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Rifiuti: in vigore le prime norme di attuazione del “pacchetto” di direttive UE sull’economia circolare

Prospettive
Ph. Linda Traversi / Prospettive

Chi auspicava una riforma radicale e “ragionata” della disciplina sui rifiuti è certamente rimasto deluso, ma chi si aspettava soltanto i pochi “ritocchi” necessari per dare attuazione alla direttiva (UE) 2018/851 è probabilmente rimasto stupito.

Questa, in estrema sintesi, l’impressione che suscita, a una prima lettura, la nuova normativa sulla gestione dei rifiuti che è entrata in vigore da alcuni giorni.

Mi riferisco, in particolare, al decreto legislativo 3 settembre 2020, n. 116, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 226 dell’11 settembre 2020 (ed entrato in vigore il 26 settembre 2020), con cui sono state recepite la direttiva (UE) 2018/851 e la direttiva (UE) 2018/852, le quali a propria volta avevano modificato la direttiva-quadro relativa ai rifiuti (n. 2008/98/CE) e la direttiva 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio.

Da segnalare comunque che l’attuazione, nel nostro ordinamento, delle direttive UE appartenenti al cosiddetto “pacchetto” sull’economia circolare:

  • include anche il decreto legislativo 3 settembre 2020, n. 118, attuativo della direttiva (UE) 2018/849 (relativa a pile e accumulatori, rifiuti di pile e accumulatori e rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) e il decreto legislativo 3 settembre 2020, n. 119, attuativo della direttiva (UE) 2018/849 (relativa ai veicoli fuori uso), che sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n. 227 del 12 settembre 2020 e sono pertanto entrati entrambi in vigore il 27 settembre 2020;
  • è completata dal decreto legislativo 3 settembre 2020, n. 121, attuativo della direttiva (UE) 2018/850 (relativa alle discariche di rifiuti), che invece è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 228 del 14 settembre 2020 ed è entrato quindi in vigore il 29 settembre 2020.

Qui mi occuperò soltanto del decreto legislativo 116/2020, attraverso il quale il legislatore ha messo nuovamente mano, a quasi dieci anni esatti dall’ultima revisione sistematica della normativa in questione (ad opera del decreto legislativo 205/2010, con cui era stata recepita la citata direttiva 2008/98/CE), alla disciplina sui rifiuti contenuta nel cosiddetto “Codice dell’ambiente”.

Ora come allora, l’impulso proviene dall’Unione Europea, con una differenza che però balza subito all’occhio: mentre la riforma del 2010 (su cui si veda l'articolo "da oggi in vigore le nuove norme sulla gestione dei rifiuti") aveva riscritto quasi integralmente la Parte Quarta del decreto legislativo 152/2006, modificando in modo significativo alcune norme-cardine sulla gestione dei rifiuti, l’intervento del legislatore del 2020, per un verso, appare più “chirurgico”, e, per altro verso, risulta influenzato solo in parte dalla necessità di trasporre nel nostro ordinamento la nuova disciplina di matrice unionale. Le novità che, nell’immediato, potrebbero avere ricadute più significative sulla attività di molti operatori economici, non sembrano infatti essere quelle specificamente finalizzate a favorire la “transizione” verso l’economia circolare. In altre parole, il legislatore italiano pare aver colto l’occasione del necessario recepimento del “pacchetto” di direttive del 2018 sull’economia circolare per intervenire – in modo peraltro frammentario e apparentemente senza una logica unitaria – su numerose disposizioni riguardanti i più diversi aspetti della complessa e controversa disciplina “generale” in materia di rifiuti.

Con quali effetti sul piano pratico è ovviamente presto per dirlo, ma certamente si possono già formulare alcune brevi note critiche sulla normativa qui in commento. Non senza aver prima osservato come la tecnica legislativa utilizzata nella stesura del decreto legislativo 116/2020 (che potremmo definire “mista”) metta a dura prova anche il lettore più volenteroso (e di certo non agevoli l’interprete!): si passa, infatti, dalla sostituzione e/o dall’inserimento di interi articoli – anche laddove, si noti, come è nel caso del nuovo articolo 185-bis sul deposito temporaneo, la nuova disciplina in realtà non modifica in modo significativo quella previgente – a “micro-interventi” puntuali su singoli periodi di alcuni articoli che, per il resto, non vengono in alcun modo toccati dalla riforma in esame.

Ma tant’è. Ciò che è certo, comunque, è che, per comprendere appieno la concreta portata delle nuove norme, occorrerà compiere un approfondito raffronto tra queste ultime e la disciplina previgente, il cui impianto di base è stato sostanzialmente confermato e i cui pregi e difetti, peraltro, sono ormai più che noti, derivando da almeno dieci – e talvolta quattordici – anni di applicazione (tanti sono quelli che ormai ci separano, rispettivamente, dal citato decreto legislativo 205/2010 e dal decreto legislativo 152/2006, primo vero tentativo – sotto molti profili, purtroppo, fallito –, di organizzare e racchiudere in un unico testo le principali normative ambientali).

Vediamo, dunque, le principali novità introdotte dalla nuova disciplina (ove non diversamente specificato, nell’elenco che segue la numerazione degli articoli si riferisce agli articoli del decreto legislativo 152/2006, così come risultanti dalle integrazioni, sostituzioni, modifiche e aggiunte apportate dal decreto legislativo 116/2020):

  • è stata rivista e ampliata la disciplina sulla responsabilità estesa del produttore (o Extended producer responsibility, EPR”, relativa agli obblighi e alle responsabilità finanziarie e organizzative del produttore di un bene nella fase del ciclo di vita in cui quest’ultimo diventa un rifiuto), mediante la riscrittura dell’articolo 178-bis e l’inserimento di un nuovo articolo 178-ter.

Di conseguenza, è stato stabilito che i soggetti sottoposti a regimi di responsabilità estesa del produttore istituiti prima dell’entrata in vigore del decreto in esame dovranno conformarsi alle nuove disposizioni in materia di EPR entro il 5 gennaio 2023;

  • sono stati modificati, e in larga misura riscritti, gli articoli 179, 180 e 181 in materia di gerarchia nella gestione dei rifiuti, prevenzione nella produzione di rifiuti, preparazione per il riutilizzo, riciclaggio e recupero di rifiuti. Qualche perplessità suscita, in particolare, l’inserimento, nell’articolo 179, della specificazione secondo cui, con riferimento «a flussi di rifiuti specifici», sarà consentito discostarsi, in via eccezionale, dalla nota “gerarchia” che vige riguardo ai criteri di priorità nella gestione dei rifiuti (quella, per intenderci, che mette al primo posto la prevenzione e all’ultimo lo smaltimento, passando, rispettivamente, dalla preparazione per il riutilizzo, dal riciclaggio e dal recupero) soltanto «qualora ciò sia previsto nella pianificazione nazionale e regionale e consentito dall’autorità» che rilascia l’autorizzazione integrata ambientale (AIA) o una delle autorizzazioni “ordinarie” in materia di trattamento di rifiuti di cui agli articoli 208 e seguenti;
  • è stata inserita ex novo nell’articolo 183 la definizione di “rifiuti urbani” ed è stata integralmente modificata la relativa classificazione e disciplina. In modo, per così dire, “speculare”, è stato rivisto completamente l’elenco dei rifiuti speciali contenuto nel comma 3 del successivo articolo 184. Si tratta, probabilmente, della più rilevante novità introdotta dal decreto legislativo 116/2020 – a ben vedere, solo in parte derivante dalla necessità di recepire la corrispondente definizione contenuta nella direttiva (UE) 2018/851 –, che avrà notevoli ricadute sulla attività di numerosi operatori economici, i quali si vedranno costretti per la prima volta a classificare e a gestire i propri rifiuti come rifiuti urbani. La novità consiste nell’avvenuto inserimento, nel novero dei rifiuti urbani, accanto a quelli che potrei definire “classici” (mi riferisco ai rifiuti domestici, a quelli provenienti dallo spazzamento delle strade o giacenti sulle strade ed aree pubbliche o private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge, a quelli della manutenzione del verde pubblico e a quelli provenienti da aree e attività cimiteriali), della nuova categoria dei «rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti [cioè, non domestici] che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell’allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell’allegato L-quinquies» (articolo 183, comma 1, lett. b-ter, punto 2). Scompare, così, dopo decenni di applicazione (sia pure con alterne fortune e notevoli incertezze interpretative e applicative), il meccanismo della “assimilazione” di taluni rifiuti speciali ai rifiuti urbani e, di conseguenza, vengono soppresse le competenze che erano attribuite in materia, rispettivamente, ai Comuni dall’articolo 198, comma 2, lett. g) e allo Stato (che peraltro non le ha mai esercitate, neppure dopo essere stato diffidato, nel 2017, dal TAR Lazio…) dall’articolo 195, comma 2, lett. e) (disposizioni che sono state appunto abrogate dal decreto legislativo 116/2020). Ora si prevede – con un meccanismo del tutto nuovo – che siano classificati ex lege come rifiuti urbani quelli «simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell’allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell’allegato L-quinquies». Corredano, appunto, questa definizione i nuovi allegati L-quater e L-quinquies; quest’ultimo, si noti, contempla numerose attività commerciali, professionali e artigianali, le quali saranno pertanto tenute ad adeguarsi a breve alla nuova disciplina. La nuova disciplina prevede però che siano espressamente esclusi dalla categoria dei rifiuti urbani «i rifiuti della produzione, dell'agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso o i rifiuti da costruzione e demolizione».

La novità è a dir poco epocale, e, a ben vedere, non è nemmeno imputabile alla legge delega, la quale si era infatti limitata a richiedere che il sistema delle definizioni e delle classificazioni fosse riformato in attuazione delle direttive europee e che la disciplina dell’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani fosse semplicemente “modificata” «in modo tale da garantire uniformità sul piano nazionale» (articolo 16, comma 1, lett. c, legge 117/2019).

Il legislatore, evidentemente conscio delle significative (e, forse, non adeguatamente considerate) ricadute di questa innovazione anche sui sistemi di raccolta dei rifiuti urbani, ha stabilito che, a differenza di tutte le altre disposizioni della nuova disciplina in esame (in vigore, come detto, dal 26 settembre 2020), quelle di cui agli articoli 183, comma 1, lettera b-ter) e 184, comma 2 e agli allegati L-quater e L-quinquies, si applicheranno solo a partire dal 1° gennaio 2021, ciò al dichiarato fine di «consentire ai soggetti affidatari del servizio di gestione dei rifiuti il graduale adeguamento operativo delle attività alla definizione di rifiuto urbano». È peraltro lecito nutrire qualche perplessità sulla effettiva “gradualità” di un adeguamento che dovrà essere avviato e portato a termine nell’arco di poche settimane (cioè, appunto, da fine settembre a fine dicembre 2020); non mi stupirei, pertanto, se il suddetto termine del 1° gennaio 2021 venisse prorogato all’ultimo momento con il “decreto milleproroghe” che, come ormai d’abitudine, verrà verosimilmente varato a fine anno.

Collegata alla nuova classificazione dei rifiuti è la nuova disposizione inserita nell’articolo 238 secondo cui le utenze non domestiche che producono rifiuti urbani e «che li conferiscono al di fuori del servizio pubblico e dimostrano di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi sono escluse dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti» (la formulazione di questa disposizione non brilla certo per precisione: occorrerà chiarire, nel contesto di un quadro normativo – quello sulle tasse e tariffe i materia di rifiuti – stratificatosi nel corso di alcuni decenni e assai disorganico, cosa debba intendersi per “componente tariffaria”); poco condivisibile appare la successiva previsione secondo cui «le medesime utenze effettuano la scelta di servirsi del gestore del servizio pubblico o del ricorso al mercato per un periodo non inferiore a cinque anni, salva la possibilità per il gestore del servizio pubblico, dietro richiesta dell'utenza non domestica, di riprendere l’erogazione del servizio anche prima della scadenza quinquennale»;

  • sempre con riferimento alla classificazione dei rifiuti, è stata inserita nell’articolo 184 la previsione secondo cui «la corretta attribuzione dei Codici dei rifiuti e delle caratteristiche di pericolo dei rifiuti» dovrà essere effettuata dal produttore «sulla base delle Linee guida redatte, entro il 31 dicembre 2020, dal Sistema nazionale per la protezione e la ricerca ambientale ed approvate con decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano». Si noti, peraltro, che il Sistema nazionale per la protezione e la ricerca ambientale (SNPA) aveva già approvato, con Delibera n. 61 del 27 novembre 2019, delle proprie Linee guida sulla classificazione dei rifiuti; ora dovrà quindi rimettervi mano (non è dato comprendere sulla base di quali “nuovi” presupposti di tipo tecnico, a distanza di così poco tempo dalle precedenti Linee guida) entro fine anno e – questa è un’importante novità – il documento dovrà essere formalmente approvato con un apposito decreto ministeriale.

Questa nuova previsione desta notevoli perplessità, e, in particolare, pone l’interrogativo circa la effettiva vincolatività, per il produttore dei rifiuti, delle suddette Linee guida; mi limito a osservare, in proposito, che il Governo è venuto meno a una precisa indicazione della legge delega, che aveva sottolineato la necessità di «garantire chiarezza sul regime giuridico degli atti attuativi, evitando in particolare che sia prevista l’emanazione di atti dei quali non sia certa la vincolatività del contenuto o sia comunque incerta la misura della vincolatività» (articolo 16, comma 1, lett. m, n. 4, legge 117/2019);

  • sono state inserite ex novo nell’articolo 183 le definizioni di “rifiuti alimentari”, “recupero di materia” e “riempimento”, le quali sono state riprese in modo pressoché pedissequo dalle corrispondenti definizioni dettate dalla direttiva (UE) 2018/851. Fra queste, soprattutto la definizione di “riempimento” potrà avere importanti ricadute pratiche, dal momento che, sia pure con una formulazione che suscita qualche dubbio interpretativo e meriterà più di una riflessione da parte degli operatori del settore, riconduce senza particolari condizioni (se non una preliminare valutazione di “idoneità” ai sensi di una «normativa UNI» che non viene però menzionata) nel novero delle operazioni di recupero l’utilizzo di rifiuti non pericolosi «a fini di ripristino in aree escavate o per scopi ingegneristici nei rimodellamenti morfologici»;
  • è stata trasferita in un articolo ad hoc – il nuovo articolo 185-bis  la disciplina del deposito temporaneo (che viene ora ribattezzato – si potrebbe dire, a scanso di equivoci… – «deposito temporaneo prima della raccolta»), senza peraltro apportarvi modifiche di rilievo, salvo la specificazione – se vogliamo, pleonastica – secondo la quale questa operazione, se effettuata nel rispetto delle relative condizioni di legge (fra cui meritano di essere ricordati, in particolare, i criteri – alternativi fra loro – temporale e quantitativo, che il produttore può scegliere per decidere quando avviare i propri rifiuti a recupero o a smaltimento) «non necessita di autorizzazione da parte dell’autorità competente»;
  • sono state introdotte alcune modifiche obiettivamente marginali agli articoli 184-bis e 184-ter, concernenti, rispettivamente, i sottoprodotti e la cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste), due disposizioni che – siccome si sta parlando della disciplina il cui scopo dichiarato è quello di favorire la transizione verso l’economia circolare – avrebbero forse meritato maggiore attenzione da parte del legislatore.

Rispetto alla prima, il decreto legislativo 116/2020 si è limitato a riprodurre il testo della direttiva, aggiungendo, dunque, relativamente ai criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti (criteri la cui adozione è peraltro demandata a uno o più decreti ministeriali), che essi dovranno garantire «un elevato livello di protezione  dell’ambiente e della salute umana favorendo, altresì, l’utilizzazione attenta e razionale delle risorse naturale dando priorità alle pratiche replicabili di simbiosi industriale».

Quanto all’articolo 184-ter, va ricordato che esso era stato significativamente modificato e integrato pochi mesi fa (con il decreto-legge 101/2019, convertito con la legge 128/2019), di fatto recependo anticipatamente il nuovo articolo 6 della direttiva 2008/98/CE. Tuttavia, questa poteva essere l’occasione per rivedere la cervellotica disciplina entrata in vigore – appunto – nell’autunno 2019, che, come è noto, ha introdotto un riesame “a campione” su tutte le autorizzazioni degli impianti destinati a produrre end of waste “caso per caso”, da compiersi dopo che le stesse sono già state rilasciate; un meccanismo, quest’ultimo, che appariva criticabile già di per sé, ma che ora, considerata l’attuale congiuntura economica, produce effetti nefasti su un intero comparto. La disciplina in questione, infatti, sottoponendo i titolari degli impianti a una sorta di “roulette russa” che può comportare, nelle migliori delle ipotesi, una richiesta di “adeguamento” ex post di quegli impianti che abbiano da poco ottenuto l’agognata autorizzazione (spesso dopo un iter protrattosi per molti mesi, se non per anni), e, in quelle peggiori, addirittura la revoca dell’autorizzazione stessa, rappresenta evidentemente un pesante deterrente per chi voglia investire in un tipo di attività che è invece cruciale per consentire una concreta ed effettiva transizione verso un sistema di economia circolare, proposito che altrimenti si traduce in un vuoto slogan. Così, però, non è stato. Anzi, il decreto legislativo 116/2020 ha espunto dal comma 1 dell’articolo 184-ter il riferimento, che in precedenza figurava nel novero delle operazioni che consentono a un rifiuto di cessare di essere tale, alla «preparazione per il riutilizzo»; una scelta a dir poco infelice e solo apparentemente giustificata dalla necessità di recepire il nuovo articolo 6 della direttiva 2008/98/CE, i cui effetti meriteranno un’attenta riflessione da parte delle autorità competenti e degli operatori del settore, che dovrà tener conto, in ogni caso, della nuova formulazione delle operazioni di riciclaggio/recupero contenuta nell’allegato C.

L’altra novità apportata dalla nuova disciplina consiste nella duplice precisazione che la persona fisica o giuridica che utilizza, per la prima volta, un materiale che ha cessato di essere considerato rifiuto e che non è stato immesso sul mercato o che immette un materiale sul mercato per la prima volta dopo che cessa di essere considerato rifiuto debba provvedere «affinché il materiale soddisfi i pertinenti requisiti ai sensi della normativa applicabile in materia di sostanze chimiche e prodotti collegati» (il richiamo è ai regolamenti “CLP” e “REACH”) e che le condizioni dell’end of waste debbano essere soddisfatte «prima che la normativa sulle sostanze chimiche e sui prodotti si applichi al materiale che ha cessato di essere considerato un rifiuto»;

  • sono stati espunti dall’elenco dei materiali esclusi dal campo di applicazione della Parte Quarta del decreto legislativo 152/2006 di cui all’articolo 185 «gli sfalci e le potature derivanti dalla manutenzione del verde pubblico dei comuni»;
  • è stata rivisitata la norma-cardine sulla responsabilità nella gestione dei rifiuti, vale a dire l’articolo 188 (la cui integrale sostituzione, cui ha opportunamente proceduto il decreto legislativo 116/2020, ha oltretutto consentito di porre fine una volta per tutte alle incertezze, che non è possibile ripercorrere in questa sede, in ordine al testo effettivamente “in vigore” – o comunque applicabile – dopo il decreto legislativo 205/2010, incertezze connesse alle reiterate proroghe dell’effettivo avvio del SISTRI). Le principali novità introdotte al riguardo risultano essere, da un lato, la (poco perspicua) precisazione secondo cui la consegna dei rifiuti, ai fini del trattamento, dal produttore iniziale o dal detentore ad uno dei soggetti espressamente elencati dalla norma «non costituisce esclusione automatica della responsabilità rispetto alle operazioni di effettivo recupero o smaltimento», che appare per un verso scontata e, per altro verso, foriera di una possibile (e pericolosa) estensione a dismisura delle responsabilità gravanti sul produttore del rifiuto; dall’altro lato, l’introduzione di un nuovo adempimento a carico di coloro i quali conferiranno i rifiuti a soggetti autorizzati alle operazioni di raggruppamento, ricondizionamento e deposito preliminare di cui ai punti D13, D14, D15, che, per andare esenti da responsabilità, dovranno premurarsi di ricevere, oltre al formulario di identificazione (FIR), anche una “attestazione di avvenuto smaltimento” sottoscritta dal titolare dell’impianto da cui risultino, almeno, i dati dell’impianto e del titolare, la quantità dei rifiuti trattati e la tipologia di operazione di smaltimento effettuata. Quest’ultimo adempimento si applicherà fino alla data di entrata in vigore di un apposito decreto ministeriale in materia di tracciabilità dei rifiuti (previsto, come si dirà, dal nuovo testo dell’articolo 188-bis), che – appunto – dovrà definire anche «le modalità per la verifica ed invio della comunicazione dell’avvenuto smaltimento dei rifiuti, nonché le responsabilità da attribuire all’intermediario dei rifiuti» (l’esperienza insegna, peraltro, che la consueta “tecnica del rinvio” a decreti attuativi, a cui ci ha purtroppo abituato il legislatore, si risolve spesso in attese lunghissime, quando non addirittura vane, di disposizioni a volte indispensabili per rendere effettiva una certa disciplina; vedremo se sarà questa la sorte anche di questo decreto). Resta il fatto che, considerati i noti strumenti di tracciabilità dei rifiuti, non si comprendono le ragioni di una siffatta penalizzazione, sul piano almeno degli oneri burocratici, di alcune soltanto delle possibili destinazioni di un rifiuto (ossia, le citate operazioni D13, D14, D15), che vengono ora gravate di questo nuovo adempimento; ciò, si noti, in contrasto anche con la legge delega, che aveva indicato fra i vari criteri direttivi quello di «perseguire  l’obiettivo   della   riduzione   degli   oneri amministrativi  a  carico  delle  imprese  in  una   prospettiva   di semplificazione e di proporzionalità» (articolo 16, comma 1, lett. b, n. 4, legge 117/2019);
  • con il nuovo testo dell’articolo 188-bis è stato “confermato” il Registro elettronico nazionale per la tracciabilità dei rifiuti istituito dal decreto-legge 135/2018 (convertito, con modificazioni, dalla legge 12/2019), che sarà gestito con il supporto tecnico operativo dell’Albo nazionale dei gestori ambientali, ed è stata altresì ribadita – con una scelta, se vogliamo, anacronistica – la perdurante applicazione dei tradizionali strumenti di tracciabilità “cartacea” dei rifiuti, vale a dire il registro di carico e scarico e il FIR di cui agli articoli 190 e 193, demandando – come già ricordato – a uno o più decreti (dovrà trattarsi, più precisamente, di Regolamenti) soltanto l’individuazione delle modalità di compilazione e tenuta dei predetti documenti allo scopo precipuo di «consentire la lettura integrata dei dati». Della “tecnica del rinvio” (a futuri decreti attuativi) ho detto poco sopra, per cui mi limito a osservare che appare, in qualche modo, “rassicurante” la precisazione, inserita nell’ultimo comma dell’articolo 188-bis, secondo cui, fino all’entrata in vigore dei predetti decreti, continueranno ad applicarsi il DM 145/1998 e il DM 148/1998 (con cui furono adottati – addirittura in attuazione del cosiddetto “decreto Ronchi” del 1997, già superato da almeno tre riforme della normativa sui rifiuti! – i modelli di registro di carico e scarico e di formulario di identificazione del rifiuto), la cui “longevità” non può dunque che sorprendere…;
  • sono state riformulate, apportandovi alcune modifiche di dettaglio che avranno tuttavia immediate ricadute di natura pratica per gli operatori, le disposizioni riguardanti, rispettivamente il catasto dei rifiuti (articolo 189), il registro di carico e scarico (articolo 190) e il FIR (articolo 193). Meritano di essere segnalate, in particolare, alcune importanti novità inserite nell’articolo 193: la trasmissione della quarta copia del formulario potrà essere sostituita dall’invio mediante posta elettronica certificata (ma è stato mantenuto l’obbligo per il trasportatore di conservare o di inviare, successivamente, al produttore, il documento originale); i tempi di conservazione obbligatoria delle copie del formulario sono stati ridotti da cinque a tre anni; si chiariscono – o almeno si tenta di farlo, con precisazioni che possono apparire per certi versi pleonastiche – le responsabilità dei singoli operatori della “filiera”, stabilendo che «nella compilazione del formulario di identificazione, ogni operatore è responsabile delle informazioni inserite e sottoscritte nella parte di propria competenza» e che «il trasportatore non è responsabile per quanto indicato nel formulario di identificazione dal produttore o dal detentore dei rifiuti e per le eventuali difformità tra la descrizione dei rifiuti e la loro effettiva natura e consistenza, fatta eccezione per le difformità riscontrabili in base alla comune diligenza»; si interviene sui tempi e sulle modalità di effettuazione della “micro-raccolta” e delle soste tecniche dei veicoli per le operazioni di trasbordo; si introducono alcune importanti precisazioni e semplificazioni relativamente alla movimentazione dei rifiuti provenienti da assistenza sanitaria domiciliare, dei rifiuti derivanti da attività di manutenzione e da piccoli interventi edili, nonché del materiale tolto d’opera (al fine di consentire le opportune valutazioni tecniche e di funzionalità dei materiali riutilizzabili) nell’ambito delle attività di manutenzione delle infrastrutture di cui all’articolo 230. Da segnalare, a quest’ultimo proposito, che la nuova disciplina inserita nell’articolo 193 ora sostituisce in toto anche quella che era contenuta nel comma 4 dell’articolo 266 (relativamente ai rifiuti provenienti da attività di manutenzione o di assistenza sanitaria), disposizione che infatti è stata abrogata dal decreto legislativo 116/2020;
  • è stata dettata, nel nuovo articolo 193-bis, una disciplina ad hoc dedicata al trasporto intermodale;
  • è stato istituito, attraverso il nuovo articolo 198-bis, un apposito «Programma nazionale per la gestione dei rifiuti», la cui predisposizione è affidata al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il supporto dell’ISPRA, e la cui approvazione, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, è demandata a un apposito decreto ministeriale. In termini generali, il predetto Programma avrà il compito di fissare i macro-obiettivi, nonché di definire i criteri e le linee strategiche cui le Regioni e le Province autonome si dovranno attenere nella elaborazione dei Piani regionali di gestione dei rifiuti;
  • sono state previste, nel nuovo articolo 214-ter, delle specifiche modalità e condizioni per l’esercizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo in forma semplificata, prevedendo che esse siano avviate mediante segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA) ai sensi dell’articolo 19, legge 241/1990. L’avvio del predetto regime autorizzatorio, tuttavia, è rinviato – ci risiamo… – all’entrata in vigore di un apposito decreto ministeriale, da adottarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del decreto legislativo 116/2020, che dovrà definire «le modalità operative, le dotazioni tecniche e strutturali, i requisiti minimi di qualificazione degli operatori necessari per l’esercizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo, le quantità massime impiegabili, la provenienza, i tipi e le caratteristiche dei rifiuti, nonché le condizioni specifiche di utilizzo degli stessi in base alle quali prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono sottoposti a operazioni di preparazione per il riutilizzo». Questa disposizione va presumibilmente letta in combinato disposto con quella che – come già segnalato – ha espunto l’esplicito riferimento alla «preparazione per il riutilizzo» dall’articolo 184-ter;
  • sono state apportate importanti modifiche alle norme sanzionatorie previste dall’articolo 258 con riferimento alla violazione degli obblighi in materia di comunicazione, registri e formulari, allo scopo di rivedere l’intero regime secondo criteri di proporzionalità e adeguatezza, come era stato peraltro espressamente richiesto dalla legge delega. Giova segnalare, in particolare, che, molto opportunamente, è stata stabilita in modo espresso una piena equiparazione, ai fini della commisurazione della sanzione amministrativa pecuniaria, delle ipotesi di concorso formale (omogeneo o eterogeneo), concorso materiale e continuazione. E così, si applicherà la sanzione amministrativa prevista per la violazione più grave, aumentata sino al doppio, sia nel caso di violazione di diverse disposizioni con un’azione od omissione, sia nel caso di più violazioni della stessa disposizione, sia, ancora, nel caso di più violazioni della stessa o di diverse disposizioni con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno, commesse anche in tempi diversi.

Vengono così finalmente superate, in questo ambito specifico, le limitazioni derivanti – sul piano interpretativo e applicativo – dalla disciplina generale di cui all’articolo 8, legge 689/1981; è prevedibile che il principale effetto sarà quello di emancipare dal giogo dell’applicazione del cosiddetto “cumulo materiale” – che può talvolta portare all’irrogazione di sanzioni esorbitanti, obiettivamente sproporzionate e, in buona sostanza, inique – le sanzioni amministrative concernenti le violazioni in materia di FIR.

Non solo, è stato previsto – anche qui, in modo del tutto condivisibile – che, «in caso di dati incompleti o inesatti rilevanti ai fini della tracciabilità di tipo seriale, si applica una sola sanzione aumentata fino al triplo», e che le sanzioni previste dall’articolo 258 «conseguenti alla trasmissione o all’annotazione di dati incompleti o inesatti» si applichino «solo nell’ipotesi in cui i dati siano rilevanti ai fini della tracciabilità, con esclusione degli errori materiali e violazioni formali»;

  • quanto, infine, agli allegati della Parte Quarta del decreto legislativo 152/2006, il decreto legislativo 116/2020 è intervenuto apportando puntuali modifiche agli allegati C (sulle operazioni di recupero) ed E (sugli obiettivi di recupero e di riciclaggio), sostituendo integralmente gli allegati D (con riguardo sia all’Elenco dei rifiuti, sia alla parte introduttiva dedicata alla classificazione dei rifiuti) e F (sui criteri concernenti la composizione e la riutilizzabilità e la recuperabilità degli imballaggi), e inserendo ex novo l’allegato L-ter (che contiene degli esempi di strumenti economici e altre misure per incentivare l’applicazione della gerarchia dei rifiuti di cui all’articolo 179) e i già citati allegati L-quater e L-quinquies (i quali, rispettivamente, contengono l’elenco dei “nuovi” rifiuti urbani di cui all’articolo 183, comma 1, lett. b-ter, punto 2) e l’elenco delle attività che li producono. Nessuna modifica è stata invece apportata all’allegato L-bis).

Quanto all’allegato I (sulle caratteristiche di pericolo per i rifiuti), il decreto legislativo 116/2020 si è limitato a stabilire che esso è sostituito dall’Allegato III della direttiva 2008/98/CE, così come modificato dal Regolamento (UE) n. 1357/2014 e dal Regolamento (UE) 2017/997.

Alle novità riguardanti la disciplina “generale” in materia di gestione dei rifiuti si aggiungono quelle che lo stesso decreto legislativo 116/2020 ha apportato – come anticipato, al fine di dare attuazione alla direttiva (UE) 2018/852 – alla disciplina in materia di imballaggi e i rifiuti di imballaggio, attraverso la modifica di numerose disposizioni del Titolo II della Parte Quarta del decreto legislativo 152/2006.