Oscuramento giornali online: la Cassazione vieta il sequestro preventivo della testata
Un giornale online può essere assimilabile al concetto più ampio di “stampa” e “soggiace alla normativa, di rango costituzionale e di livello ordinario, che disciplina l’attività di informazione professionale diretta al pubblico”. A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione, con una sentenza depositata dalle Sezioni Unite penali. Una testata giornalistica pubblicata sul web non può dunque essere oggetto di sequestro preventivo per reato di diffamazione a mezzo stampa, così come è già previsto per le edizioni cartacee.
La sentenza in questione riguarda Il Giornale.it e i giornalisti Luca Fazzo e Alessandro Sallusti, indagati per diffamazione a mezzo stampa di un magistrato della Cassazione. Il GIP di Monza aveva disposto l’oscuramento della pagina web de Il Giornale.it contenente l’articolo “incriminato” come disposizione preventiva, confermata poi dal Tribunale del Riesame. La Suprema Corte ha invece annullato tale disposizione redigendo un’approfondita sentenza che pone l’attenzione su due modalità di pubblicazione in rete: da una parte le testate giornalistiche online, che possono appunto essere assimilate alle pubblicazioni a mezzo stampa perché hanno un direttore responsabile e un’organizzazione redazionale; dall’altra blog, newsletter, forum, mailing list, social network che sono certamente espressioni del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, ma non possono godere delle garanzie costituzionali in tema di sequestro della stampa, rientrando infatti nella categoria generica dei siti internet che non sono soggetti alle tutele e agli obblighi previsti dalla normativa sulla stampa.
Occorre, innanzitutto, partire da un’analisi circa la norma che disciplina il sequestro preventivo nell’ordinamento italiano, ovvero l’articolo 321 del codice di procedura penale il quale stabilisce che: “Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero, il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato”.
Questo tipo di sequestro, definito anche come “impeditivo”, ha dunque come finalità quella della prevenzione. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 48/1994, ha dichiarato che il sequestro preventivo attiene a “cose” che presentano un alto tasso di pericolosità tale da giustificare l’imposizione del vincolo stesso, un vincolo di “pertinenzialità” con il reato: il rapporto di pertinenzialità tra cosa e reato è elemento imprescindibile del sequestro preventivo.
Nel caso de quo, particolare è l’oggetto della coercizione reale: un giornale telematico, che non si apprezza come un’entità del mondo fisico, suscettibile di apprensione, possesso e custodia. Il sequestro di risorse telematiche o informatiche diffuse sul web, come dichiarato dalla Corte, implica un intervento sull’Internet Service Provider affinché impedisca l’accesso al sito o disponga il blocco o la cancellazione del file incriminato.
A tal proposito, si deve considerare la Legge n. 48/2008 di ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sui Crimini Informatici, conosciuta anche come Convenzione di Budapest del 2001, la quale equipara il dato informatico al concetto di “res” (ossia, di “cosa”) e, perciò, se pertinente al reato, passibile di sequestro.
Sul punto, risulta interessante anche il ragionamento della Corte relativo agli articoli 14, 15, 16, 17 del Decreto Legislativo n. 70/2003 (articoli che disciplinano le responsabilità nelle attività di mere conduit, hosting e caching), nella parte in cui stabilisce che tali disposizioni siano in grado di integrare l’articolo 321 del codice di procedura penale, consentendo così di superare qualunque riserva circa la possibilità di sottoporre a sequestro preventivo dati informatici che circolano in rete in forma dematerializzata; la Corte, alla luce di tali argomentazioni, ha enunciato un principio di diritto secondo cui è ammissibile il sequestro preventivo ex articolo 321 del codice di procedura penale di un sito web o di una pagina telematica, se ricorrono i presupposti del fumus commissi delicti e del periculum in mora.
Nella seconda parte delle sue considerazioni, poi, la Corte ha esaminato la questione dell’ammissibilità o meno del sequestro preventivo di una testata giornalistica online regolarmente registrata. Partendo dal presupposto che la libertà di stampa è un principio cardine su cui si fonda lo Stato democratico e che l’articolo 21 della Costituzione Italiana sancisce che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure, il sequestro è sottoposto alla duplice garanzia della riserva di legge e di giurisdizione.
Il sequestro della stampa, come si legge nella sentenza in questione, può essere disposto soltanto nel caso di delitti per i quali la legge sulla stampa lo autorizzi espressamente o nel caso di stampa clandestina. In particolare, i casi nei quali è consentito il sequestro preventivo sono:
- violazione delle norme sulla registrazione delle pubblicazioni periodiche e sull’indicazione dei responsabili (artt. 3 e 16 Legge n. 47/1948);
- stampati osceni o offensivi della pubblica decenza ovvero divulganti mezzi atti a procurare l’aborto (articolo 2 R.Dlgs. n. 561/1946);
- stampa periodica che faccia apologia del fascismo (art. 8 Legge n. 645/1952);
- violazione delle norme a protezione del diritto d’autore (art. 161 Legge n. 633/1941).
Tuttavia, in contrasto con le conclusioni a cui sono pervenute le Sezioni Unite, la più recente giurisprudenza della Corte Suprema e parte della dottrina più autorevole ritengono che le garanzie costituzionali, in tema di sequestro preventivo della stampa, non possono essere estese alla “stampa telematica”, in quanto proprio il termine “stampa” sarebbe stato assunto dalla Costituzione con riferimento alla sola “carta stampata”.
Occorre chiarire, però, che un quotidiano o un periodico telematico, strutturato come un vero e proprio giornale cartaceo, non può essere paragonato a un qualsiasi sito web, bensì assume una sua peculiare connotazione. Tant’è che, ad oggi, considerando l’evoluzione dei tempi e lo sviluppo delle nuove innovazioni tecnologiche, nel concetto di “stampa” devono rientrare anche i quotidiani o i periodici online regolarmente registrati, i quali soggiacciono alla normativa sulla stampa, perchè sono ontologicamente e funzionalmente assimilabili alla pubblicazione cartacea. Conseguentemente, la “stampa telematica”, al pari di quella tradizionale, non può essere sottoposta a sequestro preventivo, se non nei casi eccezionali espressamente previsti dalla legge.
La Corte di Cassazione, concludendo, a seguito del contrasto giurisprudenziale registratosi sull’argomento, ha espresso due principi di diritto:
1. “La testata giornalistica telematica, in quanto assimilabile funzionalmente a quella tradizionale, rientra nel concetto ampio di “stampa” e soggiace alla normativa, di rango costituzionale e di livello ordinario, che disciplina l’attività d’informazione professionale diretta al pubblico”;
2. “Il giornale online, al pari di quello cartaceo, non può essere oggetto di sequestro preventivo, eccettuati i casi tassativamente previsti dalla legge, tra i quali non è compreso il reato di diffamazione a mezzo stampa”.
Da ultimo, tuttavia, non si può non rilevare una “nota stonata” in questa importante sentenza: in effetti, in un’argomentazione rigorosa e approfondita, le Sezioni Unite penali della Cassazione hanno inserito una definizione di documento informatico che risulta essere risalente e non aggiornata all’attuale normativa, tra cui la definizione dell’articolo 3 del DPCM 13 novembre 2014[1], recante le nuove Regole tecniche sulla formazione del documento informatico. Nella sentenza in commento, infatti, i documenti informatici vengono legati al supporto hardware che li contiene e definiti come “registrazioni magnetiche o ottiche di bytes”, incorporati a un “supporto fisico di memorizzazione”, addirittura effettuando un improprio richiamo agli articoli 1, 43 e 44 del CAD (Codice dell’Amministrazione digitale, di cui al D.Lgs. n. 82/2005) in tema di conservazione.
Come già specificato, infatti, la nuova definizione di documento informatico è ora contenuta nell’articolo 3 del DPCM del 13 novembre 2014[2], che indica delle modalità di formazione del documento che sono estranee al supporto che lo contiene; peraltro, neanche il CAD o le Regole tecniche sulla conservazione fanno alcun riferimento a un supporto fisico su cui debba essere memorizzato il “file”.
In definitiva, appare importante cercare di trovare un’armonizzazione nella disciplina di questa materia, andando a uniformare le visioni, ad oggi contrastanti, degli organi giudicanti. Le nuove tecnologie hanno la peculiarità di portare grandi vantaggi, ma sono, altresì, in grado di sollevare dubbi e perplessità, anche circa le semplici definizioni di dato informatico. Fondamentale, perciò, risulta essere un costante aggiornamento anche degli interpreti e dei giuristi, al fine di favorire un’applicazione sempre più uniforme delle norme e, in definitiva, la stessa certezza del diritto.
[1] Regole tecniche in materia di formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici nonché di formazione e conservazione dei documenti informatici delle pubbliche amministrazioni ai sensi degli articoli 20, 22, 23-bis, 23-ter, 40, comma 1, 41, e 71, comma 1, del Codice dell'amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005.
[2] 1. Il documento informatico è formato mediante una delle seguenti principali modalità:
a) redazione tramite l'utilizzo di appositi strumenti software;
b) acquisizione di un documento informatico per via telematica o su supporto informatico, acquisizione della copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico, acquisizione della copia informatica di un documento analogico;
c) registrazione informatica delle informazioni risultanti da transazioni o processi informatici o dalla presentazione telematica di dati attraverso moduli o formulari resi disponibili all'utente;
d) generazione o raggruppamento anche in via automatica di un insieme di dati o registrazioni, provenienti da una o più basi dati, appartenenti a più soggetti interoperanti, secondo una struttura logica predeterminata e memorizzata in forma statica.
Un giornale online può essere assimilabile al concetto più ampio di “stampa” e “soggiace alla normativa, di rango costituzionale e di livello ordinario, che disciplina l’attività di informazione professionale diretta al pubblico”. A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione, con una sentenza depositata dalle Sezioni Unite penali. Una testata giornalistica pubblicata sul web non può dunque essere oggetto di sequestro preventivo per reato di diffamazione a mezzo stampa, così come è già previsto per le edizioni cartacee.
La sentenza in questione riguarda Il Giornale.it e i giornalisti Luca Fazzo e Alessandro Sallusti, indagati per diffamazione a mezzo stampa di un magistrato della Cassazione. Il GIP di Monza aveva disposto l’oscuramento della pagina web de Il Giornale.it contenente l’articolo “incriminato” come disposizione preventiva, confermata poi dal Tribunale del Riesame. La Suprema Corte ha invece annullato tale disposizione redigendo un’approfondita sentenza che pone l’attenzione su due modalità di pubblicazione in rete: da una parte le testate giornalistiche online, che possono appunto essere assimilate alle pubblicazioni a mezzo stampa perché hanno un direttore responsabile e un’organizzazione redazionale; dall’altra blog, newsletter, forum, mailing list, social network che sono certamente espressioni del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, ma non possono godere delle garanzie costituzionali in tema di sequestro della stampa, rientrando infatti nella categoria generica dei siti internet che non sono soggetti alle tutele e agli obblighi previsti dalla normativa sulla stampa.
Occorre, innanzitutto, partire da un’analisi circa la norma che disciplina il sequestro preventivo nell’ordinamento italiano, ovvero l’articolo 321 del codice di procedura penale il quale stabilisce che: “Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero, il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato”.
Questo tipo di sequestro, definito anche come “impeditivo”, ha dunque come finalità quella della prevenzione. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 48/1994, ha dichiarato che il sequestro preventivo attiene a “cose” che presentano un alto tasso di pericolosità tale da giustificare l’imposizione del vincolo stesso, un vincolo di “pertinenzialità” con il reato: il rapporto di pertinenzialità tra cosa e reato è elemento imprescindibile del sequestro preventivo.
Nel caso de quo, particolare è l’oggetto della coercizione reale: un giornale telematico, che non si apprezza come un’entità del mondo fisico, suscettibile di apprensione, possesso e custodia. Il sequestro di risorse telematiche o informatiche diffuse sul web, come dichiarato dalla Corte, implica un intervento sull’Internet Service Provider affinché impedisca l’accesso al sito o disponga il blocco o la cancellazione del file incriminato.
A tal proposito, si deve considerare la Legge n. 48/2008 di ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sui Crimini Informatici, conosciuta anche come Convenzione di Budapest del 2001, la quale equipara il dato informatico al concetto di “res” (ossia, di “cosa”) e, perciò, se pertinente al reato, passibile di sequestro.
Sul punto, risulta interessante anche il ragionamento della Corte relativo agli articoli 14, 15, 16, 17 del Decreto Legislativo n. 70/2003 (articoli che disciplinano le responsabilità nelle attività di mere conduit, hosting e caching), nella parte in cui stabilisce che tali disposizioni siano in grado di integrare l’articolo 321 del codice di procedura penale, consentendo così di superare qualunque riserva circa la possibilità di sottoporre a sequestro preventivo dati informatici che circolano in rete in forma dematerializzata; la Corte, alla luce di tali argomentazioni, ha enunciato un principio di diritto secondo cui è ammissibile il sequestro preventivo ex articolo 321 del codice di procedura penale di un sito web o di una pagina telematica, se ricorrono i presupposti del fumus commissi delicti e del periculum in mora.
Nella seconda parte delle sue considerazioni, poi, la Corte ha esaminato la questione dell’ammissibilità o meno del sequestro preventivo di una testata giornalistica online regolarmente registrata. Partendo dal presupposto che la libertà di stampa è un principio cardine su cui si fonda lo Stato democratico e che l’articolo 21 della Costituzione Italiana sancisce che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure, il sequestro è sottoposto alla duplice garanzia della riserva di legge e di giurisdizione.
Il sequestro della stampa, come si legge nella sentenza in questione, può essere disposto soltanto nel caso di delitti per i quali la legge sulla stampa lo autorizzi espressamente o nel caso di stampa clandestina. In particolare, i casi nei quali è consentito il sequestro preventivo sono:
- violazione delle norme sulla registrazione delle pubblicazioni periodiche e sull’indicazione dei responsabili (artt. 3 e 16 Legge n. 47/1948);
- stampati osceni o offensivi della pubblica decenza ovvero divulganti mezzi atti a procurare l’aborto (articolo 2 R.Dlgs. n. 561/1946);
- stampa periodica che faccia apologia del fascismo (art. 8 Legge n. 645/1952);
- violazione delle norme a protezione del diritto d’autore (art. 161 Legge n. 633/1941).
Tuttavia, in contrasto con le conclusioni a cui sono pervenute le Sezioni Unite, la più recente giurisprudenza della Corte Suprema e parte della dottrina più autorevole ritengono che le garanzie costituzionali, in tema di sequestro preventivo della stampa, non possono essere estese alla “stampa telematica”, in quanto proprio il termine “stampa” sarebbe stato assunto dalla Costituzione con riferimento alla sola “carta stampata”.
Occorre chiarire, però, che un quotidiano o un periodico telematico, strutturato come un vero e proprio giornale cartaceo, non può essere paragonato a un qualsiasi sito web, bensì assume una sua peculiare connotazione. Tant’è che, ad oggi, considerando l’evoluzione dei tempi e lo sviluppo delle nuove innovazioni tecnologiche, nel concetto di “stampa” devono rientrare anche i quotidiani o i periodici online regolarmente registrati, i quali soggiacciono alla normativa sulla stampa, perchè sono ontologicamente e funzionalmente assimilabili alla pubblicazione cartacea. Conseguentemente, la “stampa telematica”, al pari di quella tradizionale, non può essere sottoposta a sequestro preventivo, se non nei casi eccezionali espressamente previsti dalla legge.
La Corte di Cassazione, concludendo, a seguito del contrasto giurisprudenziale registratosi sull’argomento, ha espresso due principi di diritto:
1. “La testata giornalistica telematica, in quanto assimilabile funzionalmente a quella tradizionale, rientra nel concetto ampio di “stampa” e soggiace alla normativa, di rango costituzionale e di livello ordinario, che disciplina l’attività d’informazione professionale diretta al pubblico”;
2. “Il giornale online, al pari di quello cartaceo, non può essere oggetto di sequestro preventivo, eccettuati i casi tassativamente previsti dalla legge, tra i quali non è compreso il reato di diffamazione a mezzo stampa”.
Da ultimo, tuttavia, non si può non rilevare una “nota stonata” in questa importante sentenza: in effetti, in un’argomentazione rigorosa e approfondita, le Sezioni Unite penali della Cassazione hanno inserito una definizione di documento informatico che risulta essere risalente e non aggiornata all’attuale normativa, tra cui la definizione dell’articolo 3 del DPCM 13 novembre 2014[1], recante le nuove Regole tecniche sulla formazione del documento informatico. Nella sentenza in commento, infatti, i documenti informatici vengono legati al supporto hardware che li contiene e definiti come “registrazioni magnetiche o ottiche di bytes”, incorporati a un “supporto fisico di memorizzazione”, addirittura effettuando un improprio richiamo agli articoli 1, 43 e 44 del CAD (Codice dell’Amministrazione digitale, di cui al D.Lgs. n. 82/2005) in tema di conservazione.
Come già specificato, infatti, la nuova definizione di documento informatico è ora contenuta nell’articolo 3 del DPCM del 13 novembre 2014[2], che indica delle modalità di formazione del documento che sono estranee al supporto che lo contiene; peraltro, neanche il CAD o le Regole tecniche sulla conservazione fanno alcun riferimento a un supporto fisico su cui debba essere memorizzato il “file”.
In definitiva, appare importante cercare di trovare un’armonizzazione nella disciplina di questa materia, andando a uniformare le visioni, ad oggi contrastanti, degli organi giudicanti. Le nuove tecnologie hanno la peculiarità di portare grandi vantaggi, ma sono, altresì, in grado di sollevare dubbi e perplessità, anche circa le semplici definizioni di dato informatico. Fondamentale, perciò, risulta essere un costante aggiornamento anche degli interpreti e dei giuristi, al fine di favorire un’applicazione sempre più uniforme delle norme e, in definitiva, la stessa certezza del diritto.
[1] Regole tecniche in materia di formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici nonché di formazione e conservazione dei documenti informatici delle pubbliche amministrazioni ai sensi degli articoli 20, 22, 23-bis, 23-ter, 40, comma 1, 41, e 71, comma 1, del Codice dell'amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005.
[2] 1. Il documento informatico è formato mediante una delle seguenti principali modalità:
a) redazione tramite l'utilizzo di appositi strumenti software;
b) acquisizione di un documento informatico per via telematica o su supporto informatico, acquisizione della copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico, acquisizione della copia informatica di un documento analogico;
c) registrazione informatica delle informazioni risultanti da transazioni o processi informatici o dalla presentazione telematica di dati attraverso moduli o formulari resi disponibili all'utente;
d) generazione o raggruppamento anche in via automatica di un insieme di dati o registrazioni, provenienti da una o più basi dati, appartenenti a più soggetti interoperanti, secondo una struttura logica predeterminata e memorizzata in forma statica.