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PCT - Cassazione Civile: valida la sentenza redatta in formato elettronico e sottoscritta con firma digitale

La sentenza redatta in formato elettronico dal giudice e da questi sottoscritta con firma digitale, ai sensi dell’articolo 15 del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, non è affetta da nullità per difetto di sottoscrizione, attesa l’applicabilità al processo civile del cd. “Codice dell’amministrazione digitale”.

Vale la pena ripercorrere le motivazioni della Cassazione. L’articolo 132, comma secondo, n. 5 del codice di procedura civile prescrive che la sentenza debba contenere “la sottoscrizione del giudice” e l’articolo 161, comma secondo, codice di procedura civile stabilisce che la regola di cui al primo comma (per la quale la nullità delle sentenze appellabili e ricorribili per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti di queste impugnazioni) invece “non si applica quando la sentenza manca della sottoscrizione del giudice”.

Notevole l’elaborazione giurisprudenziale concernente due distinti profili interpretativi di quest’ultima disposizione. L’uno attiene ai rimedi per ovviare al vizio della sentenza mancante di sottoscrizione; l’altro, alla natura di questo vizio. Quanto a quest’ultimo (che qui rileva), per la giurisprudenza di legittimità la sottoscrizione della sentenza da parte del giudice costituisce un requisito essenziale della giuridica esistenza del provvedimento, la cui mancanza ne determina la nullità assoluta e insanabile (equiparabile all’inesistenza giuridica), rilevabile anche d’ufficio e anche in esito al giudizio di cassazione (cosi, tra le altre, Cass. n. 15424/00, n. 11739/04, n. 21193/05, n. 21049/06, n. 12167/09, ord. n. 22705/l0).

II principio è stato ridimensionato dalla recente sentenza a Sezioni Unite n. 11021/14, che, superando il contrario orientamento giurisprudenziale prevalente, ha ritenuto affetta da nullità sanabile ai sensi dell’articolo 161, primo comma, codice di procedura civile, la sentenza emessa dal giudice in composizione collegiale priva di una delle due sottoscrizioni (del presidente del collegio ovvero del relatore). In particolare, ha escluso l’equiparabilità della situazione a quella di mancanza assoluta di sottoscrizione, poiché, nel caso di sottoscrizione parziale, secondo la qualificazione data dalle Sezioni Unite, non è in dubbio la provenienza della sentenza dal collegio che vi appare come organo giurisdizionale decidente.

L’attività di sottoscrizione è attività che il codice ascrive personalmente al giudice.

I richiami giurisprudenziali di cui sopra dimostrano che lo scopo dell’articolo 132, comma secondo, n. 5 codice di procedura civile è stato ritenuto raggiunto anche in caso di sottoscrizione, in sé, non riconoscibile, né leggibile, e nemmeno completa, purché composta di segni che consentano di collegarla con chi risulti autore della sentenza da altri elementi contenuti nello stesso provvedimento.

Nel sistema del codice, la sottoscrizione è intesa come segno grafico materialmente proveniente dal giudice.

La sottoscrizione deve essere apposta di pugno dal soggetto che si appropria, per il tramite di essa, della paternità del provvedimento e perciò è legata alla sua persona, quindi necessariamente autografa.

Occorre allora delibare, per un verso, se la firma digitale consente di individuare con certezza l’autore del provvedimento e, per altro verso, se, pur non essendo autografa, sia idonea a perfezionare l’atto processuale, cioè a determinare l’esistenza della sentenza come provvedimento del giudice.

La sentenza impugnata è stata redatta dal giudice in formato elettronico, è stata sottoscritta con firma digitale ed è stata depositata telematicamente nel fascicolo informatico.

Nella propria ricostruzione, la Cassazione rileva che l’articolo 4 del Decreto Legge n. 193 del 2009, convertito nella Legge n. 24 del 2010, intitolato «misure urgenti per la digitalizzazione della giustizia» ha esteso al processo civile i principi previsti dal Decreto Legislativo 7 marzo 2005 n. 82 e successive modificazioni (codice dell’amministrazione digitale: C.A.D.). Perciò, quest’ultimo costituisce, attualmente, l’apparato legislativo di riferimento qualora gli atti processuali di cui agli articoli 121 e seguenti del codice di procedura civile, ed in specie i provvedimenti del giudice, siano contenuti in documenti informatici. Quest’ultima eventualità è consentita, appunto, dal testo del menzionato articolo 4 laddove presuppone «l’adozione nel processo civile [..] delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal Decreto Legislativo 7 marzo 2005 n. 82, e successive modificazioni».

In conclusione, la Suprema Corte, confermando la validità della sentenza, stabilisce che “Le norme tecniche del Provvedimento 18 luglio 2011 (oggi del Provvedimento 16 aprile 2014), rendono possibile che il magistrato («soggetto abilitato interno» secondo la definizione contenuta nell’art. 2, comma primo, lettera m, n. l, dello stesso Regolamento) rediga la sentenza in formato elettronico e la sottoscriva con firma digitale. In particolare, ai sensi del primo comma dell’appena citato art. 15, nella formulazione risultante dalla sostituzione operata dall’art. 2, comma 1, lettera a), del D.M. 15 ottobre 2012 n. 209, «l’atto del processo, redatto in formato elettronico da un soggetto abilitato interno e sottoscritto con firma digitale, è depositato telematicamente nel fascicolo informatico».

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Civile, Sentenza 10 Novembre 2015, n. 22871)

La sentenza redatta in formato elettronico dal giudice e da questi sottoscritta con firma digitale, ai sensi dell’articolo 15 del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, non è affetta da nullità per difetto di sottoscrizione, attesa l’applicabilità al processo civile del cd. “Codice dell’amministrazione digitale”.

Vale la pena ripercorrere le motivazioni della Cassazione. L’articolo 132, comma secondo, n. 5 del codice di procedura civile prescrive che la sentenza debba contenere “la sottoscrizione del giudice” e l’articolo 161, comma secondo, codice di procedura civile stabilisce che la regola di cui al primo comma (per la quale la nullità delle sentenze appellabili e ricorribili per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti di queste impugnazioni) invece “non si applica quando la sentenza manca della sottoscrizione del giudice”.

Notevole l’elaborazione giurisprudenziale concernente due distinti profili interpretativi di quest’ultima disposizione. L’uno attiene ai rimedi per ovviare al vizio della sentenza mancante di sottoscrizione; l’altro, alla natura di questo vizio. Quanto a quest’ultimo (che qui rileva), per la giurisprudenza di legittimità la sottoscrizione della sentenza da parte del giudice costituisce un requisito essenziale della giuridica esistenza del provvedimento, la cui mancanza ne determina la nullità assoluta e insanabile (equiparabile all’inesistenza giuridica), rilevabile anche d’ufficio e anche in esito al giudizio di cassazione (cosi, tra le altre, Cass. n. 15424/00, n. 11739/04, n. 21193/05, n. 21049/06, n. 12167/09, ord. n. 22705/l0).

II principio è stato ridimensionato dalla recente sentenza a Sezioni Unite n. 11021/14, che, superando il contrario orientamento giurisprudenziale prevalente, ha ritenuto affetta da nullità sanabile ai sensi dell’articolo 161, primo comma, codice di procedura civile, la sentenza emessa dal giudice in composizione collegiale priva di una delle due sottoscrizioni (del presidente del collegio ovvero del relatore). In particolare, ha escluso l’equiparabilità della situazione a quella di mancanza assoluta di sottoscrizione, poiché, nel caso di sottoscrizione parziale, secondo la qualificazione data dalle Sezioni Unite, non è in dubbio la provenienza della sentenza dal collegio che vi appare come organo giurisdizionale decidente.

L’attività di sottoscrizione è attività che il codice ascrive personalmente al giudice.

I richiami giurisprudenziali di cui sopra dimostrano che lo scopo dell’articolo 132, comma secondo, n. 5 codice di procedura civile è stato ritenuto raggiunto anche in caso di sottoscrizione, in sé, non riconoscibile, né leggibile, e nemmeno completa, purché composta di segni che consentano di collegarla con chi risulti autore della sentenza da altri elementi contenuti nello stesso provvedimento.

Nel sistema del codice, la sottoscrizione è intesa come segno grafico materialmente proveniente dal giudice.

La sottoscrizione deve essere apposta di pugno dal soggetto che si appropria, per il tramite di essa, della paternità del provvedimento e perciò è legata alla sua persona, quindi necessariamente autografa.

Occorre allora delibare, per un verso, se la firma digitale consente di individuare con certezza l’autore del provvedimento e, per altro verso, se, pur non essendo autografa, sia idonea a perfezionare l’atto processuale, cioè a determinare l’esistenza della sentenza come provvedimento del giudice.

La sentenza impugnata è stata redatta dal giudice in formato elettronico, è stata sottoscritta con firma digitale ed è stata depositata telematicamente nel fascicolo informatico.

Nella propria ricostruzione, la Cassazione rileva che l’articolo 4 del Decreto Legge n. 193 del 2009, convertito nella Legge n. 24 del 2010, intitolato «misure urgenti per la digitalizzazione della giustizia» ha esteso al processo civile i principi previsti dal Decreto Legislativo 7 marzo 2005 n. 82 e successive modificazioni (codice dell’amministrazione digitale: C.A.D.). Perciò, quest’ultimo costituisce, attualmente, l’apparato legislativo di riferimento qualora gli atti processuali di cui agli articoli 121 e seguenti del codice di procedura civile, ed in specie i provvedimenti del giudice, siano contenuti in documenti informatici. Quest’ultima eventualità è consentita, appunto, dal testo del menzionato articolo 4 laddove presuppone «l’adozione nel processo civile [..] delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal Decreto Legislativo 7 marzo 2005 n. 82, e successive modificazioni».

In conclusione, la Suprema Corte, confermando la validità della sentenza, stabilisce che “Le norme tecniche del Provvedimento 18 luglio 2011 (oggi del Provvedimento 16 aprile 2014), rendono possibile che il magistrato («soggetto abilitato interno» secondo la definizione contenuta nell’art. 2, comma primo, lettera m, n. l, dello stesso Regolamento) rediga la sentenza in formato elettronico e la sottoscriva con firma digitale. In particolare, ai sensi del primo comma dell’appena citato art. 15, nella formulazione risultante dalla sostituzione operata dall’art. 2, comma 1, lettera a), del D.M. 15 ottobre 2012 n. 209, «l’atto del processo, redatto in formato elettronico da un soggetto abilitato interno e sottoscritto con firma digitale, è depositato telematicamente nel fascicolo informatico».

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Civile, Sentenza 10 Novembre 2015, n. 22871)