Comuni “perseguono la proprietà pubblica degli esistenti impianti di pubblica illuminazione esterna di rispettiva competenza e, a tal fine, tenuto conto dei contratti in essere, quantificano le risorse economiche indicandone le modalità di reperimento, ovvero stabiliscono i criteri per conseguire la ricostituzione della integrale proprietà pubblica degli impianti stessi”.
È la stessa legge regionale, quindi, che invita i Comuni a riappropriarsi della proprietà degli impianti di illuminazione pubblica e a tal fine gli stessi dovranno pertanto attenersi alla procedura di riscatto descritta al precedente paragrafo 3.2.
4. Il bando di finanziamento per i Comuni della Regione Lombardia
Coerentemente a quanto previsto dalla legge regionale, la Regione Lombardia con D.d.u.o. 10 novembre 2016, n. 11432, pubblicato sul BURL Serie Ordinaria n. 46 di Mercoledì 16 novembre 2016, recante “POR FESR 2014-2020: Asse IV, IV.4.C.1.2 – Approvazione del bando destinato ad interventi per il miglioramento dell’efficienza energetica degli impianti di illuminazione pubblica e la diffusione di servizi tecnologici integrati” ha decretato l’approvazione e la pubblicazione del Bando concernente gli “Interventi per il miglioramento dell’efficienza energetica degli impianti di illuminazione pubblica e la diffusione di servizi tecnologici integrati”.
Il Bando porta con sé una dotazione finanziaria pari a € 20.000.000,00. I contributi erogabili a fondo perduto possono ammontare al massimo al 30% del costo totale ammissibile, mentre l’importo massimo del contributo, per ogni intervento ammesso, è stabilito in € 7.000.000,00. Il costo minimo dei progetti che possono accedere ai contributi è pari a € 500.000,00.
L’interesse della Regione Lombardia per favorire gli interventi di efficienza energetica sembra quindi evidente, nonostante ciò pare, a prima vista, che la dotazione stanziata non sia delle più adeguate a favorire in modo significativo il raggiungimento degli obiettivi prefissati, oltre a sussistere qualche dubbio sulle caratteristiche tecniche che devono possedere i progetti per ottenere l’erogazione dei contributi.
Si ha l’impressione che siano state richieste caratteristiche tecniche piuttosto ambiziose, senza che queste apportino alcuna utilità concreta per i comuni. La conseguenza di ciò potrebbe essere che i bandi che saranno pubblicati dagli enti locali a valle dell’ottenimento dei finanziamenti per la realizzazione delle opere potrebbero essere poco appetibili dal punto di vista economico, perdendo così la possibilità di rendere efficiente l’enorme patrimonio dell’illuminazione pubblica in Lombardia.
In ogni caso, per valutare il successo o meno del Bando bisognerà attendere la data di chiusura per la presentazione dei progetti fissata per il prossimo 28 aprile 2017 (salvo proroghe) e l’esito della fase di valutazione previsto nei 120 giorni successivi alla data di scadenza.
Entrando più nel dettaglio del predetto Bando, si nota che sono previsti alcuni servizi come obbligatori: “servizi obbligatori: Gli impianti di illuminazione oggetto delle proposte progettuali dovranno, obbligatoriamente, essere dotati di: sistemi di telecontrollo e telegestione; sistemi di telecomunicazione; servizio di videosorveglianza” mentre altri sono considerati facoltativi: “servizi facoltativi: Le proposte progettuali potranno prevedere l’introduzione di servizi tecnologici integrati facoltativi destinati ad attività istituzionali o ad esse riconducibili, di cui si fornisce un elenco non esaustivo: sistemi di messaggistica; terminali interattivi; ricarica per mezzi elettrici; misurazioni della qualità dell’aria e metereologiche; sistemi di rilevazione del traffico”.
I soggetti beneficiari individuati dal Bando sono esclusivamente i “Comuni lombardi anche in forma associata o aggregata formalmente costituita”, i quali potranno presentare domande che riguardino esclusivamente impianti di illuminazione pubblica di proprietà del Comune richiedente, ovvero acquisiti attraverso l’avvio della procedura di riscatto e la immissione in possesso, come visto sopra al paragrafo 3.2., prima della presentazione della domanda di finanziamento.
Per quanto attiene alle procedure di affidamento che dovranno essere espletate dal Comune per la realizzazione degli interventi a valle dell’ottenimento del finanziamento, il Bando specifica che le stesse dovranno essere avviate successivamente alla data di pubblicazione del Bando di concessione del contributo (i.e. 16 novembre 2016). La procedura di affidamento delle attività di realizzazione delle opere relative agli impianti di illuminazione pubblica, telecontrollo e telegestione è indicato che dovrà essere unica, non suddivisa in lotti, e dovrà prevedere un unico aggiudicatario (anche, eventualmente, in forma di associazione di imprese).
Il Bando prevede altresì la possibilità di affidamento della realizzazione degli interventi tramite contratto di Partenariato Pubblico Privato con la previsione della sottoscrizione di un Contratto di Rendimento Energetico o Prestazione Energetica (EPC) secondo la definizione di cui all’articolo 2, comma 2 lettera n) del Decreto Legislativo n.102/2014.
In tale ipotesi è previsto che “nell’ambito di una operazione di partenariato pubblico privato […], i richiedenti che risultino assegnatari di contributo possono chiedere, successivamente alla concessione del contributo, che il beneficiario (ovvero il soggetto a cui viene materialmente erogato il contributo) sia il partner privato che realizza l’intervento. […]”, purché il partner privato sia individuato con gara indetta successivamente al decreto di approvazione della graduatoria dei progetti finanziati.
Da ultimo è previsto che una volta completate le procedure di collaudo la proprietà delle opere e installazioni oggetto del finanziamento concesso dovrà essere acquisita dai comuni beneficiari.
5. Conseguenze del bando sulla gestione del servizio dell’illuminazione pubblica
Va innanzitutto segnalato che il bando di cui sopra è oggetto di un ricorso presentato da uno storico concessionario del servizio di illuminazione pubblica, Enel Sole S.r.l. (società del gruppo Enel dedicata all’illuminazione pubblica). Enel Sole basa il proprio ricorso sulla presunta illegittimità della condizione del bando che richiede come requisito di partecipazione la proprietà pubblica degli impianti ovvero l’acquisizione della disponibilità degli stessi attraverso l’avvio della procedura di riscatto e l’immissione in possesso prima della presentazione della domanda di partecipazione al bando.
Ad oggi Enel Sole è proprietaria e il gestore di numerosi impianti di illuminazione pubblica installati su tutto il territorio nazionale inclusa la Lombardia. Basti dire che i punti luce installati sono 2.150.000 e i comuni gestiti 3.750, con una quota di mercato a livello nazionale pari al 23%.
Con questo ricorso quindi si contesta il fatto che il legislatore voglia promuovere la proprietà pubblica degli impianti a scapito degli operatori privati che tradizionalmente ne hanno avuto la proprietà e il possesso, occupandosi in autonomia del loro sviluppo, manutenzione e in alcuni casi efficientamento. Viene quindi da domandarsi se il rispetto di una previsione di legge non possa ulteriormente rallentare azioni di efficientamento sulle reti di illuminazione delle nostre città, ma al tempo stesso ci si interroga anche sul perché tali azioni non siano già state svolte da tempo da quegli operatori che ne avevano pieno controllo e disponibilità, dovendosi attendere una normativa regionale per avviare il processo di ammodernamento ed efficientamento di impianti e reti spesso vetuste e mal funzionanti.
Il ricorso è al momento al vaglio del competente tribunale amministrativo, che dovrà valutare se tale condizione di accesso imposta dal bando sia o meno conforme alle generali previsioni di legge ovvero se crei un effetto discriminatorio come lamentato da Enel Sole. La relativa sentenza quindi si esprimerà non solamente sul contenuto del ricorso ma anche, più in generale, sulla posizione assunta dalla Regione Lombardia in questo ambito.
Inoltre, deve anche notarsi che la normativa sopra citata (ivi incluso il bando regionale), e, di conseguenza, questo articolo, non prendono in considerazione l’emergente problema del cd. Inquinamento luminoso che sembrerebbe essere provocato dalla sostituzione delle tradizionali lampadine con lampade a LED, più efficienti in termini di risparmio ma con un potere di luminescenza talmente elevato da poter creare disturbi alla popolazione.
Da tutto quanto esposto sopra emerge con chiarezza la complessità del settore dell’efficienza energetica nel suo insieme, anche con riferimento al settore dei beni pubblici sia quando si tratta di immobili sia quando si tratta di illuminazione pubblica.
Al di là del quadro normativo di cui sopra, il primo ostacolo alla realizzazione degli interventi di efficienza energetica pare essere proprio quello economico. Per realizzare gli interventi di efficientamento, su reti di illuminazione pubblica così come su edifici, cosi come per analizzare il loro stato e predisporre dei piani di intervento adeguati da mettere a gara per selezionare operatori qualificati servono risorse economiche, di cui le autorità pubbliche al momento non dispongono.
Ci si trova infatti in una situazione paradossale nella quale i soggetti pubblici, pur se interessati – in linea di principio - a realizzare gli interventi (si veda ad esempio il successo che ha avuto il bando “100 Comuni efficienti e sostenibili” della Fondazione Cariplo terminato lo scorso anno e dedicato ai comuni lombardi), non hanno le risorse da investire per rendere efficiente il proprio patrimonio. Eppure tali interventi rappresenterebbero uno dei pochi strumenti per ottenere successivamente ingenti risparmi economici: in altre parole, si continua a mantenere in vita un sistema che, insieme ad altri fattori, costituisce uno spreco di risorse economiche impedendo gli investimenti.
Utili alla diffusione delle iniziative di efficientamento energetico potrebbero sicuramente essere i bandi con i quali vengono proposti finanziamenti per i comuni. Tuttavia tali iniziative sono ancora limitate e sviluppate su scala locale, senza alcuna armonizzazione sul territorio nazionale.
La mancanza di risorse economiche, le caratteristiche tecniche degli interventi che sono complessi da realizzare e da gestire, unite a una poca chiarezza relativa agli eventuali finanziamenti finiscono per delineare un quadro estremamente incerto per il settore dell’efficienza energetica pubblica, tanto per le pubbliche amministrazioni quanto per gli operatori privati. Tale complessità tuttavia può finire per scoraggiare gli operatori e potrebbe, per così dire, essere bilanciata solo dalle enormi potenzialità che sicuramente il settore avrà modo di manifestare nel prossimo futuro.
Come si è avuto modo di accennare sopra, pur volendo tralasciare tutti gli altri vantaggi che l’efficienza energetica porta con sé, rendere efficienti gli edifici e l’illuminazione pubblica rappresenta un enorme patrimonio in chiave di riduzione della spesa che è, come noto, uno dei temi che maggiormente interessa le amministrazioni pubbliche italiane ormai da diversi anni.
Con l’aumento dell’efficienza energetica è possibile infatti ottenere risparmi della spesa energetica, sia a livello nazionale sia a livello locale. L’abbattimento degli sprechi, così come i comportamenti e le scelte improntate ad un minor consumo energetico, permetterebbero di conseguire consistenti risparmi immediatamente visibili sulla bolletta energetica nazionale. I risparmi economici così ottenuti potrebbero liberare risorse da reinvestire per generare nuovi stimoli per l’economia.
È singolare quindi che il governo centrale, così come gli enti locali, non paiano fino ad ora aver dedicato la giusta attenzione per incrementare drasticamente gli interventi di efficientemente energetico del proprio patrimonio, sia di quello immobiliare sia di quello dell’illuminazione pubblica.
Ancor più strano se si pensa che il tema della c.d. spending review, ovvero l’adozione di un metodo per consolidare le finanze pubbliche basato su un’accurata revisione della spesa pubblica, eliminando sprechi e selezionando le spese prioritarie, è sempre più all’ordine del giorno. Difatti, dopo essere stato adottato da tutti i paesi europei per ridurre il proprio deficit pubblico sin dalla crisi finanziaria del 2007, anche in Italia alla fine del 2011 ha iniziato a prendere piede l’idea che fosse necessario un simile processo.
Ebbene, parlare di efficienza energetica significa anche parlare di spending review, come abbiamo visto infatti l’efficienza energetica è anche risparmio economico.
Ed è per questo, pur volendo tralasciare tutti gli altri vantaggi possibili sopra richiamati, che i governi dovrebbero tenerne conto ponendo il tema dell’efficienza energetica ai primi posti delle agende. E si ha l’impressione che non appena le istituzioni comprenderanno che l’efficienza energetica degli edifici e dell’illuminazione pubblica rappresenta un enorme patrimonio in chiave di revisione della spesa si avrà un massiccio incremento delle iniziative pubbliche volte a realizzare tali interventi.
In altre parole, lasciare fuori dalla spending review la spesa energetica rappresenterebbe una scelta priva di senso e, soprattutto, dal momento che la spesa degli enti locali in tutti i settori è stata già tagliata significativamente, non sembra più una strada percorribile.