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Documento informatico e copia per immagine di documento cartaceo: la sottile (in)differenza secondo la Corte di Cassazione

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Documento informatico e copia per immagine di documento cartaceo: la sottile (in)differenza secondo la Corte di Cassazione

Abstract:
 

La sentenza n. 5744 della Terza sezione di legittimità della Cassazione non sorprende tanto per il contrasto con precedenti orientamenti o per il fatto che essa giustifichi la produzione di documenti cartacei sottoscritti, poi scansionati e quindi firmati digitalmente nella loro immagine digitalizzata. Ciò che sorprende è la leggerezza con cui si continua a deviare rispetto alla strada della digitalizzazione, restando attaccati alla carta, persino ai vertici della Magistratura, dove si continua a legittimare figure e processi giuridici ibridi, privi di reale utilità.

 

Indice

1. Un sillogismo solo apparentemente perfetto

2. Per un “passaggio in più”

3. Quando il semplice divieto non basta

 

Con sentenza n. 5744, pronunciata il 19 gennaio 2023, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato l’ammissibilità di un atto di appello stampato, scannerizzato e firmato digitalmente dal difensore.

1. Un sillogismo solo apparentemente perfetto

La decisione della Corte fa riferimento all’art. 24 del D.L. n. 137/2020, che si inserisce nell’alveo dei provvedimenti adottati per far fronte all’emergenza epidemiologica da Covid-19. Più precisamente, la norma introduce modalità semplificate per il deposito gli atti nel processo penale, prevedendo, al comma 6-bis, che quando il deposito ha ad oggetto un’impugnazione “l'atto in forma di documento informatico è sottoscritto  digitalmente”.  Lo stesso art. 24 prevede poi, al comma 6-sexies, alcune cause di inammissibilità dell’atto di impugnazione proposto ai sensi del comma 6-bis, tra le quali la mancata sottoscrizione dell’atto con firma digitale del difensore. 

Ebbene, con sillogismo solo apparentemente perfetto, la Corte ha affermato che “la predetta disposizione, tuttavia, non risulta violata, perché l'atto di impugnazione è effettivamente sottoscritto con firma digitale”. A ben vedere, però, non solo la ratio, ma anche la lettera della legge appare travisata dai Giudici di Piazza Cavour.

Anche a voler tralasciare l’evidente nonsense derivante dall’aver interpretato una norma intesa a semplificare l’iter di deposito degli atti di appello, innestandovi passaggi che lo rendono inutilmente più complesso (stampa dell’atto, sottoscrizione con firma autografa, scannerizzazione e apposizione di firma digitale sulla copia per immagine), la Corte sembra non accorgersi di un particolare neanche tanto nascosto: l’atto oggetto di deposito deve essere un documento informatico.

2. Per un “passaggio in più”

Così prevede espressamente il comma 6-bis dell’art. 24, il quale, a sua volta, demanda a un provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati l’indicazione delle modalità da adottare per firmare l’atto digitalmente. Provvedimento che, nel definire i requisiti del documento informatico, stabilisce che deve essere “ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti” e che “non è pertanto ammessa la scansione di immagini”. Eppure, secondo la Corte, quanto prescritto dal Provvedimento ora richiamato non avrebbe alcun impatto sul regime di ammissibilità degli atti di appello di cui all’art. 24 del D.L. 137/2020, disciplinando “le caratteristiche dell’atto informatico soltanto per relationem” e comunque trattandosi, nel caso di specie, di un documento realizzatocon un passaggio in piùrispetto al processo definito dal decreto direttoriale.

Non è possibile nascondere un certo sconcerto, nel leggere un passaggio di questo tenore. A parere del Collegio giudicante, la sola differenza tra un documento informatico e la copia per immagine di un documento cartaceo si risolverebbe nella semplice previsione di un passaggio in più.

L’interpretazione proposta dalla Corte prescinde del tutto dalla definizione di documento informatico stabilita dal Codice dell’Amministrazione Digitale, che sarebbe stata sufficiente a perimetrare la portata applicativa dell’art. 24, comma 6-bis del D.L. 137/2020. Va ricordato, infatti, che, secondo l’art. 1, comma 1, lett. p) del CAD, “il documento informatico è il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati  giuridicamente rilevanti”, a differenza del documento analogico, che si sostanzia nella “rappresentazione non informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti” (l’art. 1, comma 1, lett. p-bis) del CAD ). Ancora diversa la fattispecie della copia per immagine su supporto informatico di documento analogico, che l’art. 1, comma 1, lett. i-ter) del CAD definisce come “il documento informatico avente contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui è tratto”.

3. Quando il semplice divieto non basta

Se, allora, la norma richiede che un atto processuale debba essere depositato “in forma  di  documento informatico”, la produzione in giudizio dell’immagine di un documento cartaceo non può ritenersi conforme al dettato normativo.

In più di un’occasione, d’altra parte, i Giudici di Legittimità hanno correttamente dichiarato l’inammissibilità della copia per immagine sottoscritta digitalmente di un atto di appello, ai sensi del D.L. 137/2020, art. 24, comma 2-sexies), semplicemente attenendosi al dettato normativo.

Si veda, tra le tante Cass., Sez. II Pen. Sent. n. 2874/2022, per cui l’inammissibilità di un atto "firmato manualmente e materialmente dal difensore, scannerizzato e inviato dalla pec esclusiva dello studio del difensore stesso (…) è propriamente 'tecnica'”, in quanto risiede nelle stesse modalità di generazione del documento. Infatti, a mente della stessa sentenza, “nel caso della scansione di immagini (…) il file che ne risulta non contiene il 'testo' del documento, ma solo una sua 'riproduzione' (o meglio 'rappresentazione') grafica, quand'anche, eventualmente, incorporata in un file con estensione .pdf'”. Pertanto, se correttamente eseguito, il processo di deposito di un atto d’appello in forma di documento informatico “esclude di per sé che detta forma possa consistere in una "scansione di immagini".

Adesso, chiusa la fase di emergenza epidemiologica, sarebbero necessari interventi legislativi strutturali, che percorrano in modo deciso e sistematico la strada della digitalizzazione, superando la rassicurante affezione verso il cartaceo che, anche ai vertici della nostra Magistratura, legittima figure e processi giuridici ibridi privi di reale utilità.