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Non sussiste il reato di contrabbando doganale per gli scambi Italia - San Marino

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 12 luglio 2012 n. 34256

[Nota a Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 12 luglio 2012 n. 34256, imp. I.P., in D & G, 2012, 10.IX]

La S.C. di Cassazione, con la pronuncia che si annota[1], è di recente intervenuta a risolvere un’annosa contesa: la configurabilità del delitto di contrabbando doganale quando ad essere evasa sia l’Iva in importazione; il destro giunge da una vicenda di cronaca giudiziaria romagnola: questi, in sintesi, i fatti.

Alfa s.a., società corrente nella Repubblica di San Marino e amministrata da Tizio, immatricolava un’imbarcazione da diporto presso il registro delle imbarcazioni della Repubblica di San Marino e concedeva in locazione finanziaria la predetta imbarcazione a Beta s.r.l. – di diritto Sanmarinese – anch’essa amministrata da Tizio. Quest’ultima concedeva a sua volta in locazione l’imbarcazione a Caio, cittadino italiano. Veniva ipotizzata la simulazione del contratto di locazione e la dissimulazione del trasferimento della proprietà; conseguentemente si doveva intendere l’imbarcazione come di proprietà di Caio, cittadino italiano, e, pertanto, definitivamente importata nel territorio della Repubblica Italiana senza che ne fosse seguito il pagamento dell’Iva in importazione, trattandosi di merce proveniente da uno Stato extracomunitario ed introdotta nel territorio doganale dell’U.E.

Il P.M. ipotizzava, a carico di entrambi, la commissione del reato p. e p. dagli artt. 110 c.p., 292 e 295 u.c. d.p.r. 1973 n. 43, 70 d.p.r. 1972 n. 633 ed otteneva dal Gip un decreto di sequestro preventivo. La questione è giunta sino all’esame della Suprema Corte, sia pur per decidere in ordine ad una misura cautelare.

Il primo snodo problematico affrontato nella motivazione riguarda i rapporti tra l’Italia (o, forse, sarebbe meglio dire l’Unione Europea) e la Repubblica di San Marino. Quest’ultima è paese non facente parte dell’Unione Europea ma, ciononostante, in ragione di vincoli pattiziamente assunti fra le parti, gli scambi commerciali che coinvolgono i rispettivi territori vengono effettuati in esenzione da tutti i dazi[2]: non sono, dunque, dovuti i diritti di confine. La Corte, effettuando una ricognizione dei numerosi atti che si sono succeduti nel tempo[3], ha stabilito come non si possa parlare, a proposito dell’UE e della RSM, di un unico territorio doganale (così come accade fra i territori degli Stati Membri dell’Unione); ma che, in ragione della normativa pattizia (che assume valore di trattato internazionale) le parti abbiano convenzionalmente istituito un’Unione doganale, in virtù della quale gli scambi commerciali avvengono, come si preannunciava, in esenzione da tutti i dazi. In ragione di un tanto, se ne desume l’impossibilità di commettere alcuno dei reati di contrabbando casisticamente descritti dal d.p.r. n. 43 del 1973; a mancare sarebbe proprio il presupposto di fondo, ossia la doverosità dei diritti di confine. In buona sostanza, ha senso parlare di contrabbando se, e nella misura in cui, vi sia una linea doganale da superare.

La Corte, però, si è spinta oltre. Ad essere stata evasa, nel caso in esame, era l’Iva in importazione (trattandosi di importazione di merce da un territorio extra UE ad un territorio UE), condotta che trova risposta sanzionatoria (anche) nell’art. 70 d.p.r. 1972/633 (c.d. TU IVA), contenente un esplicito richiamo alle norme in tema di contrabbando doganale. La Corte, superando un vetusto filone giurisprudenziale e ripercorrendo il solco già tracciato da altre pronunce, più o meno recenti[4], ha stabilito come l’Iva non possa essere qualificata come diritto di confine; essa, difatti, sarebbe connotata da ragioni di politica fiscale del tutto eterogenee rispetto ai diritti di confine; l’ordinamento ne avrebbe accomunato la riscossione per mere ragioni di opportunità e/o di comodità: sotto il profilo sostanziale si tratterebbe di istituti completamente diversi. L’Iva, anche in ragione di quanto statuito dalla giurisprudenza comunitaria[5], costituisce un tributo interno. Non essendo l’Iva, pertanto, un diritto di confine, non è possibile costruire in questi termini il reato di contrabbando doganale ex art. 292 t.u.l.d.

La pronuncia[6] sin qui brevemente riassunta è condivisibile unicamente nel risultato finale cui giunge (sia pur con alcune, dovute, precisazioni), ma non lo è per nulla quanto al percorso seguito. Proviamo a spiegarci.

Il caso in esame, analogo ad altri che parimenti impegnano i Tribunali, rende necessario un richiamo alle norme doganali comunitarie[7]; alcune di esse, in presenza di determinate condizioni, stabiliscono alcune ipotesi di esenzione dal versamento dell’Iva per le importazioni di imbarcazioni. Per quanto concerne le imbarcazioni ad uso commerciale[8], difatti, l’imposta sul valore aggiunto non è dovuta se queste vengano impiegate per trasporti che inizino o terminino al di fuori del territorio doganale[9] dell’Unione Europea. Una volta accertato come l’imbarcazione, in realtà, debba considerarsi come definitivamente importata dalla Repubblica di San Marino sul territorio di uno Stato Membro, la relativa Iva in importazione non versata dovrà considerarsi evasa.

Il fatto così descritto (importazione di beni da un paese extra UE nel territorio dell’UE senza il versamento dell’Iva in importazione) è astrattamente sanzionabile da due diverse norme incriminatrici: l’art. 292 d.p.r. 43 del 1973 (t.u.l.d.) e l’art. 70 d.p.r. 1972/633 (t.u. Iva). La prima norma punisce, in via residuale rispetto alle altre ipotesi di contrabbando casisticamente descritte nel t.u.l.d., chiunque sottragga le merci al pagamento dei diritti di confine dovuti[10]. L’astratta riconducibilità del fatto descritto a tale norma non può, però, essere spiegata senza una precisazione; l’art. 34 t.u.l.d. contiene il catalogo dei diritti doganali e, fra i diritti di confine che ne costituiscono una sottocategoria, vi annovera espressamente, ex multis, «…ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato», dunque anche l’Iva. La seconda fra le norme incriminatrici individuate, invece, punisce chi ometta il versamento dell’Iva in importazione.

Si tratta, innanzitutto, di capire se ci si trovi, o meno, di fronte a due distinte ipotesi di reato. L’art. 70 cit., difatti, ha dato luogo a diverse letture sul punto, in ragione del richiamo formulato proprio alle norme in tema di contrabbando: «si applicano, per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine ». La prima soluzione (si tratta di due distinte ed autonome ipotesi di reato) è sorretta da argomentazioni solide. Innanzitutto, il rinvio operato dall’art. 70 cit. è un rinvio esclusivamente quoad poenam[11], con la necessaria conseguenza che la condotta di evasione dell’iva in importazione sia descritta dagli artt. 67 ss. dpr 633/1972: vi è dunque diversità di contenuto fra la risultante fattispecie incriminatrice e il testo dell’art. 292 TULD. In secondo luogo, una lettura diversa della questione renderebbe inutile l’intero argomentare; ad ammettere, come si sostiene, che l’Iva non rientri nel catalogo contenuto nell’art. 34 t.u.l.d., dovremmo altresì condividere che la condotta di evasione dell’iva in importazione sia sanzionata dal solo art. 70 cit.; le ragioni dell’introduzione di tale norma vanno rintracciate nel rafforzamento della protezione dell’Iva in importazione, considerata anche quella che per molti era la dubbia idoneità di tale imposta ad assumere le vesti del diritto di confine (prognosi evidentemente fausta, considerato quanto in commento) e quindi a trovare protezione nelle norme che puniscono il contrabbando. Se opinassimo diversamente, la norma in esame sarebbe del tutto inutile (ed è noto il canone ermeneutico suppletivo): la vecchia legge doganale[12] vigente all’epoca di approvazione del testo unico Iva prevedeva infatti, al suo articolo 7, che anche le imposte sui consumi rientrassero tra i diritti di confine dovuti, per cui il fatto era già sanzionato. Sostenere che si tratti di un’unica fattispecie incriminatrice implica che l’approvazione dell’art. 70 cit., con un espresso richiamo al t.u.l.d., costituisca un’inutile ridondanza: a che pro introdurre la norma se il fatto trovava già la reazione punitiva dall’ordinamento (peraltro con un richiamo proprio alle stesse norme sul contrabbando!) se non con l’intento di introdurre un nuova ipotesi di reato? La sensazione che il fatto non rientrasse nel tipo descritto dall’art. 292 t.u.l.d. (sia pur per ragioni che non si condividono) ci lascia pensare, con un buon grado di approssimazione, che l’intento fosse proprio quello di rafforzare la tutela dell’iva nelle operazione di importazione extra UE, con la creazione di una fattispecie incriminatrice ad hoc. La giurisprudenza[13], a miglior riprova di quanto si deduce, è costante in tal senso, unitamente ad autorevole dottrina[14].

Di fronte ad un concorso apparente di norme, si tratta di individuare un criterio risolutore; soccorre in aiuto l’unico strumento che il legislatore ha espressamente fornito in dotazione all’interprete: il principio di specialità. Fra le norme chiamate in causa, difatti, sussiste un evidente rapporto di genere a specie; mentre l’art. 292 t.u.l.d. punisce chiunque sottragga le merci al pagamento dei diritti di confine dovuti, qualunque sia la movimentazione di merce (importazione od esportazione) e qualunque sia il diritto di confine di cui si ometta il versamento, ai sensi dell’art. 70 TU IVA rileva solamente quella particolare movimentazione di merce che è l’importazione da un paese extra Ue e quel particolare diritto di confine che è l’Iva (complice, naturalmente, il chiaro dettato dell’art. 34 t.u.l.d.). Vi è dunque specialità per specificazione rispetto alla movimentazione di merce (solo importazione) e rispetto all’individuazione del diritto di confine dovuto (solo l’Iva); certa dottrina[15] segnala poi altro profilo di specialità: del delitto di contrabbando rispondere anche chi detenga, a vario titolo e successivamente all’ingresso nel territorio UE, la merce; dell’Iva in importazione risponderebbe solo l’importatore, così restringendosi, sempre per specificazione, anche il novero dei soggetti attivi.

Rebus sic stantibus, ci sembra che le conclusioni siano mature.

In forza del principio racchiuso nell’art. 15 c.p., nel caso di omesso versamento dell’Iva in importazione di merce da paese extra UE troverà applicazione il solo art. 70 d.p.r. 633/1972, appunto perché speciale rispetto alla condotta descritta dall’art. 292 t.u.l.d.: non, dunque, perché l’iva non è un diritto di confine (non lo è strutturalmente – e possiamo essere d’accordo – ma normativamente la circostanza non pare revocabile in dubbio). Tale conclusione vale, in linea generale e salvo eccezioni, per tutti i paesi extra Ue. Ma ciò non toglie che, laddove dovesse venire meno per assurdo la fattispecie p. e p. dall’art. 70 cit. (pur rimanendo dovuta l’Iva sotto il profilo fiscale), non vi sono dubbi circa la riespansione della norma generale, con la conseguente configurabilità del delitto di contrabbando. Il discrimine non è sostanziale, ma puramente normativo.

Diversamente, potrebbe accadere, ed è proprio il caso della RSM, che sia contestabile solo l’art. 70 cit. perché, per ragioni peculiari, la configurabilità del delitto di contrabbando è preclusa in radice.

Le due cose, difatti, non vanno confuse. L’iva è certamente un diritto di confine ai fini della normativa in tema di contrabbando ma, si badi bene, non è dovuta perché sono dovuti i diritti di confine (essa, difatti, è dovuta ad es. anche nell’importazione di merce dalla confederazione elvetica[16] - con la quale l’Italia ha eliminato i diritti di confine - salva naturalmente la c.d. doppia imposizione); altrimenti, se ragionassimo diversamente, proprio in questo caso (quello della RSM) non essendo dovuti i diritti di confine non sarebbe dovuta nemmeno l’Iva, e non avrebbe senso porsi l’intero problema. In realtà l’Iva è dovuta perché ci troviamo di fronte ad un’importazione in un paese UE di merce proveniente da un paese extra UE. La doverosità dell’iva in importazione ha, pertanto, presupposti suoi propri che prescindono dalla fissazione dei diritti di confine: in fin dei conti ce lo dice a gran voce la giurisprudenza che si tratta di istituti contenutisticamente assai diversi, e l’assunto è certamente da condividere sul piano sostanziale; una volta, però, che l’Iva è dovuta, essa da un punto di vista formale è considerata diritto di confine, e dunque in astratto è configurabile il delitto di contrabbando, salvo la specialità della previsione citata.

In linea tendenziale, pertanto, sarà applicabile sempre l’art. 70 cit., con esclusione dell’art. 292 cit. perché lex generalis; laddove venisse meno, per qualche motivo, il TU Iva, sarebbe applicabile per tutti i paesi extra UE il delitto di contrabbando, salvo, de iure condito, i paesi rispetto ai quali la CE ha escluso i diritti di confine, equiparandoli al territorio doganale della CE. Solo se essi sono dovuti, difatti, l’Iva (parimenti dovuta ma sulla base di presupposti suoi propri) andrà a “riempire” anche la previsione di cui all’art. 292 t.u.l.d., norma che resterà “dietro le quinte” sin tanto che ne esista un’altra che vi deroghi per specialità; quando non sono dovuti i diritti di confine, invece, manca proprio un “contenitore” da riempire; permanendo, se del caso, la sola evasione dell’Iva in importazione ex art. 70 cit.

Da ultimo mette conto segnalare come l’applicazione, per specialità, del solo art. 70 cit., non faccia venir meno la possibilità di procedere alla confisca ex art. 301 d.p.r. 43/1973 (e, in fase di indagini, al sequestro preventivo a ciò finalizzato); nella locuzione «si applicano, per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine » la giurisprudenza[17] ritiene vi si possa far rientrare anche la disciplina della confisca ex art. 301 cit.[18].

[1] Di identico contenuto la più recente Cass. pen., sez. III, 7.11.2012 – 17.01.2013 n. 2353, imp. P., in D & G, 18.01.2013, annotata da Galasso d., Gli scambi doganali fra Italia e San Marino sono esenti da tutti i dazi all’importazione ed all’esportazione, in D & G, 18 gennaio 2013.

[2] Cfr. Accordo firmato a Bruxelles il 16.12.1991 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee del 22.11.1991 (N. C 302/11 ss.), entrato provvisoriamente in vigore in ragione dell’Accordo interinale firmato in data 27.11.1992 (il cui articolo 5 coincideva integralmente con l’art. 6 dell’Accordo del 1991), in attesa dell’approvazione da parte parlamenti nazionali, raggiunta solo nel 2002.

[3] Reg. CE 2913/1992 istitutivo dell’unione doganale fra i territori degli Stati Membri, modificato nel 1997; attualmente il TU doganale per l’UE è contenuto nel reg. 450/2008.

[4] Cfr., ad es., Cass. pen., sez. III, 6.10.2011 n. 42073.

[5] Causa n. 299/86, sezione VI della Corte di Giustizia CE, procedimento penale a carico di Rainer Drexl, domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte d’Appello di Genova.

[6] Che ha peraltro trovato conferma ancor più di recente: cfr. Cass. pen., sez. III, 7.11.2012-17.01.2013 n. 2353, imp. P., con nota di Galasso d., Gli scambi doganali fra Italia e San Marino sono esenti da tutti i dazi all’importazione ed all’esportazione, in D & G, 18 gennaio 2013

[7] Reg. CE 450/2008.

[8] Dovendosi intendere per uso commerciale, ai sensi dell’art. 555 reg. CE 2354/93, «l’uso di mezzi di trasporto per il trasporto di persone a titolo oneroso o per il trasporto industriale o commerciale di merci, a titolo oneroso o gratuito»

[9] Ai sensi dell’art. 558 reg. CE 2354/93 «L’esonero totale dai dazi all’importazione è concesso per i mezzi di trasporto stradale e ferroviario, nonché per i mezzi di trasporto adibiti alla navigazione aerea, alla navigazione marittima e nelle acque interne, purché sussistano le seguenti condizioni: che siano immatricolati fuori del territorio doganale della Comunità a nome di una persona stabilità fuori di tale territorio; se i veicoli non sono immatricolati, questa condizione può considerarsi osservata qualora appartengano a persona stabilità fuori del territorio doganale della Comunità; b) che siano utilizzati da una persona stabilità fuori del territorio doganale della Comunità, salvo il disposto degli artt. 55, 560 e 561; c) che, in caso di uso commerciale di mezzi di trasporto non ferroviario, siano utilizzati esclusivamente per un trasporto che inizia o termina fuori del territorio doganale della Comunità»

[10] In generale, a proposito del reato di contrabbando doganale, cfr. amplius Azzali g., voce Contrabbando doganale, in Enc. Dir.; Flora G., voce Contrabbando doganale, in Digesto Disc. Pen.; De Vincentiis c., voce Contrabbando doganale, in Novissimo Digesto (appendice II), Torino, 1981; Ruggiero g., artt. 216, 282-301 d.p.r. 43/1973, in Gaito a. – Ronco m., Leggi penali complementari commentate, Torino, 2009; Nuzzo f., artt. 282 – 301, in Padovani T. (a cura di), Leggi penali complementari, Milano, 2007; Di Amato A., Diritto penale dell’impresa, Milano, 1995; Di Amato a., artt. 282 – 301 d.p.r. 43/1973, in Codice di diritto penale delle imprese e delle società, Milano 2011.

[11] Ribadisce il concetto anche la pronuncia che si annota.

[12] L. n. 1424 del 1940:

[13] Cass. pen., sez. III, 6.10.2011 n. 42073 imp. V.V. e altro; Cass. pen., 17.3.2010 n. 16760, imp. T.D. e altro, in D & G 2010; Cass. pen., sez. III, 2.4.2009 n. 14486 (ud. 26.11.2008); Cass. pen., sez. III, 4.7.2007 n. 36198, imp. D.F., in CED 2010; Cass. pen., sez. III,, 20.06.1998 n. 7932, imp. Staiti, in Giust. Pen. 1999 II, 540; Cass. pen., sez. III. 18.02.1998 n. 665, imp. Zaccaria, in Cass. pen. 1999, 291; si era già espresso in tal senso, a proposito delle importazioni di argento dalla confederazioni elvetica, Cass. pen., sez. III, 19.01.1994, imp. Antoci e altro, in Cass. pen. 1994, 2222; in questi stessi termini anche Cass. pen., sez. III, 5.6.1981, imp. Lentini, in Giust. Pen. 1982, II, 76. Affermano con perplessità l’assunto, in esito ad una ricognizione di giurisprudenza non condivisa, Donà g. – Viscardini w., La tutela penale e amministrativa degli operatori economici e gli interessi finanziari dell’Unione Europea, Padova, 2000. Contra un isolato precedente: Corte d’Appello di Milano, 09.11.1992, imp. Antoci e altro, annullato in ultima istanza.

[14] Nuzzo f., artt. 292, in Padovani T. (a cura di), Leggi penali complementari, Milano, 2007, 904.

[15] Ibidem

[16] Cfr., ex multis, Cass. pen., sez. III, 03.03.2005 n. 17835, imp. S, in CED Cassazione 2005, nonché Cass. Pen., sez. III, 22.03.2005 n. 17432.

[17]Cfr. Cass. pen., sez. III, 03.03.2005 n. 17835, imp. S., in Cass. Pen. 2007, 2, 757, che richiama il concetto di sanzioni, indicato dall’art. 70 d.p.r. 1972/633, in senso ampio, come comprensivo anche delle misure di sicurezza patrimoniali fra cui la confisca. Nello stesso senso anche Cass. pen., sez. III, 02.12.1997 n. 3549 (c.c. 29.10.1997), P.M. in proc. Ratti, pronuncia che ha altresì cura di specificare come la confisca speciale di cui all’art. 301 cit. non presuppone una sentenza di condanna e, pertanto, può applicarsi anche nelle ipotesi di dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

[18] Si potrebbe, eventualmente, interrogarsi sulla riconducibilità al concetto di sanzione, e non al binario della misure di sicurezza, di questo tipo di confisca.

[Nota a Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 12 luglio 2012 n. 34256, imp. I.P., in D & G, 2012, 10.IX]

La S.C. di Cassazione, con la pronuncia che si annota[1], è di recente intervenuta a risolvere un’annosa contesa: la configurabilità del delitto di contrabbando doganale quando ad essere evasa sia l’Iva in importazione; il destro giunge da una vicenda di cronaca giudiziaria romagnola: questi, in sintesi, i fatti.

Alfa s.a., società corrente nella Repubblica di San Marino e amministrata da Tizio, immatricolava un’imbarcazione da diporto presso il registro delle imbarcazioni della Repubblica di San Marino e concedeva in locazione finanziaria la predetta imbarcazione a Beta s.r.l. – di diritto Sanmarinese – anch’essa amministrata da Tizio. Quest’ultima concedeva a sua volta in locazione l’imbarcazione a Caio, cittadino italiano. Veniva ipotizzata la simulazione del contratto di locazione e la dissimulazione del trasferimento della proprietà; conseguentemente si doveva intendere l’imbarcazione come di proprietà di Caio, cittadino italiano, e, pertanto, definitivamente importata nel territorio della Repubblica Italiana senza che ne fosse seguito il pagamento dell’Iva in importazione, trattandosi di merce proveniente da uno Stato extracomunitario ed introdotta nel territorio doganale dell’U.E.

Il P.M. ipotizzava, a carico di entrambi, la commissione del reato p. e p. dagli artt. 110 c.p., 292 e 295 u.c. d.p.r. 1973 n. 43, 70 d.p.r. 1972 n. 633 ed otteneva dal Gip un decreto di sequestro preventivo. La questione è giunta sino all’esame della Suprema Corte, sia pur per decidere in ordine ad una misura cautelare.

Il primo snodo problematico affrontato nella motivazione riguarda i rapporti tra l’Italia (o, forse, sarebbe meglio dire l’Unione Europea) e la Repubblica di San Marino. Quest’ultima è paese non facente parte dell’Unione Europea ma, ciononostante, in ragione di vincoli pattiziamente assunti fra le parti, gli scambi commerciali che coinvolgono i rispettivi territori vengono effettuati in esenzione da tutti i dazi[2]: non sono, dunque, dovuti i diritti di confine. La Corte, effettuando una ricognizione dei numerosi atti che si sono succeduti nel tempo[3], ha stabilito come non si possa parlare, a proposito dell’UE e della RSM, di un unico territorio doganale (così come accade fra i territori degli Stati Membri dell’Unione); ma che, in ragione della normativa pattizia (che assume valore di trattato internazionale) le parti abbiano convenzionalmente istituito un’Unione doganale, in virtù della quale gli scambi commerciali avvengono, come si preannunciava, in esenzione da tutti i dazi. In ragione di un tanto, se ne desume l’impossibilità di commettere alcuno dei reati di contrabbando casisticamente descritti dal d.p.r. n. 43 del 1973; a mancare sarebbe proprio il presupposto di fondo, ossia la doverosità dei diritti di confine. In buona sostanza, ha senso parlare di contrabbando se, e nella misura in cui, vi sia una linea doganale da superare.

La Corte, però, si è spinta oltre. Ad essere stata evasa, nel caso in esame, era l’Iva in importazione (trattandosi di importazione di merce da un territorio extra UE ad un territorio UE), condotta che trova risposta sanzionatoria (anche) nell’art. 70 d.p.r. 1972/633 (c.d. TU IVA), contenente un esplicito richiamo alle norme in tema di contrabbando doganale. La Corte, superando un vetusto filone giurisprudenziale e ripercorrendo il solco già tracciato da altre pronunce, più o meno recenti[4], ha stabilito come l’Iva non possa essere qualificata come diritto di confine; essa, difatti, sarebbe connotata da ragioni di politica fiscale del tutto eterogenee rispetto ai diritti di confine; l’ordinamento ne avrebbe accomunato la riscossione per mere ragioni di opportunità e/o di comodità: sotto il profilo sostanziale si tratterebbe di istituti completamente diversi. L’Iva, anche in ragione di quanto statuito dalla giurisprudenza comunitaria[5], costituisce un tributo interno. Non essendo l’Iva, pertanto, un diritto di confine, non è possibile costruire in questi termini il reato di contrabbando doganale ex art. 292 t.u.l.d.

La pronuncia[6] sin qui brevemente riassunta è condivisibile unicamente nel risultato finale cui giunge (sia pur con alcune, dovute, precisazioni), ma non lo è per nulla quanto al percorso seguito. Proviamo a spiegarci.

Il caso in esame, analogo ad altri che parimenti impegnano i Tribunali, rende necessario un richiamo alle norme doganali comunitarie[7]; alcune di esse, in presenza di determinate condizioni, stabiliscono alcune ipotesi di esenzione dal versamento dell’Iva per le importazioni di imbarcazioni. Per quanto concerne le imbarcazioni ad uso commerciale[8], difatti, l’imposta sul valore aggiunto non è dovuta se queste vengano impiegate per trasporti che inizino o terminino al di fuori del territorio doganale[9] dell’Unione Europea. Una volta accertato come l’imbarcazione, in realtà, debba considerarsi come definitivamente importata dalla Repubblica di San Marino sul territorio di uno Stato Membro, la relativa Iva in importazione non versata dovrà considerarsi evasa.

Il fatto così descritto (importazione di beni da un paese extra UE nel territorio dell’UE senza il versamento dell’Iva in importazione) è astrattamente sanzionabile da due diverse norme incriminatrici: l’art. 292 d.p.r. 43 del 1973 (t.u.l.d.) e l’art. 70 d.p.r. 1972/633 (t.u. Iva). La prima norma punisce, in via residuale rispetto alle altre ipotesi di contrabbando casisticamente descritte nel t.u.l.d., chiunque sottragga le merci al pagamento dei diritti di confine dovuti[10]. L’astratta riconducibilità del fatto descritto a tale norma non può, però, essere spiegata senza una precisazione; l’art. 34 t.u.l.d. contiene il catalogo dei diritti doganali e, fra i diritti di confine che ne costituiscono una sottocategoria, vi annovera espressamente, ex multis, «…ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato», dunque anche l’Iva. La seconda fra le norme incriminatrici individuate, invece, punisce chi ometta il versamento dell’Iva in importazione.

Si tratta, innanzitutto, di capire se ci si trovi, o meno, di fronte a due distinte ipotesi di reato. L’art. 70 cit., difatti, ha dato luogo a diverse letture sul punto, in ragione del richiamo formulato proprio alle norme in tema di contrabbando: «si applicano, per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine ». La prima soluzione (si tratta di due distinte ed autonome ipotesi di reato) è sorretta da argomentazioni solide. Innanzitutto, il rinvio operato dall’art. 70 cit. è un rinvio esclusivamente quoad poenam[11], con la necessaria conseguenza che la condotta di evasione dell’iva in importazione sia descritta dagli artt. 67 ss. dpr 633/1972: vi è dunque diversità di contenuto fra la risultante fattispecie incriminatrice e il testo dell’art. 292 TULD. In secondo luogo, una lettura diversa della questione renderebbe inutile l’intero argomentare; ad ammettere, come si sostiene, che l’Iva non rientri nel catalogo contenuto nell’art. 34 t.u.l.d., dovremmo altresì condividere che la condotta di evasione dell’iva in importazione sia sanzionata dal solo art. 70 cit.; le ragioni dell’introduzione di tale norma vanno rintracciate nel rafforzamento della protezione dell’Iva in importazione, considerata anche quella che per molti era la dubbia idoneità di tale imposta ad assumere le vesti del diritto di confine (prognosi evidentemente fausta, considerato quanto in commento) e quindi a trovare protezione nelle norme che puniscono il contrabbando. Se opinassimo diversamente, la norma in esame sarebbe del tutto inutile (ed è noto il canone ermeneutico suppletivo): la vecchia legge doganale[12] vigente all’epoca di approvazione del testo unico Iva prevedeva infatti, al suo articolo 7, che anche le imposte sui consumi rientrassero tra i diritti di confine dovuti, per cui il fatto era già sanzionato. Sostenere che si tratti di un’unica fattispecie incriminatrice implica che l’approvazione dell’art. 70 cit., con un espresso richiamo al t.u.l.d., costituisca un’inutile ridondanza: a che pro introdurre la norma se il fatto trovava già la reazione punitiva dall’ordinamento (peraltro con un richiamo proprio alle stesse norme sul contrabbando!) se non con l’intento di introdurre un nuova ipotesi di reato? La sensazione che il fatto non rientrasse nel tipo descritto dall’art. 292 t.u.l.d. (sia pur per ragioni che non si condividono) ci lascia pensare, con un buon grado di approssimazione, che l’intento fosse proprio quello di rafforzare la tutela dell’iva nelle operazione di importazione extra UE, con la creazione di una fattispecie incriminatrice ad hoc. La giurisprudenza[13], a miglior riprova di quanto si deduce, è costante in tal senso, unitamente ad autorevole dottrina[14].

Di fronte ad un concorso apparente di norme, si tratta di individuare un criterio risolutore; soccorre in aiuto l’unico strumento che il legislatore ha espressamente fornito in dotazione all’interprete: il principio di specialità. Fra le norme chiamate in causa, difatti, sussiste un evidente rapporto di genere a specie; mentre l’art. 292 t.u.l.d. punisce chiunque sottragga le merci al pagamento dei diritti di confine dovuti, qualunque sia la movimentazione di merce (importazione od esportazione) e qualunque sia il diritto di confine di cui si ometta il versamento, ai sensi dell’art. 70 TU IVA rileva solamente quella particolare movimentazione di merce che è l’importazione da un paese extra Ue e quel particolare diritto di confine che è l’Iva (complice, naturalmente, il chiaro dettato dell’art. 34 t.u.l.d.). Vi è dunque specialità per specificazione rispetto alla movimentazione di merce (solo importazione) e rispetto all’individuazione del diritto di confine dovuto (solo l’Iva); certa dottrina[15] segnala poi altro profilo di specialità: del delitto di contrabbando rispondere anche chi detenga, a vario titolo e successivamente all’ingresso nel territorio UE, la merce; dell’Iva in importazione risponderebbe solo l’importatore, così restringendosi, sempre per specificazione, anche il novero dei soggetti attivi.

Rebus sic stantibus, ci sembra che le conclusioni siano mature.

In forza del principio racchiuso nell’art. 15 c.p., nel caso di omesso versamento dell’Iva in importazione di merce da paese extra UE troverà applicazione il solo art. 70 d.p.r. 633/1972, appunto perché speciale rispetto alla condotta descritta dall’art. 292 t.u.l.d.: non, dunque, perché l’iva non è un diritto di confine (non lo è strutturalmente – e possiamo essere d’accordo – ma normativamente la circostanza non pare revocabile in dubbio). Tale conclusione vale, in linea generale e salvo eccezioni, per tutti i paesi extra Ue. Ma ciò non toglie che, laddove dovesse venire meno per assurdo la fattispecie p. e p. dall’art. 70 cit. (pur rimanendo dovuta l’Iva sotto il profilo fiscale), non vi sono dubbi circa la riespansione della norma generale, con la conseguente configurabilità del delitto di contrabbando. Il discrimine non è sostanziale, ma puramente normativo.

Diversamente, potrebbe accadere, ed è proprio il caso della RSM, che sia contestabile solo l’art. 70 cit. perché, per ragioni peculiari, la configurabilità del delitto di contrabbando è preclusa in radice.

Le due cose, difatti, non vanno confuse. L’iva è certamente un diritto di confine ai fini della normativa in tema di contrabbando ma, si badi bene, non è dovuta perché sono dovuti i diritti di confine (essa, difatti, è dovuta ad es. anche nell’importazione di merce dalla confederazione elvetica[16] - con la quale l’Italia ha eliminato i diritti di confine - salva naturalmente la c.d. doppia imposizione); altrimenti, se ragionassimo diversamente, proprio in questo caso (quello della RSM) non essendo dovuti i diritti di confine non sarebbe dovuta nemmeno l’Iva, e non avrebbe senso porsi l’intero problema. In realtà l’Iva è dovuta perché ci troviamo di fronte ad un’importazione in un paese UE di merce proveniente da un paese extra UE. La doverosità dell’iva in importazione ha, pertanto, presupposti suoi propri che prescindono dalla fissazione dei diritti di confine: in fin dei conti ce lo dice a gran voce la giurisprudenza che si tratta di istituti contenutisticamente assai diversi, e l’assunto è certamente da condividere sul piano sostanziale; una volta, però, che l’Iva è dovuta, essa da un punto di vista formale è considerata diritto di confine, e dunque in astratto è configurabile il delitto di contrabbando, salvo la specialità della previsione citata.

In linea tendenziale, pertanto, sarà applicabile sempre l’art. 70 cit., con esclusione dell’art. 292 cit. perché lex generalis; laddove venisse meno, per qualche motivo, il TU Iva, sarebbe applicabile per tutti i paesi extra UE il delitto di contrabbando, salvo, de iure condito, i paesi rispetto ai quali la CE ha escluso i diritti di confine, equiparandoli al territorio doganale della CE. Solo se essi sono dovuti, difatti, l’Iva (parimenti dovuta ma sulla base di presupposti suoi propri) andrà a “riempire” anche la previsione di cui all’art. 292 t.u.l.d., norma che resterà “dietro le quinte” sin tanto che ne esista un’altra che vi deroghi per specialità; quando non sono dovuti i diritti di confine, invece, manca proprio un “contenitore” da riempire; permanendo, se del caso, la sola evasione dell’Iva in importazione ex art. 70 cit.

Da ultimo mette conto segnalare come l’applicazione, per specialità, del solo art. 70 cit., non faccia venir meno la possibilità di procedere alla confisca ex art. 301 d.p.r. 43/1973 (e, in fase di indagini, al sequestro preventivo a ciò finalizzato); nella locuzione «si applicano, per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine » la giurisprudenza[17] ritiene vi si possa far rientrare anche la disciplina della confisca ex art. 301 cit.[18].

[1] Di identico contenuto la più recente Cass. pen., sez. III, 7.11.2012 – 17.01.2013 n. 2353, imp. P., in D & G, 18.01.2013, annotata da Galasso d., Gli scambi doganali fra Italia e San Marino sono esenti da tutti i dazi all’importazione ed all’esportazione, in D & G, 18 gennaio 2013.

[2] Cfr. Accordo firmato a Bruxelles il 16.12.1991 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee del 22.11.1991 (N. C 302/11 ss.), entrato provvisoriamente in vigore in ragione dell’Accordo interinale firmato in data 27.11.1992 (il cui articolo 5 coincideva integralmente con l’art. 6 dell’Accordo del 1991), in attesa dell’approvazione da parte parlamenti nazionali, raggiunta solo nel 2002.

[3] Reg. CE 2913/1992 istitutivo dell’unione doganale fra i territori degli Stati Membri, modificato nel 1997; attualmente il TU doganale per l’UE è contenuto nel reg. 450/2008.

[4] Cfr., ad es., Cass. pen., sez. III, 6.10.2011 n. 42073.

[5] Causa n. 299/86, sezione VI della Corte di Giustizia CE, procedimento penale a carico di Rainer Drexl, domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte d’Appello di Genova.

[6] Che ha peraltro trovato conferma ancor più di recente: cfr. Cass. pen., sez. III, 7.11.2012-17.01.2013 n. 2353, imp. P., con nota di Galasso d., Gli scambi doganali fra Italia e San Marino sono esenti da tutti i dazi all’importazione ed all’esportazione, in D & G, 18 gennaio 2013

[7] Reg. CE 450/2008.

[8] Dovendosi intendere per uso commerciale, ai sensi dell’art. 555 reg. CE 2354/93, «l’uso di mezzi di trasporto per il trasporto di persone a titolo oneroso o per il trasporto industriale o commerciale di merci, a titolo oneroso o gratuito»

[9] Ai sensi dell’art. 558 reg. CE 2354/93 «L’esonero totale dai dazi all’importazione è concesso per i mezzi di trasporto stradale e ferroviario, nonché per i mezzi di trasporto adibiti alla navigazione aerea, alla navigazione marittima e nelle acque interne, purché sussistano le seguenti condizioni: che siano immatricolati fuori del territorio doganale della Comunità a nome di una persona stabilità fuori di tale territorio; se i veicoli non sono immatricolati, questa condizione può considerarsi osservata qualora appartengano a persona stabilità fuori del territorio doganale della Comunità; b) che siano utilizzati da una persona stabilità fuori del territorio doganale della Comunità, salvo il disposto degli artt. 55, 560 e 561; c) che, in caso di uso commerciale di mezzi di trasporto non ferroviario, siano utilizzati esclusivamente per un trasporto che inizia o termina fuori del territorio doganale della Comunità»

[10] In generale, a proposito del reato di contrabbando doganale, cfr. amplius Azzali g., voce Contrabbando doganale, in Enc. Dir.; Flora G., voce Contrabbando doganale, in Digesto Disc. Pen.; De Vincentiis c., voce Contrabbando doganale, in Novissimo Digesto (appendice II), Torino, 1981; Ruggiero g., artt. 216, 282-301 d.p.r. 43/1973, in Gaito a. – Ronco m., Leggi penali complementari commentate, Torino, 2009; Nuzzo f., artt. 282 – 301, in Padovani T. (a cura di), Leggi penali complementari, Milano, 2007; Di Amato A., Diritto penale dell’impresa, Milano, 1995; Di Amato a., artt. 282 – 301 d.p.r. 43/1973, in Codice di diritto penale delle imprese e delle società, Milano 2011.

[11] Ribadisce il concetto anche la pronuncia che si annota.

[12] L. n. 1424 del 1940:

[13] Cass. pen., sez. III, 6.10.2011 n. 42073 imp. V.V. e altro; Cass. pen., 17.3.2010 n. 16760, imp. T.D. e altro, in D & G 2010; Cass. pen., sez. III, 2.4.2009 n. 14486 (ud. 26.11.2008); Cass. pen., sez. III, 4.7.2007 n. 36198, imp. D.F., in CED 2010; Cass. pen., sez. III,, 20.06.1998 n. 7932, imp. Staiti, in Giust. Pen. 1999 II, 540; Cass. pen., sez. III. 18.02.1998 n. 665, imp. Zaccaria, in Cass. pen. 1999, 291; si era già espresso in tal senso, a proposito delle importazioni di argento dalla confederazioni elvetica, Cass. pen., sez. III, 19.01.1994, imp. Antoci e altro, in Cass. pen. 1994, 2222; in questi stessi termini anche Cass. pen., sez. III, 5.6.1981, imp. Lentini, in Giust. Pen. 1982, II, 76. Affermano con perplessità l’assunto, in esito ad una ricognizione di giurisprudenza non condivisa, Donà g. – Viscardini w., La tutela penale e amministrativa degli operatori economici e gli interessi finanziari dell’Unione Europea, Padova, 2000. Contra un isolato precedente: Corte d’Appello di Milano, 09.11.1992, imp. Antoci e altro, annullato in ultima istanza.

[14] Nuzzo f., artt. 292, in Padovani T. (a cura di), Leggi penali complementari, Milano, 2007, 904.

[15] Ibidem

[16] Cfr., ex multis, Cass. pen., sez. III, 03.03.2005 n. 17835, imp. S, in CED Cassazione 2005, nonché Cass. Pen., sez. III, 22.03.2005 n. 17432.

[17]Cfr. Cass. pen., sez. III, 03.03.2005 n. 17835, imp. S., in Cass. Pen. 2007, 2, 757, che richiama il concetto di sanzioni, indicato dall’art. 70 d.p.r. 1972/633, in senso ampio, come comprensivo anche delle misure di sicurezza patrimoniali fra cui la confisca. Nello stesso senso anche Cass. pen., sez. III, 02.12.1997 n. 3549 (c.c. 29.10.1997), P.M. in proc. Ratti, pronuncia che ha altresì cura di specificare come la confisca speciale di cui all’art. 301 cit. non presuppone una sentenza di condanna e, pertanto, può applicarsi anche nelle ipotesi di dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

[18] Si potrebbe, eventualmente, interrogarsi sulla riconducibilità al concetto di sanzione, e non al binario della misure di sicurezza, di questo tipo di confisca.