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Performance e responsabilità erariale degli amministratori di enti locali. Situazioni da evitare

Performance degli enti
Performance degli enti

Sommario

1. La performance negli enti locali e il fine del soddisfacimento dei bisogni pubblici

2. La responsabilità nella P.A.

3. Performance e responsabilità

4. Le situazioni tipicizzate di danno erariale legate alla performance dell’ente

5. La inapplicabilità del principio del “ne bis in idem” nelle cause per danno erariale

6. La prescrizione del diritto al risarcimento per danno erariale

 

 

1. La performance negli enti locali e il fine del soddisfacimento dei bisogni pubblici

Quello della performance negli enti locali è un argomento che, negli ultimi anni, sta assumendo sempre maggiore rilevanza nell’ambito della discussione tesa al miglioramento della funzionalità della complicata burocrazia degli enti locali italiani.

Le ragioni dell’applicazione dei sofisticati meccanismi della performance, che vede nella efficacia, efficienza ed economicità delle prestazioni i tre pilastri dell’attività amministrativa, devono essere ricercate nel soddisfacimento dei bisogni pubblici; tale finalità trova però i suoi limiti proprio nella difficoltà di spesa e di reperimento delle risorse umane da impiegare per il raggiungimento di questi obiettivi.

Secondo la CIVIT (delibera 89/2010), infatti, la “performance è il contributo (risultato e modalità di raggiungimento del risultato) che un soggetto (organizzazione, unità organizzativa, gruppo di individui, singolo individuo) apporta attraverso la propria azione al raggiungimento delle finalità e degli obiettivi e, in ultima istanza, alla soddisfazione dei bisogni per i quali l’organizzazione è stata costituita. Pertanto, il suo significato si lega strettamente all’esecuzione di un’azione, ai risultati della stessa e alle modalità di rappresentazione e, come tale, si presta ad essere misurata e gestita”.

La finalità della misurazione e valutazione della performance consiste dunque nel miglioramento della qualità dei servizi offerti e nella crescita delle competenze professionali attraverso la valorizzazione del merito e l’erogazione di premi per i risultati conseguiti.

Tutto ciò deve tuttavia avvenire in maniera corretta e con strumenti di comunicazione che garantiscano la massima trasparenza delle informazioni, oltre che in assenza di nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Quest’ultima considerazione ci introduce al concetto di responsabilità nell’ambito della pubblica amministrazione.

 

2. La responsabilità nella P.A.

Tale responsabilità può essere sia di tipo amministrativo che contabile e può essere riferita sia alla responsabilità dell’amministrazione pubblica verso altri soggetti, sia alla responsabilità dei funzionari e dipendenti pubblici nei confronti dei terzi e nei confronti della loro amministrazione. In entrambi i casi si tratta, in buona sostanza, della tipologia di responsabilità in cui incorre il soggetto che ha un rapporto di servizio con un ente pubblico, il quale può cagionare un danno alla Pubblica Amministrazione violando i doveri che derivano da tale rapporto.

La responsabilità amministrativa trova i suoi fondamentali presupposti in due norme sostanziali:

- l’articolo  28 della Costituzione Italiana nel quale si afferma che “i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli Enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli Enti pubblici”;

- l’articolo  2043 del c.c. per il quale, secondo il principio del “neminem laedere”, “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

Gli elementi caratterizzanti della responsabilità sono, oltre evidentemente al rapporto di servizio, la condotta illecita, il dolo o la colpa, il danno e il nesso di causalità.

Per responsabilità amministrativa s’intende pertanto, in sintesi, la responsabilità di quei soggetti, tra i quali gli amministratori, che, a vario titolo, hanno la disponibilità di denaro, beni e/o valori pubblici, e che ne fanno un uso non funzionale alla legge e al servizio cui sono preposti. Si parla in questo caso di “danno erariale”.

Tralasciando l’aspetto della responsabilità contabile, per la quale l’elemento di colpevolezza è sempre presunto per chi gestisce materialmente le risorse pubbliche, si pone preminente attenzione, in questa sede, alla responsabilità amministrativa per la quale, invece, deve essere la Procura della Corte dei Conti a dimostrare la colpevolezza del presunto autore del “danno” nei confronti dell’“Erario”, cioè delle finanze e del patrimonio dello Stato.

V’è poi un ulteriore differenziazione tra quella che viene comunemente definita come responsabilità erariale risarcitoria e quella sanzionatoria.

La prima riguarda il vero e proprio “danno erariale” o patrimoniale; la seconda, invece, inerisce piuttosto la lesione di beni-valori di particolare importanza della contabilità pubblica come quello del rispetto degli equilibri di bilancio (ex articolo  81 e 119, co. 6, Costituzione) o quello della sostenibilità del debito pubblico (ex articolo  97 Costituzione).

Nella responsabilità risarcitoria, di cui si vuole discutere con riferimento alla performance degli enti locali, il danno rappresenta dunque l’elemento centrale e di raccordo tra tutte le altre componenti dell’illecito sia di tipo oggettivo (condotta, nesso di causalità ed entità del risarcimento), che soggettivo (colpa, dolo, esimenti soggettive), e assume una funzione essenzialmente recuperatoria della perdita patrimoniale.

Ma vediamo in che modo la responsabilità per danno erariale pervade anche la performance dell’ente.

 

3. Performance e responsabilità

Tutto il ragionamento ruota intorno al sistema di misurazione e di valutazione della performance organizzativa e individuale degli enti locali, introdotto dal Decreto Legislativo n. 150/2009 e poi modificato dal Decreto Legislativo 74/2017, che mira a realizzare una maggiore produttività del lavoro pubblico e ad ottimizzare l’efficienza e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche.

Ai sensi dell’articolo 7 del decreto 150/2009, infatti, le amministrazioni pubbliche sono tenute ad adottare, con apposito provvedimento, il “Sistema di misurazione e valutazione della performance” allo scopo di procedere annualmente a valutare la performance organizzativa e individuale. Detto sistema presuppone l’introduzione del ciclo di gestione della performance, previsto dall’articolo 4 del medesimo decreto, che rappresenta la premessa logica e metodologica dell’intero processo, e si basa sul principio della trasparenza.

Il ciclo di gestione della performance si sviluppa sostanzialmente attraverso le seguenti fasi definite in coerenza con il ciclo della programmazione finanziaria e di bilancio dell’ente:

a) la individuazione e l’assegnazione, da parte dei vertici politici dell’ente locale, degli obiettivi che si desiderano raggiungere e dell’entità dei risultati attesi;

b) il collegamento tra questi obiettivi, le risorse disponibili e quelle assegnate per il raggiungimento dei risultati;

c) il monitoraggio in corso di esercizio, possibilmente attraverso un valido sistema di controllo di gestione, e attivazione di eventuali interventi correttivi ovvero, in casi particolari, della variazione degli obiettivi stessi;

d) la misurazione e la valutazione della performance organizzativa e individuale, definita da un organismo esterno ed indipendente (OIV o NdV) in funzione anche del particolare Sistema di Misurazione e Valutazione della performance (SMIVAP) adottato dall’Ente;

e) l’utilizzo dei sistemi, premianti, secondo criteri di valorizzazione del merito in funzione sia del Sistema proprio dell’Ente che del CCNL applicabile;

f) la rendicontazione dei risultati, da parte della struttura preposta, agli organi di indirizzo politico-amministrativo che li riassume in una propria “Relazione”, ai vertici delle amministrazioni, ai cittadini, ai soggetti interessati, agli utenti e ai destinatari dei servizi.

g) la validazione di questa “Relazione sulla Performance”, da parte degli O.I.V. o N.d.V., che rappresenta l’indispensabile presupposto per la distribuzione di qualsiasi incentivazione economica a tutte le tipologie di dipendenti dell’Ente.

Come si vede, si tratta di momenti e circostanze ben definite e con scarso margine di discrezionalità che negli enti locali trova una certa mitigazione proprio in considerazione dell’ampia autonomia organizzativa che il legislatore ha voluto riconoscere alle regioni, province e comuni.

Ovviamente, come si è visto, in tale contesto giocano un ruolo fondamentale gli Organismi Indipendenti di Valutazione (O.I.V.), come individuati dal predetto Decreto Legislativo 150/2009, ossia i Nuclei di Valutazione (N.d.V.) definiti con maggiore elasticità, nella composizione e specifica professionalità dei componenti, secondo l’articolo  147 del T.U.E.L. proprio in virtù di quella autonomia organizzativa che, come si diceva, pervade gli enti locali.

Ad essi, infatti, è demandato il compito di supportare e orientare, il sindaco e la giunta, al fine di garantire la massima trasparenza in ogni fase del ciclo di gestione della performance; nonché di individuare i criteri e gli strumenti per la valorizzazione del merito e per l’incentivazione della performance individuale dei dipendenti e dei dirigenti.

Le amministrazioni promuovono infatti il merito e il miglioramento della performance anche attraverso l’utilizzo di sistemi premianti selettivi secondo logiche meritocratiche e l’attribuzione di incentivi economici e di carriera. Premi e incentivi devono comunque essere assegnati sulla base di verifiche e di attestazioni derivanti dal sistema di misurazione adottato in quanto è sempre vietata, come vedremo, la distribuzione indifferenziata o automatica dei medesimi.

In definitiva però, spettando agli amministratori locali il compito di esprimersi in relazione ai risultati raggiunti dai dirigenti pubblici e dai dipendenti di fascia alta, le c.d. posizioni organizzative, l’assunzione di provvedimenti “non conformi” alla legge o ai regolamenti dell’ente fa sì che un loro incauto provvedimento possa esporli a quelle ipotesi di danno erariale di cui si discute.

A complicare ulteriormente le cose interviene, negli enti locali, la confusione ingenerata dalla norma riguardo a chi spetti, in definitiva, assumere i provvedimenti di erogazione della retribuzione di risultato, cioè se al sindaco, o presidente della provincia o regione, con autonomo provvedimento (“decreto”), o piuttosto alla giunta con l’adozione di una propria “delibera”.

Tale aspetto non è di poco conto perché, in ultima analisi, sarà il sindaco, singolarmente o congiuntamente ai componenti la giunta dell’ente locale, ad essere chiamato dalla procura della Corte dei Conti a dare conto del proprio operato.

In senso lato, la norma parla di organo di indirizzo politico-amministrativo, ma le funzioni, secondo prevalente dottrina, vanno riferite, caso per caso, al solo sindaco, alla giunta nel suo complesso, e finanche all’intero consiglio comunale.

Ad ogni modo, come si diceva, non trattandosi di responsabilità contabile ma di responsabilità amministrativa, il danno deve essere sempre provato dalla suddetta procura la quale, di norma, fa leva proprio sulla violazione di quei principi di economicità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa, in aggiunta alla violazione dei limiti procedurali e dell’obbligo di motivazione dell’atto amministrativo.

L’iniziativa della Procura della Corte dei Conti, competente per l’ambito regionale, non è però autonoma ma si esplica in conseguenza di atti di espressa denuncia o, in prevalenza, a seguito della trasmissione degli atti di ispezione da parte della Ragioneria Generale dello Stato (MEF).

Proprio la metodologia di ispezione utilizzata dagli ispettori del MEF, in aggiunta ad una maggiore ed espressa codificazione dei divieti normativi rivolti agli amministratori e dipendenti degli enti locali, ha fatto sì che, nel corso degli anni, si arrivasse a definire alcuni rilievi come “tipici”  e, conseguentemente, ad individuare talune situazioni “tipicizzate” in considerazione anche delle numerose sentenze di condanna pronunciate dalla Corte dei Conti.

Sarà dunque opportuno per gli amministratori tenere in adeguata considerazione queste non infrequenti circostanze al fine di evitare di commettere errori che potrebbero vederli chiamati in causa dalla competente Procura della Corte dei  Conti per ipotesi di risarcimento di danni erariali. E ciò anche in caso di mera colpa per ignoranza della norma piuttosto che in conseguenza di un evento doloso.

Ma vediamo quali sono queste situazioni “tipicizzate”.

Ovviamente, quella che segue è solo una esemplificazione delle circostanze incontrate nella pratica quotidiana e non è, e non vuole essere, esaustiva di situazioni che dovranno essere valutate caso per caso.

Può rivelarsi tuttavia come utile ausilio agli amministratori, dirigenti e valutatori degli enti locali che si affacciano per la prima volta allo svolgimento delle proprie attività.

 

4. Le situazioni tipicizzate di danno erariale legate alla performance dell’ente.

Situazione 1 - mancata pubblicazione degli incarichi di consulenza e liquidazione della indennità di risultato al dirigente.

Tra i casi più ricorrenti, soprattutto nel recente passato, v’è quello del pagamento della indennità di risultato al dirigente dell’ente locale malgrado egli non abbia adempiuto all’obbligo, previsto dal previgente articolo  11, comma 8, del Decreto Legislativo n. 150/2009, di pubblicare i dati relativi agli incarichi di consulenza sul proprio sito istituzionale, al link trasparenza.

Il successivo comma 9, prevedeva infatti che, “In caso di… mancato assolvimento degli obblighi di pubblicazione di cui ai commi 5 e 8 è fatto divieto di erogazione della retribuzione di risultato ai dirigenti preposti agli uffici coinvolti.”. Ciò, almeno fino alla sua abrogazione, avvenuta a decorrere dal 20/04/2013 ad opera dell’articolo  53, comma 1, lett. B, Decreto Legislativo n. 33/2013, successivamente modificato dal Decreto Legislativo. 26 maggio 2016 n. 97 (v. Sent. n. 323/2016 della Corte dei Conti Lazio). Tuttavia, tale obbligo oggi sussiste comunque, come vedremo, in costanza dell’articolo  15 (Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi di collaborazione o consulenza) e dell’articolo  47 del suddetto Decreto Legislativo n. 33/2013 recante “Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”.

Al riguardo, di solito, la Procura rileva che il mancato assolvimento dell’obbligo per il periodo accertato determina, quale effetto automatico, il divieto di corresponsione della indennità di risultato ai dirigenti che hanno conferito gli incarichi. La tesi adottata è che, essendo la liquidazione della predetta indennità preclusa dalla condizione della mancata pubblicazione degli incarichi sul sito, essa, se prodotta, costituisce un danno erariale in quanto non dovuta per legge. Il presupposto, secondo la Procura, va ricercato nella previsione dell’ articolo  3, comma 54, della legge n.224 del 24.12.2007 (finanziaria 2008), che dispone che “la liquidazione del corrispettivo per gli incarichi di collaborazione o consulenza di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale del dirigente preposto". Ciò, sul presupposto che, la previsione dell’articolo  11, comma 8 del citato Decreto Legislativo 150/09, comportava l’imposizione di un obbligo di azione all’amministrazione, conforme all’individuazione di un interesse pubblico ritenuto di preminente rilievo funzionale e sistematico, che è il perseguimento del bene / obiettivo della trasparenza nell’azione dell’amministrazione pubblica.

In pratica la Procura giunge ad un giudizio di non spettanza di un premio legato alla produttività del dirigente a fronte del mancato raggiungimento dell’obiettivo legato alla “trasparenza” che è posto nel sistema organizzativo della p.a. quale uno degli obiettivi primari, al pari della economicità e dell’efficacia dell’azione amministrativa.

In tali casi il danno richiesto è costituito dall’ammontare dell’emolumento stesso ed è direttamente imputabile ai soggetti che hanno disposto la liquidazione dell’indebita retribuzione di risultato, in quanto soggetti destinatari del divieto di cui all’articolo  54, comma 9 cit., e che hanno esercitato le proprie competenze specifiche in materia contraendo alla previsione del precedente comma 8. La violazione di questo obbligo di trasparenza diviene così l’elemento causale diretto dell’indebita erogazione.

Sul particolare argomento vi sono poi tre importanti arresti della giurisprudenza e cioè che:

  1. tale erogazione concreta danno erariale sino a quando l’amministrazione stessa non si attivi nei confronti del percettore recuperando, concretamente, quanto indebitamente liquidato; solo tale eventualità può costituire il titolo, in capo ai soggetti che sono stati chiamati a rispondere per danno erariale, a fare valere una “indebita locupletazione” a loro carico, nei modi di legge;
  2. non possono trovare accoglimento le richieste di difesa finalizzate alla riduzione del preteso danno in funzione della parte della retribuzione di risultato collegabile direttamente all’obiettivo della trasparenza;
  3. Il mancato adempimento non è imputabile al responsabile se costui prova che tale inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile. Ciò, anche in forza del comma 2, dell’articolo  46 del Decreto Legislativo 33/2013 che così recita: “il responsabile non risponde dell’inadempimento degli obblighi di cui al comma 1 se prova che tale inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile.”.

Come si diceva, dunque, la responsabilità per mancata pubblicazione dei dati oggi persiste nel nostro Ordinamento in funzione dell’ articolo  47 del Decreto Legislativo n. 33/2013 il quale è stato emanato in attuazione della delega contenuta nella legge n. 190/2012 recante il riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, ed ha previsto precise sanzioni in caso di violazione degli obblighi di trasparenza.

Il regime generale è dettato dall’articolo  46 che prevede che l’inadempimento degli obblighi di pubblicazione o la mancata predisposizione del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità costituiscono elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale (per mancato raggiungimento dei risultati), eventuale causa di responsabilità per danno all’immagine dell’amministrazione e sono comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili.

Infine, nell’articolo  15 del Decreto Legislativo 33/2013 si ritrova un’ulteriore ipotesi di responsabilità dirigenziale poiché il suo co. 3 stabilisce anche che: “in caso di omessa pubblicazione di quanto previsto al comma 2 (dati degli incarichi, ndr), il pagamento del corrispettivo determina la responsabilità del dirigente che l’ha disposto, accertata all’esito del procedimento disciplinare, e comporta il pagamento di una sanzione pari alla somma corrisposta, fatto salvo il risarcimento del danno del destinatario ove ricorrano le condizioni di cui all’articolo 30 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.”.

Situazione 2 - mancata adozione del Piano della Performance e liquidazione della indennità di risultato al dirigente.

Nella stessa direzione, sempre all’interno del Decreto Legislativo n. 150/2009, troviamo anche il comma 5. dell’articolo  10 il quale dispone che, “in caso di mancata adozione del Piano della Performance è fatto divieto di erogazione della retribuzione di risultato ai dirigenti che risultano avere concorso alla mancata adozione del Piano, per omissione o inerzia nell’adempimento dei propri compiti, e l’amministrazione non può procedere ad assunzioni di personale o al conferimento di incarichi di consulenza o di collaborazione comunque denominati. Nei casi in cui la mancata adozione del Piano o della Relazione sulla performance dipenda da omissione o inerzia dell’organo di indirizzo di cui all’articolo 12, comma 1, lettera c), l’erogazione dei trattamenti e delle premialità di cui al Titolo III è fonte di responsabilità amministrativa del titolare dell’organo che ne ha dato disposizione e che ha concorso alla mancata adozione del Piano, ai sensi del periodo precedente.”.

Situazione 3 - erogazione di un compenso fisso mensile, supplementare, per il dirigente o segretario generale dell’ente locale che abbia rivestito le funzioni di presidente e componente del nucleo di valutazione.

In tale ambito il principio di omnicomprensività della retribuzione dirigenziale fa sì che l’indebita erogazione al Segretario Generale o a un dirigente dell’ente di un compenso fisso mensile per remunerare l’incarico di presidente o componente del nucleo di valutazione costituisca violazione dello stesso principio e perciò fonte di danno erariale.

Al riguardo è da rilevarsi che, in ogni caso, sebbene il nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale dell’area delle funzioni locali, siglato il 17.12.20, all’articolo  101, preveda espressamente che: “L’incarico di Responsabile per la Prevenzione della Corruzione e la Trasparenza del Segretario Comunale e Provinciale, è compatibile con la presidenza dei nuclei o altri analoghi organismi di valutazione e delle commissioni di concorso, nonché con altra funzione dirigenziale affidatagli, fatti salvi i casi di conflitti di interesse previsti dalle disposizioni vigenti”, per tali funzioni non sono state comunque definite maggiorazioni salariali .

Situazione 4 - erogazione a pioggia delle indennità di risultato dirigenziali.

Altra situazione “tipicizzata” di ipotetica responsabilità erariale, riguarda poi l’ “illecita erogazione” del trattamento stipendiale accessorio, con particolare riferimento all’indennità del risultato dirigenziale, in assenza di una differenziazione basata sull’analisi dei risultati di gestione (c.d. retribuzione a pioggia).

Secondo la Corte dei Conti (v. sent. Sez. Lombardia n. 132 del 27/10/20) la produzione del danno erariale si realizza in conseguenza della violazione dell’obbligo, imposto dall’articolo 18, comma 2, del Decreto Legislativo 150/2009, di differenziare la valutazione dei dipendenti (v. anche la Sent. Corte dei Conti Veneto n.1158/06). Ciò determina l’illiceità dell’erogazione del trattamento stipendiale accessorio (in particolare dell’indennità del risultato dirigenziale) in quanto, l’assenza di una differenziazione basata sull’analisi dei risultati gestionali costituisce “ius receptum” nella giurisprudenza della Corte dei conti (v. Corte dei conti, Sez. I App. n.241 / 2018; id. sez. III App. n.609 / 2016; id., Sez. Puglia, n.217 / 2019; id., III App., n.301 / 2015; id, Sez. Veneto, n.481 / 2009), con conseguente perfezionamento, nel caso di specie, di un’ipotesi di responsabilità erariale.

Situazione 5 - erogazione della retribuzione di posizione alle posizioni organizzative dell’ente, in misura superiore al minimo, in assenza di parametri e obiettivi.

La predeterminazione di obiettivi e criteri che costituiscono i parametri sulla base dei quali valutare l’operato del dipendente titolare di posizione organizzativa erano (e sono) condizioni per il riconoscimento della retribuzione di posizione in misura eccedente il minimo e, in assoluto, della retribuzione di risultato (v. Sent. Corte dei Conti Veneto n.1158/06).

Situazione 6 - erogazione di indennità di posizione aggiuntive oltre quella sua propria al segretario generale dell’ente per lo svolgimento di supplementari funzioni dirigenziali.

Secondo la Corte dei Conti (v. Sez. Puglia n. 489/2019), in considerazione degli artt. 41, 42 e 43 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro dei segretari comunali e provinciali del 16 maggio 2001, è illegittima l’attribuzione di funzioni dirigenziali e indennità aggiuntive al segretario comunale senza un atto formale del sindaco e senza un preventivo accertamento dell’assenza di adeguate figure professionali interne. In ogni caso tali funzioni, ove ne esistono i presupposti, possono essere attribuite al segretario comunale esclusivamente in via temporanea ed è possibile riconoscere allo stesso un compenso ulteriore, in osservanza al principio di omnicomprensività della retribuzione, entro il limite inderogabile del 50% della propria indennità di posizione (ex multis, Cass., S.L. 12.06.2007, n. 13708; Cons. St., Sez. V, 25 settembre 2006, n. 5625; cfr. anche Parere Min. Interno 17.12.2008). In buona sostanza, al segretario possono essere attribuite funzioni dirigenziali ma, in simile prospettiva, è consentito riconoscergli esclusivamente, quale compenso ulteriore la maggiorazione dell’indennità di posizione entro il limite inderogabile del 50%.

Situazione 7 – erogazione di più retribuzioni di posizione al dirigente che abbia assunto anche incarichi “ad interim”.

In tali circostanze, la Corte dei Conti si rifà all’orientamento dell’ARAN (AII 37, AII 39, AII 76/2012) che non riconosce allo stesso dirigente più retribuzioni di posizione, ma ammette la remunerazione per l’incarico “ad interim” solo sotto forma di retribuzione di risultato. La Corte, pertanto, ritiene che sia considerata fonte di danno erariale la previsione, nei contratti decentrati della dirigenza, di una ulteriore indennità di posizione in caso di retribuzioni di posizioni relative a posti di qualifica dirigenziale vacante (cfr. anche Sezione Giurisdizionale Campania sentenza n. 1307/2011).

La Corte richiama la circolare n. 12/2011 della Ragioneria Generale dello Stato dove, con riferimento alla dirigenza, viene indicato che, la riduzione da operare sul fondo in proporzione alla riduzione del personale in servizio, così come disposto dall’articolo  9, comma 2 bis del dl 78/2010, vada effettuata "al netto delle somme eventualmente da destinare alla remunerazione degli incarichi di reggenza degli uffici temporaneamente privi del titolare ".

Alla luce di tutto quanto osservato, si ritiene che la questione relativa alla determinazione del compenso dirigenziale per l’incarico ad interim vada letta nell’ambito della finalità delle disposizioni di cui all’articolo  9, comma 2 bis del dl 78/2010 atte a perseguire un sempre più stretto contenimento della spesa del personale pubblico per concorrere al rispetto dei vincoli di finanza pubblica ed al conseguimento degli obiettivi di programmazione economica.

In caso, poi, di attività svolta dal segretario comunale, dai dirigenti o p.o. su più comuni, la relativa indennità di posizione deve essere sempre determinata in misura proporzionale all’orario di servizio espletato in ciascun Comune (v. Corte dei Conti Sent.  Sez. Veneto n.1158/06).

Situazione 8 - erogazione delle indennità di risultato in assenza del preventivo parere dell’O.I.V. o del NdV.

Secondo l’articolo 18, comma 2, del Decreto Legislativo 150/2009, “E’ vietata la distribuzione in maniera indifferenziata o sulla base di automatismi di incentivi e premi collegati alla performance in assenza delle verifiche e attestazioni sui sistemi di misurazione e valutazione adottati ai sensi del presente decreto”.

Esiste dunque un oggettivo ed imprescindibile obbligo di valutazione e differenziazione dei giudizi con esclusione di qualsiasi erogazione “a pioggia” (v. precedente Situazione 4), bensì solo in esito ad una verifica della effettiva produttività secondo un processo valutativo incentrato sull’analisi delle prestazioni rese. Diversamente, ne consegue l’illiceità di detta erogazione (v. Sent. Corte dei Conti Sez. Veneto n.1158/06).

Del resto, la Corte dei Conti (v. Sent. Sez. Veneto n. 98 del 17 giugno 2015) ritiene che l’aumento automatico del Fondo incentivante è assolutamente contrario alla logica di tutte le previsioni normative in materia di retribuzione accessoria, a prescindere dalla disponibilità delle risorse in bilancio. Inoltre, la Corte sostiene che, anche qualora i componenti della Giunta e il Sindaco non fossero  direttamente convenuti in giudizio, sussiste comunque una loro responsabilità perché, in definitiva, spetta a loro la concreta determinazione delle retribuzioni, che certamente è attività gestoria, non attenendo a scelte politiche riconducibili alla soddisfazione di interessi generali della comunità amministrata, ma riguardando specifiche questioni relative alla gestione del personale.

La norma demanda quindi agli Organismi Indipendenti di Valutazione, come individuati dallo stesso Decreto Legislativo 150/09, piuttosto che ai Nuclei di Valutazione o Nuclei Indipendenti di Valutazione, configurati secondo l’autonomia propria di ogni ente locale, il compito di effettuare queste valutazioni nell’ambito di un ben definito Sistema di Misurazione e Valutazione della Performance del quale l’ente locale deve necessariamente dotarsi.

Tuttavia, all’esito del processo di misurazione e valutazione della performance di ciascun dirigente o posizione organizzativa, la valutazione trasmessa dall’OIV / NdV all’organo di indirizzo politico amministrativo dell’ente non è vincolante per lo stesso potendo questo, nel silenzio della norma, procedere a rettifiche della valutazione stessa.

Ciò presuppone che vi sia comunque una preventiva dialettica tra l’organo politico e il valutatore finalizzata alla comprensione delle modalità di valutazione. Ad ogni buon conto, una eventuale valutazione definitiva da parte dell’organo di governo, che sia completamente o anche sostanzialmente diversa da quella presentata dall’OIV deve, evidentemente, essere sostenuta da un’articolata valutazione di tipo tecnico-amministrativo.

In ogni caso è da escludersi che l’organo di indirizzo politico amministrativo abbia la possibilità di annullare totalmente gli esiti di un’azione integralmente di carattere tecnico emessa da un organismo (OIV - NdV)all’uopo deputato.

Situazione 9 - erogazione della retribuzione di posizione e di risultato in assenza di indicatori di risultato o in funzione della sola relazione dei dirigenti.

Secondo la Corte dei Conti (v. Sent.  Sez. Sicilia n. 355, del 19 aprile 2018) la distribuzione della retribuzione di risultato e l’errata determinazione della retribuzione di posizione su una semplice relazione dei dirigenti, in assenza di indicatori di risultato, di processo e di produttività denota una condotta arbitraria, aggravata da colpa grave, per l’organo di vertice, politico-amministrativo.

Ciò, in considerazione del fatto che l’organo di indirizzo dell’ente ha l’obbligo di individuare gli obiettivi e vigilare sull’attuazione del sistema legale di assegnazione della retribuzione di risultato.

In ordine poi alla quantificazione del danno erariale, la Corte determina quest’ultimo, normalmente, in via perequativa, nella somma pagata dall’ente in eccedenza rispetto al valore medio della, forbice prevista dal CCNL, tra la retribuzione minima e quella massima.

Nel contempo, secondo i giudici contabili, è condannabile anche la condotta dell’OIV o NdV che esprima una valutazione positiva dei dirigenti in assenza della preventiva fissazione degli obiettivi o che esprima, in maniera del tutto ingiustificata, la propria valutazione, laddove sarebbe più corretto per l’OIV / NdV eccepire la propria impossibilità di procedere all’erogazione dell’indennità di risultato in assenza dei relativi presupposti.

Sull’argomento, però, ad avviso di chi scrive, è possibile comunque muovere delle obiezioni atteso che, quello della valutazione, è pur sempre un diritto del lavoratore; in questo caso del dirigente o del titolare di posizione organizzativa.

Situazione 10 - erogazione della retribuzione di risultato ai dirigenti che non abbiano correttamente adempiuto al loro dovere di vigilanza sui dipendenti loro assegnati.

Nella particolare circostanza deve essere considerato che, l’articolo  21 del Decreto Legislativo n. 165/2001, recante “norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, ha subito un’ulteriore modifica a seguito dell’introduzione di una diversa  ipotesi di responsabilità, oggetto del nuovo comma 1-bis, dove si prevede che “la colpevole violazione del  dovere di vigilanza sul rispetto, da parte del personale  assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi  e qualitativi fissati dall’amministrazione”, comporta,  come sanzione a carico del dirigente, “la decurtazione della retribuzione di risultato, sentito il Comitato  dei garanti, in relazione alla gravità della violazione  di una quota fino all’ottanta per cento”

Situazione 11 - erogazione delle indennità di risultato ai dirigenti in caso di grave e ripetuta inosservanza dei termini di conclusione dei procedimenti.

Tra le ipotesi di responsabilità dirigenziale  è da annoverarsi anche quella introdotta dall’articolo  7 della legge  n. 69/2009 sulla “certezza dei tempi di conclusione del procedimento”. La disposizione in oggetto ha modificato l’articolo  2 ed introdotto l’articolo  2-bis alla legge n. 241/1990.  La modifica normativa innanzitutto prevede che (c.  9, articolo  2) la mancata emanazione del provvedimento  nei termini costituisce elemento di valutazione della  responsabilità dirigenziale.  In secondo luogo, per effetto di quanto previsto  dal comma 2-bis, le pubbliche amministrazioni  sono tenute al risarcimento del danno ingiusto  cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa  o colposa del termine di conclusione del procedimento.  Infine, la norma prevede che il rispetto dei termini  per la conclusione dei procedimenti rappresenta un  elemento di valutazione dei dirigenti; di esso si tiene  conto al fine della corresponsione della retribuzione  di risultato. Con riguardo all’inosservanza dei termini di conclusione del procedimento, le amministrazioni  sono tenute a valutare i casi di grave e ripetuta inosservanza del loro mancato rispetto.

Ciò che rileva ai fini di questa responsabilità non è dunque l’inosservanza sporadica ed occasionale dell’obbligo di provvedere, quanto la grave e ripetuta inosservanza di detto obbligo in relazione ai  risultati complessivi prodotti dalla organizzazione  alla quale il dirigente è preposto. 

Situazione 12 - erogazione delle indennità di risultato ai dirigenti in caso di inosservanza o mancata attuazione del C.A.D..

Anche l’osservanza e l’attuazione del C.A.D. (Codice dell’Amministrazione Digitale) che compete ai dirigenti ai sensi dell’articolo  12, c. 1-ter,  Decreto Legislativo n. 82/2005, costituisce elemento “rilevante ai fini  della misurazione e valutazione della performance organizzativa ed individuale dei dirigenti” degli enti locali, ferma restando la responsabilità dirigenziale e le altre forme di responsabilità previste dalla legge.

Situazione 13 – attribuzione delle funzioni dirigenziali ad altro dirigente o ad un dipendente titolare di posizione organizzativa. Impossibilità di erogare la retribuzione di risultato in caso di sostituzioni di breve durata “ad interim”.

Al riguardo si può affermare che, a meno che la legge o la contrattazione collettiva non prevedano espressamente una funzione vicaria anche remunerata, è inopportuno far sostituire un dirigente da un altro dipendente privo della qualifica dirigenziale anche se costui è titolare di una posizione organizzativa. Infatti, non sussistendo i presupposti per l’attribuzione di mansioni superiori, si esporrebbero questi sostituti, cioè i titolari di posizione organizzativa, a responsabilità e funzioni non commisurate alla propria qualifica.

Ad ogni modo, in caso di sostituzioni di breve durata (temporanea), non è mai possibile attribuire, né ai dirigenti né ai dipendenti titolari di posizione organizzativa, la remunerazione di risultato normalmente riconosciuta per la posizione sostituita.

Infatti, anche l’attuale formulazione dell’articolo  58, “incarichi ad interim”, del nuovo ccnl - contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al  personale dell’area delle funzioni locali per il triennio 2016 – 2018, siglato il 17.12.20, prevede che, “per lo svolgimento di incarichi con cui è affidata la copertura di altra posizione dirigenziale temporaneamente priva di titolare, i quali siano stati formalmente affidati in conformità all’ordinamento di ciascun ente, è attribuito a titolo di retribuzione di risultato, limitatamente al periodo di sostituzione, un importo di valore compreso tra il 15% ed il 30% del valore economico della retribuzione di posizione prevista per la posizione dirigenziale su cui è affidato l’incarico. La percentuale di cui al comma 1 è definita in sede di contrattazione integrativa di cui all’articolo  45, comma 1 lett. c).”.

Analoga disposizione la si ritrova nell’articolo  15, comma 6, Ccnl 21/5/2018, che consente “nell’ipotesi di conferimento ad un lavoratore, già titolare di posizione organizzativa, di un incarico ad interim relativo ad altra posizione organizzativa, per la durata dello stesso, al lavoratore, nell’ambito della retribuzione di risultato, è attribuito un ulteriore importo la cui misura può variare dal 15% al 25% del valore economico della retribuzione di posizione prevista per la posizione organizzativa oggetto dell’incarico ad interim. Nella definizione delle citate percentuali, l’ente tiene conto della complessità delle attività e del livello di responsabilità connessi all’incarico attribuito nonché e del grado di conseguimento degli obiettivi.

Ovviamente, in entrambi i casi, i CCNL si riferiscono ad ipotesi di sostituzione “ad interim” finalizzate a coprire un incarico di posizione dirigenziale od organizzativa “vacante” e non per la mera sostituzione dovuta a momentanea assenza o impedimento di altro dirigente o del titolare di posizione organizzativa per ferie o malattia breve.  

Situazione 14 - indebita erogazione della indennità di risultato al dirigente che abbia attribuito mansioni superiori ad un dipendente gerarchicamente a lui subordinato, oltre un periodo temporaneo, senza poi contestualmente avviare le procedure per la copertura del posto vacante.

A mente dell’articolo  57 del Decreto Legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, “l’utilizzazione del dipendente in mansioni superiori può essere disposta esclusivamente per un periodo non eccedente i tre mesi, nel caso di vacanze di posti di organico, ovvero per sostituire altro dipendente durante il periodo di assenza con diritto alla conservazione del posto, escluso il periodo del congedo ordinario, sempre che ricorrano esigenze di servizio. … L’assegnazione alle mansioni superiori è disposta sotto la propria responsabilità disciplinare e patrimoniale dal dirigente preposto all’unità organizzativa presso cui il dipendente presta servizio, anche se in posizione di fuori ruolo o comando, con provvedimento motivato. Qualora l’utilizzazione del dipendente per lo svolgimento di mansioni superiori sia disposta per sopperire a vacanze dei posti di organico, contestualmente alla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti”.

In tal caso la richiamata responsabilità disciplinare e patrimoniale del dirigente sono di per sé stesse cause di esclusione di erogazione della retribuzione di risultato al dirigente. Secondo il TAR Puglia (v. sez. II, sent. 21.5.2002, n. 2377) sono infatti  desumibili dal richiamato articolo  57 i principi di temporaneità e retribuibilità in ogni caso delle mansioni superiori, a fronte dei quali è connessa una decisa responsabilizzazione del funzionario che conferisce l’incarico e che, nel caso di sostituzione per vacanza del posto, è tenuto ad indire le procedure per la copertura del posto in tempi prefissati.

“Tale disciplina inoltre, proprio per i meccanismi descritti, impone la sicura temporaneità ed anzi la previa determinabilità temporale della sostituzione del dipendente che eserciti mansioni superiori e ciò all’evidente fine di predeterminare le esigenze finanziarie dell’ente, che è tenuto a retribuire le superiori mansioni temporaneamente assegnate” oltre il termine dei tre mesi.

“Del resto, la temporaneità dell’esercizio delle funzioni superiori è confermata dal principio che la sostituzione vicaria del titolare di una posizione funzionale superiore ed in genere di posizioni non immediatamente disponibili, per le quali sussiste la necessità e l’urgenza di assicurare la continuità dell’esercizio della funzione (cioè nell’ipotesi di impedimento o assenza dei titolare del posto per malattia, ferie, congedo, missione, motivi di famiglia e simili), siccome espressione di un dovere istituzionale gravante in capo al sostituito, è compresa tra quelle astrattamente esigibili rispetto alla qualifica di appartenenza dei titolare della posizione funzionale inferiore e, pertanto, rientrando per legge tra i suoi compiti come attribuzione propria della qualifica rivestita, non può far luogo ad alcuna variazione del trattamento economico" (C.S. Ad. Plenaria, 4 settembre 1997, n. 20).”

Secondo il Consiglio di Stato, intanto si giustifica la sostituzione vicaria in quanto sia predicabile la eccezionalità della sostituzione stessa in posizione superiore, in casi di necessità ed urgenza nell’assicurare la continuità dell’esercizio della funzione, come nelle tipiche ipotesi di assenza o impedimento del titolare per malattia, ferie, congedo, missione, motivi di famiglia e simili (Ad.Pl., 16 maggio 1991, n.2). Pertanto, “la sola ipotesi consentita di sostituzione vicaria, come significativamente ribadisce l’Adunanza Plenaria, è dunque quella della "vacanza temporanea"" che, solo in quanto "temporanea", appunto, non viola l’articolo 36 Costituzione per effetto del bilanciamento imposto a tale principio dall’articolo 97 Costituzione che consente, in forza di esigenze eccezionali di buon andamento, l’affidamento di mansioni superiori alla loro qualifica a dipendenti senza diritto a variazioni del trattamento economico.”.

 

5. La inapplicabilità del principio del “ne bis in idem” nelle cause per danno erariale

Secondo la Corte dei Conti (v. Relazione alla inaugurazione dell’anno giudiziario 2016), il principio generale che regola i rapporti fra procedimenti contabili e penali è quello della reciproca autonomia di valutazione degli esiti processuali.

La Corte di Cassazione-Sez. un. civ., con la sentenza n. 473/15 del 14 gennaio 2015, relativa a ricorso per difetto di giurisdizione della Corte dei Conti, ha confermato detto principio di reciproca autonomia fra i giudizi. Inoltre la Corte di Cassazione, Sezione III civile, con la sentenza n.14632/15 del 14 luglio 2015 in esito ad un ricorso proposto da soggetti in rapporto di servizio con la p.a. , avverso una sentenza penale in grado di appello, ha precisato che non sussiste “bis in idem” fra giudizio contabile e giudizio penale, anche nell’ipotesi di esercizio dell’azione civile, da parte della p.a. in quella sede, sussistendo in questo caso soltanto una possibile “interferenza” connessa all’eventuale intervenuto completo ristoro in una delle due sedi processuali.

In sostanza, quindi, la giurisdizione civile e quella contabile sono reciprocamente indipendenti e ciò in quanto, mentre la causa civile è finalizzata al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria ed integralmente compensativa, a protezione dell’interesse particolare della singola amministrazione attrice, il giudizio innanzi alla Corte dei Conti è volto alla tutela dell’interesse pubblico generale, al buon andamento della p.a. e al corretto impiego delle risorse (v.s. Cass. 14632/15).

 

6. La prescrizione del diritto al risarcimento per danno erariale

In materia di responsabilità amministrativo-contabile, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 20/94, recante Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei Conti, “il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso, dalla data della sua scoperta”.

In senso interpretativo, però, la Corte dei Conti ha chiarito la sua posizione producendo una costante giurisprudenza che ha inteso il richiamato articolo 1, comma 2, in funzione della regola generale posta dall’articolo 2935 c.c.  secondo la quale “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”, e si è espressa nel senso che, ai fini della decorrenza del termine prescrizionale, non è sufficiente il compimento della condotta illecita, ma occorre altresì un evento dannoso avente i caratteri della concretezza, dell’attualità e della conoscibilità obiettiva da parte dell’amministrazione danneggiata.

In pratica, secondo la Corte, il “dies a quo” della prescrizione del diritto al risarcimento del danno non può farsi decorrere dalla data dell’ipotetico evento dannoso bensì da quella nella quale l’ente locale ne è venuto effettivamente a conoscenza, per esposto o per ispezione, ed abbia potuto far valere i propri diritti.

Questa conoscenza, secondo la Corte, può intervenire anche successivamente ad eventuali esborsi finanziari ed a prescindere da occultamenti dolosi del danno erariale (v. Corte Conti, Sez. Campania, n. 143/2012; Sez. Toscana, n. 290/2017).

Illuminante in tal senso è la sent. 4 agosto 2020, n. 118 della Corte dei Conti, Sez. Lombardia, nella quale si legge: “non v’è dubbio, infatti, che, fintanto che la vicenda è rimasta confinata nella materiale conoscenza dei soli convenuti…….nessuna possibilità aveva l’Amministrazione di intervenire per far valere la propria pretesa restitutoria. Una prospettazione che individui il dies a quo nella data dell’illecito rimborso avrebbe l’irragionevole effetto di considerare prescritta, a tutto vantaggio degli stessi responsabili, la pretesa restitutoria dell’erario. In considerazione di quanto esposto la decorrenza del termine prescrizionale non può essere ancorata dalla data dei pagamenti delle indennità di risultato, bensì da quella successiva in cui il pregiudizio erariale è stato individuato in sede ispettiva e portato a conoscenza dell’amministrazione e della Procura Regionale”.