Il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti tra massima deterrenza normativa, disciplina speciale delle intercettazioni e prassi applicativa

Il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti tra massima deterrenza normativa, disciplina speciale delle intercettazioni e prassi applicativa
Premessa
Il legislatore è recentemente intervenuto indirettamente sul delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, con l’art. 1 d.l. 10 agosto 2023 n. 105, estendendo ad esso la disciplina eccezionale, prevista dall’art. 13 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, derogatoria rispetto a quella ordinaria in materia di intercettazioni. La novità normativa si inserisce in una più ampia regolazione, sul piano sostanziale, processuale ed esecutivo, vocata a realizzare un’efficace azione di contrasto ai delitti connotati da una particolare gravità, che esprimono un’offensività omogenea a quelli che rientrano nella fenomenologia tipica della criminalità organizzata.
L’esperienza pratica, tuttavia, dimostra che il delitto in esame viene contestato frequentemente ad imprenditori che operano nel settore del trattamento o trasporto di rifiuti e che non hanno alcuna contiguità con la criminalità associativa o organizzata.
L’ampliamento delle contestazioni di tale delitto a realtà imprenditoriali estranee a circuiti criminali è stato certamente favorito dall’interpretazione giurisprudenziale, che lo ha ritenuto sussistente oltre che nelle ipotesi di attività completamente abusive, cioè realizzate in totale assenza di un titolo autorizzativo, anche nei casi in cui l’autorizzazione, pur presente, non è stata puntualmente rispettata[1].
Questa applicazione estensiva ha condotto una parte della dottrina ad un’attenta riflessione sulla proporzionalità tra la disciplina prevista dal legislatore, ispirata alla massima deterrenza, e i casi concreti in cui essa viene applicata, anche in considerazione della conseguenza estrema che ne può derivare: l’espunzione, a seguito di sequestri e confische, di una realtà imprenditoriale dal circuito economico.
Una prima risposta idonea a compensare questo strumento di contrasto sembra provenire dalla giurisprudenza più recente, che seleziona con maggiore rigore le difformità autorizzative idonee ad integrare l’abusività della condotta che caratterizza tale delitto. Non sembra invece mutare la tendenza repressiva del legislatore, il quale, lungi dal considerare l’eterogeneità dei casi astrattamente riconducibili all’art. 452 quaterdecies c.p., continua a considerarlo come un “delitto-spia” della criminalità organizzata.
Il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti: la novità introdotta dal d.l. 105/2023
L’ultimo intervento normativo, in ordine cronologico, coerente con l’impostazione del legislatore, ispirata alla massima deterrenza, è rappresentato dal d.l. 10 agosto 2023 n. 105, che ha esteso la regolazione delle intercettazioni prevista dall’art. 13 d.l. 13 maggio 1991 n. 152 al delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. Tale disciplina, parzialmente derogatoria rispetto a quella ordinaria prevista dagli articoli 266 e 267 c.p.p., consente che le intercettazioni siano disposte in presenza di indizi “sufficienti” anziché “gravi”. Inoltre, incide sulla durata delle intercettazioni, consentita per un periodo massimo di quaranta giorni prorogabili per periodi successivi di venti giorni, mentre la disciplina ordinaria prevede una durata inferiore, di quindici giorni, prorogabili per periodi successivi della medesima durata. Da ultimo, la disciplina in esame consente l’intercettazione di comunicazioni tra presenti nei luoghi di privato domicilio anche quando non vi sia fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa.
La relazione illustrativa del testo normativo afferma espressamente che la disposizione persegue lo scopo di “garantire un’efficace azione di contrasto a gravi forme di criminalità e rendere più organico il sistema processuale, anche in ragione dei numerosi precedenti in corso in cui si registrano indirizzi non univoci”. L’introduzione della novella è stata infatti preceduta da un comunicato stampa del Governo, che ha esplicitato la necessità di adottare una norma di interpretazione autentica al fine di chiarire cosa debba intendersi per “criminalità organizzata” ed evitare “l’applicabilità in senso generalizzato dell’interpretazione di recente avanzata dalla Corte di Cassazione”.
Il riferimento, nella prospettiva governativa, era rivolto all’indirizzo altalenante registrato sulla nozione di criminalità organizzata ed espresso dapprima dalla sentenza delle Sezioni Unite “Scurato” e successivamente rivisitato dalla sentenza “Di Lorenzo”.
La sentenza “Scurato”[2] aveva ricondotto alla nozione di criminalità organizzata sia le forme associative, con esclusione del mero concorso di persone nel reato[3], sia tutti i delitti elencati negli articoli 51 comma 3 bis e comma 3 quater c.p.p., ivi incluso, quindi, il delitto di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. nella forma di manifestazione monosoggettiva.
Le conclusioni delle Sezioni Unite Scurato sono state oggetto di rimeditazione da parte della successiva sentenza Di Lorenzo[4], secondo la quale i delitti contenuti nell’art. 51 comma 3 bis e quater c.p.p. sono espressione di criminalità organizzata soltanto se commessi nella forma associativa e non in quelle monosoggettiva o concorsuale[5]. L’intervento del legislatore del 2023, pertanto, correggendo l’orientamento restrittivo della sentenza “Di Lorenzo”, ha esteso per tabulas l’applicazione della disciplina derogatoria in materia di intercettazioni alle fattispecie monosoggettive, in omaggio ad un efficace contrasto alla criminalità organizzata.
L’intervento normativo è stato in parte criticato dalla dottrina[6], perché ha sottratto al fisiologico dibattito interpretativo, che sarebbe potuto culminare in un ulteriore meditato intervento delle Sezioni Unite, una questione di grande rilievo: se la fattispecie monosoggettiva di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti rappresenti un fenomeno criminale idoneo ad alimentare e supportare lo sviluppo di organizzazioni delinquenziali, giustificandone così l’assimilazione ad un reato di criminalità organizzata.
All’indomani dell’entrata in vigore del d.l. 105/2023, convertito senza modificazioni con legge 107/2023, la Corte di cassazione[7] si è pronunciata sulla natura interpretativa e non novativa del disposto normativo, ma non ha affrontato, per ragioni connesse ai motivi di ricorso, il nodo critico dell’effettiva capacità del delitto in esame di rappresentare una forma delinquenziale sempre inevitabilmente associata al rafforzamento di consorterie criminali.
In sintesi, la novità normativa ha confermato la correttezza dell’applicazione della disciplina eccezionale in materia di intercettazioni al delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. Tuttavia, l’intervento legislativo, dettato dalla volontà di assicurare un contrasto efficace alla criminalità organizzata, non ha minimamente tenuto conto della prassi applicativa, che vede contestare il delitto in esame in realtà imprenditoriali che operano in modo illecito per ragioni di massimizzazione del profitto e non per irrobustire strutture criminali[8].
Il legislatore del 2023, disattendendo le osservazioni già formulate da una parte della dottrina in merito alla disciplina riservata al delitto in esame, ha confermato l’approccio di massima deterrenza sperimentato a partire dal c.d. “Decreto Ronchi” e improntato all’utilizzo di numerosi strumenti di contrasto processuali ed extraprocessuali, che si riepilogano nel paragrafo seguente.
Il principio di massima deterrenza sotteso alla regolazione del delitto in esame
Il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti è stato introdotto per la prima volta con l’innesto dell’art. 53 bis nel d.lgs. n. 22/1997 (decreto Ronchi) ad opera dell’art. 22 legge 23 marzo 2001 n. 93. La fattispecie è stata successivamente riprodotta nell’art. 260 d.lgs. 152/2006 e, infine, trasposta nell’art. 452 quaterdecies c.p. per effetto del d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, in applicazione del principio della riserva di codice nella materia penale.
Per esigenze di coordinamento, è stato altresì modificato l’art. 51 comma 3 bis c.p.p., che regola la competenza funzionale della procura distrettuale per i reati in esso elencati, individuando una deroga assoluta ed esclusiva agli ordinari criteri di determinazione della competenza per territorio, con prevalenza dell’attribuzione al giudice del capoluogo distrettuale su qualunque altra regola di individuazione della competenza.
Tale disciplina risponde all’esigenza di accentrare l’attività investigativa per i reati di rilevante allarme sociale e non agevole accertamento presso un ufficio specializzato del Pubblico Ministero, posto in condizione di meglio riconoscere e investigare, per collocazione territoriale, la realtà criminale organizzata del comprensorio. Questa disciplina, tuttavia, non regola esclusivamente il profilo della competenza distrettuale ma determina una serie di ulteriori e significative conseguenze, per effetto del richiamo dell’art. 51 comma 3 bis c.p.p. contenuto in numerose altre disposizioni di natura sia penale, sostanziale e processuale, sia extrapenale.
Ed infatti:
- l’art. 157 comma 6 c.p. prevede il raddoppio dei termini prescrizionali per i reati, tra gli altri, di cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p.;
- l’art. 160 comma 3 c.p. e 161 comma 2 c.p. escludono l’applicazione di un tetto massimo alla prescrizione del reato per effetto di fatti interruttivi della prescrizione, ai reati di cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p.;
- l’art. 275 comma 3 c.p.p. prevede una presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere per i reati di cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p.;
- l’art. 267 c.p.p. ammette l’utilizzo del captatore informatico per le intercettazioni che riguardino, tra gli altri, i reati di cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p.;
- l’art. 240 bis c.p. prevede l’applicazione della confisca allargata nei casi di condanna per i delitti di cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p.: questa particolare tipologia di confisca trova applicazione qualora il condannato non sia in grado di giustificare la provenienza dei beni di cui risulta avere la disponibilità a qualsiasi titolo per un valore sproporzionato al proprio reddito[9];
- l’art. 84 comma 4 d.lgs. 159/2011 prevede che l’applicazione di misure cautelari o una condanna confermata in appello per i delitti di cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p. costituisca automaticamente un indizio relativo al rischio di infiltrazione mafiosa ai fini dell’informazione antimafia interdittiva;
- l’art. 84 comma 2 d.lgs. 159/2011 prevede il rilascio di una comunicazione antimafia interdittiva qualora sia riportata una condanna confermata in appello per i delitti indicati nell’art. 51 comma 3 bis c.p.p.
- l’art. 67 comma 8 d.lgs. 159/2011 prevede l’esclusione o la revoca di autorizzazioni e licenze già disposte, con il conseguente decadimento dall’iscrizione nelle c.d. white list dei fornitori, previste dall’art. 1 comma 52 legge 6.11.2012 n. 190, nei confronti di chi abbia riportato una condanna, ancorché non definitiva e confermata in appello, per uno dei delitti di cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p.
Tutti gli effetti sopra elencati sono coerenti con l’obiettivo di contrastare in modo efficace i delitti che siano espressione di forme di criminalità organizzata di stampo mafioso. A conferma di ciò, si osserva che l’inserimento nell’art. 51 comma 3 bis c.p.p. del delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti è avvenuto con legge 13 agosto 2010 n. 136 recante un “Piano straordinario contro le mafie, nonché una delega al Governo in materia di normativa antimafia”. Il legislatore del 2010, dunque, individuava nel delitto regolato dall’art. 260 d.lgs. 152/2006, una tipica espressione della criminalità mafiosa[10].
L’ampliamento applicativo nei Tribunali e la sproporzione degli strumenti di contrasto normativi
Tuttavia, come sopra evidenziato, la prassi giudiziaria ha evidenziato che il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti si è progressivamente svincolato dall’originaria matrice “ecomafiosa” andando a colpire realtà imprenditoriali estranee alla criminalità organizzata e regolarmente autorizzate, che abbiano tuttavia agito in difformità dal titolo autorizzativo[11].
Dall’esame delle sentenze della suprema Corte che si sono occupate di contestazioni di traffico illecito di rifiuti, emerge che il percorso interpretativo ha favorito un ampliamento della casistica cui tale fattispecie ha trovato applicazione, per effetto dell’interpretazione estensiva del concetto di abusività della gestione.
Infatti, originariamente si era affermata la tesi secondo la quale il carattere abusivo ricorre soltanto nelle ipotesi di gestione “clandestina”; tale impostazione è stata tuttavia presto superata ed è stata considerata abusiva “ogni gestione di rifiuti che avvenga senza i titoli abilitativi prescritti, ovvero in violazione delle regole vigenti nella soggetta materia”[12], ovvero, ancora, nell’inosservanza delle condizioni e dei limiti delle autorizzazioni stesse[13].
Successivamente, è stata considerata abusiva non soltanto la totale difformità dal titolo realizzata con una condotta dissimulatoria, ma anche la violazione sostanziale che sia idonea a frustrare il senso del titolo autorizzativo e che avvenga in modo continuativo[14].
La giurisprudenza amministrativa, nello sforzo di compensare un’applicazione irragionevole dei provvedimenti amministrativi conseguenti ad una condanna per il delitto di cui all’art. 452 quaterdecies c.p., ha ritenuto che tali provvedimenti possano trovare applicazione soltanto alle ipotesi di reato commesso nella forma associativa e non a quella monosoggettiva o concorsuale. Infatti, in caso di condanna anche non passata in giudicato per il delitto in esame scattano automaticamente numerose conseguenze: vengono revocate le autorizzazioni e licenze già concesse (art. 67 comma 8 d.lgs. 159/2011); l’impresa viene cancellata dall’elenco dei fornitori inseriti nelle c.d. white list (art. 1 comma 52 legge 190/2012); la condanna costituisce sia un’automatica presunzione di rischio di infiltrazione mafiosa con la conseguente adozione dell’informazione interdittiva antimafia da parte del Prefetto (art. 84 comma 4 e 92 comma 2 d.lgs. 159/2011); sia un presupposto per il rilascio della comunicazione interdittiva antimafia (art. 84 comma 2 e 67 comma 8 d.lgs. 159/2011).
La giurisprudenza amministrativa ha rigettato l’applicazione di conseguenze tanto gravose alle ipotesi di condanna per la fattispecie monosoggettiva e non associativa, argomentando sia sulla base del dato letterale dell’art. 51 comma 3 bis c.p.p. sia in forza del principio di ragionevolezza.
In una recente sentenza, il Tar Lazio[15] ha annullato un provvedimento che rigettava l’iscrizione nelle white list fondato sulla condanna per il reato di cui all’art. 452 quaterdecies c.p., ritenendo che l’art. 51 comma 3 bis c.p.p. richiami tale fattispecie esclusivamente come reato fine dell’art. 416 c.p.
Analogamente, in un’altra vicenda, il Consiglio di Stato[16] ha ritenuto irragionevole la presunzione di infiltrazione mafiosa, che determina l’automatica applicazione dell’informazione interdittiva antimafia, (art. 84 comma 4 d.lgs. 159/2011) nel caso di una sentenza di condanna -non necessariamente in giudicato- per il solo delitto di cui all’art. 452 quaterdecies c.p., anche nell’ipotesi in cui non costituisca un reato associativo.
Infine, proprio l’irragionevolezza dell’interpretazione secondo cui la comunicazione interdittiva antimafia andrebbe applicata automaticamente in conseguenza di una condanna per il reato in esame, nella forma non associativa, ha indotto il TAR Piemonte[17] a sollevare una questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 67 comma 8 d.lgs. 159/2011[18], come richiamato dall’art. 84 comma 2 dello stesso decreto, laddove prevede un automatismo interdittivo per il reato di traffico illecito di rifiuti in forma non associativa.
La giurisprudenza e il più recente disegno di legge
La linea interpretativa restrittiva della giurisprudenza amministrativa è stata mutuata anche dalla giurisprudenza penale. Si registrano infatti alcune recenti sentenze che hanno proposto una lettura riduttiva del concetto di abusività, soddisfatto in presenza del duplice requisito della totale difformità dal titolo autorizzativo e della continuità temporale. In questo senso si è espressa, ad esempio, la Corte di cassazione[19] secondo cui: “Tale attività deve essere "abusiva", ossia effettuata o senza le autorizzazioni necessarie (ovvero con autorizzazioni illegittime o scadute) o violando le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazione stesse (ad esempio, la condotta avente per oggetto una tipologia di rifiuti non rientranti nel titolo abilitativo, ed anche tutte quelle attività che, per le modalità concrete con cui sono esplicate, risultano totalmente difformi da quanto autorizzato, sì da non essere più giuridicamente riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dalla competente Autorità amministrativa) (cfr. Sez. 3, n. 40828 del 6/10/2005, Fradella, Rv. 232350). […]”.
Questa rigorosa interpretazione della nozione di abusività, che a parere di chi scrive rappresenta la chiave di volta per stabilire se le condotte realizzate siano idonee ad integrare l’illecito in esame, è stata pedissequamente ribadita dalla Corte di cassazione in tempi più recenti[20]: “L'art. 260, comma 1, d.lgs. 152/2006, oggi trasfuso nell'art. 452 quaterdecies cod. pen., contempla un reato abituale (già previsto, del resto, dall'art. 53-bis, d.lgs. n. 22 del 1997, come introdotto dalla legge 23 marzo 2001, n. 93) che punisce chi, al fine di conseguire un ingiusto profitto, allestisce una organizzazione di traffico di rifiuti, volta a gestire continuativamente, in modo illegale, ingenti quantitativi di rifiuti. Tale gestione dei rifiuti deve concretizzarsi in una pluralità di operazioni con allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, ovvero attività di intermediazione e commercio (cfr. Sez. 3, n. 40827 del 6/10/2005, Carretta, Rv. 232348) e tale attività deve essere "abusiva", ossia effettuata senza le autorizzazioni necessarie (ovvero con autorizzazioni illegittime o scadute) o violando le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazione stesse (ad esempio, la condotta avente per oggetto una tipologia di rifiuti non rientranti nel titolo abilitativo, ed anche tutte quelle attività che, per le modalità concrete con cui sono esplicate, risultano totalmente difformi da quanto autorizzato, sì da non essere più giuridicamente riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dalla competente Autorità amministrativa: cfr. Sez. 3, n. 40828 del 6/10/2005, Fradella, Rv. 232350). Quindi il delitto in esame sanziona comportamenti non occasionali di soggetti che, al fine di conseguire un ingiusto profitto, fanno della illecita gestione dei rifiuti la loro redditizia, anche se non esclusiva, attività, per cui per perfezionare il reato è necessaria una, seppure rudimentale, organizzazione professionale (mezzi e capitali) che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo, ossia con pluralità di operazioni condotte in continuità temporale, operazioni che vanno valutate in modo globale: alla pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto, corrisponde una unica violazione di legge, e perciò il reato è abituale dal momento che per il suo perfezionamento è necessaria la realizzazione di più comportamenti della stessa specie (cfr. Sez. 3, n. 46705 del 3/11/2009, Caserta, Rv. 245605, confermata anche da Sez. 3, n. 29619 dell'8/7/2010, Leorati, Rv. 248145)”.
L’orientamento sulla nozione di abusività è stato ulteriormente ribadito[21]: “ne consegue che la mancanza delle autorizzazioni non costituisce requisito essenziale per la configurazione del delitto che, da un lato, può sussistere anche quando la concreta gestione dei rifiuti risulti totalmente difforme dall'attività autorizzata (Sez. 3, Putrone, cit.; Sez. 5, n. 40330 del 11/10/2006, Pellini, Rv. 236294 - 01, secondo cui sussiste il carattere abusivo dell'attività organizzata di gestione dei rifiuti qualora essa si svolga continuativamente nell'inosservanza delle prescrizioni delle autorizzazioni, il che si verifica non solo allorché tali autorizzazioni manchino del tutto - cosiddetta attività clandestina -, ma anche quando esse siano scadute o palesemente illegittime e comunque non commisurate al tipo di rifiuti ricevuti, aventi diversa natura rispetto a quelli autorizzati e accompagnati da bolle false quanto a codice attestante la natura del rifiuto, in modo da celarne le reali caratteristiche e farli apparire conformi ai provvedimenti autorizzatori dei siti di destinazione finale […]”.
Dall’analisi delle sentenze sopra citate, emerge che ai fini dell’abusività della condotta che integra il delitto in esame occorre una totale difformità rispetto al titolo autorizzativo, che viene reiteratamente riconosciuta nelle ipotesi in cui il trattamento dei rifiuti ha ad oggetto rifiuti contraddistinti da codici EER non previsti dall’autorizzazione e la loro destinazione a siti non conformi.
L’interpretazione giurisprudenziale, amministrativa e penale, ha pertanto costituito un primo strumento di compensazione degli effetti dirompenti che discendono dall’applicazione della fattispecie in esame, che il legislatore regola alla stregua di un delitto di criminalità organizzata, sulla base di una presunzione assoluta, come confermato dal recente intervento normativo rappresentata dal decreto legge n. 105/2023.
Sul piano degli interventi normativi, non si registrano invece proposte o disegni di leggi nel segno di una modificazione sistematica della disciplina normativa esistente. L’ultimo disegno di legge volto ad introdurre una modificazione sistematica degli illeciti in materia ambientale, nominato “Terra mia”, è stato diramato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 20.09.2020, ma non ha mai visto la luce ed è stato, in ogni caso, ispirato ad un trattamento sanzionatorio in generale più afflittivo rispetto ai reati ambientali.
Conclusioni
L’orientamento interpretativo restrittivo adottato da una parte della giurisprudenza nell’applicazione del delitto di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. non appare uno strumento sufficiente per compensare gli effetti dell’applicazione degli strumenti, processuali ed extraprocessuali, di contrasto al fenomeno della criminalità organizzata. Tale applicazione conduce ad una sproporzione in due direzioni: nei confronti dei destinatari delle misure afflittive, spesso imprenditori completamente estranei al circuito criminale organizzato; nei confronti della collettività, perché vengono sostenuti costi ed impiegate risorse non utili rispetto all’effettiva gravità del singolo fenomeno criminoso che si intende contrastare.
Per questa ragione, una parte della dottrina suggerisce, da un lato, l’espunzione del delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti dall’elenco di cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p.; dall’altro, la trasformazione di tale delitto in un reato permanente, che punisca la condotta dell’imprenditore che destina, anche solo parzialmente ma sistematicamente, la propria impresa all’attività di recupero o smaltimento abusivo[22], favorendo una più rigorosa selezione delle condotte rilevanti.
Tuttavia, un simile approccio richiederebbe una complessiva rimeditazione degli strumenti di contrasto alla criminalità ambientale e l’introduzione di nuove fattispecie di reato idonee a contrastare i fenomeni di criminalità ambientale che si collocano in una posizione intermedia tra la contravvenzione di gestione illecita[23] e il grave delitto di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. Ad oggi, l’approccio del legislatore, parcellizzato e improntato ad una logica di massima deterrenza, muove in una direzione opposta, che favorisce l’applicazione del delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti ad una casistica ampia ed eterogenea, alimentando il dibattito sulla sua ragionevolezza.
[1] La giurisprudenza ha favorito un’interpretazione estensiva di tutti gli elementi costitutivi del delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. Si tratta di un reato pacificamente qualificato come reato abituale, che si perfeziona attraverso la realizzazione di più condotte non occasionali della stessa specie. Le condotte reiterate sono quelle, descritte dalla disposizione, di gestione, trasporto, ricezione, cessione: è sufficiente l’integrazione di due sole condotte (ad esempio di trasporto di rifiuti per il conferimento presso un impianto di trattamento, ove vengono gestiti in modo non conforme all’autorizzazione), per integrare il delitto in esame. Non solo. Anche l’ulteriore requisito dell’ingente quantitativo è stato interpretato estensivamente: non si guarda, infatti, al dato ponderale, bensì deve essere formulato un giudizio complessivo che tiene conto anche di altri elementi, quali la pericolosità dei rifiuti o il danno effettivamente causato.
[2] n. 26889 del 28.04.2016.
[3] p. 28 motivazioni sentenza.
[4] Cass. pen., sez. I, n. 34895 del 30.03.2022.
[5] Sull’evoluzione interpretativa delle Sezioni Unite Scurato e la successiva sentenza Di Lorenzo, M. Toriello, La prima pronuncia della Corte di Cassazione sul decreto-legge n. 105 del 2023: quella introdotta in materia di intercettazioni è norma di interpretazione autentica, in Sistema Penale, 7 dicembre 2023.
[6] G. Gatta, intercettazioni e criminalità organizzata, quando a voler precisare si finisce per complicare, in Sistema Penale, 11 agosto 2023.
[7] Cass. pen. sez. II, n. 47643 del 28.09.2023.
[8] In questi termini, efficacemente, R.E. Omodei, Spunti di riflessione in materia di reati di gestione e traffico di rifiuti. Le necessità di un ripensamento normativo, in Sistema Penale, n. 5/2023.
[9] Il legislatore ha inserito un espresso riferimento al delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, rendendo in questo modo chiaro e inequivocabile l’applicazione della confisca allargata al delitto di esame, con l’art. 6 ter comma 3 lett. a) d.l. 9 agosto 2023, n. 105, convertito con modificazioni nella legge 9 ottobre 2023, n. 137.
[10] Il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti era in precedenza regolato dall’art. 53 bis d.lgs. 22/1997, c.d. “Decreto Ronchi”. Nella prospettiva del legislatore del 1997 il reato era destinato a perseguire i comportamenti criminosi frutto di disegni delinquenziali di ampio respiro, solitamente connessi alla criminalità organizzata, con effetti estremamente perniciosi per l’assetto ambientale ed economico. Così L. Costato – F. Pellizzer, Commentario breve al Codice dell’ambiente, Padova, 2007, p. 732.
[11] In questo senso, ex multis, Cass. pen., sez. III, n. 43710 del 23 maggio 2019, secondo cui il delitto in esame è un reato abituale proprio, integrato con il compimento di più operazioni continuative e non occasionali, realizzate attraverso un’organizzazione anche rudimentale di mezzi e capitali, che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti.
[12] Cass. pen., sez. III, n. 46029 del 15.12.2018.
[13] Cass. pen., sez. III, n. 358 dell’8.01.2008.
[14] Cass. pen., sez. III, n. 9133 del 24.02.20217.
[15] Tar Latina, sentenza n. 178 del 29 marzo 2021.
[16] Consiglio di Stato, sez. III, ordinanza n. 6614 del 12 novembre 2020.
[17] Tar Piemonte, sez. I, ordinanza n. 448 del 29 aprile 2021.
[18] Dichiarata tuttavia inammissibile dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 118 del 10 maggio 2022.
[19] Cass. pen., sez. III, n. 35568 del 30 maggio 2017.
[20] Cass. pen., sez. III, n. 37113 del 14.06.2023, p. 8 e seguenti.
[21] Cass. pen., sez. III, n. 35108 del 15.05.2024.
[22] In questo senso, R.E: Omodei, “Spunti di riflessione in materia di reati di gestione e traffico illecito di rifiuti. Le necessità di un ripensamento normativo” in Sistema Penale n. 5/2023, pag. 55; negli stessi termini, R. Losengo, “La verità, vi prego, sull’art. 452 quaterdecies c.p.” in RGA online, numero 50 – febbraio 2024, p. 7.
[23] Regolata dall’art. 256 d.lgs. 152/2006 ed estinguibile mediante oblazione previo il pagamento di una somma di denaro pari alla metà del massimo dell’ammenda, qualora la contestazione riguardi la gestione di rifiuti non pericolosi.