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Ossigeno

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Ossigeno

L’aereo è ancora fermo. Fra poco si avvierà verso la pista di decollo. All’interno tutti sono seduti, meno il personale. Una assistente di volo è ferma all’inizio della cabina e dà le usuali informazioni sul comportamento da tenere in caso di emergenza. Pochi la ascoltano con attenzione, tutto sembra scontato e già vissuto più volte.

Forse è per questo che la mia mente vaga e torna ad una situazione vissuta anni fa.

Mi trovavo a Puerto Maldonado, nella Amazzonia peruviana. Le condizioni meteorologiche ormai da una settimana sembravano impazzite. Forti rovesci accompagnati da violente raffiche di vento impedivano agli aerei di atterrare o decollare e si era ormai accumulata molta gente che inutilmente da giorni cercava di lasciare quella regione.

Essendo pressoché impossibile utilizzare i normali jet a reazione, le autorità decisero di tentare l’evacuazione con un quadrimotore a elica dei paracadutisti. L’aereo fu preso d’assalto dalla gente e fra loro anche io. All’interno non c’erano file di sedili, ma solo ai due lati i posti destinati ai paracadutisti. Io fui uno dei fortunati che riuscirono a sedersi.

Il decollo ed il volo furono effettuati con la gente in piedi. Le persone non cadevano solo perché erano pressate una contro l’altra, non c’era spazio per farlo. Quando sorvolammo le Ande l’aereo evidenziò problemi di pressurizzazione. Dagli appositi vani uscirono maschere per l’ossigeno, ma eravamo una folla in rapporto alle poche maschere che uscirono e che erano predisposte per un molto più contenuto numero di paracadutisti, come avrebbe dovuto essere normalmente.

Presi la maschera che uscì sopra di me, aspirai una profonda boccata di ossigeno, la passai a chi mi stava accanto e poi la vidi proseguire verso le persone in piedi intorno. Cercammo di sincronizzare i nostri movimenti in modo che il giro permettesse a tutti di ricevere una dose sufficiente. Purtroppo in quelle condizioni non era facile. Vidi così svenire delle persone a me vicine. Facemmo il possibile per soccorrerle.

Il tempo sembrava essersi fermato. Mi sembrò poi impossibile riuscire a realizzare quanto durò quella situazione. Fortunatamente, non so neanche io bene come fu, ad un certo punto l’aereo cominciò la discesa. Per quanto provati, nessuno aveva perso la vita.

Come la pellicola di un film che ha finito di scorrere, i miei ricordi adesso mi lasciano tornare al presente.

Faccio in tempo a sentire la ragazza che spiega che in caso di necessità uscirà una maschera di ossigeno per ogni passeggero, ma che, se si ha un bimbo seduto accanto, bisogna ricordarsi di indossare noi la maschera e solo dopo metterla al bambino.

Forse ad alcuni questo può sembrare un nonsenso, un comportamento egoistico al limite della crudeltà, ma c’è una motivazione. Cercando di infilare la maschera al bimbo si potrebbe nel frattempo perdere i sensi e così si resterebbe senza ossigeno in due. Mettendola invece prima sul proprio viso, di sicuro dopo si sarà in grado di aiutare il piccolo.

Penso che questa norma ci possa insegnare non solo come comportarci a bordo di un aereo, ma anche nella vita. A volte capita di incontrare persone in situazione di bisogno ed istintivamente si cerca di aiutarle. Il nostro aiuto, tuttavia, non dovrebbe superare le nostre forze (mentali, fisiche od economiche), perché altrimenti rischieremmo di crollare anche noi e poi non saremmo più in grado di fornire alcun aiuto.

Scorrono i miei pensieri e con essi i ragionamenti sulla vita. Intanto l’aereo ormai lanciato sulla pista alza il muso e si libra in cielo.