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Locazione finanziaria alla luce della sentenza della Cassazione Sezioni Unite n. 19785 del 05/10/2015

Locazione finanziaria alla luce della sentenza della Cassazione Sezioni Unite n. 19785 del 05/10/2015
Locazione finanziaria alla luce della sentenza della Cassazione Sezioni Unite n. 19785 del 05/10/2015

Le Sezioni Unite, risolvendo una questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che, in tema di locazione finanziaria, ove i vizi della cosa siano emersi prima della consegna, il concedente deve sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore, nei cui confronti può agire per la risoluzione del contratto di fornitura o la riduzione del corrispettivo, mentre, se si siano rivelati dopo la consegna, l’utilizzatore ha azione diretta verso il fornitore. In ogni caso, lo stesso utilizzatore può agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni e la restituzione dei canoni già pagati al concedente.

Nel dettaglio, la questione sottoposta alla Suprema Corte riguardava il caso di un leasing finanziario e, nello specifico, se l’utilizzatore sia legittimato oltre a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura e al risarcimento del danno anche a proporre domanda di risoluzione del contratto di vendita tra fornitore e società di leasing, come effetto naturale del contratto di locazione finanziaria oppure se tale legittimazione sussiste solo in presenza di una specifica clausola contrattuale con la quale si trasferisce la posizione sostanziale dal concedente all’utilizzatore.

La chiave di volta della questione risiede nella configurazione strutturale del contratto del quale si discute, posto che, se lo si ravvisa come contratto unitario plurilaterale, è agevole farne discendere l’esperibilità dell’azione di risoluzione da parte dell’utilizzatore contro il fornitore, posto che quest’ultimo è considerato anch’egli parte del contratto di compravendita. Il problema si pone, invece, se l’interprete tiene ben distinti, nella vicenda, il contratto di vendita (tra fornitore/venditore e concedente/acquirente) e contratto di locazione (tra concedente/proprietario/locatore della cosa ed utilizzatore/locatario della stessa), pur riconoscendo l’indiscutibile collegamento esistente tra i due.

In questa seconda ipotesi, il contratto di vendita è, per l’utilizzatore, negozio stipulato tra terzi (res inter alios acta) rispetto al quale egli non ha alcun potere d’incidenza; restando, comunque, da verificare se il riconosciuto collegamento negoziale conceda all’utilizzatore (come sostiene il ricorso in esame e pone in chiave problematica l’ordinanza interlocutoria) quel potere, compresa l’esperibilità da parte sua dell’azione di risoluzione del contratto di vendita/al quale egli non ha partecipato.

In precedenza, una risalente giurisprudenza, proprio per risolvere positivamente il problema, tendeva a configurare la locazione finanziaria come un rapporto trilaterale, in cui l’acquisto ad opera del concedente va effettuato per conto dell’utilizzatore, con la previsione, quale elemento naturale del negozio, dell’esonero del primo da ogni responsabilità in ordine alle condizioni del bene acquistato per l’utilizzatore, essendo quest’ultimo a prendere contatti con il fornitore, a scegliere il bene che sarà oggetto del contratto e a stabilire le condizioni di acquisto del concedente, il quale non assume direttamente l’obbligo della consegna, né garantisce che il bene sia immune da vizi e che presenti le qualità promesse, né rimane tenuto alla garanzia per evizione (in tal senso, Cass. n. 4367/97, n. 6076/95, n. 5571/91).

Così ragionando, si evitava di lasciare l’utilizzatore senza tutela, essendo comunque «abilitato ad esperire direttamente le azioni derivanti dalla compravendita del bene nei confronti del fornitore» (in questo senso si esprimeva la già citata Cass. n. 4367/97); azioni giustificate proprio dalla struttura trilaterale del rapporto e dal fatto che è  l’utilizzatore (e  non  il concedente/proprietario, che si è limitato a finanziare l’operazione) ad avere intrattenuto rapporti diretti con il fornitore del bene oggetto del contratto. Più in particolare, la Cassione n. 854/00, ponendosi appunto nell’ottica del contratto di leasing come contratto plurilaterale, osservava che, poiché la prestazione del fornitore va ritenuta essenziale nell’economia dell’affare ai sensi dell’articolo 1459 del codice civile, non v’è possibilità da parte dell’utilizzatore di chiedere la risoluzione del contratto di fornitura per inadempimento del fornitore senza che venga coinvolto anche il concedente. Invero, «la locazione finanziaria dà luogo ad un’operazione giuridica unitaria, nella quale ognuno dei contraenti è consapevole di concludere un accordo con le altre parti interessate dall’affare; ciascun contraente assume volontariamente obblighi nei confronti delle altre due parti; il fornitore si obbliga, nei confronti del concedente, a trasferirgli la proprietà e, nei confronti dell’utilizzatore, a consegnargli il bene e a dargli le garanzie della vendita; il concedente si obbliga a pagare il prezzo del bene al fornitore e a consentirne il godimento all’utilizzatore; questi a sua volta si obbliga a rimborsare al concedente con gli interessi e le spese il finanziamento  ottenuto. Nascono vincoli obbligatori incrociati tra loro nei quali la presta zione del fornito re è essenziale nell’economia del contratto, perché è quella che soddisfa l’interesse di entrambe le altre, oltre che quello dello stesso fornitore a ricevere il prezzo; se essa viene meno, il contratto si scioglie rispetto a tutte le altre parti. La risoluzione del rapporto di compravendita chiesta ed ottenuta autonomamente dall’utilizzatore il quale consegua la restituzione del prezzo e il risarcimento del danno pregiudicherebbe la condizione del concedente; questi oltre ad essere privato della garanzia rappresentata dalla proprietà del bene rischierebbe anche di non ricevere i canoni essendo venuta meno con la cessazione del godimento del bene la causa della contrapposta obbligazione dell’utilizzatore di pagare i canoni». Di qui la necessità della partecipazione al giudizio di risoluzione del concedente, che la sentenza riteneva rispondere all’esigenza avvertita anche dal legislatore, allorquando, con l’articolo 10 della Legge n. 259/1993, recependo la Convenzione Unidroit sul leasing internazionale, ha stabilito che l’utilizzatore, pur potendo agire direttamente nei riguardi del fornitore per l’adempimento del contratto di fornitura (primo comma), non può chiederne tuttavia la risoluzione senza il consenso del concedente (secondo comma). Questa sorta di litisconsorzio necessari o nei confronti del concedente (nell’azione di risoluzione direttamente introdotta dall’utilizzatore contro il fornitore) sembrava, a siffatta giurisprudenza, un espediente capace di rimediare alla stridente anomalia dell’azione risolutiva concessa a chi non è stato parte del contratto da risolvere e che, nel suo esito positivo, necessariamente comporta la perdita in danno del concedente/proprietario/locatore non solo della proprietà (garanzia rispetto all’utilizzatore) ma anche dei canoni derivanti dalla locazione (sulla stregua di quest’orientamento si vedano anche Cass. n. 5125/04 e n. 11776/06).

La tesi del contratto unitario plurilaterale è stata, però, ben presto abbandonata dalla giurisprudenza a seguito della decisa critica della dottrina, iniziandosi a ricostruire, in accordo con questa, la struttura del contratto di leaing come ipotesi di collegamento negoziale. Secondo quest’idea, l’operazione di leasing finanziario consta di due contratti collegati tra loro: quello di leasing propriamente detto e quello di fornitura. «Questo collegamento, consistente in ciò che il contratto di fornitura, ne l complesso dell’operazione, ha la funzione di mezzo per l’esecuzione di quello di leasing, risulta da più indici: la struttura del procedimento di formazione negoziale, in cui intervengono in varia sequenza le tre parti; la sussunzione, a contenuto del contratto di fornitura, di elementi individuati insieme dal fornitore e dall’utilizzatore; la circostanza che i contratti, di fornitura come di leasing, esplicitino, per solito, come ragione dell’acquisto del bene da parte del concedente sia la sua concessione in godimento all’utilizzatore che lo ha scelto, sia la previsione, contenuta nel contratto di fornitura, che la consegna del bene dovrà farsi dal fornitore direttamente all’utilizzatore» (cosi motiva Cass. n. 10926/98 e le fanno seguito Cass. n. 15762/00, n. 5125/04, n. 19657/04, n. 6728/05, n. 20592/07).

In altri termini, il leasing finanziario «realizza un’ipotesi di collegamento negoziale tra contratto di leasing e contratto di fornitura, quest’ultimo venendo dalla società di leasing concluso allo scopo, noto al fornitore, di soddisfare l’interesse del futuro utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa» (Cass. n. 17145/06). Ed il nesso di collegamento tra i due contratti viene normalmente in evidenza proprio «in virtù di clausole di interconnessione, per cui nel contratto di vendita tra fornitore e società di leasing viene convenuto che il bene oggetto del negozio sia acquistato allo scopo di cederlo in godimento al cliente della società (il quale in precedenza ha provveduto ad indicarlo specificamente) ed è previsto anche che il bene sia consegnato direttamente dal fornitore all’utilizzatore» (Cass. n. 16158/07, n. 9417/14).

In quest’ordine di idee, s’è fatto ricorso alla disposizione del secondo comma dell’articolo 1705 del codice civile (il quale attribuisce al mandante il diritto, in via diretta e non in via surrogatoria, di far propri di fronte ai terzi i diritti di credito sorti in testa al mandatario, assumendo l’esecuzione dell’affare, a condizione che egli non pregiudichi i diritti spettanti al mandatario in base al contratto concluso, potendo il mandante esercitare in confronto del terzo le azioni, derivanti dal contratto concluso dal mandatario, intese ad ottenerne l’adempimento od il risarcimento del danno in caso di inadempimento) per dedurne che l’utilizzatore ha la legittimazione a far valere le azioni intese all’adempimento del contratto di fornitura ed al risarcimento del danno da inesatto adempimento (cosi Cass. n. 10926/98, n. 17145/06, n. 17767/05, n. 5125/04, n. 19657/04), con esplicita o talvolta implicita esclusione dell’azione di risoluzione.

Sulla base della stessa premessa normativa, si è pure aggiunto che, in assenza di diversa pattuizione, con la consegna del bene dal fornitore direttamente all’utilizzatore e la conseguente sua accettazione da parte di quest’ultimo, sorge a carico dell’utilizzatore l’obbligo di pagamento dei canoni nei confronti del concedente e non possono a lui opporsi eventuali vizi, per quanto originari, del bene locato, che devono essere fatti valere con azione di garanzia unicamente nei confronti del fornitore. Invero, costituisce elemento naturale del negozio «l’esonero dal locatore di ogni responsabilità in ordine alle condizioni del bene acquistato per l’utilizzatore, essendo quest’ultimo a prendere contatti con il fornitore, a scegliere il bene, che sarà oggetto del contratto, ed a stabilire le condizioni di acquisto per il concedente, per cui ogni vizio del bene dovrà essere fatto valere direttamente dall’utilizzatore nei confronti del fornitore, così come avviene nel caso di contratto concluso dal mandatario in nome proprio, ma per conto del mandante». Con la conseguenza che d’utilizzatore non può far valere l’eccezione di inadempimento del fornitore, per vizio del bene locato, a norma dell’articolo 1460 del codice civile, per rifiutare le proprie prestazioni nei confronti del concedente» (Cass. n. 19657/04).

Per effetto di questa evoluzione giurisprudenziale s’è, dunque, ammesso che l’utilizzatore possa agire contro il fornitore per l’adempimento o per il risarcimento, ma s’è escluso categoricamente che possa agire anche per la risoluzione, tenuto, appunto, conto che a questa conseguono necessariamente effetti sulla sfera giuridica del concedente, con la determinazione dell’obbligo di restituzione del bene e della perdita del lucro dell’operazione di finanziamento.

In particolare, si è sottolineato “I ‘emergere a tale stregua di una lacuna in merito alla disciplina applicabile al leasing finanziario in caso di risoluzione del contratto per inadempimento e in particolare relativamente ai rimedi dallo stesso utilizzatore esperibili nei confronti del fornitore. Lacuna da risolversi invero solamente caso per caso, la possibilità di esercitarsi da parte dell’utilizzatore l’azione di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di leasing - cui esso è estraneo - dipendendo in realtà dalla sussistenza nel contratto di leasing di uno specifico patto al riguardo” (cosi, Cass. n. 17145/06 e n. 534/11).

Quest’orientamento tiene a precisare (in risposta alla risalente giurisprudenza che pretendeva il  litisconsorzio necessario del concedente in siffatta azione dell’utilizzatore contro il fornitore) che la questione attiene non già alla legittimazione passiva, ma alla «titolarità attiva, all’esito del previo accertamento in ordine alla previsione nel contratto di leasing di una clausola contemplante il suindicato pattizio trasferimento all’utilizzatore della posizione sostanziale originariamente propria della società di leasing acquirente»; con la conseguenza che «il relativo accertamento, soggetto ad eccezione di parte nei tempi e nei modi previsti dal codice di rito, spetta invero al giudice del merito».

Anche la Cassione n. 23794/2007, che pure riconosce la legittimazione dell’utilizzatore alla domanda di accertamento dell’esatto corrispettivo, nega, benché implicitamente, la legittimazione di quest’ultimo alla domanda di risoluzione: «(...) deve - decisamente - escludersi che la domanda di accertamento [negativo] delle maggiori pretese fatte valere in via stragiudiziale dal fornitore e, quindi, in buona sostanza, di accertamento del corrispettivo in realtà spettante a quest’ultimo, possa identificarsi in una domanda di risoluzione contrattuale».

La soluzione prospettata dalla Suprema Corte è la seguente:

Il quesito posto alle Sezioni Unite presuppone (nell’impostazione sia del ricorso, sia dell’ordinanza interlocutoria) che ci si interroghi se, nella specifica vicenda in trattazione, ricorra un’ipotesi di collegamento negoziale in senso tecnico, in virtù del quale la validità e l’invalidità di un contratto si rifletta sull’altro in forma di reciproca interdipendenza. Ossia produca, in estrema sintesi, gli effetti di cui al brocardo del simul stabunt simul cadent.

Orbene, sul punto occorre concordare con quell’autorevole dottrina la quale osserva che, dal punto di vista economico, l’operazione di leasing è sicuramente trilatera-le, nel senso che i rapporti tra fornitore, concedente ed utilizzatore costituiscono un tutto unitario. Eppure, dal punto di vista giuridico, le cose stanno diversamente, siccome ci si trova al cospetto di due contratti (quello di compravendita e quello di locazione finanziaria) che, come s’è visto in precedenza, conservano la rispettiva distinzione, pur essendo tra loro legati da un nesso che difficilmente può essere considerato di collegamento negoziale in senso tecnico. Un collegamento tale, cioè, da comportare che la patologia di un contratto comporti la patologia anche dell’altro. E’ pur vero che questi contratti sono legati da un nesso obiettivo (economico o teleologico), ma quel che manca, perché possa ravvisarsi il collegamento tecnico, è il nesso soggettivo, ossia l’intenzione delle parti di collegare i vari negozi in uno scopo comune. Non si può dire, infatti, che il fornitore si determini alla vendita in funzione della circostanza che il bene verrà concesso in locazione dal compratore/concedente all’utilizzatore/locatario. Al contrario, il fornitore ha il mero interesse alla vendita del suo prodotto e la causa che regge il contratto da lui stipulato con il finanziatore/concedente è quella tipica del contratto di compravendita, ossia il trasferimento del bene in cambio del prezzo. Tant’è che, nella fisiologica evoluzione dell’operazione, il fornitore, una volta consegnato il prodotto all’utilizzatore, esce di scena, essendo assolutamente disinteressato allo svolgersi dell’altra vicenda che concerne la locazione stipulata tra concedente ed utilizzatore. Le circostanze, dunque, che sia proprio l’utilizzatore a scegliere il fornitore, a trattare con lui ed a ricevere la consegna del bene e che il fornitore, a sua volta, sia consapevole che l’acquisto da parte del committente sia finalizzato alla locazione del bene in favore del terzo utilizzatore sono del tutto esterne rispetto alla struttura stessa dei contratti che si vanno a stipulare e non sono capaci di mutarne la causa di ciascuna.

Se è vero quanto finora osservato, è anche vero che lo stesso concedente, una volta determinatosi al finanziamento, è del tutto disinteressato rispetto alla scelta del bene e del fornitore effettuata dall’utilizzatore, posto che, qualunque essa sia, egli è garantito dalla proprietà del bene rispetto all’obbligo del pagamento del canone a carico dell’utilizzatore stesso.

A conferma di quanto finora argomentato soccorre (oltre la menzionata Convenzione di Ottawa) il quadro normativo delineato dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D. Lgs. n. 385 del 1993), il quale, nei contratti di credito collegati ed in ipotesi di inadempimento del fornitore, non consente all’utilizzatore/consumatore (soggetto sicuramente meritevole di maggior tutela rispetto all’imprenditore) di agire direttamente contro il fornitore per la risoluzione del contratto di fornitura, bensì gli consente di chiedere al concedente/finanziatore (dopo avere inutilmente costituito in mora il fornitore) di agire per la risoluzione del contratto di fornitura; richiesta che determina la sospensione del pagamento dei canoni (articolo 125 quinquies, il quale dispone pure che la risoluzione del contratto di fornitura determina la risoluzione di diritto, senza penalità e oneri, del contratto di locazione finanziaria).

Per le ragioni finora esposte deve escludersi pure che l’utilizzatore possa autonomamente esercitare contro il fornitore l’azione di riduzione del prezzo che, quale rimedio sinallagmatico, andrebbe a modificare i termini dello scambio nel rapporto tra concedente e fornitore.

È per tutte queste ragioni che le SU concordano con l’orientamento giurisprudenziale (la cui più approfondita analisi va rinvenuta nella già citata Cassazione n. 17145/06) dal quale possono dedursi le due seguenti considerazioni:

“Tra il contratto di leasing finanziario, concluso tra concedente ed utilizzatore, e quello di fornitura, concluso tra concedente e fornitore allo scopo (noto a quest’ultimo) di soddisfare l’interesse dell’utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa, si verifica un’ipotesi di collegamento negoziale (nella pur persistente individualità propria di ciascun tipo negoziale) in forza del quale l’utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto. Invece, in mancanza di un’espressa previsione normativa al riguardo, l’utilizzatore può esercitare l’azione di risoluzione (o di riduzione del prezzo) del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente (cui esso è estraneo) solamente in presenza di specifica clausola contrattuale con la quale gli venga dal concedente trasferita la propria posizione sostanziale. Il relativo accertamento, trattandosi di questione concernente non la legitimatio ad causam bensì la titolarità attiva del rapporto, è rimesso al giudice del merito in relazione al singolo caso concreto”.

In riferimento ai vizi della cosa, la Suprema Corte afferma il seguente principio:

“In tema di vizi della cosa concessa in locazione finanziaria che la rendano inidonea all’uso, occorre distinguere l’ipotesi in cui gli stessi siano emersi prima della consegna (rifiutata dall’utilizzatore) da quella in cui siano emersi successi- vamente alla stessa perché nascosti o taciuti in mala fede dal fornitore. Il primo caso va assimilato a quello della mancata consegna, con la conseguenza che il concedente, in forza del principio di buona fede, una volta informato della rifiutata consegna, ha il dovere di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore e, ricorrendone i presupposti, di agire verso quest’ultimo per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo. Nel secondo caso, l’utilizzatore ha azione diretta verso il fornitore per l’eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa, mentre il concedente, una volta informato, ha i medesimi doveri di cui al precedente caso. In ogni ipotesi, l’utilizzatore può agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni, compresa la restituzione della somma corrispondente ai canoni già eventualmente pagati al concedente”.

Le Sezioni Unite, risolvendo una questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che, in tema di locazione finanziaria, ove i vizi della cosa siano emersi prima della consegna, il concedente deve sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore, nei cui confronti può agire per la risoluzione del contratto di fornitura o la riduzione del corrispettivo, mentre, se si siano rivelati dopo la consegna, l’utilizzatore ha azione diretta verso il fornitore. In ogni caso, lo stesso utilizzatore può agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni e la restituzione dei canoni già pagati al concedente.

Nel dettaglio, la questione sottoposta alla Suprema Corte riguardava il caso di un leasing finanziario e, nello specifico, se l’utilizzatore sia legittimato oltre a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura e al risarcimento del danno anche a proporre domanda di risoluzione del contratto di vendita tra fornitore e società di leasing, come effetto naturale del contratto di locazione finanziaria oppure se tale legittimazione sussiste solo in presenza di una specifica clausola contrattuale con la quale si trasferisce la posizione sostanziale dal concedente all’utilizzatore.

La chiave di volta della questione risiede nella configurazione strutturale del contratto del quale si discute, posto che, se lo si ravvisa come contratto unitario plurilaterale, è agevole farne discendere l’esperibilità dell’azione di risoluzione da parte dell’utilizzatore contro il fornitore, posto che quest’ultimo è considerato anch’egli parte del contratto di compravendita. Il problema si pone, invece, se l’interprete tiene ben distinti, nella vicenda, il contratto di vendita (tra fornitore/venditore e concedente/acquirente) e contratto di locazione (tra concedente/proprietario/locatore della cosa ed utilizzatore/locatario della stessa), pur riconoscendo l’indiscutibile collegamento esistente tra i due.

In questa seconda ipotesi, il contratto di vendita è, per l’utilizzatore, negozio stipulato tra terzi (res inter alios acta) rispetto al quale egli non ha alcun potere d’incidenza; restando, comunque, da verificare se il riconosciuto collegamento negoziale conceda all’utilizzatore (come sostiene il ricorso in esame e pone in chiave problematica l’ordinanza interlocutoria) quel potere, compresa l’esperibilità da parte sua dell’azione di risoluzione del contratto di vendita/al quale egli non ha partecipato.

In precedenza, una risalente giurisprudenza, proprio per risolvere positivamente il problema, tendeva a configurare la locazione finanziaria come un rapporto trilaterale, in cui l’acquisto ad opera del concedente va effettuato per conto dell’utilizzatore, con la previsione, quale elemento naturale del negozio, dell’esonero del primo da ogni responsabilità in ordine alle condizioni del bene acquistato per l’utilizzatore, essendo quest’ultimo a prendere contatti con il fornitore, a scegliere il bene che sarà oggetto del contratto e a stabilire le condizioni di acquisto del concedente, il quale non assume direttamente l’obbligo della consegna, né garantisce che il bene sia immune da vizi e che presenti le qualità promesse, né rimane tenuto alla garanzia per evizione (in tal senso, Cass. n. 4367/97, n. 6076/95, n. 5571/91).

Così ragionando, si evitava di lasciare l’utilizzatore senza tutela, essendo comunque «abilitato ad esperire direttamente le azioni derivanti dalla compravendita del bene nei confronti del fornitore» (in questo senso si esprimeva la già citata Cass. n. 4367/97); azioni giustificate proprio dalla struttura trilaterale del rapporto e dal fatto che è  l’utilizzatore (e  non  il concedente/proprietario, che si è limitato a finanziare l’operazione) ad avere intrattenuto rapporti diretti con il fornitore del bene oggetto del contratto. Più in particolare, la Cassione n. 854/00, ponendosi appunto nell’ottica del contratto di leasing come contratto plurilaterale, osservava che, poiché la prestazione del fornitore va ritenuta essenziale nell’economia dell’affare ai sensi dell’articolo 1459 del codice civile, non v’è possibilità da parte dell’utilizzatore di chiedere la risoluzione del contratto di fornitura per inadempimento del fornitore senza che venga coinvolto anche il concedente. Invero, «la locazione finanziaria dà luogo ad un’operazione giuridica unitaria, nella quale ognuno dei contraenti è consapevole di concludere un accordo con le altre parti interessate dall’affare; ciascun contraente assume volontariamente obblighi nei confronti delle altre due parti; il fornitore si obbliga, nei confronti del concedente, a trasferirgli la proprietà e, nei confronti dell’utilizzatore, a consegnargli il bene e a dargli le garanzie della vendita; il concedente si obbliga a pagare il prezzo del bene al fornitore e a consentirne il godimento all’utilizzatore; questi a sua volta si obbliga a rimborsare al concedente con gli interessi e le spese il finanziamento  ottenuto. Nascono vincoli obbligatori incrociati tra loro nei quali la presta zione del fornito re è essenziale nell’economia del contratto, perché è quella che soddisfa l’interesse di entrambe le altre, oltre che quello dello stesso fornitore a ricevere il prezzo; se essa viene meno, il contratto si scioglie rispetto a tutte le altre parti. La risoluzione del rapporto di compravendita chiesta ed ottenuta autonomamente dall’utilizzatore il quale consegua la restituzione del prezzo e il risarcimento del danno pregiudicherebbe la condizione del concedente; questi oltre ad essere privato della garanzia rappresentata dalla proprietà del bene rischierebbe anche di non ricevere i canoni essendo venuta meno con la cessazione del godimento del bene la causa della contrapposta obbligazione dell’utilizzatore di pagare i canoni». Di qui la necessità della partecipazione al giudizio di risoluzione del concedente, che la sentenza riteneva rispondere all’esigenza avvertita anche dal legislatore, allorquando, con l’articolo 10 della Legge n. 259/1993, recependo la Convenzione Unidroit sul leasing internazionale, ha stabilito che l’utilizzatore, pur potendo agire direttamente nei riguardi del fornitore per l’adempimento del contratto di fornitura (primo comma), non può chiederne tuttavia la risoluzione senza il consenso del concedente (secondo comma). Questa sorta di litisconsorzio necessari o nei confronti del concedente (nell’azione di risoluzione direttamente introdotta dall’utilizzatore contro il fornitore) sembrava, a siffatta giurisprudenza, un espediente capace di rimediare alla stridente anomalia dell’azione risolutiva concessa a chi non è stato parte del contratto da risolvere e che, nel suo esito positivo, necessariamente comporta la perdita in danno del concedente/proprietario/locatore non solo della proprietà (garanzia rispetto all’utilizzatore) ma anche dei canoni derivanti dalla locazione (sulla stregua di quest’orientamento si vedano anche Cass. n. 5125/04 e n. 11776/06).

La tesi del contratto unitario plurilaterale è stata, però, ben presto abbandonata dalla giurisprudenza a seguito della decisa critica della dottrina, iniziandosi a ricostruire, in accordo con questa, la struttura del contratto di leaing come ipotesi di collegamento negoziale. Secondo quest’idea, l’operazione di leasing finanziario consta di due contratti collegati tra loro: quello di leasing propriamente detto e quello di fornitura. «Questo collegamento, consistente in ciò che il contratto di fornitura, ne l complesso dell’operazione, ha la funzione di mezzo per l’esecuzione di quello di leasing, risulta da più indici: la struttura del procedimento di formazione negoziale, in cui intervengono in varia sequenza le tre parti; la sussunzione, a contenuto del contratto di fornitura, di elementi individuati insieme dal fornitore e dall’utilizzatore; la circostanza che i contratti, di fornitura come di leasing, esplicitino, per solito, come ragione dell’acquisto del bene da parte del concedente sia la sua concessione in godimento all’utilizzatore che lo ha scelto, sia la previsione, contenuta nel contratto di fornitura, che la consegna del bene dovrà farsi dal fornitore direttamente all’utilizzatore» (cosi motiva Cass. n. 10926/98 e le fanno seguito Cass. n. 15762/00, n. 5125/04, n. 19657/04, n. 6728/05, n. 20592/07).

In altri termini, il leasing finanziario «realizza un’ipotesi di collegamento negoziale tra contratto di leasing e contratto di fornitura, quest’ultimo venendo dalla società di leasing concluso allo scopo, noto al fornitore, di soddisfare l’interesse del futuro utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa» (Cass. n. 17145/06). Ed il nesso di collegamento tra i due contratti viene normalmente in evidenza proprio «in virtù di clausole di interconnessione, per cui nel contratto di vendita tra fornitore e società di leasing viene convenuto che il bene oggetto del negozio sia acquistato allo scopo di cederlo in godimento al cliente della società (il quale in precedenza ha provveduto ad indicarlo specificamente) ed è previsto anche che il bene sia consegnato direttamente dal fornitore all’utilizzatore» (Cass. n. 16158/07, n. 9417/14).

In quest’ordine di idee, s’è fatto ricorso alla disposizione del secondo comma dell’articolo 1705 del codice civile (il quale attribuisce al mandante il diritto, in via diretta e non in via surrogatoria, di far propri di fronte ai terzi i diritti di credito sorti in testa al mandatario, assumendo l’esecuzione dell’affare, a condizione che egli non pregiudichi i diritti spettanti al mandatario in base al contratto concluso, potendo il mandante esercitare in confronto del terzo le azioni, derivanti dal contratto concluso dal mandatario, intese ad ottenerne l’adempimento od il risarcimento del danno in caso di inadempimento) per dedurne che l’utilizzatore ha la legittimazione a far valere le azioni intese all’adempimento del contratto di fornitura ed al risarcimento del danno da inesatto adempimento (cosi Cass. n. 10926/98, n. 17145/06, n. 17767/05, n. 5125/04, n. 19657/04), con esplicita o talvolta implicita esclusione dell’azione di risoluzione.

Sulla base della stessa premessa normativa, si è pure aggiunto che, in assenza di diversa pattuizione, con la consegna del bene dal fornitore direttamente all’utilizzatore e la conseguente sua accettazione da parte di quest’ultimo, sorge a carico dell’utilizzatore l’obbligo di pagamento dei canoni nei confronti del concedente e non possono a lui opporsi eventuali vizi, per quanto originari, del bene locato, che devono essere fatti valere con azione di garanzia unicamente nei confronti del fornitore. Invero, costituisce elemento naturale del negozio «l’esonero dal locatore di ogni responsabilità in ordine alle condizioni del bene acquistato per l’utilizzatore, essendo quest’ultimo a prendere contatti con il fornitore, a scegliere il bene, che sarà oggetto del contratto, ed a stabilire le condizioni di acquisto per il concedente, per cui ogni vizio del bene dovrà essere fatto valere direttamente dall’utilizzatore nei confronti del fornitore, così come avviene nel caso di contratto concluso dal mandatario in nome proprio, ma per conto del mandante». Con la conseguenza che d’utilizzatore non può far valere l’eccezione di inadempimento del fornitore, per vizio del bene locato, a norma dell’articolo 1460 del codice civile, per rifiutare le proprie prestazioni nei confronti del concedente» (Cass. n. 19657/04).

Per effetto di questa evoluzione giurisprudenziale s’è, dunque, ammesso che l’utilizzatore possa agire contro il fornitore per l’adempimento o per il risarcimento, ma s’è escluso categoricamente che possa agire anche per la risoluzione, tenuto, appunto, conto che a questa conseguono necessariamente effetti sulla sfera giuridica del concedente, con la determinazione dell’obbligo di restituzione del bene e della perdita del lucro dell’operazione di finanziamento.

In particolare, si è sottolineato “I ‘emergere a tale stregua di una lacuna in merito alla disciplina applicabile al leasing finanziario in caso di risoluzione del contratto per inadempimento e in particolare relativamente ai rimedi dallo stesso utilizzatore esperibili nei confronti del fornitore. Lacuna da risolversi invero solamente caso per caso, la possibilità di esercitarsi da parte dell’utilizzatore l’azione di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di leasing - cui esso è estraneo - dipendendo in realtà dalla sussistenza nel contratto di leasing di uno specifico patto al riguardo” (cosi, Cass. n. 17145/06 e n. 534/11).

Quest’orientamento tiene a precisare (in risposta alla risalente giurisprudenza che pretendeva il  litisconsorzio necessario del concedente in siffatta azione dell’utilizzatore contro il fornitore) che la questione attiene non già alla legittimazione passiva, ma alla «titolarità attiva, all’esito del previo accertamento in ordine alla previsione nel contratto di leasing di una clausola contemplante il suindicato pattizio trasferimento all’utilizzatore della posizione sostanziale originariamente propria della società di leasing acquirente»; con la conseguenza che «il relativo accertamento, soggetto ad eccezione di parte nei tempi e nei modi previsti dal codice di rito, spetta invero al giudice del merito».

Anche la Cassione n. 23794/2007, che pure riconosce la legittimazione dell’utilizzatore alla domanda di accertamento dell’esatto corrispettivo, nega, benché implicitamente, la legittimazione di quest’ultimo alla domanda di risoluzione: «(...) deve - decisamente - escludersi che la domanda di accertamento [negativo] delle maggiori pretese fatte valere in via stragiudiziale dal fornitore e, quindi, in buona sostanza, di accertamento del corrispettivo in realtà spettante a quest’ultimo, possa identificarsi in una domanda di risoluzione contrattuale».

La soluzione prospettata dalla Suprema Corte è la seguente:

Il quesito posto alle Sezioni Unite presuppone (nell’impostazione sia del ricorso, sia dell’ordinanza interlocutoria) che ci si interroghi se, nella specifica vicenda in trattazione, ricorra un’ipotesi di collegamento negoziale in senso tecnico, in virtù del quale la validità e l’invalidità di un contratto si rifletta sull’altro in forma di reciproca interdipendenza. Ossia produca, in estrema sintesi, gli effetti di cui al brocardo del simul stabunt simul cadent.

Orbene, sul punto occorre concordare con quell’autorevole dottrina la quale osserva che, dal punto di vista economico, l’operazione di leasing è sicuramente trilatera-le, nel senso che i rapporti tra fornitore, concedente ed utilizzatore costituiscono un tutto unitario. Eppure, dal punto di vista giuridico, le cose stanno diversamente, siccome ci si trova al cospetto di due contratti (quello di compravendita e quello di locazione finanziaria) che, come s’è visto in precedenza, conservano la rispettiva distinzione, pur essendo tra loro legati da un nesso che difficilmente può essere considerato di collegamento negoziale in senso tecnico. Un collegamento tale, cioè, da comportare che la patologia di un contratto comporti la patologia anche dell’altro. E’ pur vero che questi contratti sono legati da un nesso obiettivo (economico o teleologico), ma quel che manca, perché possa ravvisarsi il collegamento tecnico, è il nesso soggettivo, ossia l’intenzione delle parti di collegare i vari negozi in uno scopo comune. Non si può dire, infatti, che il fornitore si determini alla vendita in funzione della circostanza che il bene verrà concesso in locazione dal compratore/concedente all’utilizzatore/locatario. Al contrario, il fornitore ha il mero interesse alla vendita del suo prodotto e la causa che regge il contratto da lui stipulato con il finanziatore/concedente è quella tipica del contratto di compravendita, ossia il trasferimento del bene in cambio del prezzo. Tant’è che, nella fisiologica evoluzione dell’operazione, il fornitore, una volta consegnato il prodotto all’utilizzatore, esce di scena, essendo assolutamente disinteressato allo svolgersi dell’altra vicenda che concerne la locazione stipulata tra concedente ed utilizzatore. Le circostanze, dunque, che sia proprio l’utilizzatore a scegliere il fornitore, a trattare con lui ed a ricevere la consegna del bene e che il fornitore, a sua volta, sia consapevole che l’acquisto da parte del committente sia finalizzato alla locazione del bene in favore del terzo utilizzatore sono del tutto esterne rispetto alla struttura stessa dei contratti che si vanno a stipulare e non sono capaci di mutarne la causa di ciascuna.

Se è vero quanto finora osservato, è anche vero che lo stesso concedente, una volta determinatosi al finanziamento, è del tutto disinteressato rispetto alla scelta del bene e del fornitore effettuata dall’utilizzatore, posto che, qualunque essa sia, egli è garantito dalla proprietà del bene rispetto all’obbligo del pagamento del canone a carico dell’utilizzatore stesso.

A conferma di quanto finora argomentato soccorre (oltre la menzionata Convenzione di Ottawa) il quadro normativo delineato dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D. Lgs. n. 385 del 1993), il quale, nei contratti di credito collegati ed in ipotesi di inadempimento del fornitore, non consente all’utilizzatore/consumatore (soggetto sicuramente meritevole di maggior tutela rispetto all’imprenditore) di agire direttamente contro il fornitore per la risoluzione del contratto di fornitura, bensì gli consente di chiedere al concedente/finanziatore (dopo avere inutilmente costituito in mora il fornitore) di agire per la risoluzione del contratto di fornitura; richiesta che determina la sospensione del pagamento dei canoni (articolo 125 quinquies, il quale dispone pure che la risoluzione del contratto di fornitura determina la risoluzione di diritto, senza penalità e oneri, del contratto di locazione finanziaria).

Per le ragioni finora esposte deve escludersi pure che l’utilizzatore possa autonomamente esercitare contro il fornitore l’azione di riduzione del prezzo che, quale rimedio sinallagmatico, andrebbe a modificare i termini dello scambio nel rapporto tra concedente e fornitore.

È per tutte queste ragioni che le SU concordano con l’orientamento giurisprudenziale (la cui più approfondita analisi va rinvenuta nella già citata Cassazione n. 17145/06) dal quale possono dedursi le due seguenti considerazioni:

“Tra il contratto di leasing finanziario, concluso tra concedente ed utilizzatore, e quello di fornitura, concluso tra concedente e fornitore allo scopo (noto a quest’ultimo) di soddisfare l’interesse dell’utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa, si verifica un’ipotesi di collegamento negoziale (nella pur persistente individualità propria di ciascun tipo negoziale) in forza del quale l’utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto. Invece, in mancanza di un’espressa previsione normativa al riguardo, l’utilizzatore può esercitare l’azione di risoluzione (o di riduzione del prezzo) del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente (cui esso è estraneo) solamente in presenza di specifica clausola contrattuale con la quale gli venga dal concedente trasferita la propria posizione sostanziale. Il relativo accertamento, trattandosi di questione concernente non la legitimatio ad causam bensì la titolarità attiva del rapporto, è rimesso al giudice del merito in relazione al singolo caso concreto”.

In riferimento ai vizi della cosa, la Suprema Corte afferma il seguente principio:

“In tema di vizi della cosa concessa in locazione finanziaria che la rendano inidonea all’uso, occorre distinguere l’ipotesi in cui gli stessi siano emersi prima della consegna (rifiutata dall’utilizzatore) da quella in cui siano emersi successi- vamente alla stessa perché nascosti o taciuti in mala fede dal fornitore. Il primo caso va assimilato a quello della mancata consegna, con la conseguenza che il concedente, in forza del principio di buona fede, una volta informato della rifiutata consegna, ha il dovere di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore e, ricorrendone i presupposti, di agire verso quest’ultimo per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo. Nel secondo caso, l’utilizzatore ha azione diretta verso il fornitore per l’eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa, mentre il concedente, una volta informato, ha i medesimi doveri di cui al precedente caso. In ogni ipotesi, l’utilizzatore può agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni, compresa la restituzione della somma corrispondente ai canoni già eventualmente pagati al concedente”.