A nessuno frega più niente della nazionale
Ah, quindi stasera gioca la nazionale. Bene. Chi gioca? Contro chi giochiamo, e perché? Perché esistono ancora le nazionali? La pausa delle nazionali, ci sarebbe da scriverne un libro. Uno di quelli pesanti, un mattone. Joyce sarebbe l’autore ideale. È un’odissea che sembra non finire mai, quella di noi Ulisse in preda al panico da fantacalcio.
A nessuno frega più niente della nazionale. Forse a nessuno gliene è mai fregato davvero. Pensate che i fischi a Donnarumma (Italia-Galles, oltre che Italia-Spagna a San Siro) siano un episodio isolato? Che bello risvegliarsi garibaldini e non comprendersi a pochi chilometri dal vicino di casa per via dell’accento. Meravigliosa la storia di noi italiani uniti, sempre e comunque. Quindi Totti è un pazzo, quando dice dopo il Mondiale 2006 che “lo scudetto con la Roma vale di più”. Quindi non sono italiani nemmeno quelli che dopo la partita del secolo accolsero gli azzurri con lancio di pomodori all’aeroporto (per aver perso contro il più forte Brasile della storia).
Il problema dei tifosi della nazionale esiste da sempre, come scrive Roberto Perrone sul Foglio. Non avremo mai la compattezza delle altre tifoserie nazionali perché per noi nazione è quasi una parolaccia. Lo siamo, certo, state calmi, dal punto di vista statale. Ma lo siamo davvero? Nella cultura, nella lingua, nella politica? La nazionale unisce, questo è indubbio. E il ruolo della nazionale italiana di calcio nel consolidamento dell’unione nazionale è un fatto storico – come lo è, parallelamente, il tifo contro noi stessi (Italia 90 docet). L’Italia (si) unisce sì, ma solo quando vince. Unisce in vacanza con gli amici, unisce quando una voce straniera ci dice che l’italiano do it better.
L’Italia è quella dei campanili, non quella dell’Unità.
Non c’è una colpa. Non è colpa mia, non è tua, non è nostra. Non è nemmeno colpa dei calciatori che abbandonano furtivamente, come ladri nella notte, il ritiro di Coverciano (per tornare a disposizione dei club). Non è colpa dei media nazionali, che sono nazionali solo per modo di dire poi. Pensate al rapporto tra Bearzot e la stampa. E così Rivera, Baggio, Vicini. Non è un caso se gli eroi della nazionale, spesso, sono eroi non richiesti, altrimenti invisibili, passeggeri, come Totò Schillaci, o Fabio Grosso, o ancora Matteo Pessina. Proprio come gli eroi della nostra storia nazionale. Trattati a pesci in faccia, mutilati, assenti. Il simbolo del nostro Paese? Il milite ignoto, appunto.
Per non parlare poi del popolino italiano, dipinto col tricolore e italianissimo quando c’è da salire sul carro del trionfo, altrimenti brontolone e segretamente campanilistico. Chiellini e Bonucci, assenti contro la Fiorentina per malanni fisici, tornano stoicamente a difendere il tricolore e il suo destino mondiale contro Svizzera e Irlanda del Nord? Vergogna, gridano i tifosi della Juventus (qui le reazioni, esemplificative, ad un post di Riccardo Cucchi sul tema). Immobile si fa male? Lotito è una furia. Valli a biasimare i presidenti. Non se ne esce, è una disputa infinita. Basterebbe tifare l’Italia quelle poche volte che scende in campo. Niente, è più forte di noi: ancora otto giorni al ritorno del campionato, come faremo?
Chiediamoci infine cosa è stato quel festeggiamento furioso, giovanile, liberatorio, dopo Spagna vs Italia e Italia vs Inghilterra? Pensavamo fosse Rinascimento, era nichilismo puro. La nazionale è nostra, non dimentichiamocelo. Ma forse è proprio questo a spaventarci. Gridiamo allo scandalo se i club lanciano fan token, piattaforme virtuali e altre stregonerie lontane dal calore di noi tifosi, ma siamo i primi a reclamare a gran voce il ritorno delle partite di club. Ci fanno schifo, idealmente, le 7 partite in 21 giorni, ma il nostro culo caldo e soddisfatto, h24 sul divano di casa, ci smentisce puntualmente. Wenger continua a proporre il Mondiale ogni due anni. Si vede proprio che è un mangiabaguette.