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Mustang – 1

Mustang, Regno di Lo
Mustang, Regno di Lo

Mustang – 1

 

Vi sono al mondo luoghi dove il passato ha narrato storie avvincenti, luoghi dove ancora oggi si può rimanere affascinati anche prima di giungervi. È in uno di questi che mi sto recando. Mi ci vorranno alcuni giorni da Kathmandu perché, come a volte succede, ciò che è prezioso è nascosto ai più. E poi, là al momento non vi sono strade asfaltate, ma solo una pista.

Il Mustang un tempo era denominato Regno di Lo e gravitava nella sfera di influenza del Tibet e anche se non fu mai sottoposto all’autorità del governo di Lhasa, ne dipendeva sicuramente dal punto di vista culturale e linguistico.

È situato nel Nord-Ovest del Nepal alle pendici dell’Himalaya e confinante con il Tibet e la sua popolazione è di etnia thakali e tibetana con prevalenza del gruppo dei gurung.

Fa parte del Nepal dal 1789, quando i Gurka sottomisero tutte le dinastie locali conquistando anche i piccoli regni disseminati lungo la valle del Kali Gandaki. La sua prosperità anticamente fu determinata dal fatto che da lì passava il commercio del sale e della lana tibetani verso l’India, ma quando nel XIX secolo il sale indiano soppiantò quello tibetano, il Mustang perse importanza e rimase progressivamente isolato.

Mustang è un termine che proviene dal tibetano Mön Tang e significa “Pianura fertile” (o anche “Piana dei Mön”, abitanti delle frontiere). La vera denominazione di questa zona è tuttavia un’altra, infatti per i suoi abitanti è Lo, che in tibetano si traduce con “Meridione” (del Tibet). Mustang, pertanto, è un’alterazione del nome della città principale di Lo, Manthang.

Per secoli è stato noto a pochissimi.

Vi giunsero un paio di cappuccini italiani sulla via di Lhasa alla fine del XVII secolo, un monaco giapponese nel 1899. L’orientalista ed esploratore Giuseppe Tucci (1894-1984) fu il primo italiano, nel periodo 1926-1931, ad accedere nel Nepal e nei paesi himalayani. Nel 1952 trascorse in Mustang un paio di settimane. Fosco Maraini chiamò Manthang “gioiello d’antico Tibet”. Nella capitale, fortificata per motivi difensivi in epoca remota, fino agli anni Sessanta le porte d’accesso venivano sbarrate durante la notte e riaperte al mattino.

Tiziano Terzani, che vi si recò nel 1995, scrisse: “... La natura è di una primordiale bellezza. Tutto attorno le montagne sembrano piegarsi, creare delle cupole, delle torri; distendersi in pareti piatte e levigate o ergersi come le canne di un impressionante organo da ciclopi. Nell’assoluto silenzio, che pare quello del cosmo, si ha l’impressione di essere il primo essere umano a muoversi sulla terra dopo il Big Bang. Nel continuo, lento procedere in una pace completa si comincia presto ad avvertire la leggerezza della propria esistenza, l’irrilevanza della propria vita dinnanzi alla grandiosa presenza del divino della natura. È facile capire come per gli uomini, vissuti da secoli in questo paesaggio, il vento non sia altro che il respiro delle montagne, ogni rupe e ogni anfratto la dimora di un dio di cui è importante guadagnarsi la benevolenza”.

Sino agli anni ‘50 il Mustang godette di un particolare status, che ne faceva una specie di principato autonomo. Il Nepal tuttavia, dopo l’invasione del Tibet da parte della Cina, nel 1960 ebbe la necessità di definire le sue frontiere settentrionali. I governanti di Pechino non erano infatti disposti a tollerare la vaghezza giuridica che fino allora era esistita lungo il confine tibeto-nepalese. Fu così che Kathmandu prese a governare direttamente il regno di Lo, anche se con il “Raja Act” del 1962 il re del Mustang, unico tra tutti i piccoli sovrani, poté mantenere il diritto al titolo per sé ed il figlio.

L’appartenenza al Nepal fece sì che templi e monasteri buddisti affrescati, che conservano ricchi tesori d’arte, poterono sfuggire alle distruzioni della Rivoluzione Culturale.