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L’importanza del bilancio pluriennale dell’Unione Europea e il funzionamento del Recovery Fund

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Il Recovery and Resilience Facility (il Recovery Fund) è, secondo la definizione assunta in seno all’Unione Europea, lo strumento studiato per la ripresa e la resilienza per sostenere le riforme e gli investimenti intrapresi dagli Stati membri e con l’obiettivo di mitigare l’impatto economico e sociale della pandemia di coronavirus e rendere le economie più sostenibili e le popolazioni europee resilienti e meglio preparate per le sfide e le opportunità delle transizioni verdi e digitali.

Perché il Fondo abbia la capienza necessaria e preventivata è previsto il finanziamento, nell’ambito della operazione più ampia e articolata denominata “NextGenerationEU”, tramite raccolta di liquidità prodotta dall’emissione delle relative obbligazioni, ossia dei Recovery Bond. Il rating creditizio necessario per tale finanziamento costituisce le fondamenta per il ricorso al prestito dai mercati finanziarie al fine dell’ottenimento delle risorse necessarie a tassi di interesse vantaggiosi destinate poi ai singoli Stati che ne faranno richiesta.

Le richieste dei singoli Stati membri finalizzate all’erogazione del Recovery Fund devono essere corroborate per ciascun richiedente da un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza secondo le linee guida che la Commissione europea ha declinato espressamente e qualora tale piano dovesse essere approvato, seguirà l’erogazione in tranches di volta in volta che sotto la supervisione della Commissione europea stessa solo qualora si verificasse la effettiva realizzazione degli investimenti da parte dei singoli Stati previsti nel medesimo Piano Nazionale predetto. Di conseguenza, sino al 2026 vi sarà la consistenza del Recovery Fund a suffragio dei Paesi richiedenti laddove dal 2027 i medesimi beneficiari dovranno poi provvedere al relativo rimborso dei fondi ottenuti.

La garanzia che deve essere prestata al fine della consolidazione del Fondo europeo è data dal bilancio stesso dell’Unione Europea assumendo dunque la consistenza di un debito comune. Difatti, il bilancio a lungo termine dell’Unione Europea è strettamente connesso all’iniziativa del NextGeneratioEU: esso, negli intenti del Parlamento europeo, potenzierà i meccanismi di flessibilità volti a garantire la possibilità di far fronte alle esigenze impreviste.

Orbene, è anche importante tenere a mente che il bilancio a lungo termine dell’Unione Europea (solitamente copre tra i cinque e i sette anni) comporta una complessa attività di negoziazione ed elaborazione. Il procedimento formale di elaborazione ha come fulcro iniziale la presentazione, da parte della Commissione europea, del c.d. pacchetto relativo al Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) all’interno del quale confluisce sia il Regolamento sul quadro finanziario pluriennale (ossia la definizione delle capacità di spesa dell’Unione europea) sia la decisione sulle risorse proprie, a definizione della provenienza delle entrate della Unione europea.

La predisposizione del pacchetto QFP è di competenza del Consiglio Affari Generali, il quale in forza di esso deve poi preparare lo schema di negoziato ossia la indicazione degli elementi che richiedono la definizione degli orientamenti politici e delle gerarchie di priorità da parte dei vari leader dell’Unione europea. Il fine primario è dunque di consentire la definizione del progetto di conclusioni sul QFP che il Presidente del Consiglio europeo dovrà presentare.

Alla luce di quanto sopra, dunque, è di particolare argomento la discussione sugli orientamenti politici relativi agli aspetti principali del bilancio a lungo termine tra i vari leader europei, in quanto sulla base dell’esito di essa il Consiglio può definire la posizione definitiva. Il Regolamento sul QFP deve essere adottato all’unanimità dal Consiglio Europeo e poi dovrà essere presentato dal Presidente del Consiglio europeo al Parlamento europeo, il quale potrà o approvare o respingere (ma non emendare) quanto espresso dal Consiglio europeo. L’altra componente è la decisione sulle risorse proprie, che deve vedere un unanime accordo del Consiglio europeo, un parere del Parlamento europeo e, viepiù, la ratifica da parte di ogni Stato membro conformemente alle rispettive norme costituzionali. Entro poi i limiti del QFP rientreranno i bilanci annuali dell’Unione europea: gli impegni e i pagamenti in sostanza vanno iscritti al bilancio al di sotto dei rispettivi massimali del QFP.

Come noto il 27 maggio 2020 la Commissione ha proposto tale strumento quale fulcro nell’ambito della NextGenerationEU, uno strumento di Recovery temporaneo che consente alla Commissione di raccogliere fondi per aiutare a riparare i danni economici e sociali immediati causati dalla pandemia di coronavirus. Lo strumento è inoltre strettamente allineato con le priorità della Commissione garantendo a lungo termine una ripresa sostenibile e inclusiva che promuova le transizioni verdi e digitali. Il 21 luglio 2020 il Consiglio europeo ha raggiunto un accordo politico sul NextGeneratioEU compreso il Recovery Fund, e il bilancio a lungo termine dell’Unione europea per il periodo 2021-2027.

Ad ora, stante il veto di Paesi quali l’Ungheria e la Polonia, che non accettano la subordinazione alla erogazione dei Fondi del Recovery di cui al bilancio pluriennale al rispetto dello stato di diritto, il rischio è che l’intero plafond “salti”. Invero, il prossimo 18 dicembre è previsto il Consiglio europeo in cui si dovrà assolutamente risolvere il problema, dovendo pervenire l’approvazione all’unanimità, ed entro l’anno si dovrà pervenire all’approvazione del bilancio con la consolidazione di esso quale garanzia necessaria all’emissione delle relative obbligazioni e la conseguente liquidità necessaria a copertura del NextGenerationEU. Comprensibili i timori che lo stallo della procedura di approvazione del bilancio produrrebbe sulle economie dei singoli Stati e non solo.  Perché in caso di mancata approvazione al bilancio pluriennale per mancata approvazione del QFP scatterebbe quel “regime dei dodicesimi provvisori: le spese mensili effettuate per capitolo di bilancio non potranno superare un dodicesimo degli stanziamenti autorizzati dal bilancio dell’esercizio precedente o nel progetto di bilancio proposto dalla Commissione, con la conseguenza che non sarà finanziata alcuna nuova spesa.

Di contro, l’intento da perseguire sarebbe invece di offrire un sostegno finanziario su vasta scala per investimenti e riforme, e dunque lo strumento preparerà meglio gli Stati membri a una ripresa sostenibile. Intanto, nell’auspicio che lo stallo attuale venga superato, è assolutamente importante che il meccanismo del Recovery comunque continui a lavorare come se fosse operativo.

Gli Stati membri devono preparare i propri Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza che definiscano un pacchetto coerente di riforme e progetti di investimento pubblico. Per beneficiare del sostegno del Recovery Fund, queste riforme e questi progetti di investimento debbono essere attuati entro il 2026. I piani dovrebbero affrontare efficacemente le sfide individuate nel semestre europeo, in particolare le raccomandazioni specifiche Paese per Paese adottate dal Consiglio e devono includere anche misure per affrontare le sfide e raccogliere i benefici delle transizioni verdi e digitali.

Ciascun piano nazionale dovrebbe contribuire alle quattro dimensioni delineate nella Strategia annuale per la crescita sostenibile 2021, che ha avvitato il ciclo del semestre europeo di quest’anno. Dunque: 1) sostenibilità ambientale; 2) produttività; 3) equità; 4) stabilità macroeconomica.

Il Recovery Fund dunque è un’opportunità per creare “aree di riferimento” europee per investimenti e riforme con vantaggi tangibili per l’economia e i cittadini di tutta l’Unione Europea. Queste aree dovrebbero affrontare le questioni che richiedono investimenti significativi per creare occupazione e crescita e che sono necessarie per le transizioni verdi e digitali.

La Commissione europea incoraggia vivamente gli Stati membri a presentare piani di investimento e di riforma nei seguenti settori: i) tecnologie pulite e rinnovabili e il loro incremento; ii) efficienza energetica degli edifici e il loro rinnovamento; iii) trasporto sostenibile e stazioni di rifornimento e ricarica; iv) connettività e implementazione dei servizi rapidi della banda larga; v) modernizzazione della digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni; vi) implementazione delle potenze dei data cloud e di processori ecosostenibili; vii) riqualificare e implementare l’educazione alle capacità digitali.

Dunque le priorità verdi e digitali sono alla base dell’alimentazione e della successiva erogazione del Recovery Fund, laddove esso offre un’opportunità senza precedenti per accelerare la ripresa europea e rafforzare l’impegno alla transizione verso esse.

La Commissione valuterà i Piani Nazionali di Resilienza e Rinascita rispetto ai seguenti obiettivi:

  1. Ogni Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dovrà includere un minimo del 37% della spesa in relazione a progetti attinenti al clima. Anche i progressi verso altri obiettivi ambientali sono importanti, in linea con il Green Deal europeo;
  2. Ogni Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dovrà includere un minimo del 20% della spesa per favorire la transizione digitale.  La Commissione sta sviluppando una metodologia per garantire che gli investimenti siano incanalati sia verso le infrastrutture sia sulle capacità digitali.

Importante è anche la Timeline indicata dalla Commissione. Invero, il semestre europeo e il Recovery Fund sono intrinsecamente collegati. La pubblicazione della Strategia annuale per la crescita sostenibile 2021 ha lanciato il semestre europeo di quest’anno. Continua così la crescita dello scorso anno basata sul Green Deal europeo e sul concetto di sostenibilità competitiva.

La Commissione valuterà i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza rispetto alle raccomandazioni specifiche per Paese, indi per cui, stante la sovrapposizione temporanea tra il semestre europeo e il Recovery gli Stati membri sono incoraggiati a presentare i loro programmi in un unico documento integrato che dovrà fornire una panoramica delle riforme e degli investimenti che lo Stato membro prevede di intraprendere nei prossimi anni, in linea con gli obiettivi del Recovery.

Il 16 agosto 2020 è stata istituita una Task Force per il Recupero e per la Resilienza (Recover) presso il Segretariato generale della Commissione europea: essa è responsabile della gestione del Recovery Fund e del coordinamento del semestre europeo, in stretta collaborazione con la direzione generale degli Affari economici e finanziari della Commissione. La Task Force riferisce direttamente al Presidente della Commissione Europea.

Oltre al dover dunque includere quanto meno i due obiettivi necessari (che copriranno il 57% delle spese preventivabili) vi sono poi le raccomandazioni specifiche che sono state poste a maggio 2020 all’Italia la quale dovrà:

1) attuare, in linea con la clausola di salvaguardia generale, tutte le misure necessarie per affrontare efficacemente la pandemia e sostenere l’economia e la successiva ripresa. Quando le condizioni economiche lo consentano, perseguire politiche di bilancio volte a conseguire posizioni di bilancio a medio termine prudenti e ad assicurare la sostenibilità del debito, incrementando nel contempo gli investimenti. Rafforzare la resilienza e la capacità del sistema sanitario per quanto riguarda gli operatori sanitari, i prodotti medici essenziali e le infrastrutture; migliorare il coordinamento tra autorità nazionali e regionali.

2) Fornire redditi sostitutivi e un accesso al sistema di protezione sociale adeguati, in particolare per i lavoratori atipici; attenuare l’impatto della crisi sull’occupazione, anche mediante modalità di lavoro flessibili e sostegno attivo all’occupazione. Rafforzare l’apprendimento a distanza e il miglioramento delle competenze, comprese quelle digitali;

3) Garantire l’effettiva attuazione delle misure volte a fornire liquidità all’economia reale, in particolare alle piccole e medie imprese, alle imprese innovative e ai lavoratori autonomi, ed evitare ritardi nei pagamenti; anticipare i progetti di investimento pubblici maturi e promuovere gli investimenti privati per favorire la ripresa economica. Concentrare gli investimenti sulla transizione verde e digitale, in particolare su una produzione e un uso puliti ed efficienti dell’energia, su ricerca e innovazione, sul trasporto pubblico sostenibile, sulla gestione dei rifiuti e delle risorse idriche e su un’infrastruttura digitale rafforzata per garantire la fornitura di servizi essenziali;

4) Migliorare l’efficienza del sistema giudiziario. Migliorare il funzionamento della pubblica amministrazione.

Tali raccomandazioni devono peraltro accorparsi alle ulteriori raccomandazioni del 2019 ancora inattuate. Il che rende ancor più complessa l’attività di predisposizione dei Piani Nazionali. Ed infatti, già era stato richiesto all’Italia di:

1) Assicurare una riduzione in termini nominali della spesa pubblica primaria netta dello 0,1% nel 2020, corrispondente ad un aggiustamento strutturale dello 0,6% del PIL. Utilizzare le entrate straordinarie per accelerare la riduzione del rapporto debito pubblico/PIL. Spostare la pressione fiscale dal lavoro, in particolare riducendo le agevolazioni fiscali e riformando i valori catastali non aggiornati. Contrastare l’evasione fiscale, in particolare nella forma dell’omessa fatturazione, potenziando i pagamenti elettronici obbligatori anche mediante un abbassamento dei limiti legali per i pagamenti in contanti. Attuare pienamente le passate riforme pensionistiche al fine di ridurre il peso delle pensioni di vecchiaia nella spesa pubblica e creare margini per altra spesa sociale e spesa pubblica;

2) Intensificare gli sforzi per contrastare il lavoro sommerso. Garantire che le politiche attive del mercato del lavoro e le politiche sociali siano efficacemente integrate e coinvolgano soprattutto i giovani e i gruppi vulnerabili. Sostenere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro attraverso una strategia globale, in particolare garantendo l’accesso a servizi di assistenza all’infanzia e a lungo termine di qualità. Migliorare i risultati scolastici, anche mediante adeguati investimenti mirati, e promuovere il miglioramento delle competenze, in particolare rafforzando le competenze digitali;

3) Affrontare le restrizioni alla concorrenza, in particolare nel settore del commercio al dettaglio e dei servizi alle imprese, anche mediante una nuova legge annuale sulla concorrenza. Porre l’accento sulla politica economica connessa agli investimenti in materia di ricerca e innovazione e sulla qualità delle infrastrutture, tenendo conto delle disparità regionali. Migliorare l’efficacia della pubblica amministrazione, in particolare investendo nelle competenze dei dipendenti pubblici, accelerando la digitalizzazione e aumentando l’efficienza e la qualità dei servizi pubblici locali;

4) Ridurre la durata dei processi civili in tutti i gradi di giudizio razionalizzando e facendo rispettare le norme di disciplina procedurale, incluse quelle già all’esame del legislatore, con particolare riguardo al regime di insolvenza. Migliorare l’efficacia della lotta contro la corruzione riformando le norme procedurali al fine di ridurre la durata dei processi penali;

5) Favorire la ristrutturazione dei bilanci delle banche, in particolare per le banche di piccole e medie dimensioni, migliorando l’efficienza e la qualità degli attivi, continuando la riduzione dei crediti deteriorati e diversificando la provvista; migliorare il finanziamento non bancario per le piccole imprese innovative.

Raccomandazioni, quelle sopra riportate, tutte ben a mente ed enunciate nelle “Linee Guida per la definizione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” presentate alle Camere 15 settembre 2020 in cui si legge che il Piano di Rilancio del Governo è costruito intorno a tre linee strategiche: Modernizzazione del Paese; Transizione ecologica; Inclusione sociale e territoriale, parità di genere.

Nelle Linee Guida si annuncia la futura previsione di un’articolazione del redigendo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza secondo una sequenza logica siffatta:

- sfide che il Paese intende affrontare;

- missioni del programma a loro volta da suddividere in insiemi di progetti omogenei atti a realizzare le missioni, “e, di conseguenza, vincere le sfide stesse”;

- i singoli progetti di investimenti che saranno nei predetti insiemi;

- le iniziative di riforma che saranno collegate a uno o più degli insiemi di progetti.

Orbene, le c.d. “sfide” vengono poi sintetizzate con: “migliorare la resilienza e la capacità di ripresa dell’Italia; ridurre l’impatto sociale ed economico della crisi pandemica; sostenere la transizione verde e digitale; innalzare il potenziale di crescita dell’economia e la creazione di occupazione”. In sostanza le sfide sono il mero adempimento alle raccomandazioni ricevute tra il 2019 e il 2020 dalla Commissione europea.

Le c.d. “missioni”, ossia l’estrinsecazione dei piani per vincere le sfide, altro non sono che: “1. Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo; 2. Rivoluzione verde e transizione ecologica; 3. Infrastrutture per la mobilità; 4. Istruzione, formazione, ricerca e cultura; 5. Equità sociale, di genere e territoriale; 6. Salute”: ancora in sostanza le missioni corrispondono all’adempimento delle Raccomandazioni ricevute tra il 2019 e il 2020 e di cui peraltro alle verifiche cui si dovrà soggiacere al fine dell’accesso al Recovery Fund in linea con gli obiettivi di esso.

In buona sostanza per 22 pagine delle Linee Guida altro non si rinviene se non un riassunto di quanto già il Governo e i due rami del Parlamento ben dovrebbero sapere e di quanto la Commissione ha rassegnato.

Degno di interesse l’inciso in cui si segnalano le criticità rispetto alle quali si dovrà ben prestare massimo scrupolo e precisione nella predisposizione dei progetti, in quanto nel caso subirebbero una valutazione negativa.

Importante difatti aver a mente che subiranno una siffatta negativa valutazione i progetti: i) che siano finanziabili integralmente tramite altri fondi EU e il Quadro Finanziario Pluriennale dell’EU 2021-2027; ii) che siano relativi ad infrastrutture che non abbiano un livello di preparazione progettuale sufficiente, dati i tempi medi di attuazione e la dimensione del progetto; iii) che siano progetti “storici” che abbiano problemi conosciuti di attuazione e di difficile soluzione nel medio termine, pur avendo già avuto disponibilità di fondi; iv) che siano progetti o misure che non abbiano impatti duraturi sul PIL o sull’occupazione; v) che non presentino stime attendibili sull’impatto economico stesso (tasso di ritorno economico, impatto occupazionale duraturo, numero di beneficiari); vi) che siano progetti per i quali non è individuato il modo di monitorarne la realizzazione; vii) che siano progetti che non rispettino i criteri di sostenibilità.

Orbene, come noto a metà ottobre l’Italia non ha trasmesso le bozze del proprio Piano Nazionale. Candida ammissione a tale ritardo si è motivato col fatto che i lavori siano “in corso” e che “presentiamo già a febbraio il piano nazionale italiano, siamo poco in ritardo rispetto ai tempi iniziali ma c’è un’interlocuzione settimanale con la commissione europea. Abbiamo messo a punto un meccanismo e una struttura normativa e operativa. C’è da creare struttura operativa ad hoc con un profilo manageriale che garantisca il monitoraggio dei progetti e la verifica della loro attuazione. Sarà una struttura condivisa presso Palazzo Chigi ma con il coordinamento di altri ministeri. Inoltre, condivideremo i piani con tutto il Paese, lo faremo in Parlamento, ora ci sarà un aggiornamento sui progetti” (intervista del Presidente del Consiglio del 23.11.2020). Ricorda molto il politichese di Carlo Verdone quando immortalò con una satira deliziosa ed intelligente la figura del politico di professione sempre teso al miglioramento e al rinnovamento.

Successivamente, con il c.d. Decreto Ristori quater approvato il 29.11. dal Consiglio dei Ministri sono state previste ulteriori misure per contrastare gli effetti della pandemia. Misure finanziate in forza dell’ulteriore scostamento di bilancio di 8 miliardi approvato il precedente 26.11. in Parlamento. Esso rappresenta il quinto scostamento di bilancio di quest’anno che condurrà ad un aumento del debito dello Stato all’incirca a 197miliardi di euro, senza considerare che il Governo ha già previsto un nuovo scostamento di bilancio per ulteriori 20 miliardi agli inizi del 2021 (dichiarazioni del Ministro Patuanelli a skytg24 del 19.11.2020). Nel 2020 il debito pubblico italiano dunque arriverà quanto meno al 162% del PIL (laddove al 2019 rappresentava il 135%) e fino a settembre 2020 è stato indicato in 2.582,6 miliardi di euro (nel 2019 era 2.400 miliardi di euro).

Ma come è chiaro, ma pare non voler essere argomento da ricordar troppo, le sostanze del Recovery Fund non andranno certo, e non possono, essere utilizzate per coprire il debito: esse serviranno per finanziare il Piano Nazionale di Rinascita e Resilienza, se approvato, ma prima ancora se presentato, attraverso i progetti da predisporre analiticamente e che fungeranno, essi, da volano per incrementare la ripresa mediante il raggiungimento auspicato degli obiettivi delineati dalle Linee Guida e cui l’erogazione delle finanze è connessa.

Quindi da un lato con gli scostamenti di bilancio si è aumentato il debito cui non si potrà fornir ristoro certo con appostazione e/o immissione delle somme percepite dal Recovery Fund. Ed invero ciò è tanto evidente che pure le stesse Linee Guida affermano “va considerato che i prestiti erogati all’Italia dalla Commissione Europea, se non compensati da riduzioni di altre spese o aumenti delle entrate, contribuiranno ad accrescere il deficit della pubblica amministrazione e l’accumulazione di debito pubblico. Al Piano Nazionale di Rinascita e Resilienza dovrà pertanto affiancarsi una programmazione di bilancio volta a riequilibrare la finanza pubblica nel medio termine dopo la forte espansione del deficit prevista per quest’anno in conseguenza della pandemia e degli ingenti interventi di sostegno all’economia che sono stati realizzati” con i decreti legge. Dunque, se da un lato il fine del Recovery Fund è di fungere da volano per l’economia, di certo nel futuro di per sé sarà necessario ridurre le spese (salvo il governo non abbia le mani legate: alibi troppe volte nella nostra storia utilizzato per rappresentare più le necessità di compromessi delle coalizioni politiche a mantenere la maggioranza di governo) o aumentare le entrate. Argomento che difatti guarda caso è sempre più ipotizzato fintanto da essere oggetto di valutazione.

Non ci resta che sperare e forse financo aver fiducia,auspicando di non aver a che fare con il citato “politico” d’annata “sempre teso che giustificava l’incapacità del governo di cui faceva parte per il fatto di aver avuto sempre le mani legate per colpa di qualcun altro, e sciorinava una sequela di frasi fatte, trite e ritrite, del politichese di professione ma incapace nei fatti, rassicurando che sì  “il nostro Paese sta attraversando un periodo di grave crisi […] Ma alla sfiducia deve subentrare la fiducia! Una fiducia nelle istituzioni, una fiducia nello Stato, una fiducia verso la risoluzione delle vertenze. E questa fiducia il Governo la otterrà anche a costo di chiedere la non sfiducia anche a chi prima era nella totale sfiducia e in questo il Governo è molto fiducioso e pieno di speranza. Una speranza sempre tesa alla consapevolezza, una speranza sempre tesa alla certezza, una speranza sempre tesa all’ottimismo. E non c’è ottimismo se non si è sempre tesi al chiarimento, sempre tesi alla verifica, sempre tesi alle scelte operative. Questo noi chiediamo con estrema chiarezza e direi anche con estrema fiducia […] spronandovi all’ottimismo. Un ottimismo basato nella fiducia e nella consapevolezza delle scelte operative. Sempre operative sempre tese al miglioramento, sempre tese al rinnovamento, sempre tese al progresso civile e culturale”.