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Provider - Tribunale di Roma: la piattaforma di video-sharing “break.com” ritenuta responsabile per i contenuti illeciti caricati dagli utenti

Il Tribunale di Roma ha ritenuto la società Break Media, titolare e amministratrice della piattaforma di video-sharing “break.com”, responsabile per i contenuti illeciti caricati sul sito dai propri utenti.

R.T.I. Reti Televisive Italiane S.p.A. aveva contestato a Break Media la violazione di propri diritti di sfruttamento economico su sequenze e frammenti di programmi televisivi presenti sulla piattaforma di video-sharing di quest’ultima. Per questo motivo R.T.I. chiedeva l’inibitoria al proseguimento della condotta illecita, la rimozione dai server dei files audiovisivi tratti dai programmi di sua titolarità, la condanna al risarcimento del danno, la fissazione di una penale per ogni violazione successiva e la pubblicazione del provvedimento su quotidiani e periodici.

La convenuta declinava ogni responsabilità, adducendo lo svolgimento di un’attività puramente tecnica di fornitura ai propri utenti di una piattaforma di hosting in cui pubblicare contenuti audiovisivi, senza alcun intervento o collaborazione nella loro realizzazione e/o gestione. Di conseguenza, detta società affermava di non avere alcun obbligo di sorveglianza relativamente ai contenuti caricati dagli utenti, essendo ciò espressamente escluso per gli hosting provider dall’articolo 17 del Decreto Legislativo 70/2003 attuativo della Direttiva Europea 2000/31/CEE, ma unicamente il dovere di attivarsi per rimuovere qualsiasi video lesivo di diritti di proprietà intellettuale di terzi in caso ne fosse effettivamente venuta a conoscenza. Nel caso in parola, Break Media era stata in effetti informata da R.T.I. della violazione di suoi diritti per mezzo di due lettere di diffida, tuttavia le segnalazioni erano state giudicate dalla convenuta non idonee a permetterle di individuare e rimuovere i contenuti in questione, poiché le comunicazioni ricevute contenevano i soli titoli dei programmi che si ritenevano diffusi senza autorizzazione e non si presentavano pertanto, a detta di Break Media, sufficientemente dettagliate nell’indicare i contenuti illeciti e i relativi URL.

Detti requisiti di non genericità della diffida e la necessità di una specifica indicazione degli indirizzi compendiati in singoli URL erano stati in precedenza stabiliti dalla Corte d’Appello di Milano nella sentenza n. 29 del 22 gennaio 2015.

Investito della controversia, il Tribunale di Roma rileva, tuttavia, come quella della convenuta non possa essere ritenuta una semplice piattaforma di condivisione, «ma un portale che consente una facile e svariata scelta con una semplice consultazione di migliaia di filmati e/o frammenti di filmati in massima parte opera di terzi non casualmente immessi dagli utenti ma catalogati ed organizzati in specifiche categorie (musica, film, intrattenimento etc.) con intervento diretto anche nei contenuti con diversi modi di utilizzazione e la possibilità di scegliere, all’interno del programma, la parte che interessa collegandola anche ad altri video “correlati”». Questi caratteri rendono la piattaforma, agli occhi del giudice romano, del tutto incompatibile con la qualificazione del relativo titolare quale semplice “hosting provider”.

Inoltre, la precedente posizione giurisprudenziale secondo cui le diffide dovrebbero presentarsi dettagliate nell’indicare i contenuti illeciti e i relativi URL non sarebbe condivisibile poiché, secondo il giudice de quo, «oltre a rendere difficile e quasi impossibile per i soggetti titolari di diritto d’autore leso che non dispongono di grandi mezzi tecnici delle dimensioni precisate ottenere la tutela, è in contrasto con tutte le direttive europee e le sentenze della Corte di Giustizia che, pur affermando l’insussistenza di un obbligo generale di sorveglianza, mai hanno considerato la necessità della specifica e tecnica indicazione degli URL.»

Di conseguenza, il Tribunale di Roma ha ritenuto che l’indicazione nelle diffide ricevute dei programmi diffusi senza autorizzazione fosse sufficiente ed idonea a “sollecitare la necessaria attività di verifica e controllo” da parte di Break Media: la norma sopra richiamata richiede soltanto “l’effettiva conoscenza” dei contenuti illeciti e non l’indicazione delle relative URL, che non sono i contenuti ma la sola “localizzazione” sul web degli stessi.

(Tribunale di Roma, Sentenza 27 aprile 2016, n. 8437)

Dott. Andrea Gabrielli

Il Tribunale di Roma ha ritenuto la società Break Media, titolare e amministratrice della piattaforma di video-sharing “break.com”, responsabile per i contenuti illeciti caricati sul sito dai propri utenti.

R.T.I. Reti Televisive Italiane S.p.A. aveva contestato a Break Media la violazione di propri diritti di sfruttamento economico su sequenze e frammenti di programmi televisivi presenti sulla piattaforma di video-sharing di quest’ultima. Per questo motivo R.T.I. chiedeva l’inibitoria al proseguimento della condotta illecita, la rimozione dai server dei files audiovisivi tratti dai programmi di sua titolarità, la condanna al risarcimento del danno, la fissazione di una penale per ogni violazione successiva e la pubblicazione del provvedimento su quotidiani e periodici.

La convenuta declinava ogni responsabilità, adducendo lo svolgimento di un’attività puramente tecnica di fornitura ai propri utenti di una piattaforma di hosting in cui pubblicare contenuti audiovisivi, senza alcun intervento o collaborazione nella loro realizzazione e/o gestione. Di conseguenza, detta società affermava di non avere alcun obbligo di sorveglianza relativamente ai contenuti caricati dagli utenti, essendo ciò espressamente escluso per gli hosting provider dall’articolo 17 del Decreto Legislativo 70/2003 attuativo della Direttiva Europea 2000/31/CEE, ma unicamente il dovere di attivarsi per rimuovere qualsiasi video lesivo di diritti di proprietà intellettuale di terzi in caso ne fosse effettivamente venuta a conoscenza. Nel caso in parola, Break Media era stata in effetti informata da R.T.I. della violazione di suoi diritti per mezzo di due lettere di diffida, tuttavia le segnalazioni erano state giudicate dalla convenuta non idonee a permetterle di individuare e rimuovere i contenuti in questione, poiché le comunicazioni ricevute contenevano i soli titoli dei programmi che si ritenevano diffusi senza autorizzazione e non si presentavano pertanto, a detta di Break Media, sufficientemente dettagliate nell’indicare i contenuti illeciti e i relativi URL.

Detti requisiti di non genericità della diffida e la necessità di una specifica indicazione degli indirizzi compendiati in singoli URL erano stati in precedenza stabiliti dalla Corte d’Appello di Milano nella sentenza n. 29 del 22 gennaio 2015.

Investito della controversia, il Tribunale di Roma rileva, tuttavia, come quella della convenuta non possa essere ritenuta una semplice piattaforma di condivisione, «ma un portale che consente una facile e svariata scelta con una semplice consultazione di migliaia di filmati e/o frammenti di filmati in massima parte opera di terzi non casualmente immessi dagli utenti ma catalogati ed organizzati in specifiche categorie (musica, film, intrattenimento etc.) con intervento diretto anche nei contenuti con diversi modi di utilizzazione e la possibilità di scegliere, all’interno del programma, la parte che interessa collegandola anche ad altri video “correlati”». Questi caratteri rendono la piattaforma, agli occhi del giudice romano, del tutto incompatibile con la qualificazione del relativo titolare quale semplice “hosting provider”.

Inoltre, la precedente posizione giurisprudenziale secondo cui le diffide dovrebbero presentarsi dettagliate nell’indicare i contenuti illeciti e i relativi URL non sarebbe condivisibile poiché, secondo il giudice de quo, «oltre a rendere difficile e quasi impossibile per i soggetti titolari di diritto d’autore leso che non dispongono di grandi mezzi tecnici delle dimensioni precisate ottenere la tutela, è in contrasto con tutte le direttive europee e le sentenze della Corte di Giustizia che, pur affermando l’insussistenza di un obbligo generale di sorveglianza, mai hanno considerato la necessità della specifica e tecnica indicazione degli URL.»

Di conseguenza, il Tribunale di Roma ha ritenuto che l’indicazione nelle diffide ricevute dei programmi diffusi senza autorizzazione fosse sufficiente ed idonea a “sollecitare la necessaria attività di verifica e controllo” da parte di Break Media: la norma sopra richiamata richiede soltanto “l’effettiva conoscenza” dei contenuti illeciti e non l’indicazione delle relative URL, che non sono i contenuti ma la sola “localizzazione” sul web degli stessi.

(Tribunale di Roma, Sentenza 27 aprile 2016, n. 8437)

Dott. Andrea Gabrielli